«Interferenze» in franco

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«Interferenze» in franco
«Interferenze» in franco-italiano
L’esempio dell’«Aquilon de Bavière»1
0. Prima di affrontare il nostro argomento, mi pare necessario fornire un breve
commento al titolo, e ciò sotto due aspetti. Il primo riguarda il nome dell’idioma
del quale tratteremo. Il termine più comune è senz’alcun dubbio quello che abbiamo usato nel nostro titolo, quello di franco-italiano. Però, non ha trovato generale consenso e ci sono diversi studiosi che hanno proposto altre denominazioni,
per esempio franco-veneto, franco-lombardo e italo-francese. A seconda del testo,
l’uno o l’altro di questi termini può sembrare più adeguato: ci sono in effetti testi
nei quali domina l’elemento veneto, e altri che hanno una patina spiccatamente
lombarda. Se si prende invece il corpus nella sua totalità2, questi due termini si rivelano essere troppo ristretti perchè ci sono documenti nei quali coesistono tratti
originari di diverse regioni (che vanno dal Piemonte fino alla Toscana); inoltre
molte delle caratteristiche normalmente considerate come tipiche dell’idioma del
quale trattiamo qui hanno un’estensione che va molto al di là del Veneto o rispettivamente della Lombardia.
Tutto ciò sembra parlare in favore dei termini franco-italiano o anche italofrancese. Però, anche in questi due casi i problemi non mancano. Il termine italofrancese mette l’accento sull’elemento francese attribuendo una funzione secondaria alla componente italiana; sarebbe dunque adeguato per testi come L’Entrée
d’Espagne (Thomas 1913), le opere di Nicolò da Verona (di Ninni 1992), l’Aquilon
de Bavière ed altri, nei quali effettivamente la parte del francese sembra essere la
più importante. Nel caso del franco-italiano invece abbiamo una situazione inversa, cioè dominazione dell’italiano e ruolo secondario del francese; questo termine
potrebbe dunque corrispondere a una situazione linguistica come la troviamo in
testi come il Huon d’Auvergne e simili.
Ci manca dunque un termine neutro che si può usare per tutto il corpus di questa lingua mista. Si potrebbe pensare ad un composto additivo del tipo franceseitaliano (due sostantivi), o magari ad una formazione artificiale (e brutta) come
franital, i due col senso di idioma che riunisce in se elementi francesi e italiani/che
consiste di elementi francesi e italiani; il termine italiano in questo caso non designa la lingua italiana in senso moderno, ma tutte le varietà settentrionali e centrali rappresentate in un certo modo nel corpus. Così si potrebbe tener conto del
Per il testo cf. Wunderli 1982.
Per un elenco dei testi considerati come „franco-italiani“ cf. Holtus 1979b:58ss. – Per una
classificazione di questi testi secondo il loro carattere linguistico cf. Ineichen 1989:65ss.; Wunderli/Holtus 1989:3ss.
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fatto che abbiamo a che fare con due fonti che forniscono elementi in quantità variabile per la creazione di un tertium, di un nuovo idioma, la cui composizione può
variare da un testo all’altro3.
Ma il momento per una tale innovazione terminologica non ci pare ancora venuto, dato che il problema del franital richiede un’ulteriore discussione. Per questa ragione usiamo nelle pagine seguenti il termine tradizionale franco-italiano nel
senso previsto per il franital.
0.1 Il secondo termine che ha bisogno di una precisazione è quello di interferenza. Normalmente un’interferenza è considerata come un influsso più o meno puntuale di una lingua b (lingua donatrice) su una lingua a (lingua meta) sulla base di
somiglianze isolate o strutturali nel campo dell’espressione, del contenuto o dei
due (cf. anche Holtus 1979b). Così, per esempio, fr. réaliser trasformare un progetto in realtà prende una seconda accezione accorgersi di qualcosa sotto l’influsso dell’inglese to realize. Tutti questi fenomeni sono quasi accidentali e spesso
sono il frutto di una competenza ridotta di un gruppo di locutori nell’uno dei campi o nei due. È chiaro che questo tipo di interferenza esiste anche nel campo del
franco-italiano; esempi si trovano soprattutto nei primi testi della tradizione che
sono testi francesi copiati nell’Italia settentrionale, ma anche ad un’epoca posteriore in testi piuttosto utilitari.
