07-Bacigalupo 89-101 - Accademia Ligure di Scienze e Lettere

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07-Bacigalupo 89-101 - Accademia Ligure di Scienze e Lettere
MASSIMO BACIGALUPO
Di Negro e Dickens
Gian Carlo Di Negro fu in Inghilterra nel 1802, quando con le
sue improvvisazioni poetiche, secondo una testimone, «fece stupire
le nostre università» (1). Il suo interesse per il mondo anglofono è testimoniato dal volume Anacreontiche... con traduzioni e imitazioni
dall’inglese di T. Moore (1836). Di alcune poesie di Thomas Moore,
destinato a diventare poeta nazionale irlandese, autore delle celebri
Irish Melodies, e irriso nel Dedalus e nell’Ulisse di James Joyce, Di
Negro, oltre alla traduzione con testo a fronte, offre appunto libere
“imitazioni”. Ecco la prima quartina di The Origin of the Harp di
Moore come riportata da Di Negro, per cui l’arpa era uno strumento
privilegiato:
’Tis believed that this harp, which I wake now for thee[,]
Was a Siren of old, who sang under the sea;
And who, often at eve, through the bright billow roved,
To meet, on the green shore, the youth that she loved.
È una quartina di tetrapodie anapestiche a rima baciata (aabb). A
fronte Di Negro stampa L’origine dell’arpa (Traduzione), dove a ogni
(1) C.E. STISTED (Mrs. Henry Stisted), Letters from the Bye-ways of Italy, illustrated by Col. Stisted, London, John Murray, 1845, pp. 263-66, cit. in The Letters of
Charles Dickens, Volume Four, 1844-1846, a cura di Kathleen Tillotson e Nina Burgis,
Oxford, Clarendon Press, 1977, p. 180n. La Stisted descrive Di Negro in occasione di
un incontro a Bagni di Lucca: «He is indeed the improvisatore who visited England
during the peace of Amiens, and astonished even our universities with his talent for
pouring forth extempore poetry» (p. 263). L’autrice ricorda anche una sua precedente visita alla Villetta in assenza del Marchese, che si trovava a Milano «per sentire la
Malibran».
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quartina inglese corrispondono due quartine di versetti settenari
(abbc-deec), con l’ultimo verso tronco:
Fama è che l’arpa mia,
Che per te il suon diffonde,
Sirena sopra l’onde,
Fosse canora un dì.
E gisse al verde prato
Al declinar dell’ore
In traccia di un pastore
Che il core le ferì (2).
Più avanti Di Negro offre una libera imitazione, L’arpa d’Eolo:
Appena trasformata
La ninfa oceanina
Un’armonia divina
Intorno risuonò.
Prima dal seno algoso
Nettunno emerse fuore,
Dei venti il reggitore
L’udì, meravigliò (3).
Suppongo che qui «prima» stia per «appena». Eolo si innamora
della ninfa, così (sembra) dando origine all’arpa eolia. (Nella poesia di
Moore si trattava invece di un’arpa suonata dal poeta, non dal vento.) Ma
l’imitazione è di sole quattro strofe, quasi che mancasse la fine della storia. Questi lavori di Di Negro dimostrano la sua facilità, forse non particolarmente ispirata, e il suo interesse per la letteratura e musica inglese.
Nella Vita in versi che scrisse in tarda età, egli ricorda con orgoglio gli illustri ospiti stranieri della Villetta, in particolare la De
Staël e Byron:
Mosse Byron voglioso a queste mura,
Genio privilegiato di natura;
Byron, ingegno vivido e fecondo,
(2) G.C. DI NEGRO, Anacreontiche con traduzioni e imitazioni dall’inglese di T.
Moore, Genova, Tipografia Pagano, 1836, p. 60.
(3) Ibid., p. 77.
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Nel vol di fantasia a niun secondo,
Che d’Italia cantò glorie e sventure,
Non per giro di tempo periture.
La fama affaticava le sue piume,
Lodando il filosofico suo acume,
Ed il rapido vol di fantasia
Nell’Anglicana energica armonia.
Lo conobbi, e l’ascrivo a mia fortuna:
La conoscenza sua mi fu opportuna
Per udire sovente la melode,
Che fra i vati dell’Anglia il vanto gode.
