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Deformazioni grottesche
nella Parigi del XIX secolo.
La città-mostro balzachiana
e la ville barbare berlioziana
Francesca Orabona
1 Balzac, Berlioz e l’estetica del grottesco
La prima metà del diciannovesimo secolo segna in Francia l’era della convergenza
e della fraternità tra le arti e a Parigi si realizza il momento di massima tangenza tra
mondo letterario e mondo musicale romantico1 . Musica e letteratura convergono
intorno alle infinite potenzialità espressive offerte da una nuova categoria estetica
che, a partire dalla riflessione di Victor Hugo sul dramma moderno, acquista un
significato rilevante nell’arte, elevandosi a pari dignità del sublime e assurgendo
a simbolo stesso della modernità: il grottesco2 . Categoria polivalente e multiforme, inglobante tra i suoi elementi costitutivi il mostruoso, il deforme, l’eccessivo,
il caricaturale e il ridicolo, il grottesco si impone perché capace di accrescere lo
spettro delle possibilità artistiche ed esprimere la pluralità e la complessità stessa
1
Su questi temi, cfr. F. Della Seta, Italia e Francia nell’Ottocento, E.D.T., Torino 1993, pp. 6-18.
Si fa riferimento alla Préface al Cromwell (1827) di Victor Hugo, manifesto programmatico del
romanticismo francese, che suscitò un acceso dibattito intellettuale sia in campo letterario sia musicale. La querelle tra classici e romantici condurrà alle celebri batailles scatenatesi durante la prima
rappresentazione dell’Hernani hughiano (1830) e la seconda esecuzione della Symphonie fantastique (1832) berlioziana. Per un’analisi dettagliata della Préface hughiana, cfr. V. Hugo, “Prefazione
al Cromwell”, in Sul grottesco, tr. it. di M. Mazzocut-Mis, “Introduzione” di E. Franzini, Guerini e
Associati, Milano 1990, pp. 9-30.
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di un’epoca che non può più riconoscersi nell’universo, armonico ed equilibrato,
restituito dalle rigide regole e dagli statici modelli del classicismo3 .
Gli anni nei quali si svolge l’attività di Honoré de Balzac (1799-1850) e di
Louis-Hector Berlioz (1803-1869) coincidono con la piena fioritura del romanticismo francese. Entrambi gli autori, pur non schierandosi con esaltato fanatismo
tra le file dei sostenitori della nuova scuola4 , tengono conto della riflessione hughiana e si prestano a una lettura nella prospettiva del grottesco5 , privilegiando la
nuova categoria estetica come potente strumento critico d’indagine sociale e artistica circa le infinite contraddizioni che caratterizzano la capitale francese del loro
tempo.
La città-mostro balzachiana e la città barbara berlioziana, sintesi di bello e
brutto, di triviale e sublime, di genialità e follia, è il luogo in cui si realizza la fusione dei contrari e la conciliazione degli elementi eterogenei di cui si compone il
corpo sociale. La Parigi tentacolare del XIX secolo plasma i propri abitanti, costringendoli a continue metamorfosi adattative che li abbruttiscono sul piano fisico
e morale e ne atrofizzano la sensibilità estetica. In una tale cornice, sconcertante
e deformata, si trovano perfettamente rappresentati i sinistri e inquietanti abitanti
della città-mostro vicino ai ridicoli e buffi monomani che popolano la ville barbare,
i mostri morali di Balzac accanto ai grotteschi della musica di Berlioz.
Dalle impietose analisi dedicate, sia dallo scrittore sia dal musicista, a indagare le cause e le manifestazioni della natura deforme e mostruosa del paesaggio
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Tra gli autori romantici che subirono il fascino del grottesco, si segnalano scrittori come Bertrand (Gaspard de la nuit), Gautier (Les Grotesques) e compositori quali Liszt (Totentanz), Meyerbeer (Robert le Diable), Weber (Freischütz), Verdi (Rigoletto). Accanto al dramma e al romanzo
moderno, nasce in Francia un nuovo genere operistico, il grand opéra, erede ottocentesco dell’opera
seria francese, in cui vengono sfruttati, come consapevoli principi compositivi, i capisaldi della poetica hughiana, quali il contrasto tra bello e brutto, nobile e volgare, la mescolanza dei generi, comico
e tragico, e degli stili, alto e basso, preclusi alla tragédie lyrique dall’estetica classicistica e tuttavia
da tempo sperimentati con successo nell’opéra comique. Sui principali generi operistici francesi tra
Restaurazione e Monarchia di Luglio, cfr. F. Della Seta, op. cit., pp. 91-120.
4 Balzac e Berlioz parteciparono entrambi alla prima rappresentazione di Hernani, ma non aderirono alla bataille con cieco e illimitato entusiasmo. Nei Complaintes satiriques sur les mœurs du
temps présent, apparsi su La Mode del 20 febbraio 1830, Balzac condannò le esagerazioni e gli estremismi della scuola moderna, rimproverandole l’abuso del brutto e l’amore per l’orribile e il macabro
e, nel primo numero del Feuilleton des journaux politiques del 3 marzo dello stesso anno, dedicò due
lunghi articoli critici al dramma di Victor Hugo, biasimandone gli anacronismi e le inverosimiglianze
(cfr. G. Delattre, Les opinions littéraires de Balzac, PUF, Paris 1961, pp. 261-265). Berlioz contestò
invece a Hugo di non aver voluto rinunciare, in un’opera programmaticamente rivoluzionaria come Hernani, ai classici versi alessandrini (cfr. R.L. Evans, Les Romantiques français et la musique,
Champion, Paris 1934, p. 112).
5 Se i principi enunciati nella Préface al Cromwell trovano applicazione nei romanzi della Commedia umana (1842-48), in cui il sublime e il comico, l’estasi e lo scherzo salace sono costantemente
affiancati per realizzare l’ideale balzachiano della totalità, nella Symphonie fantastique (1832) Berlioz attua compiutamente in musica l’estetica moderna del caratteristico, della reciproca implicazione del bello e del brutto e, ne Les Grotesques de la musique (1859), elegge il grottesco a categoria
critica privilegiata della propria attività giornalistica e letteraria. Sul grottesco balzachiano e berlioziano, cfr. A.M. Scaiola, Dissonanze del grottesco nel Romanticismo francese, Bulzoni, Roma 1988,
pp. 135-156.
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urbano, traspare un potente messaggio critico sul valore dell’arte, ridotta a un’operazione puramente commerciale e subordinata al potere economico, che si impone, ancora oggi, all’attenzione del lettore per la propria imperiosa modernità. Lo
spettacolo della Parigi di ieri conduce a comprendere e a rimettere in prospettiva
l’immagine della metropoli di oggi. La città moderna del XIX secolo, come quella
del XXI, seduce e ripugna, attrae e respinge, crea e distrugge secondo le perverse
leggi dell’oro e del piacere.
2 Il mostro Parigi e i suoi abitanti: deformità fisiche e morali
Il mostro, tipo primo del grottesco nella riflessione estetica di Hugo, è legittimato
nel XIX secolo anche a livello scientifico dalle speculazioni di Etienne Geoffroy
Saint-Hilaire (1772-1844) e diventa oggetto di una nuova disciplina – la teratologia – le cui leggi esercitano un potente fascino sulla science des mœurs di Balzac6 . Nelle insolite vesti di naturalista e teratologo, lo scrittore dedica interamente
il lungo prologo con cui si apre la novella intitolata La ragazza dagli occhi d’oro (1834-35)7 alla descrizione della città-mostro Parigi8 , che racchiude e sintetizza
le brutture fisiche e morali dei suoi abitanti in uno sfondo infernale e ripugnante.