Questo tipo di interferenza però non costituisce il caso «caratteristico» nel
franco-italiano. Normalmente, i testi rimaneggiati o composti nell’Italia settentrionale o centrale sono caratterizzati da una volontà spiccata di scrivere in una lingua
mista che somigli sia all’italiano, sia (e soprattutto) al francese, senza essere identica né all’uno né all’altro. La parte delle due fonti può variare da un testo all’altro
e sembra dipendere unicamente dal gusto del rimaneggiatore/autore, dalle sue intenzioni ideologiche, dal suo pubblico meta ecc. In ogni caso, non si tratta di una
competenza insufficiente nel campo del francese (e naturalmente ancora meno
quanto riguarda la lingua materna) – tutt’al contrario: Come vedremo più sotto,
l’autore dell’Aquilon de Bavière doveva avere una conoscenza approfondita e
molto solida del francese del suo tempo che va largamente al di là di una pratica
puramente libresca. Tutto ciò vale non soltanto per i testi epici, ma anche per autori come Martino da Canal o Rustichello da Pisa: Ci pare che il genere del testo non
c’entri per niente.
Le osservazioni di sopra ci portano a un nuovo concetto di interferenza: nel caso
specifico del franco-italiano (o meglio: del franital) non si tratta di un influsso di una
lingua su un’altra o di una confusione fra elementi e strutture appartenenti a due
lingue diverse (su base di somiglianze puntuali o strutturali); significa piuttosto apporto di due (o più) fonti4 confluenti in un tertium che vuole essere una creazione
3 Per il problema della caratterizzazione del franco-italiano cf. anche i lavori seguenti di Holtus: 1977:79-97; 1979a:854-75; 1983:63-71; 1988:7-60; 1989a:103-14; ecc.
4 Il terzo elemento, nel nostro caso, sarebbe naturalmente il latino.
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(lingua) originale. Come abbiamo già sottolineato, questa lingua artificiale non è
mai stata standardizzata e non ha mai conosciuto una norma stabile; si ha
l’impressione che esistano ben certi principi e fenomeni molto generali che si ritrovano in un gran numero dei testi5,ma non caratterizzano in modo esaustivo il francoitaliano: bastano soltanto per creare una specie di legame «di famiglia»6 fra i diversi esemplari. Per il resto, si deve sottolineare che effettivamente ogni testo ha una
fisionomia individuale e inconfondibile: Tutti i rimaneggiatori o autori francoitaliani sembrano ricreare il loro strumento d’espressione linguistica secondo un
fascio di principi astratti e adoperare questo strumento con più o meno coerenza.
0.2 Questa caratteristica specifica del franco-italiano (franital) e dei testi scritti in
questo idioma ha delle conseguenze peculiari per l’interpretazione della fisionomia linguistica di ogni esemplare appartenente al corpus. Il fatto che si tratta in
ogni caso di una creazione in gran parte ad hoc dell’autore o del rimaneggiatore
fa entrare in gioco le sue conoscenze delle due lingue fonte implicate nel suo strumento d’espressione e il loro stato di sviluppo attuale (o quello che è tenuto per
attuale) al momento della redazione.
Però, l’identificazione di queste fonti non è facile da realizzare, soprattutto
perché le diverse unità significative nella maggior parte dei casi non rimandano direttamente alla loro fonte; anzi, hanno normalmente bisogno di un’analisi e di
un’interpretazione strettissime che chiedono una grande sensibilità e un’estrema
prudenza e circospezione da parte dell’analista-interprete. Faremo dunque uno
sforzo in ciò che segue per non andare troppo lontano nelle nostre conclusioni e
per astenerci da ogni ipotesi audace trasgredendo il campo di ciò che è più o meno
ovvio.