Washington vidi in bella fama altero,
Elegante scrittore romanziero,
E la Sand, quello spirito gentile,
Che veste le sue idee in aureo stile (4).
Washington è Washington Irving, il primo scrittore statunitense
a ottenere fama nel vecchio continente, che soggiornò a lungo in Europa, pubblicò nel 1828 una vita di Colombo e fu incantato da Genova fin dalla sua prima visita sullo scorcio del 1804. A Byron Di Negro,
data la sua fama, dedica molto più spazio, e si vanta di averlo spesso
udito leggere i suoi versi. Infatti a Genova, dove risedette ad Albaro
nel 1822-23, Byron compose gli ultimi canti del suo capolavoro incompiuto, Don Juan, e la sua amica Lady Blessington ci ha lasciato un
ampio resoconto dei suoi incontri genovesi con il poeta.
Marguerite Blessington (1789-1849) fu a Genova nella primavera
del 1823, all’Hotel de Ville, col marito e con l’amante conte Alfred
d’Orsay (1801-52), che nel 1827 sposò una figlia quindicenne del Conte di Blessington. (Divorziarono nel 1838, e Orsay continuò a vivere
con Marguerite a Londra e a Parigi) (5) Dopo le Conversations con
Byron (1834), la Blessington incluse un secondo notevole diario del
suo soggiorno genovese nel volume The Idler in Italy (1839). Qui ricorda una visita alla Villetta, senza peraltro descriverne il proprietario:
(4) Vita di Gian Carlo Di Negro patrizio genovese scritta da esso, Genova, R.I.
de’ Sordo-muti, 1854. p. 38.
(5) Vedi M. PRAZ, The Blessington Circus, in Studi e svaghi inglesi, Milano, Garzanti, 1983, I, pp. 201-206.
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28 aprile. Il colonnello M. è arrivato in città, ed è venuto a trovarci oggi. Ci ha condotto nel grazioso giardino e lussuoso padiglione estivo del Marchese de Negri (sic), in bellissima posizione sul bastione dei
Cappuccini. La vista dal giardino è ampia e varia, e non posso immaginare residenza più deliziosa per passarvi un giorno d’estate di quella offerta dal padiglione; il quale vanta fra le sue numerose attrattive una per
me sempre irresistibile: una buona raccolta di libri inglesi ben scelti (6).
La raccolta di libri inglesi presenti nella Villetta è un’ulteriore
conferma dell’anglofilia di Di Negro.
Negli anni di Londra, la Blessington e Orsay tennero un salotto
letterario, e Orsay divenne amico di Charles Dickens. Sicché quando
Dickens nel 1844, trentaduenne, decise di trascorrere un anno in Italia
con la famiglia, fu probabilmente su suggerimento di Orsay (e ricordando Byron) che cercò casa ad Albaro. Non menzionato da Di Negro nella Vita, Dickens tuttavia frequentò il “patrizio genovese” e come si vedrà ne scrisse a Orsay e alla Blessington.
Tuttavia il biglietto di presentazione che Dickens inviò a Di Negro il 5 agosto 1844 era firmato non da Orsay ma dal più autorevole
editore John Murray (1778-1843), notorio fra l’altro per aver bruciato
(proprio con Thomas Moore) i diari del comune amico Byron, che a
quanto pare fornivano la versione del Lord della controversa vicenda
del suo matrimonio fallito. Il biglietto di Murray si trova nel fondo Di
Negro della Biblioteca Berio:
Mon cher Marquis,
Voici le plus distingué de nos écrivains – le plus aimable des hommes – C’est Charles Dickens – dont les contes ont outrepassé la popularité de Scott et de Byron. Il se rend chez vous – courtois pour tout le
monde – vous saurez bien apprecier tout ce qui mérite l’admiration et le
respect. Je recommande mon ami à votre bienveillance.
Tout à vous de coeur,
John Murray
Londres, 27 Juin 1844
Da queste righe si vede che fama accompagnasse Dickens nonostante la relativamente giovane età. Aveva già pubblicato sei romanzi
(6) M. GARDINER, COUNTESS
gnani, 1839, p. 185.
