Il mito Velasco, il ritmo di Kantor
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Il mito Velasco, il ritmo di Kantor
GIOVEDÌ 24 APRILE 2014 LA SICILIA lo SPORT .15 LE GRANDI SFIDE: PALLAVOLO LUIGI PULVIRENTI Q uando martedì quindici marzo 1988, più o meno alle 22, l’ultimo punto firmato da Hugo Conte mette il sigillo su gara tre contro la Ciesse Padova, i duemila del PalaSpedini esplodono in un tripudio di gioia: la Pozzillo raggiunge la semifinale scudetto, dove se la vedrà con la Panini Modena di Julio Velasco. Fa un caldo soffocante, nel vecchio impianto attiguo alla tribuna A dello stadio Cibali, stipato oltre l’inverosimile per assistere al ritorno della Pallavolo Catania lì dove, per tradizione, storia, palmares, ha diritto di stare: tra le grandi del volley nostrano. E non è stato affatto semplice, ritornarci: la retrocessione in serie A2 nella stagione 1981/82 ha archiviato l’epopea della Paoletti del prof. Abramo e di Carmelo Pittera, vincitrice dello scudetto nel 1978 perdendo una sola partita, contro la Klippan Torino arrivata seconda; la prima società catanese a vincere una scudetto porta alla ribalta una generazione di pallavolisti etnei (Greco, Alessandro, Nassi, Castagna, Mazzoleni) che scriveranno pagine entrate di diritto nella storia della nazionale con la prima medaglia, quella d’argento, vinta ai mondiali di Roma. Quanto sembrano distanti, quei fasti, in quei quattro lunghi anni di purgatorio in serie A2; a parlarne adesso, con la pallavolo di vertice ormai ricordo sbiadito, fa impressione, ma metà degli anni ’80 l’assenza di Catania dal massimo campionato fa rumore. Bisognerà aspettare il 1986, la vittoria dei play off promozione contro Belluno e Vimercate, per tornare in serie A1. E qui, sotto la presidenza Consoli, comincia un’altra epopea: quella degli argentini, Hugo Conte e Waldo Kantor. Sospinta dal talento e dalla classe di una delle coppie più celebri della pallavolo mondiale, l’Acqua Pozzillo (così si chiama, merito del main sponsor portato in dote dalla politica, come accadeva in quegli anni) a trazione prepotentemente catanese, con capitan Castagna, Badalato, Ninfa e Vivenzio a completare il sestetto allenato da Niky Lo Bianco, nella stagione 1987/88 gioca una pallavolo di altissimo livello: sostenuta dalla solidità in ricezione garantita da Massimo Castagna (il migliore nel ruolo, secondo le statistiche, a fine stagione), il sestetto catanese riesce a sciorinare un gioco molto veloce e ricco di schemi, quelli che le mani di Waldo Kantor sfornano in quantità industriale, alzando sempre un po’ di più l’asticella della creatività nella gara personale giocata con sua maestà Kim-Ho-Chul, altro funambolo del ruolo. E’ una pallavolo che mantiene la sostanza della impostazione tradizionale, che proprio a Catania è stata plasmata dalle sapienti mani di Carmelo Pittera ma comincia a guardare al futuro, alla velocità di esecuzione degli schemi, alla varietà delle soluzioni di gioco, da prima e seconda linea. Può permetterselo, la Pozzillo, perché ha un’arma che gli altri non hanno: Hugo Conte, che con il suo attacco per sei, più una veloce da seconda linea che un secondo tempo, anticipa di almeno un lustro uno degli schemi cardine della pallavolo dagli anni ’90 fino ai nostri giorni. Insomma: c’è una nuova presidenza, un progetto solido nonostante le mille difficoltà che fare sport alle nostre latitudini ha sempre significato, una squadra attrezzata, un allenatore competente e, ciliegina sulla torta, due “ Tra le stelle. Così la squadra di Lo Bianco entra tra le grandi Mitica Pozzillo “ quella disfida con i marziani “ Handicap. Città in festa, ma si giocherà a Reggio Calabria Black out. Quei tremila catanesi a Reggio Calabria per la semifinale scudetto con la Panini fuoriclasse che catalizzano l’entusiasmo dei tifosi. Tutti ingredienti che, sapientemente cucinati, a fine stagione si traducono nel quarto posto al termine della regular season, il diritto a partecipare alla Coppa Confederale l’anno successivo e, nell’immediato, l’accesso in semifinale a portata di mano. La Ciesse Padova, che