0.3 Abbiamo scelto come base per la nostra analisi e argomentazione l’Aquilon
de Bavière, una specie di romanzo fiume in prosa dell’ultimo quarto del ’3007 nella nostra edizione del 19828. Ma naturalmente è impossibile tener conto in questo
modesto articolo di tutti i fenomeni salienti in quest’opera, che conta più di 850
pagine stampate9. D’altra parte, limitarci ad una scelta di qualche fenomeno spic-
Per un elenco di questi elementi cf. Fiebig 1938:xxxvi ss. e Holtus 1979:18ss.
Ci orientiamo qui alla nozione di «Familienähnlichkeit» di Wittgenstein; cf. Wittgenstein
1977:56ss.
7 Dunque della fase finale del franco-italiano. Ci teniamo però di sottolineare che dal punto
di vista linguistico il nostro testo non mostra i segni di decadenza come li osserviamo in altre
opere (per esempio il Huon d’Auvergne).
8 Per indicazioni più precise sull’autore (Raffaele da Verona) e la data della composizione cf.
l’Introduzione di Wunderli 1982.
9 Un’analisi più o meno esaustiva sarà riservata al terzo volume della nostra edizione (Commento) che è già stato annunciato nell’82, ma che è sempre lontanissimo dall’essere pronto per
la stampa perché altre obbligazioni ci hanno impedito di dedicarci a questo compito coll’intensità
che richiede. Speriamo di poter riprendere il nostro lavoro fra poco.
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cante non avrebbe dato un’impressione adeguata della fisionomia del testo. In
questa situazione ci siamo decisi ad adoperare il compromesso seguente:
– In una prima parte daremo un’interpretazione più o meno approfondita del
primo capitolo del libro I, lasciando da parte la captatio benevolentiae all’inizio
del testo10. Quest’analisi darà un’impressione abbastanza fedele della fisionomia linguistica del testo11.
– In una seconda parte tratteremo di certi altri aspetti particolarmente sorprendenti che caratterizzano il testo nella sua totalità, senza avere però la pretesa di
presentare un elenco completo di questi aspetti.
Speriamo che questa soluzione permetta di consolidare le nostre tesi iniziali e che
aiuti a capire meglio la natura del franco-italiano.
1. Per la prima parte della nostra analisi rimandiamo al testo riprodotto in appendice. Cercheremo di distinguere fra fenomeni grafico-fonetici, morfo-sintattici e
lessicali, pur sapendo che questo non sarà sempre possibile e che ci sono numerosi
casi dove un tratto dato è rilevante in più di un solo campo.
1.1 I problemi nel campo grafico-fonetico sono di una complessità molto disuguale: Vanno da una soluzione grafematica diversa nelle due lingue involte nella
costituzione del franco-italiano fino a relazioni complessissime fra due sistemi
fonologici e le loro corrispondenze grafematiche (Holtus 1990:211-17). In ciò che
segue, avremo a che fare con quasi tutti i tipi possibili.
1.1.1 Relativamente semplice è la rappresentazione grafematica del fonema /k/,
dunque dell’occlusiva velare sorda. La grafia k è quasi inesistente nell’Aquilon, ed
anche qu (davanti a vocale palatale) è rarissimo (benchè non inesistente12). Nel
nostro brano (primo capitolo del primo libro), troviamo due soluzioni:
– Davanti a vocale velare o davanti alla vocale /a/, la grafia normale è c: contes
6/1113, Calavrie 6/13, la contrea 6/13, compagnie 6/18, ciascun 6/19, por coi 6/21,
complis 6/30, cavaller 7/1, condicions 7/5, incontre 7/6, cort 7/1514.
Rappresentano un’eccezione le forme quand (6/17, 6/25) e quatre (6/27), dove
la grafia qu è conservata. Abbiamo certamente a che fare con un influsso
dell’italiano (probabilmente del toscano, dato che nel veneziano esistono anche
soluzioni identiche a quella del francese), dove qu però non rappresenta il fonema
Si tratta delle pagine 6 e 7 della nostra edizione.
Per rendere un po’ più ampia la nostra documentazione per certi fenomeni ricorreremo in
determinati casi anche ai capitoli che seguono il nostro brano campione.