OF
BLESSINGTON, The Idler in Italy, Paris, Gali-
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(fra essi Pickwick, Oliver Twist, Nicholas Nickleby) e aveva ancora di
recente conosciuto il successo del primo dei suoi racconti natalizi, A
Christmas Carol (1843). Infatti a Genova compose in autunno la seconda e quasi altrettanto fortunata strenna natalizia, The Chimes, che
con gli ultimi canti del Don Juan di Byron è sicuramente fra le opere
letterarie più importanti e popolari mai prodotte nel capoluogo ligure,
pur se da scrittori non italiani (7).
Arrivato a Genova nel luglio del 1844, Dickens, tardò a servirsi
della presentazione di Murray sino al 10 agosto, e si scusò in un biglietto scritto in inglese, che probabilmente pensava Di Negro comprendesse (si vede anche che Dickens esitava a valersi del francese).
Nel Fondo Di Negro questa prima comunicazione di Dickens è accompagnata da una traduzione che potrebbe essere stata fatta preparare dallo stesso Di Negro. Una sua traduzione è stata pubblicata nel
2001 (8), ma per completezza di informazione trascrivo qui il testo originale (che non è incluso nell’edizione delle lettere di Dickens):
Mr Charles Dickens presents his compliments to the Marquess
Negri; and in forwarding the enclosed letter of introduction from a mutual friend, begs to assure the Marquess Negri that he would not have
lost a moment after his arrival in Genoa, in doing himself the honour of
cultivating an acquaintance so much sought and so highly valued by his
countrymen, but that he unfortunately mislaid this letter among some
other papers, and found it only yesterday. He trusts the Marquess Negri
will therefore excuse his delay in forwarding it.
Albaro
Villa Bagnarello
Tenth August 1844
Dickens e Di Negro non tardarono a incontrarsi. Forse la prima
volta fu in occasione di una cena dal console francese, che Dickens descrisse con gusto in una lettera scritta intorno al 20 agosto all’amico e
futuro biografo John Forster:
(7) Una versione di The Chimes, trad. di Luca Lamberti, è raccolta nel volume
Canti di Natale (Torino, Einaudi, 2007). La prima traduzione italiana fu Le campane,
ossia Il capo d’anno: racconto maraviglioso, versione dall’inglese di Paolo Bettoni, Milano, Borroni e Scotti, 1856.
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Era presente, fra altri genovesi, il Marchese Negri (sic): un grassissimo e più anziano Jerdan (9), con lo stesso modo di parlare grosso e la
stessa loquacità. È stato amico di Byron, dà ricevimenti, scrive poesia,
improvvisa, ed è un ottimo vecchio Blunderbore (10); proprio lo strumento adatto per scavare un pozzo artesiano. Dunque, caro mio, dopo
cena il console propone di brindare alla mia salute, con una piccola arguzia francese secondo cui sono venuto in Italia per fare esperienza personale dell’incantevole clima, e che c’è un’analogia fra il sole italiano e il
visitatore, perché il sole illumina i loghi più bui e li rende luminosi e felici con benigno influsso e i miei libri hanno fatto lo stesso per i cuori
degli uomini, eccetera. Al che il vecchio Blunderbore dà un gran colpo
sul petto del suo giaccone blu dai bottoni lucenti, volge in alto l’occhio
da pesce, tende il braccio come la statua vivente che sfida il fulmine all’Astley (11), e recita in mio onore quattro strofe improvvisate, che incantano tutti, e me più di tutti, forse per l’ottima ragione che non capisco una parola. Quindi il console tira fuori dalla giacca un rotolo di carte e annuncia: “Ve lo leggo!”. Blunderbore allora dice: “Non lo faccia!”. Ma il console procede, e Blunderbore batte con le nocche sul tavolo il tempo della musica dei versi, e continuamente si piega avanti per
guardare oltre il cappello di una dama seduta fra me e lui, per vedere
che ne penso. Io esprimo viva emozione. I versi sono in francese, brevi,
sulla presa di Tangeri da parte del Principe di Joinville, e sono accolti
con grandi applausi, specialmente dal nobiluomo presente che si dice
non sappia né leggere né scrivere... (12)
Dickens prosegue traducendo i trentadue versetti celebrativi di
Di Negro, che afferma di aver poi letto. Probabilmente questo ritratto
(8) G. MARCENARO, P. BORAGINA, Viaggio in Italia. Un corteo magico dal Cinquecento al Novecento, Milano, Electa, 2001, p. 317.