Il quadro cittadino, calato in una visione allucinante, si presenta immediatamente al lettore come un armonico universo di contrasti. Parigi è un cumulo di
elementi disordinati, evocati attraverso immagini e parole antitetiche che si polarizzano intorno a due gruppi di opposizioni principali: movimento e immobilità,
luce e tenebre. La metafora iniziale del campo di grano9 definisce, secondo coordinate spaziali, il principio oppositivo su cui si regge la società parigina, costituito
6 Sull’influsso esercitato dalla scienza teratologica di E. Geoffroy Saint-Hilaire sulla sociologia di Balzac, cfr. M. Mazzocut-Mis, Mostro. L’anomalia e il deforme nella natura e nell’arte,
“Presentazione” di G. Scaramuzza, Guerini e Associati, Milano 1992, pp. 107-150; Id., “La natura mostruosa del paesaggio urbano: la «bella legge di soi pour soi» nella Parigi di Balzac”, in
M. Mazzocut-Mis (a cura di), Dal Brutto al Kitsch. Percorso antologico-critico, Cuem, Milano 2003,
pp. 305-316.
7 Scritto tra il 15 febbraio e il 15 marzo del 1834, il prologo della novella fu pubblicato separatamente, per la prima volta, nell’aprile dello stesso anno con il titolo Fisionomie parigine nel
terzo volume delle Scene della vita parigina. Sulle fasi redazionali de La ragazza dagli occhi d’oro,
cfr. Ch. Massol-Bedoin, “La charade et la chimère. Du récit énigmatique dans La Fille aux yeux
d’or”, Poétique, n. 89, 1992, p. 32.
8 La metafora di Parigi-mostro è stata esplicitamente utilizzata da Balzac nel prologo del primo
episodio della Storia dei Tredici, intitolato Ferragus e dedicato a Berlioz, di cui La ragazza dagli
occhi d’oro costituisce la vicenda conclusiva. La città è ivi descritta come un mostruoso organismo
vivente, un gigantesco crostaceo di cui gli abitanti formano le articolazioni motorie: «Parigi è il più
delizioso dei mostri [. . . ] E che vita sempre attiva ha il mostro! [. . . ] Tutte le porte si schiudono,
girano sui cardini, come le membrane di un’immensa aragosta, manovrate invisibilmente da trentamila uomini o donne [. . . ] Insensibilmente, le articolazioni scricchiolano, il moto si propaga, la via
parla. A mezzogiorno, tutto è vivo, i camini fumano, il mostro mangia, poi ruggisce, poi agita le sue
mille zampe» (H. de Balzac, Ferragus, capo dei Dévorants, tr. it. di C. Lusignoli, a cura di C. Moro,
“Saggio introduttivo” di I. Calvino, Mondadori, Milano 2001, p. 4).
9 «Non è forse Parigi un vasto campo incessantemente sconvolto da una tempesta d’interessi sotto
i quali turbina una messe d’uomini che la morte falcia più spesso che altrove, che rinascono sempre
altrettanto fitti, con i visi sconvolti che esalano da ogni poro lo spirito, i desideri, i veleni di cui sono
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da forze contrarie che si annullano. La messe umana tenta di elevarsi, ma, dietro
lo stimolo contraddittorio dei desideri, ricade inesorabilmente sotto la falce della
morte. I gironi della città infernale, «perché Parigi è stata chiamata un inferno non
soltanto per fare una battuta di spirito»10 , sono obbligati a un perpetuo movimento ascensionale, decentrato e sregolato, terminante nell’assoluta immobilità. Dalle
similitudini balzachiane risulta, tuttavia, anche un effetto d’imprevedibile dinamismo. Parigi è definita una «gran gabbia di gesso»11 , un «alveare di neri ruscelli»12 .
La città è dunque un’oscura prigione che rinchiude i propri abitanti, costringendoli
a una forzata operosità simile a quella delle api13 .
La dedica della novella al pittore Delacroix giustifica il ricorso alla seconda
antitesi di tipo cromatico, la quale domina il racconto dal prologo fino al suo tragico
scioglimento. Il rosso e l’oro, simboli rispettivamente del piacere e dell’ambizione,
rappresentano le forze conflittuali che trascinano le sfere della società parigina in
un movimento incessante e vorticoso14 . Parigi è Paquita, la ragazza dagli occhi
d’oro: con il suo corpo selvaggio è promessa al piacere e con le sue gialle pupille
trasmette le lusinghe dell’oro, «oro che brilla, oro vivo, oro che pensa, oro che ama
e vuole assolutamente venirti in tasca!»15 .
Metropoli grottesca, sintesi di bello e di brutto, la Parigi balzachiana è sia una
«mostruosa città»16 , sia un «sublime vascello»17 . Le metafore impiegate per delineare il carattere vario e discordante della capitale francese forniscono immagini
contraddittorie che, tuttavia, si risolvono in una superiore totalità, componendosi
in visioni di un’«armonia terribile»18 e di una bellezza sinistra. Il paragone con la
caldaia motrice dei piroscafi19 presenta «un’inestricabile mescolanza di bruttezza
ingravidati i loro cervelli [. . . ] ?» (Id., La Fille aux yeux d’or, La ragazza dagli occhi d’oro, tr. it.
di P. Masino, a cura di M. Bongiovanni Bertini, Serie bilingue, Einaudi, Torino 1993, p. 3).
10 Ibid., pp. 3-5. Suggestivi echi della città dolente dantesca fungono da sfondo anche ad altri
racconti balzachiani, quali I proscritti (1831) e Melmoth riconciliato (1835), in cui Parigi appare
nuovamente descritta come una terribile «succursale dell’Inferno» (Id., Melmoth riconciliato, a cura
di G. Cutore, Solfanelli, Chieti 1990, p. 14).
11 Id., La Fille aux yeux d’or, cit., p. 7.
12 Ibid.
13 Cfr. M. Bongiovanni Bertini, “Appendice prima”, in H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit.,
p. 183.
14 «Chi, dunque, domina in questo mondo senza morale, senza fede, senza alcun sentimento, in
questo mondo dal quale tuttavia partono e dove sfociano tutti i sentimenti, tutte le fedi, tutte le
morali? Oro e piacere» (H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 7. I termini oro e piacere
ritornano all’interno del prologo come il motivo melodico conduttore di una sinfonia a programma –
si pensi all’idea fissa della Fantastica berlioziana. Per un’analisi musicale del preludio de La ragazza
dagli occhi d’oro, cfr. J.M. Bailbé, Le Roman et la musique en France sous la Monarchie de Juillet,
F. Paillart, Abbeville 1969, pp. 322-324.
15 H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 63.
16 Ibid., p. 17.
17 Ibid., p. 33.
18 M. Bongiovanni Bertini, “Appendice prima”, in H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 181.
19 «Questa città non può essere dunque né più morale né più cordiale né più pulita di quel che sia
la caldaia motrice dei magnifici piroscafi che ammirate mentre fendono le onde!» (H. de Balzac, La
Fille aux yeux d’or, cit., p. 33).
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e di splendore, di prosaica sporcizia e di sublime energia»20 . Esso riassume e giustifica il carattere multiforme della città, vero mostro sociale in grado di rivelare
le contraddizioni sottese alla dinamica delle classi. L’accostamento dissonante di
laideur e beauté risalta soprattutto dalle descrizioni conclusive, le quali fanno di
Parigi il simbolo dell’unità nella varietà, il luogo in cui si realizza la sintesi dei
contrari e la conciliazione degli elementi eterogenei di cui si compone sia la natura
umana sia il corpo societario:
Città da diadema, è una regina sempre incinta, che ha delle voglie irresistibilmente furiose. Parigi è la testa del globo, un cervello che scoppia di
genio e guida la civiltà umana, un grand’uomo, un artista incessantemente
creativo, un politico con la seconda vista che deve necessariamente avere le
rughe del cervello, i vizi del grand’uomo, le fantasie dell’artista e i disincanti
del politico. La sua fisionomia sottende il germinare del bene e del male, il
combattimento e la vittoria.21
Nel «paese dei contrasti»22 , le antitesi si sciolgono in ossimoro e l’irriducibilità antinomica dei multiformi e caotici fattori del mostruoso scenario urbano risulta costantemente riassorbita e dialetticamente sussunta secondo il principio della
coincidentia oppositorum23 . A Parigi gli «estremi si toccano»24 e nella fusione
degli opposti è insita la totalità conflittuale della metropoli del XIX secolo, dove
ogni elemento è in equilibrio dinamico e si fonde con il suo contrario in un’unità
mobile, dove un estremo non può sussistere senza l’altro25 .