12 Cf. p.es. quens conte 11/15 (due volte).
13 Il primo numero indica la pagina della nostra edizione, il secondo la riga.
14 Nel veneziano, k/ga non è palatalizzato; cf. Zamboni 1988:522.
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/k/, ma il nesso /kw/. Si tratta evidentemente di un’interferenza grafico-fonologica15.
– Davanti a vocale palatale troviamo nel nostro brano (e anche nel testo integrale) normalmente la grafia ch per rappresentare il fonema /k/: che 6/11, 14, 18,
19, 23, 24, 27, 30, 7/1, 4, 15; ch’il 6/16; pois che 6/23; poische 7/10; marchis 11/11;
ma anche cinchante cinquanta 7/616.
Evidentemente abbiamo da fare con un problema puramente grafico che dipende da due tradizioni diverse. La soluzione «italiana» è adoperata con grande
coerenza, probabilmente per creare una specie di atmosfera familiare per il lettore.
1.1.2 Le cose si complicano già nel nostro secondo caso, quello della rappresentazione della grafia francese ch, che corrisponde originariamente all’affricata /t /,
poi alla fricativa / /. La soluzione grafematica del francese si trova nel nostro brano una sola volta in duchese 7/6. In corrispondenza alla situazione in Italia settentrionale dove il risultato fonetico (fonologico) corrispondente a fr. / / è /t / o /ts/,
troviamo normalmente le grafie usuali in questa regione, cioè ç davanti a vocale
non-palatale e c davanti a vocale palatale:
– Çarle 6/15
– cival 6/26, cere 7/7, ricemant 7/1517, cef 9/39.
Manca nel nostro brano la grafia z, anch’essa tipica del codice grafico settentrionale e nella totalità del nostro testo abbastanza frequente, p.es. zambre 7/17, zonse
chose 8/32, rizemant 9/8 ecc. Il suo stato è identico a quello di ç per ch.
Casi speciali sono cavaller 7/1 e ciascun 6/19, 20, 22, 7/5. Nel primo caso abbiamo una grafia che rappresenta un risultato non palatalizzato di lat. *caballarium,
dunque una forma che corrisponde alla situazione in toscano e veneziano. Quanto a ciascun, la grafia suggerisce un’orientamento alla situazione toscana, ma un
fonetismo settentrionale sotto una grafia toscana non sarebbe escluso. Tuttavia il
problema ci sembra essere piuttosto di natura lessicologica che grafico-fonologica18.
1.1.3 La situazione è abbastanza simile per il correlato sonoro di /t /, cioè /d / o
/dz/, corrispondendo a francese / / all’epoca del nostro testo. Le grafie normali in
francese sarebbero j e g, e queste grafie infatti non mancano nel nostro testo,
benché nel brano scelto siano assenti:
15 Accanto a quatre abbiamo però anche incontrato chatre (10/26), che corrisponderebbe al
nostro secondo tipo.
16 Qui abbiamo il caso contrario a quello di quand, quatre: la fonologia italiana col suo nesso
/kw/ rimane senza conseguenze.
17 Cf. però anche riçemant 18/36, dove ç è usata anche davanti a e.
18 Cf. sotto, p. 141.
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– Graficamente, j (i lunga) è rappresentato nel nostro testo sempre da i normale; la variante lunga risale all’editore. Esempi di questo genere si trovano
soprattutto in nomi di persona e di luogo come Juon 6/27, Joxep 8/27, Jerusalem 12/24 ecc., ma anche in certi appellativi: jor 8/39 (due volte), jornee 9/24
ecc.
– La grafia g è di scarsa frequenza; si trova in Gerard 12/25 (accanto a Girard),
Geruxalem 12/32 ecc.19, e forse anche i casi con g semplice davanti a i possono essere classificati qui: gi je 8/28, ginoille 7/17, ginoilons 9/4 ecc. Questi
esempi, però, possono anche essere interpretati nel quadro del tipo seguente.