(9) William Jerdan (1782-1869), direttore della londinese «Literary Gazette»
(come segnala la nota in Letters 1844-46, p. 181). Vedi S. MATOFF, Conflicted Life:
William Jerdan, 1782-1869: London Editor, Author and Critic, Eastbourne, Sussex
Academic Press, 2010.
(10) Il gigante nella favola Jack ammazzagiganti (Letters, p. 181n). Ma la parola
unisce termini che significano «errore» e «noia».
(11) Probabilmente Astley’s Royal Amphitheatre, eretto nel 1773 a Londra da
Philip Astley per i suoi spettacoli circensi. Può essere che questi spettacoli comprendessero delle statue viventi.
(12) Letters, cit., pp. 180-81.
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dickensiano del Marchese è uno dei più vivaci che ci siano pervenuti.
Di Negro era tale da impressionare il senso umoristico di Dickens, che
offrì poco dopo una lunga e divertita descrizione del ricevimento offerto alla Villetta per il compleanno della figlia Francesca. Riporto la
pagina relativa della biografia di John Forster, che ci ha preservato
questi e altri brani delle lettere da Genova, altrimenti perdute. (Dickens utilizzò le lettere per il suo bellissimo libro di impressioni Pictures from Italy, ma poi evidentemente le restituì a Forster che le utilizzò nella biografia; in seguito andarono presumibilmente distrutte.)
Ecco dunque quanto riportato da Forster circa la serata alla Villetta
nell’agosto 1844:
Dopo la cena dal console francese fu invitato dal Marchese Di Negro a un grande ricevimento per il compleanno della figlia. Le grotte e i
sentieri fantasiosi della proprietà gli ricordarono la White Conduit
House (13), con la differenza che gli avrebbe fatto piacere trovare anche
lì dei camerieri che domandassero: “Il signore desidera?” — poiché per
lui non era facile tirare avanti tutta una serata solo a forza di gelati e
lampioncini colorati. Lo divertì il vecchio Marchese, «che continuamente si tuffava in angoli bui e poi fra tralicci e fioriere, strofinandosi le mani e girando tutto attorno con risatine esplosive per la grande soddisfazione che gli dava la festa» (14).
La serata ebbe un finale tragicomico. Dickens, che abitava ad Albaro, si ricordò a un tratto che le porte della città chiudevano a mezzanotte e abbandonate in tutta fretta le danze scese di corsa al buio per
«Strada Serra», andando a sbattere in una barra messa per traverso
«quasi all’altezza del petto, senza luce o guardia, in vero stile italiano»:
Feci un gran volo a testa innanzi, con tanta rincorsa che mi rotolai
tutto nella polvere; ma per quanto mi stracciassi il vestito, quasi non mi
graffai, salvo per un ginocchio. Non ebbi sul momento tempo di riflettere, perché mi rialzai subito e proseguii per raggiungere in tempo la
porta; ma quando fui fuori dalle mura e vidi lo stato in cui ero ridotto,
mi stupii di non essermi rotto l’osso del collo. Dopodiché me la presi
comoda e andai verso casa, per vie del tutto solitarie, senza incontrare
(13) Villetta con parco e amenità di Londra, 1641-1831.
(14) Ibid., p. 187.
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anima viva. Ma non c’è nulla da temere, ritengo, dalle passeggiate a
mezzanotte in questa parte d’Italia (15).
Anche questo è un episodio memorabile: festa, corsa, capitombolo... Continuando a sfogliare l’epistolario, troviamo uno schizzo di Di
Negro in una lettera da Milano, del 20 novembre 1844, a Lady Blessington, la chiacchierata interlocutrice di Byron a Genova:
La vostra vecchia dimora, Il Paradiso, è ancora attribuita a voi.