Parigi, città-mostro, può essere popolata soltanto da esseri totalmente mostruosi, i quali, vivendo in simbiosi con il proprio ambiente26 ne assumono i medesimi
tratti e determinano a loro volta «la normale bruttezza della fisionomia parigina»27 .
«Gente orribile a vedersi, spiritata, gialla, consunta»28 , la popolazione della città si
consuma, deforma il proprio aspetto fisico e perde ogni senso morale, mossa dall’avidità di guadagno e da una sfrenata voluttà, miraggi illusori, seducenti chimere
che, come ogni fantasia assoluta e distruttiva, portano inscritte tragicamente in sé
20
M. Bongiovanni Bertini, “Appendice prima”, in H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 185.
H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 33.
22 Ibid., p. 37.
23 Sull’uso balzachiano della figura ossimorica, cfr. J.L. Diaz, “Balzac-oxymore: logiques balzaciennes de la contradiction”, Revue de sciences humaines, n. 175, juillet-septembre 1979,
pp. 33-47.
24 H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 137.
25 Cfr. A.M. Scaiola, op. cit., p. 147.
26 All’interno della Commedia umana, Balzac riflette costantemente circa l’importanza dell’influenza dell’ambiente sul modo di vita e sul comportamento delle tipologie sociali, recuperando
istanze risalenti al figlio del teratologo E. Geoffroy Saint-Hilaire, Isidore Geoffroy (cfr. M. MazzocutMis, Mostro, cit., pp. 128 sgg.). Ne La ragazza dagli occhi d’oro, lo scrittore individua la causa fisica
delle fisionomie degradate dei parigini nell’aria insalubre e miasmatica di Parigi-Lutezia, che giace
immersa «nelle esalazioni putride dei cortili, delle strade e dei gabinetti» (cfr. H. de Balzac, La Fille
aux yeux d’or, cit., p. 31).
27 H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 35.
28 Ibid., p. 3.
21
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il segno della dissoluzione e della morte. Il contrasto tra la vita attiva, dinamica e
febbrile della capitale e il colore livido del volto dei suoi abitanti, ridotti a sinistre
figure cadaveriche, a una «folla di esumati»29 , è riconducibile alla teoria energetica
balzachiana, una delle nervature centrali della Commedia umana, secondo la quale l’eccessivo consumo di energia porta l’individuo a un progressivo deperimento
delle forze vitali30 . I parigini, in preda alla frenesia del denaro, alla volontà di
cambiare il proprio stato sociale e al desiderio erotico, esauriscono i propri istinti
conducendo una vita contro natura, al di là dei propri limiti, e si trasformano in
creature mostruose sul piano fisico e morale.
La disumanizzazione degli abitanti e la loro degradazione nella scala degli esseri è sottolineata tramite il ricorso insistito a paragoni grotteschi con il regno animale
e minerale31 . Gli operai, accecati dalla sete di guadagno, sacrificano la posizione
eretta per assumere caratteristiche scimmiesche e trasformarsi in «quadrumani»32 ,
mentre l’accumulatore di cariche onorifiche diventa un uomo-macchina, una creatura «impastata di salnitro e di gas»33 . L’alacre versatilità di quest’ultimo evoca la
levità dei volatili. Egli si libra come un uccello da casa in ufficio, svolge il proprio
lavoro di burocrate «appollaiato in una poltrona come il pappagallo sul suo mazzolo»34 e vive «come una rondine»35 . La vita operosa lo porta a subire continue
trasformazioni (infiniti sono i ruoli interpretati come corista all’Opéra), le quali deformano il suo aspetto fisico rendendone ipertrofici gli arti inferiori: «in lui, tutto
è gambe»36 . Sovente la metamorfosi è più sottile e si percepisce indirettamente
attraverso l’uso di forme verbali impiegate solitamente per bestie o cose. Il proletario «aggioga la moglie a qualche macchina, logora il figlio inchiodandolo a un
ingranaggio»37 per soddisfare la propria smodata bramosia d’oro e sperperarlo in
29
Ibid.
Per Balzac la vita è paragonabile a un processo di combustione che va regolato secondo un
principio economico di modo da ottenere il massimo rendimento con il minimo consumo vitale. Nel
romanzo intitolato La pelle di zigrino (1831), lo scrittore formula simbolicamente la legge fondamentale dell’energetismo. Il talismano di Raphaël de Valentin è immagine della vita umana, la cui
durata è inversamente proporzionale alla potenza del desiderio o all’intensità delle idee. La pelle di
zigrino ha la facoltà di realizzare ogni volere del proprio possessore, ma a prezzo della sua energia
vitale. Tutte le volte che un desiderio è appagato, il cuoio si restringe e la vita del protagonista si accorcia. Sui principi della teoria energetica balzachiana, cfr. E.R. Curtius, Balzac, tr. it. di V. Loriga,
Bompiani, Milano 1998, pp. 57-81.
31 Balzac deriva il confronto tra l’Umanità e l’Animalità, idea germinativa dell’intera sua opera,
come si legge nell’Avant-propos alla Comédie Humaine, dalle scienze antropologiche (Gall, Lavater), naturali (Buffon, Cuvier, Geoffroy Saint-Hilaire), mistiche (Saint-Martin, Swedenborg), oltre che dalla tradizione letteraria (Rabelais, La Fontaine). Sulle forme del bestiario balzachiano,
cfr. M. Thérien, “Métaphores animales et écriture balzacienne: le portrait et la description”, L’Année
balzacienne, 1979, pp. 193-208.
32 H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 9.
33 Ibid., p. 11.
34 Ibid.
35 Ibid.
36 Ibid., p. 15.
37 Ibid., p. 7. Il verbo francese atteler (“attaccare”, “aggiogare”) in senso proprio si usa per gli
animali da soma e il verbo user (“logorare”) si riferisce abitualmente agli oggetti inanimati.
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un sol giorno nei sobborghi sordidi ed equivoci della capitale che, «vasta bottega
di godimenti»38 , offre dissoluti piaceri a pagamento in cambio di vite umane. Così
Concha Marialva, vecchia schiava georgiana dalla figura decrepita e spaventosa,
vittima del demone del gioco, venderà la sua unica figlia alla marchesa di San-Réal
e ne tacerà l’assassinio immolandola ai sinistri altari dell’oro39 .
Tra i piccoli borghesi, appartenenti alla seconda sfera parigina, la Parigi balzachiana genera delle creature ibride, delle nuove specie antropomorfe in cui aspetto
fisico e attività lavorativa si corrispondono, denotando una perfetta analogia di forme. I custodi si modellano alla loro portineria come l’ostrica sul proprio guscio40 ,
l’usuraio Gobseck «è un uomo-cambiale»41 che si è “fatto oro” fondendo cuore
e nervi in fredde particelle metalliche e il mercante Elie Magus, sinistra figura di
uomo-quadro, vive da sultano in un serraglio di opere d’arte42 . Il potere dell’oro,
la passione per eccellenza che corrode come un cancro maligno la società parigina,
si afferma, tuttavia, a discapito del corpo. Anche i piccoli borghesi immolano la
propria integrità fisica allo scopo di appagare la loro divorante ambizione. Gli indefessi cassieri sono paragonabili a degli «animali curiosi»43 , perché pronti a restare
seduti, immobili, in gabbie dorate e logorarsi le ginocchia e le apofisi del bacino
pur di ottenere un mediocre avanzamento44 .