proprio sul filo di lana ha soffiato il quinto posto alla Bistefani Torino, non è avversario trascendentale. Il movimento catanese sogna ad occhi aperti: semifinale vuol dire Panini Modena (nei quarti impegnata contro l’Eurosiba Montichiari, vittima sacrificale di turno), lo squadrone che asfalta gli avversari grazie alle randellate da posto 1 dell’argentino Quiroga e al talento in attesa della consacrazione internazionale dei Bernardi, Cantagalli, Lucchetta, Bertoli, Vullo, elementi cardine della nazionale allenata proprio dal professore Pittera. E’ una nazionale che ancora arranca, dietro le superpotenze Russia, Cuba, Brasile, eppure quel gruppo di giovanissimi, quasi tutti nati nel ’64 e nel ’65 (a cui si aggiungono altri giovanotti di belle speranze come Zorzi, Galli, Bracci, De Giorgi, Errichiello e Anastasi, Gardi- SALVO BADALATO UNO DEI PROTAGONISTI DI REGGIO ni e Tofoli, ancora non tutti nel giro azzurro), sembra possedere qualcosa in più…ma questa è un’altra storia. Catania ha tutto per essere felice. Quasi tutto. Manca la cosa fondamentale: l’impianto. Il palazzetto sarà sì un fortino inespugnabile, dove le partite si vincono prima ancora che l’arbitro fischi per autorizzare il primo servizio, uno di quei posti che restituiscono romanticismo allo sport e rendono ogni suc- DAL NOSTRO INVIATO. I ricordi di chi raccontò da Reggio Calabria quell’impresa Il mito Velasco, il ritmo di Kantor GIOVANNI FINOCCHIARO L’ALLENATORE “MITICO” JULIO VELASCO A bordo di quella Y10 viaggiarono i sogni di due cronisti coi calzoni corti innamorati del volley e di un mestiere che, a volte, ti permetteva di lasciare la scrivania per raccontare pagine di storia dello sport catanese. Partimmo di buon mattino: taccuino, la musica di Venditti a palla e gli schemi di Conte e Kantor stampati bene in mente. Alla guida c’era Mauro Coppola, hockeista di livello, firma del volley che in A1 si faceva largo tra le big del campionato. A Reggio, campo neutro si giocava la semifinale scudetto. Siamo cresciuti col mito di Velasco, per una volta avversario scomodo, perché incrociava una Pallavolo Catania, sì, grandi firme, ma non così grandi da poter contrastare una Panini Modena destinata a vincere lo scudetto. Per strada ci superavano, perché andavamo davvero piano (prudenti, ma era l’auto che non permetteva sorpassi azzardati) bus con le bandiere rossazzurre al vento. Il paragone con la trasferta calcistica romana, quella che nell’83 diede al Catania la Serie A, era irriverente. Ma Reggio Calabria, quel giorno, era il nostro Olimpico. Non mangiammo, non ne av- vertivamo la necessità. Ci nutrivamo di volley e tanto ci bastava. A Reggio arrivammo prima di molti altri, ma i tifosi erano rimasti sui traghetti. Orazio Risina, a bordo campo, parlava nervosamente con i dirigenti della Panini. Lui, cervello della Pallavolo Catania, studiava il mondo giusto per aspettare i... rinforzi. Andò via la luce, Conte e Kantor parlavano fitto con Cantagalli e Bernardi. E loro, gli avversari, ridevano. Capirono che era un... incidente studiato per un nobile scopo. Il palasport si riempì, la partita cominciò. Il ricordo di quelle bandierone che sventolavano, il ritmo del gioco impresso da Kantor, regista delle mani d’oro, che cercava il connazionale Conte al «2» con una palla tesa che sembrava sempre più una veloce, ci è rimasta impressa ancor oggi. Fu sconfitta, perché non sempre nel volley, come diceva Pittera, due più due fa... cinque. Ma Catania aveva vinto lo stesso: grazie al pubblico e all’impegno di quegli splendidi ragazzi. Nel dopogara aspettammo Cantagalli fuori dalla porta dello spogliatoio per un’ora. Si stava... pettinando. Uscì e si scusò: «Ero troppo sudato, Catania ci ha fatto soffrire». Arrivano i tifosi e al PalaViola... ritorna la luce cesso una epopea, ma i regolamenti sono regolamenti: gli 850 posti ufficiali, che poi diventano non meno di 1500 spettatori a partita, sono troppo pochi. I play off non si possono giocare. Passi per i quarti di finale contro Padova, disputati in forza di una deroga, ma se si arriva in semifinale, di giocare lì