Che posto stupendo! Non conosco l’attuale proprietario ma si dice che
non molto tempo fa l’abbia acquistata e arredata, con grande splendore,
in stile francese, e che vuole venderla. Vorrei essere ricco, e poterla
comprare. Al pianterreno della residenza di Byron c’è un’osteria di terz’ordine, e il palazzo ha un aspetto piuttosto tetro, squallido e abbandonato. Il vecchio De Negro (sic) è un tantino più brutto di quando sono
arrivato. Dà regolarmente feste alla Villetta, dove ci sono molte fioriere
e pochi gelati e... basta. Lui si aggira, costantemente carico di poesia
estemporanea, ed è sempre pronto, come le cene in taverna, al minimo
cenno e al prezzo più conveniente. In camera da letto tiene un’Arpa Gigante, insieme a carta e penna per fissare le sue idee nel loro fluire: una
sorta di Re Davide profano, ma molto innocuo. Molto (16).
Evidentemente Di Negro era stato argomento di conversazione a
Kensington di Blessington, Orsay e Dickens. Intanto, dal primo ottobre, Dickens si era trasferito con i suoi da Albaro in un luogo non lontano dalla Villetta, nella Villa Pallavicino delle Peschiere, che descrive
con entusiasmo in Pictures from Italy, e dove lavorò alacremente a The
Chimes. Dal 21 novembre al 20 dicembre si recò a Londra per seguire
la pubblicazione di questa frizzante operetta (ispirata almeno nel titolo, a quanto pare, allo scampanare che gli giungeva alle Peschiere da
un vicino convento). Era di ritorno a Genova per Natale, e qui si colloca un nuovo incontro con Di Negro, da Dickens rievocato in un testo di “Household Words”, settimanale che egli diresse dal 1850 al
1859 (17). Il numero del 1° gennaio 1859 si apriva con New Year’s Day,
(15) Ibid., pp. 187-188.
(16) Ibid., p. 227.
(17) Come segnala K. Tillotson in nota agli estratti relativi alla cena dal console
francese citati sopra, Letters, 181n, dove è indicata anche la ristampa di New Year’s
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vivace rievocazione dei capodanni dello scrittore, in cui campeggiava
l’eccezionale capodanno genovese del 1845. Sembra che la sera del
primo dell’anno Dickens abbia dato un ricevimento alle Peschiere per
i rari inglesi residenti nella città, e gli ancor più rari inglesi che qui
hanno sposato altre nazionalità, e l’ineffabile vecchio Cavaliere italiano, che improvvisa, scrive poesia, suona arpe, compone musica, dipinge quadri, ed è sempre lì che inaugura il busto di qualcuno nel
suo giardinetto. Bruno è il volto dell’ineffabile vecchio Cavaliere, ma
verde è il suo cuore entusiasta; e qualsiasi cosa noi facciamo in questa
pazza notte di Capodanno, il Cavaliere allegramente vi partecipa e
crede che sia un costume squisitamente inglese, che tutti gli inglesi
osservano.
La descrizione, spassosissima, continua con gli evviva del «Cavaliere», in cui tutti riconosciamo Di Negro, all’indirizzo della «cara, felice Inghilterra», e con il suo improvvisare all’orecchio di Dickens «un
enorme poema sui divertimenti inglesi»:
E nemmeno questo severo esercizio intellettuale esaurisce il Cavaliere, perché dopo essere andato a casa e aver suonato l’arpa per non so
quante ore, si precipita dal letto, afferra penna inchiostro e carta (sempre a portata di mano) e scrive un’importante Opera sullo stesso soggetto, come testimonia in modo impressionante il sonetto tutto macchiato
e corretto che mi manda prima ancora che io mi alzi il giorno seguente.
Manoscritto che è dedicato a me in persona, illustrissimo Signore, baciandomi le mani, ed è munificentemente dichiarato disponibile per
qualsiasi editore inglese desideri farne la traduzione.
Sappiamo così l’occasione della seconda lettera di Dickens a Di
Negro conservata nel Fondo di quest’ultimo (laddove del sonetto in
questione non si ha più notizia):
Peschiere
Tuesday January fourteenth 1845.