Alle deformazioni fisiche della classe operaia e piccolo borghese fa riscontro il
degrado spirituale dell’alta borghesia affaristica che popola il terzo cerchio dell’inferno metropolitano. Definito metaforicamente una «specie di ventre di Parigi»45 ,
esso è un «luogo claustrofobico e pestilenziale, in cui i miasmi della corruzione
materiale si confondono con quelli della corruzione morale»46 . La mostruosa identità interiore degli uomini d’affari e di legge è evidenziata nuovamente tramite un
inquietante paragone zoologico. Privati di ogni sentimento etico, mutati in freddi e
spietati calcolatori a causa del loro assiduo commercio con le infinite miserie umane, avvocati, banchieri e magistrati assumono l’aspetto di corvi rapaci e planano
sinistramente sulle proprie prede «come taccole sui cadaveri ancora caldi»47 . L’epifania del mostro morale balzachiano avviene lentamente, per via indiziaria, allo
scopo di rafforzare lo choc prodotto dalla sua temibile comparsa. La natura corrotta
dell’avvocato Fraisier si rivela al lettore soltanto dopo una lunga attesa che suscita sconcerto e spavento. Solo dopo essersi addentrati nella sua dimora «malata di
lebbra»48 , dotata di una scala umida, ammuffita e ammorbata dal puzzo dello scolo
38
Ibid., p. 3.
Cfr. ibid., p. 175.
40 Cfr. Id., Il cugino Pons, tr. it. di P. Bellandi, Frassinelli, Milano 1999, p. 49.
41 Id., “Gobseck”, in La casa del gatto che gioca ed altri racconti, a cura di F. Fiorentino, Guida,
Napoli 1984, p. 90.
42 Cfr. Id., Il cugino Pons, cit., p. 145.
43 Id., Melmoth riconciliato, cit., p. 13.
44 Cfr. ibid., p. 13-15.
45 Id., La Fille aux yeux d’or, cit., p. 21.
46 M. Bongiovanni Bertini, “Appendice prima”, in H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 184.
47 H. de Balzac, La Fille aux yeux d’or, cit., p. 23.
48 Id., Il cugino Pons, cit., p. 186.
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delle acque nere, solo dopo aver stretto la lurida impugnatura del campanello sarà
possibile scorgere il mostro, perfettamente mimetizzato nel proprio appartamento,
magnetizzare le proprie vittime «come un ragno ipnotizza una mosca»49 .
La spirale dell’oro e del piacere travolge inesorabilmente anche il mondo dell’arte. L’artista parigino rincorre vanamente l’illusione del successo e della gloria,
degradando la propria sublime bellezza a una fisionomia grottesca. Anche qui «i
volti, segnati dal sigillo dell’originalità sono, sì, nobilmente distrutti, ma distrutti,
stanchi, tortuosi»50 . A Parigi è impossibile tentare di conciliare il denaro con l’arte
ed è inevitabile che anche le menti più geniali avviliscano il loro talento rincorrendo
una facile fama o sprofondino nell’abisso del vizio. È il caso del tenore Genovese, un virtuoso del canto dotato d’innate capacità vocali e di un’eccellente abilità
interpretativa, che prostituisce le proprie doti nella smaniosa ricerca delle ovazioni
di un pubblico dilettantesco, a esclusivo soddisfacimento del suo smisurato egocentrismo51 , o del Cataneo, il teorico dell’accordo perfetto, che sciupa le proprie
energie intellettuali inseguendo labili piaceri mondani. Quest’ultimo ha corrotto
la propria sanità psicofisica nell’assidua ricerca di godimenti eccessivi al punto da
metamorfosarsi in un essere informe, in un morto vivente:
Per chiunque avesse avuto l’animo abbastanza fermo da osservarlo da presso,
la sua storia era scritta dalle passioni in quella nobile argilla divenuta ormai
fango. [. . . ] Il Vizio aveva distrutto la creatura umana, e ne aveva creata
un’altra, a proprio uso. Migliaia di bottiglie erano passate sotto gli archi
purpurei di quel naso grottesco, lasciando la feccia sulle labbra. Lunghe e
faticose digestioni avevano minato i denti. Gli occhi si erano affievoliti alla
luce dei tavoli da gioco. [. . . ] Come avidi eredi, tutti i vizi avevano azzannato
la loro porzione di quel cadavere ancora vivo52.
Lo splendore del quinto e ultimo girone della società parigina contrasta solo
apparentemente con il mostruoso scenario urbano delineatosi fin ora. L’oro e il
piacere, sotto la spinta ascensionale impressagli dalla frenetica attività di operai,
borghesi e artisti, confluiscono nei saloni dorati degli aristocratici per risplendere
su «visi di cartone»53 , su maschere inanimate segnate dalla noia e dall’impotenza.
Dietro la superficiale scorza affascinante dei giovani nobili alla moda, tra i quali
il de Marsay rappresenta l’esemplare più perfetto, si nascondono una spietata inumanità e una profonda corruzione. «Sono tutti ugualmente cariati fino alle ossa
dal calcolo, dalla depravazione, e se sono minacciati dal mal della pietra, scandagliandoli, la si troverebbe, a tutti, nel cuore»54 . La società elegante, assuefatta
a voluttà oppiacee, ricerca continuamente nuovi stimoli che alimentino la propria
indifferente sazietà, perché «il piacere è come certe sostanze mediche: per ottenere
49
Ibid., p. 319.
Id., La Fille aux yeux d’or, cit., p. 27.
51 Cfr. Id., Massimilla Doni, a cura di G. Crico, Sellerio, Palermo 1990, pp. 74-75.
52 Ibid., pp. 44-45.
53 Id., La Fille aux yeux d’or, cit., p. 33.
54 Ibid., p. 53.
50
8
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
costantemente gli stessi effetti occorre raddoppiare la dose»55 . Il gusto dei ricchi si
perverte, diventa un capriccio, una fantasia morbosa e, una volta soddisfatto, lascia
in ricordo di sé soltanto delusione e amarezza. La depravazione dei sensi degli «infelici felici»56 dell’alta società trova suprema incarnazione in Margarita Euphémia
Porrabéril. La marchesa di San-Réal, rincorrendo il sogno del possesso assoluto,
comprerà Paquita per farne suo esclusivo oggetto di piacere e, gelosa, la pugnalerà
a morte in preda a un raptus di follia omicida57 . La voluttà conduce alla ferocia e
il rosso vivo della passione dei sensi muta le sue tinte nel cupo colore del sangue58 .
La Parigi balzachiana è, dunque, anche l’erede decadente «di Ninive, di Babilonia
e di Roma imperiale»59 .
3 Parigi, barbara città musicale e i suoi grotteschi monomani
«Ai miei buoni amici gli artisti dei cori del teatro dell’Opera di Parigi città barbara»60 . L’appellativo di Parigi ville barbare appare impresso come un monito
amaramente scherzoso in apertura de Les Grotesques de la musique (1859)61 , saggio critico e umoristico, in cui Berlioz riunisce i migliori articoli redatti durante
la sua intensa attività di cronista62 e pubblicati per la prima volta, tra il 1852 e il
55
Ibid., p. 31.
Ibid.
57 Cfr. ibid., pp. 171-173.
58 Sul colorismo balzachiano ne La ragazza dagli occhi d’oro, cfr. A. Béguin, Balzac lu et relu,
Éditions du Seuil, Paris 1965, pp. 81-87.