non se ne deve neppure parlare, è la parola definitiva della Lega. Come dargli torto, del resto. «Mi vergogno quasi di essere catanese - tuona il presidente Consoli - del resto la Lega non può chiudere sempre gli occhi. Le leggi, ogni tanto, bisogna farle rispettare. Mi dispiace solo per il pubblico, che dovrà attendere ancora per poco. I lavori del nuovo impianto stanno per iniziare». Già, perché, il presidente ha deciso di non aspettare i tempi della politica, ma di costruire un impianto privato della società. Ad Acireale, contrada Tupparello. Con il comune la convenzione è già firmata, si attendono i fondi dal credito sportivo ma, assicura il presidente, i lavori inizieranno presto, prestissimo. Un impianto da 6 mila posti, perfetto per i regolamenti della Lega e per quelli della Cev, e non è un dettaglio di poco conto, visto che la Palla- volo Catania ha già fatto richiesta di ospitare la finale di Coppa Confederale della stagione successiva. I tifosi sognano ad occhi aperti di vincere in casa l’ambito trofeo, ma prima c’è da disputare la semifinale contro Modena. Non a Catania: a Reggio Calabria, grazie all’ospitalità concessa dalla Viola, blasonata società di basket. Bisogna organizzare la trasferta, non solo della squadra, soprattutto quella dei tifosi che già preannunciano un esodo oceanico. Così, mentre i ragazzi di Lo Bianco si preparano a gara 1, in programma sabato 19 marzo a Modena (Castagna è infortunato alla caviglia ed è in dubbio), i tifosi si organizzano e cominciano a riempire, uno dopo l’altro, i pullman messi a disposizione dalla società. La netta sconfitta subita in gara 1 non scalfisce né l’entusiasmo né la voglia di esserci a tutti i costi. Alla fine, si arriva ad alcune decine di pullman riempiti. Martedì 22 marzo, sulle gradinate del PalaViola ci saranno non meno di tremila catanesi. La squadra arriva nella città dello Stretto il giorno prima, e deve fare i conti con le sicure assenze di capitan Castagna e del milazzese Scilipoti: è il momento di Maurizio Mantovani, che dovrà farsi carico di tenere in piedi quasi da solo la ricezione senza far rimpiangere il numero uno del ruolo. La forza straripante della Panini è nota a tutti, ma la Pozzillo vuole fare bella figura. E’ quello che pensano giocatori, dirigenti, accompagnatori negli spogliatoi e poi dopo, una volta entrati in campo per il riscaldamento. Mentre dal terreno di gioco guardano le tribune ancora vuote: lo devono a quelle migliaia di tifosi che, nel pomeriggio da Catania, nonostante il giorno lavorativo, si sono imbarcate sui pullman direzione Reggio Calabria. Già. A proposito, quando arrivano questi tifosi? Le squadre sono già sotto rete per attaccare, gli arbitri hanno già dato i sei minuti, insomma, il fischio d’inizio è ormai prossimo e dei tifosi neanche l’ombra. Non che non ci sia nessuno, dentro il Pala Viola, che molti sono arrivati con mezzi propri, ma il grosso manca. Arriva una voce: sono bloccati ai traghetti. Che si fa? Niente, bisogna aspettarli. Come? Semplice: come si è fatto tante volte al palazzetto, durante le partite in casa, quando le cose volgevano al peggio. Va via la luce, improvvisamente. Chissà, magari un calo di tensione, o qualcos’altro, chi può dirlo…certo, adesso bisognerà aspettare che i riflettori si riaccendano e si perderà un po’ di tempo. Pazienza: aspetteremo. Un quarto d’ora, mezz’ora, e poi finalmente ritorna la luce? Macchè: sono arrivati i pullman. Le gradinate si riempiono rapidamente di tifosi armati di tamburi e bandiere rossazzurre. Sono quasi quattromila. Per coincidenza torna pure la luce…si può riprendere a giocare. Quello che succede dentro il campo, in fin dei conti, importa poco: la Panini è di un altro pianeta e la Pozzillo, per giunta priva del suo capitano, lo scudetto lo ha già vinto arrivando fino a lì. Ne sono tutti consapevoli. E alla fine, sarà una festa lo stesso. Il capitano Massimo Castagna (a sinistra) era il capitano di quella squadra che conquistò la semifinale scudetto di Reggio Calabria contro la Panini Modena. In basso il tecnico dell’Acqua Pozzillo, Nicky Lo Bianco