My dear Marquess,
Day in Miscellaneous Papers, Plays, and Poems, a cura di B. W. Matz (The Works of
Charles Dickens, National Library Edition, voll. 35-36), London, Chapman & Hall,
1908, pp. 651-62. Incidentalmente, a p. 180n l’abitualmente accurata Tillotson riporta
le seguenti date per Di Negro: c. 1770-c. 1852.
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How can I thank you sufficiently, for the beautiful sonnet with
which you have honoured me, and of which I must ever entertain the
fondest and most grateful recollection!
I have delayed acknowledging its receipt, because I was possessed
with the idea of turning it into English first, and shewing it to you in
that form. But I have not indulged this fancy, after all, for these reasons.
The first is, that I should vainly try to preserve the spirit and ease of
your composition through such a process. The second, that you who
can so freshly render our English poets into your beautiful language,
would be too good a judge of the weakness of such an effort.
I will turn the Sonnet into no Language but the Language of the
Heart. And in that tongue – you speak and write it, also, to perfection –
I thank you truly.
Sir believe me
Yours faithful and obliged
Charles Dickens
Dunque il progetto dickensiano di tradurre in inglese il sonetto
gratulatorio dell’amico Di Negro non si realizzò (se fu mai più che un
amichevole complimento), e come s’è detto il sonetto stesso sembra
perduto. Forse era ancora fra le carte di Dickens quando scrisse la
splendida rievocazione di quel suo capodanno genovese, vicino a «the
street of Happy Charles» (come rende da par suo Via Carlo Felice).
Di Negro certo colpì la fantasia di Dickens. Ne parla ancora comicamente in una lettera del 31 gennaio al banchiere Emile De la Rue,
amico di Cavour che risiedeva a Palazzo Rosso (Letters, p. 223n), minacciando di inviargli a proposito di Roma «una fiammata di descrizione e immaginazione degna del vecchio Di Negro quando alza il
braccio destro e sogguarda dagli angoli di quei suoi vecchi occhi furbi
e lubrici, alla manieri degli Improvvisatori ispirati» (Letters, p. 258). E
un ultimo accenno, non meno divertente, è in una lettera alla Blessington del 5 maggio, dove racconta di essere sfuggito a un minacciato incontro poetico con l’eccellente improvvisatore:
Ricorda un quadro di Van Dijk qui nel Palazzo Durazzo, comunemente noto come Il Ragazzo in bianco?: un bambino vicino a una vecchia sedia (18). È un gran bel quadro, e per caso somiglia tanto al mio fi(18) Si tratta del Fanciullo in bianco di Giovanni Rosa in collaborazione con Van
Dyck, tuttora nella collezione Durazzo Pallavicini.
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glio ed erede che ho scritto a Parigi per una copia (si dice che là se ne
può trovare una buona). Il vecchio Di Negro è partito per la sua villa di
campagna. Di ciò gli sono molto grato. Voleva improvvisare qui da me,
una sera; ma proprio non ne ho avuto la forza. Rispetto il buon vecchio
per la sua generosità nei confronti dei poveri seguaci delle Muse di queste parti (disprezzati dai nobili genovesi, la cui natura e cultura lei ben
conosce) ma proprio non ne ho avuto la forza (19).
Dickens lasciò Genova un mese più tardi, il 9 giugno 1845. Ancora il giorno precedente scrisse a Di Negro per presentargli un connazionale, senza tuttavia menzionare la sua partenza. Riproduco per
completezza il testo, anch’esso conservato nel Fondo Di Negro:
Peschiere
Eighth June 1845
My deas Marquis,
Allow me to present to you Mr Bateson, an English gentleman
and a pupil of our famous architect Mr Barry (20); who is making some
able studies of Italian architecture.
I will not apologize to you for taking this liberty; well knowing
that nothing which is connected with literature and the arts is indifferent to you. Indeed I feel in writing this note that it is quite superfluous,
as Mr Bateson could require or have no better presentation to you than
his own pursuits and accomplishments.
I have the honour to be
Faithfully yours
Charles Dickens
Con questo omaggio a Di Negro amico delle arti si concludono i
rapporti diretti fra il bonario improvvisatore genovese e il suo spiritoso e geniale ospite, che però nel 1859, morto Di Negro da poco, gli
dedicherà un degno monumento (più notevole certo dei busti con cui
Di Negro adornava la Villetta) nella rievocazione del memorabile Capodanno genovese 1845. Una pagina sinora pressoché trascurata nella
marea degli scritti di Dickens, che è stato un piacere riscoprire in quest’occasione.