59 H. de Balzac, La cugina Betta, tr. it. di U. Dettore, “Introduzione” di M. Allem, Rizzoli,
Milano 2000, p. 367.
60 «A mes bons amis les artistes des Chœurs de l’Opéra de Paris ville barbare» (H. Berlioz, Les
Grotesques de la musique, a cura di L. Guichard, “Préface” di H. Sauguet, Gründ, Paris 1969, p. 31,
tr. it. nostra).
61 Il titolo del saggio rimanda all’opera di Théophile Gautier, Les Grotesques (1844), composta di
dieci biografie letterarie secentesche nel tentativo di riabilitare i poeti irregolari respinti dal classicismo. Berlioz riprende il titolo dell’amico, impiegandolo in un altro senso. I grotteschi di Gautier
sono autori e opere caduti nell’oblio da riscoprire, mentre quelli berlioziani sono personaggi ridicoli
oggetto di disprezzo e di biasimo: non modelli da seguire, ma piuttosto esempi da non imitare. Non
soltanto l’ispirazione delle due opere è differente, ma è il significato stesso del termine grottesco a
essere assunto in un’accezione diversa. In Gautier è utilizzato come sinonimo di poco noto, desueto,
eccentrico, mentre il grottesco berlioziano equivale a comico, satirico e caricaturale (cfr. Hévelyne,
“Les Grotesques de Théophile Gautier. Les Grotesques de la musique d’Hector Berlioz”, Bulletin de
la Société Th. Gautier, n. 2, 1980, pp. 61-76).
62 Berlioz abbracciò la carriera di critico musicale ininterrottamente per oltre trent’anni. Trasferitosi diciottenne a Parigi dal Delfinato per studiare medicina, incominciò soltanto due anni dopo a
pubblicare degli articoli su Le Corsaire e nel 1829 entrò nella redazione de Le Correspondant. Di
ritorno dall’Italia, dove si era recato in qualità di vincitore del Prix de Rome, nel 1833 collaborò a
L’Europe littéraire e nel dicembre dello stesso anno riprese la propria attività in modo regolare su
Le Renovateur, che pubblicherà un suo feuilleton settimanale per due anni. Nel 1834 intervenne
saltuariamente alla Gazette musicale e al Journal des Débats, entrandovi stabilmente nel gennaio
del 1835 per rimanervi fino al marzo del 1864, anno in cui si concluse la sua attività giornalistica.
Sull’attività berlioziana di critico musicale, cfr. J.G. Prod’homme, Hector Berlioz (1803-1869). Sa
vie et ses œuvres d’après des documents nouveaux et les travaux les plus récents, Delagrave, Pa56
9
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
1859, sulle principali riviste musicali del tempo, memore del successo già ottenuto
dalla prima raccolta intitolata Les Soirées de l’orchestre (1852).
La dedica dell’opera, indirizzata in via fittizia ai coristi del primo teatro lirico parigino, corrisponde per antitesi a quella delle Soirées63 . La barbara Parigi
si contrappone a un’imprecisata ville civilisée tedesca del nord Europa e rappresenta l’opposto della città ideale descritta con nostalgico abbandono nella novella
Eufonia64 . Se Eufonia può essere considerata «un vasto conservatorio»65 dove la
musica regna sovrana e costituisce l’esclusiva occupazione dei suoi abitanti, educati fin dalla tenera infanzia a sviluppare il senso della veridicità dell’espressione
musicale, primo caposaldo dell’estetica berlioziana66 , Parigi è una «nera cloaca»67
in cui la sublime musa Euterpe, poco amata e rispettata, è ridotta a vili impieghi
«come quelli di invitare il pubblico al sonno in un teatro, di accompagnare le conversazioni in un salotto, di facilitare la digestione durante i banchetti, o di divertire
i bambini di tutte le età»68 e il genio dei grandi maestri del passato è insultato e
snaturato da una folla di arrangiatori, interpreti, strumentisti, editori, traduttori, al
punto da essere ridotto a una maschera irriconoscibile e grottesca69 .
Come la città-mostro balzachiana, la ville barbare è rispecchiamento sintetico
delle antitesi che caratterizzano la società musicale del tempo, in cui il brutto e il
bello, l’infimo e il sublime sono costantemente affiancati uno all’altro, mostrando
zone di coincidenza e sovrapposizione:
A Parigi la musica può apparire moribonda e ribollire di vitalità un attimo
ris 1904, pp. 447-448; F. D’Amico, “Berlioz scrittore”, Aretusa, novembre 1944 – gennaio 1945,
n. 5-6, pp. 31-32.
63 «A mes bons amis les artistes de l’orchestre de X*** ville civilisée» [«Ai miei buoni amici gli
artisti dell’orchestra di X*** città civilizzata»]. H. Berlioz, Les Soirées de l’orchestre, CalmannLévy, Paris s.d. (ma 18957 ), p. 1, tr. it. nostra.
64 Cfr. ibid., p. 296-338.
65 Ibid., p. 323.
66 «Le qualità precipue della mia musica sono l’espressione appassionata, l’ardore interno, lo slancio ritmico e l’imprevisto. Per espressione appassionata, intendo espressione protesa a rendere il
senso intimo del suo soggetto, quand’anche questo sia l’opposto della passione e si tratti d’esprimere dei sentimenti dolci, teneri, o la calma più profonda» (Id., Memorie di Hector Berlioz comprendenti i suoi viaggi in Italia, in Germania, in Russia e in Inghilterra 1803-1865, 2 voll., tr. it.
di G. e M.T. Bas, Genio, Milano l947, vol. II, p. 306). Sui principi dell’estetica musicale berlioziana,
cfr. P.M. Masson, “Hector Berlioz et l’esthétique française du XVIIIe siècle”, in Mélanges Souriau,
Nizet, Paris 1952, pp. 179-188.
67 «noir cloaque» (H. Berlioz, Les Grotesques de la musique, cit., p. 117, tr. it. nostra).
68 «tels que ceux d’inviter le public au sommeil dans un théâtre, d’accompagner les conversations
dans un salon, de faciliter la digestion pendant les festins, ou d’amuser les enfants de tous les âges»
(ibid., p. 233, tr. it. nostra).
69 Cfr. ibid., p. 210. Le battaglie condotte da Berlioz in veste di critico sono combattute con
particolare accanimento contro l’assurda pretesa d’introdurre modifiche e aggiungere correzioni, miglioramenti e ornamentazioni alle partiture dei grandi compositori. Secondo il fondamentale assunto
critico berlioziano, che costituiva una novità assoluta per il tempo, la musica non deve essere attualizzata ma conservare la forma originaria in cui è stata composta. Il musicista nutriva, infatti, un rispetto
sacrale nei confronti della figura dell’autore, il quale doveva essere posto al di sopra di ogni possibile
falsificazione (cfr. H. Macdonald, “Berlioz”, in Maestri del primo romanticismo. Weber, Berlioz,
Mendelssohn, tr. it. di R. Miserocchi e A.M. Morazzoni, Ricordi-Giunti, Milano 1989, p. 138).
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
dopo; può essere sublime e mediocre, nobile e servile, stracciona e regale;
esaltata e disprezzata al medesimo tempo, adorata e insultata. A Parigi la
musica si rivolge troppo spesso agli stupidi, ai barbari e ai sordi. Potete
vederla muoversi liberamente e senza limitazioni, o costretta all’immobilità
dalle viscide pastoie con cui la routine costringe le sue membra poderose. A
Parigi la musica è una divinità, almeno finché bastano i sacrifici più meschini
per onorarne gli altari.70
La Parigi berlioziana non suscita, tuttavia, lo stesso orrore e raccapriccio dell’inferno metropolitano descritto da Balzac, configurandosi piuttosto come una città carnevalesca, in cui tutto appare stravolto e alla rovescia, dove il «il vero è il
falso, il falso è il vero! L’orribile è bello, il bello è orribile!»71 e tutto è concesso
ai suoi buffi abitanti, affetti da un’inoffensiva e bonaria follia musicale. Ai sinistri
mostri morali balzachiani fanno riscontro i grotteschi della musica di Berlioz, figure esasperate e caricaturali di pseudoartisti ridicoli, incompetenti e mediocri, di
virtuosi sciocchi e presuntuosi, di amatori e dilettanti ignoranti e stravaganti, delle «teste vuote»72 che «si credono musicisti, come gli altri monomani si credono
Nettuno o Giove»73 .
Nella città barbara il carnevale si protrae tutto l’anno e non è raro incontrare,
tra le maschere comiche degli artisti, quelle di clarinettisti con la bizzarra pretesa
di suonare in fa in una sinfonia in re74 , di distratti e vanesi direttori d’orchestra
che non si accorgano di voltare le spalle ai musicisti75 o di divi del balletto che
reputino faticoso danzare in mi piuttosto che in re76 . Tra i tanti attori carnascialeschi, la critica berlioziana dell’“antigiudizio” si rivolge soprattutto ai virtuosi. Se
per definizione virtuoso è chi possiede l’abito morale di fare il bene o chi dispone
di un’assoluta padronanza dei mezzi tecnici connessi con l’esercizio della propria arte, i virtuosi parigini non soltanto non rientrano nella prima accezione del
termine ma la loro principale qualità non sembra consistere nemmeno nel virtuosismo musicale. Quando questa categoria di grotteschi fa sfoggio di bravura fine
a se stessa, la esercita costantemente nel campo dell’imbecillità. Assolutamente
privi di senno sono i virtuosi dotati di spirito messianico: «l’evangelista del tamburo»77 suonerebbe nel deserto pur di convertire i miscredenti alla religione delle
percussioni e «il profeta del trombone»78 attende con grande fervore l’instaurarsi
del regno del suo strumento preferito. Per dimostrarne la superiorità, quest’ultimo
70
Berlioz scrive queste riflessioni al ritorno dalla sua tournée in Germania (1842-43). H. Berlioz,
citato in H. Macdonald, “Berlioz”, in Maestri del primo romanticismo, cit., p. 90.
71 «le vrai est le faux, le faux est le vrai! L’horrible est beau, le beau est horrible!» (Id., Les
Grotesques de la musique, cit., p. 252, tr. it. nostra).
72 «crânes vides» (ibid., p. 51, tr. it. nostra).
73 «se croient musiciens, comme les autres monomanes se croient Neptune ou Jupiter» (ibid., p. 34,
tr. it. nostra).
74 Cfr. ibid., pp. 35-36.
75 Cfr. ibid., pp. 57-58.
76 Cfr. ibid., p. 63.
77 «l’évangéliste du tambour» (ibid., p. 51, tr. it. nostra).
78 «le prophète du trombone» (ibid., p. 55, tr. it. nostra).
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
si gloria di averlo suonato ovunque, addirittura «galleggiando su un lago di venti
metri di profondità»79 . La “follia” musicale ha realmente «offuscato il cervello»80
non solo agli addetti ai lavori ma anche agli amatori e ai dilettanti. Alcuni di loro,
veri buffoni e ciarlatani, si spacciano per inventori ed esperti conoscitori di strumenti musicali. Primo fra tutti in insolenza e saccenteria è il «rivale di Érard»81 ,
vantatosi di aver ideato un pianoforte di nuova concezione, ma privo dei tasti neri, perché ritenuti «una stupidaggine del vecchio piano»82 . Altri ancora nutrono
sciocchi preconcetti ed esprimono apprezzamenti superficiali, denotando anch’essi
una profonda ignoranza e scarso rispetto per l’arte musicale83 . Per chi ha l’ardire
di pronunciare giudizi assurdi sui grandi maestri del passato, quali, ad esempio,
«Beethoven conosceva poco la musica»84 o, peggio, «Beethoven non era privo di
talento»85 , Berlioz non può che invocare, divertito, l’intercessione di due patroni
inconsueti: «san Cretino e san Cretiniano»86 .
L’analisi di un mondo estetico-musicale dai caratteri di un immenso carnevale
non può evidentemente poggiare su basi razionali e scientifiche, ma deve adottare
il paradosso e la reductio ad absurdum come strumenti privilegiati d’indagine87 .
Se Balzac nei suoi romanzi assume le vesti di fisiologo e teratologo per indagare
le cause della natura mostruosa del paesaggio urbano e delle metamorfosi grottesche dei gruppi sociali che lo popolano, Berlioz si incorona “Papa” della “festa dei
folli”, presentando provocatoriamente le proprie osservazioni sulle deformazioni
del mondo musicale parigino come «delle semplici riflessioni antifilosofiche sulle
79
«en nageant sur un lac de vingt mètres de profondeur» (ibid., tr. it. nostra). Ne Les Grotesques
de la musique, Berlioz si serve anche dei caratteri grafici come veicolo di trasmissione del grottesco.
Il corsivo è sovente impiegato, come si può notare, per evidenziare l’acme di giudizi o atteggiamenti
esasperati dal punto di vista comico.
80 «détraqué le cerveau» (ibid., p. 33, tr. it. nostra).
81 «rival d’Érard» (ibid., p. 81, tr. it. nostra).
82 «une bêtise de l’ancien piano» (ibid., tr. it. nostra).
83 Il disprezzo per le persone volgari e meschine, per il gusto superficiale e dilettantesco dei parigini, nasce dall’ideale artistico berlioziano, fondato su di una visione essenzialmente aristocratica
della musica. Essendo una forma espressiva molto raffinata, che richiede il più alto grado d’immaginazione e d’intelligenza per essere apprezzata adeguatamente, la musica secondo Berlioz non
poteva evidentemente essere destinata alla massa (cfr. H. Macdonald, “Berlioz”, in Maestri del primo
romanticismo, cit., p. 106).
84 «Beethoven savait peu la musique» (H. Berlioz, Les Grotesques de la musique, cit., p. 59, tr. it.
nostra).
85 «Beethoven n’était pas sans talent» (ibid., tr. it. nostra). A proposito dei giudizi grotteschi su
Beethoven, cfr. Id., Les Soirées de l’orchestre, cit., pp. 73 e 129.
86 «saint Crétin et saint Crétinien» (Id., Les Grotesques de la musique, cit., p. 243, tr. it. nostra).
87 Tracciando i ritratti grotteschi di coloro che appartennero all’universo musicale del suo tempo,
Berlioz offrì inevitabilmente anche un’immagine di sé. Nel musicista si ritrova un gusto innato per la
parodia e uno spirito paradossale che traspare, esemplarmente, dalla sua gioiosa professione di fede:
«Je crois à la beauté, à la laideur, je crois au génie, au crétinisme, à la sottise, à l’esprit; je crois que
la France est la patrie des arts; je crois que je dis là une énorme bêtise» [«Io credo alla bellezza, alla
bruttezza, credo al genio, al cretinismo, alla stupidità, all’intelligenza; io credo che la Francia è la
patria delle arti; credo di aver detto a questo proposito un’enorme sciocchezza»]. Ibid., p. 304, tr. it.
nostra.
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
istituzioni umane»88 , offerte al lettore «per quello che valgono, cioè per niente»89 .