(19) Letters, cit., p. 305.
(20) Charles Barry (1795-1860), l’architetto del Palazzo di Westminster, fra molti altri importanti edifici.
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Nel Fondo Di Negro è conservata una poesia dedicata al Marchese in occasione del suo 75° compleanno, il 14 luglio 1844, dunque
poco prima del suo incontro con Dickens, dal console americano C.
Edwards Lester (21). Trascrivo in conclusione questo testo, anche se si
tratta di un componimento occasionale, che però fa intendere l’amicizia che Di Negro sapeva offrire ai “vagabondi solitari” e ci conferma
ancora una volta i suoi buoni rapporti con il mondo anglofono:
E PLURIBUS UNUM
CONSULATE OF THE UNITED STATES AT GENOA
Lines addressed to the Patrician, Gian Carlo di Negro – on the
occasion of his... birth-day by his humble friend C. Edwards Lester.
The light of the moon o’er thy villa is streaming
As it streamed when it gilded the day of thy birth;
While around thee the music of Nature is waking
To gladden thy Paradise-Home on the earth.
And methinks that e’en the flowers of thy garden will greet thee,
And the trees thou hast planted will offer thee shade
With gladness today when with rapture they see
Thy Patriarch smile where so long it has played.
Thy friends too will cluster to offer thee token
Of love that has lived through the long flight of years.
And pray that the day when thy life’s thread be broken
May come when they cannot bedew it with tears.
(21) In CH. E. LESTER, My Consulship, New York, Cornish Lamport & Co.,
1853, I, p. 74, Lester ricorda che Di Negro accoglieva nella Villetta «persone di gusto,
particolarmente forestieri, il venerdì sera». Cit. in Dickens, Letters, p. 180n. Scrive
inoltre: «Ha circa 75 anni, ed è uno degli uomini più generosi e ospitali del mondo…
Parla l’inglese, ma naturalmente al modo italiano. Dice che sta scrivendo una commedia sull’America, che sarà rappresentata presto, in onore dell’arrivo della nostra flotta» (21 dicembre 1843, p. 74). Poco dopo annota: «Abbiamo preso parte a una soirée
del Marchese, dove c’erano due o trecento persone, di cui più della metà, penso, parlava inglese. Qui ho incontrato per la prima volta il signor Parodi, uno degli europei
più coltivati che abbia mai visto. Parla l’inglese con grande purezza e quasi senza accento straniero. Penso che potrò migliorare prendendolo come insegnante di italiano.
Il mio italiano è disastroso, ma penso non quanto l’inglese del Marchese» (23 dicembre, pp. 75-76).
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This Pilgrimage too shall be made by the stranger
To the halls where the stranger forgets that his home
Lies o’er the deep waters; and he the lone ranger
Would pass but for thee here his sojourn alone.
And long may these birth-days break o’er thy villa
And long may thy life be as bright as their beams,
And its sunset as calm as the rest of that pillow
Where the twilight of Heaven in quietness gleams.
Genoa 14th July - 6 oclock AM. 1844
Strada Balbi - Palazzo Lomellini.
Si vede che Di Negro suscitava il desiderio di poetare persino nel
console americano, che in questi versi esprime gli ideali umanitari e
virtuosi della Repubblica che rappresenta, e del resto si rivela tutt’altro
che ignaro di tecnica poetica, abilmente alternando nelle sue tetrapodie anapestiche rime piane e tronche (aBaB, cDcD ecc.). Per quanto ci
riguarda, i versi più significativi si trovano nella penultima quartina,
dove Lester esprime una gratitudine evidentemente personale alla Villetta e al suo ospitale ideatore:
Questo pellegrinaggio sarà anche compiuto dal forestiero
alle stanze dove il forestiero dimentica che la sua casa
si trova oltre le acque profonde; ed egli, vagabondo solitario,
se non fosse per voi qui trascorrerebbe da solo il suo soggiorno.