Secondo il compositore, come già per il Balzac de La ragazza dagli occhi d’oro, la causa principale della perversione dei parigini, in questo caso del loro gusto
musicale, è dovuta alla continua e frenetica corsa all’oro e al piacere. L’amore per
il lucro e la passione del lusso portano librettisti e musicisti a comporre frettolosamente opere di scarso pregio artistico, metamorfosandosi nella più bassa tra le
specie del regno animale, per «attirare a sé e assorbire tutto ciò che è di possibile
assorbimento; come fanno quegli animali microscopici infusori chiamati Vortice,
che formano un gorgo davanti alla loro bocca sempre spalancata, in modo da inghiottire continuamente i piccoli corpi che passano vicino a loro»90 . Alla fiera
parigina si vendono opere mediocri, paragonabili a uova «di barbagianni e di tacchini»91 e si trovano esposte belve feroci, leoni dagli artigli affilati pronti a tutto
pur di ottenere una rapida fama92 , tenori esibizionisti come usignoli93 , esasperanti
«galli del canto»94 dagli striduli e ridicoli gorgheggi, clacchiste-giraffe95 , nonché
mariti costretti a continue anamorfosi grottesche per sostenere calorosamente la
propria diva e assicurarle successo e ricchezza96 .
Gli abitanti della città barbara, mettendosi al servizio non della bellezza e della
sublimità ma della moda e del denaro, hanno ridotto la musica a un’operazione
puramente commerciale, all’«arte della drogheria all’ingrosso»97 , prodotto di facile e rapido consumo destinato a intrattenere un pubblico dilettantesco affamato di
novità, perché «l’importante per i consumatori, è che il forno sia buono, e che brioches e opéras, sempre servite fresche, restino di conseguenza pochissimo tempo
in vetrina»98 . Il parallelismo dissonante tra l’arte musicale e la cucina, strumento
88
«de simples réflexion antiphilosophiques sur les institutions humaines» (ibid., p. 78, tr. it.
nostra).
89 «pour ce qu’elles valent, c’est-à-dire pour rien» (ibid., tr. it. nostra).
90 «attirer à soi et absorber tout ce qui est d’une absorption possible; comme font ces animalcules
infusoires nommés Vortex, qui établissent un tourbillon au-devant de leur bouche toujours béante, de
manière à toujours engloutir les petits corps qui passent auprès d’eux» (Id., Les Soirées de l’orchestre,
cit., p. 345, tr. it. nostra). Anche Balzac privilegia una metafora animale analoga per descrivere
l’avidità di alcuni suoi personaggi. Si tratta del formicaleone, un insetto carnivoro che vive allo stato
larvale nei terreni sabbiosi in una cavità a imbuto e vi si nasconde lanciando un getto di sabbia per
fare cadere la preda nella propria tana (cfr. H. de Balzac, “Gobseck”, in La casa del gatto che gioca
ed altri racconti, cit., p. 128; Id., Ferragus, cit., p. 85; Id., Melmoth riconciliato, cit., p. 29).
91 «de chats-huants et de dindons» (H. Berlioz, Les Grotesques de la musique, cit., p. 117, tr. it.
nostra).
92 Cfr. ibid., p. 231.
93 Cfr. ibid., p. 166.
94 Ibid., p. 197.
95 Cfr. Id., Les Soirées de l’orchestre, cit., p. 86.
96 Cfr. ibid., p. 95. La tecnica impiegata dal compositore per satireggiare il panorama musicale del
suo tempo, consistente nel presentare gli uomini sotto forma d’immagini animali, è paragonabile a
quella dei grandi illustratori, quali il Grandville (1803-1847), che collaborarono alla rivista La Caricature (cfr. J.M. Bailbé, “Le sens de la caricature chez Berlioz, compositeur et écrivain”, in D’un
opéra l’autre: Hommage à Jean Mongrédien, a cura di J. Gribenski, M.C. Mussat e H. Schneider,
Gribenski, Paris 1996, p. 167).
97 «l’art de l’épicerie en gros» (H. Berlioz, Les Grotesques de la musique, cit., p. 258, tr. it. nostra).
98 «l’important pour les consommateurs, c’est que le four soit bon, et que brioches et opéras,
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
prediletto della critica berlioziana, coinvolge anche i grotteschi del gran mondo parigino. Se gli amatori di opéras comiques sono descritti come pantagruelici golosi
di pasticceria, per gli aristocratici che assistono alle prime, non mossi da un sincero interessamento per l’opera ma per far sfoggio di sé e «poter dire: Io c’ero»99 ,
la musica non soltanto è una tra le gioie quotidiane della vita come il mangiare
ma è addirittura considerata inferiore a un buon piatto saporito e «Shakespeare
e Beethoven sono molto lontani ai loro occhi dall’avere l’importanza di un buon
cuoco»100 .
Nel mondo alla rovescia instaurato dalla corsa all’oro e al piacere, il giudizio estetico subisce inevitabilmente un capovolgimento grottesco rispetto ai canoni
della vera arte101 e la massa degli spettatori appare sprofondata nell’abisso della
mediocrità al punto da non lamentarsi nemmeno della musica disgustosa consumata a teatro. «Gli si potrebbe servire della zuppa al sapone, dei gamberi vivi,
un arrosto di corvi, una crema allo zenzero»102 , atroci condimenti venduti al bazar
dell’Opéra, senza rischio d’indigestione. I mostruosi appetiti dei parigini conducono a una proliferazione di opéras comiques pari alla moltiplicazione esponenziale
dei passeri che infestano le strade della capitale. Se per catturare questa specie
d’uccelli si deve applicare loro sulla coda un pizzico di sale, per fermare l’eccessiva produzione di opéras Berlioz propone allora, scherzosamente, di utilizzare un
sale speciale: il solfato di sodio103 .
Alla deformazione del gusto fa riscontro il pervertimento dei costumi musicali.
Nella «piatta, fangosa, indaffarata»104 Parigi, la stagione concertistica si trasforma
in un vero e proprio incubo per i critici, costretti a recensire opere immeritevoli
e a essere vessati da una folla di musicisti senza talento, desiderosi di ottenere
una facile fama usando «formaggi olandesi come mezzo di corruzione»105 , e si
affermano nuove barbare istituzioni. È il caso del tack e delle sue vittime, terribile
usanza creata dal direttore d’orchestra Habeneck, il quale, per dare l’attacco agli
esecutori, batteva con la bacchetta non sul leggio, come di consuetudine, ma sulla
toujours servis frais, restent en conséquence très peu de temps en étalage» (ibid., p. 269, tr. it. nostra).
99 «pouvoir dire: J’y étais» (ibid., p. 265, tr. it. nostra).
100 «Shakespeare et Beethoven sont fort loin à leurs yeux d’avoir l’importance d’un bon cuisinier»
(ibid., p. 266, tr. it. nostra).
101 «Le public des trois quarts de l’Europe est à cette heure aussi inaccessible que le matelots chinois au sentiment de l’expression musicale. Nous n’avons pas de plus sûr moyen pour connaître ce
que lui déplaît et l’obsède que d’examiner ce qui nous enivre et nous charme, et vice versâ. Ce que
nous adorons il le blasphème, il savoure ce que nous. . . rejetons» [«Il pubblico di tre quarti d’Europa è in questo momento tanto inaccessibile quanto i marinai cinesi al sentimento dell’espressione
musicale. Noi non abbiamo mezzo più sicuro per conoscere ciò che gli dispiace e lo ossessiona che
esaminare ciò che ci inebria e ci affascina, e vice versa. Quello che noi adoriamo esso lo bestemmia,
esso assapora ciò che noi. . . rigettiamo»]. Id., Les Soirées de l’orchestre, cit., p. 290, tr. it. nostra.
102 «On lui servirait de la soupe au savon, des écrevisses vivantes, un rôti de corbeaux, une crème
au gingembre» (ibid., p. 122, tr. it. nostra).
103 Cfr. Id., Les Grotesques de la musique, cit., p. 200.
104 «plate, boueuse, affairée» (ibid., p. 128, tr. it. nostra).
105 «fromages de Hollande comme moyen de corruption» (ibid., p. 137, tr. it. nostra).
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
buca del malcapitato suggeritore106 , o del ridicolo «fischio-successo»107 , atto a
scatenare l’indignazione della platea e a ravvivare, di conseguenza, l’entusiasmo
del pubblico assuefatto alla bravura della propria diva.
In un’epoca in cui l’oro non è mezzo ma fine dell’arte e il valore del bello
artistico è subordinato all’abilità di applauditori professionisti108 , i parigini non
possono essere che barbari adoratori di una musica grottesca109 , mentre la vera
Musa giace prostrata, prigioniera di un mostro orrendo, in attesa del «vincitore
Perseo, il quale deve rompere la sua catena e fare a pezzi la chimera chiamata Abitudine, che la minaccia con le fauci lanciando dei turbini di fumo appestato»110 .
Les Grotesques de la musique di Berlioz è dunque l’arma di Perseo, la «scuola del
mondo per il musicista esordiente»111 , strumento critico, apparentemente frivolo
e divertente nelle sue espressioni formali, di denuncia delle infinite contraddizioni
della vita musicale del tempo. Al lettore spetta il compito di andare al di là della superficie umoristica dell’opera e di coglierne il vero scopo, raggiunto per via
negativa, ovvero civilizzare la città barbara, guidandone lo sviluppo della sensibilità estetica verso l’autentica arte musicale, superiore a qualsiasi ricchezza e sola
capace di suscitare immensi piaceri112 .
4 In conclusione. Grottesco balzachiano e berlioziano
L’essenza del grottesco, inteso come categoria critico-estetica, è notoriamente sfuggente, ma le suggestioni esercitate dalle immagini della metropoli del XIX secolo
costituiscono un fecondo campo di riflessione per comprendere le principali analogie di registro – fantastique e monstrueux – e le sostanziali differenze di statuto
– comico-serio e comico-burlesco – che intercorrono tra il grottesco balzachiano e
berlioziano e coglierne le rispettive funzioni.
Ponendosi in seno a una tradizione sviluppatasi nei secoli a partire dal Rinascimento fino a esercitare un fascino preminente all’interno del panorama culturale
romantico, Balzac e Berlioz attingono inevitabilmente alle molteplici risorse categoriali del grottesco, quali l’interferenza tra i differenti regni naturali e il paragone
106
Cfr. Id., Les Soirées de l’orchestre, cit., pp. 143-146.
«sifflet succès» (ibid., p. 95, tr. it. nostra).
108 Sulle degenerazioni del fenomeno della claque, cfr. ibid., pp. 83-115.
109 Con musica grottesca, Berlioz intende quelle composizioni in cui vi è palese contraddizione
tra l’espressione musicale e il senso delle parole, ovvero la mancata corrispondenza della musica al
testo. Ad esempio, un inno di stile pindarico che recita «I cieli immensi narrano / Del grande iddio
la gloria!», su di una melodia che è piuttosto un invito rabelaisiano a mangiare e bere a crepapelle:
«Ah! quel plaisir de boire frais / De se farcir la panse! / Ah! quel plaisir de boire frais / Assis sous un
ombrage épais / Et de faire bombance!» [«Ah! che piacere bere di fresco / riempirsi la pancia! / Ah!
che piacere bere di fresco / seduti sotto un’ombra spessa / e fare bisboccia!»]. Id., Les Grotesques de
la musique, cit., pp. 46 e 250, tr. it. nostra.
110 «le Persée vainqueur qui doit briser sa chaîne et mettre en pièces la chimère appelée Routine, dont la gueule la menace en lançant des tourbillons de fumée empestée» (Id., “Lettera a
J.C. Lobe (1852)”, in J.G. Prod’homme, op. cit., pp. 445-446, tr. it. nostra).
111 J.M. Bailbé, “Le sens de la caricature chez Berlioz”, in D’un opéra l’autre, cit., p. 165.
112 Cfr. H. Berlioz, Les Soirées de l’orchestre, cit., pp. 350-351.
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tra ideale e basso materiale, privilegiando entrambi la deformazione mostruosa e le
metamorfosi animalesche per descrivere il nuovo scenario urbano e denunciare gli
spietati meccanismi economico-sociali che lo dominano. Il registro fantastique e
monstrueux del grottesco berlioziano e balzachiano, lungi dal rappresentare un superficiale adeguamento alle mode letterarie di stampo hofmanniano e hughiano, si
rivela chiaramente l’espressione più efficace di un nuovo tipo di realismo. Il grottesco, moltiplicando situazioni strane e bizzarre, personaggi mostruosi e folli, se
in un primo momento sembra allontanare dalla realtà, riconduce prepotentemente a interrogarsi sull’infinita eccentricità del reale. La mostruosità e la follia non
possono essere considerate semplicemente come il polo negativo della normalità,
non sono espressione dell’irrazionale e della fantasia ma vengono valorizzate, da
entrambi gli autori, come fertile stimolo di riflessione sull’arte e sulla vita.
In Balzac e Berlioz, il grottesco, legge motrice della vita come dell’arte, utilizza la forza propulsiva del contraddittorio, esibisce le antinomie e gioca con i
contrari per risolverli costantemente in unità. All’estetica del contrasto e alla logica dell’antitesi, sottesa al grottesco hughiano, lo scrittore e il musicista oppongono
il principio della coincidentia oppositorum e la retorica dell’ossimoro per delineare i caratteri della Parigi del loro secolo, una totalità “mostruosamente sublime”
che racchiude in sé tutte le differenze, il luogo in cui si realizza quella sintesi
simultanea di bello e brutto, nobile e triviale, tipica della città moderna.
Il grottesco «da una parte crea il deforme e l’orribile; dall’altra il comico e il
buffo»113 : questa, tuttavia, la distanza che separa la città-mostro dalla ville barbare. Il grottesco balzachiano ha un’innegabile matrice tragica, mentre quello berlioziano è di stampo buffonesco, come si può desumere anche dal differente tipo
di emozione estetica da esso veicolata. Se l’inferno metropolitano e la mostruosa
identità morale dei suoi abitanti suscitano nel lettore un effetto perturbante, un ghigno amaro e una smorfia di repulsione che non riescono a esorcizzarne il timore, la
città carnevalesca e i suoi folli monomani provocano piuttosto una risata gioiosa,
liberatoria e rigeneratrice. Da un lato al lettore sono impedite le reazioni affettive
spontanee, perché l’emozione nasce piuttosto dal distacco critico e dall’analisi della logica mostruosa che regola la società del tempo, dall’altro l’immedesimazione,
ilare e compiaciuta, è inevitabilmente immediata. Il comico-grottesco berlioziano,
a differenza di quello balzachiano, sinistro e costantemente accoppiato alla morte,
sembra conservare ancora quel potenziale giocoso e benefico di tipo rabelaisiano.
In entrambi gli autori, il grottesco, oltre a possedere una valenza estetica, assume una rilevanza gnoseologica e rivela delle potenzialità del tutto peculiari. Il grottesco berlioziano, grazie al suo potere altamente deformante e dissacratorio, è investito di un’alta missione pedagogica e civilizzatrice. A esso spetta il compito di
educare il gusto corrotto degli artisti e del pubblico e guidarli, attraverso un procedimento ironico e maieutico, verso i principi della vera arte musicale. Il grottesco
balzachiano diventa, invece, condizione euristica ed ermeneutica per indagare le
leggi che presiedono alla natura del sociale. Come principio critico di riflessione
113
V. Hugo, “Prefazione al Cromwell”, in Sul grottesco, cit., p. 51.
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sulla vita, esso costringe a una presa di coscienza più profonda della realtà e opera
uno smascheramento, rivelando le strutture segrete dell’“ordine” societario.
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