Effettivamente, questi due tipi hanno un carattere assolutamente marginale nel
nostro testo. La grafia di gran lunga dominante è gi (+ vocale), anche davanti a e:
coragie 6/9, giant 6/17, giantil 7/4, gior 7/16, gietoit 7/34, gie 8/21, messagier 11/27,
congié 13/8, Gieruxalem 15/8 ecc. L’origine di questa grafia abbastanza strana è difficile da individuare; probabilmente risale a casi come afr. mangier, congié ecc.,
dove g si trova davanti ad un dittongo /ie/ (che nella seconda metà del ’300 è stato
ridotto a /e/). In ogni caso, gi per / / ecc. è una grafia tipicamente «franco-italiana»
che potrebbe risentire dello stato del medio-francese alla fine del secolo xiv°.
Inoltre troviamo nel nostro testo con una frequenza relativamente alta la grafia
z che riflette il fonetismo e le abitudini grafiche del veneziano (cf. Zamboni
1988:529): Bellinzer 6/28, 7/12, borzois 7/4, saze 8/33, messazer 12/6, zor 27/8 ecc.
Si pone naturalmente il problema di sapere in che senso dobbiamo interpretare
la situazione grafica in questo campo: Qual’è il valore fonetico-fonologico che si
nasconde dietro a questa situazione grafica eterogenea e contraddittoria? Le equivalenze incontrate del tipo gior/jor/zor, messagier/messazer, Jerusalem/Geruxalem/Gieruxalem ecc. potrebbero far pensare che nascondano un unico valore fonico che si tratterebbe di ricostruire. Dobbiamo invece tener presente che il francoitaliano non era mai una lingua parlata, anzi, si tratta di un prodotto libresco artificiale sulla base di prestiti dal medio-francese e dalle varietà linguistiche
dell’Italia settentrionale e centrale. In questo contesto, mettersi alla ricerca di un
fonetismo unitario ci sembra essere l’effetto di una domanda mal posta: I nostri
autori e rimaneggiatori non partono da un idioma ben definito che si tratta di mettere in forma grafica, ma creano il loro strumento d’espressione ricorrendo a una
pluralità di varietà romanze più o meno apparentate che come fonti sono (qualitativamente) di uguale autorità. Abbiamo dunque a che fare con uno sfruttamento di equivalenze lessicali e morfologiche sotto forma grafica che risalgono alla
competenza multilinguale e multilettale degli autori, rimaneggiatori e copisti. Se si
vuole trovare un’interpretazione alle diverse grafie, questa non può essere che
quella del sistema fonetico-grafico d’origine nel suo stato di sviluppo specifico
all’epoca.
19 Davanti a e, la grafia g può invece anche essere l’equivalente di gu, cioè rappresentare
l’occlusiva palatale sonora: gerre (= guerre) 13/14.
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1.1.4 Abbastanza strana è anche la situazione nel campo della rappresentazione
grafica dei fonemi /s/ e /z/, dunque della sibilante postdentale sorda e sonora, in
posizione intervocalica.
Nel campo della sorda, troviamo naturalmente numerosi casi con ss, soluzione
che corrisponde alla tradizione grafica francese: lassés 6/16, duchesse 7/10, 7/13, assauvement 7/10s. Accanto a queste forme si trovano anche grafie con s semplice,
che – in antico e medio francese – serve normalmente a rendere il fonema sonoro: puisance 6/12, 6/13, asauvement 6/24, duchese 7/6, 7/26.
Con questi due tipi basilari l’inventario delle possibilità grafiche non è però
ancora esaurito. In primo luogo troviamo ancora la grafia c (davanti a segno grafico per una vocale palatale) come in riceus 6/21, place 7/3, 9/5, facés 10/22 ecc.;
ma questo tipo è normalmente limitato a casi che risalgono a una precedente affricata /ts/20, semplificata in Francia a /s/ durante il xiii° secolo. – Accanto a c troviamo nel nostro testo anche ç, e ciò anche davanti a e (che corrisponderebbe nelle varietà italiane normalmente a a): abraçe 7/13, alegreçe 7/16. Evidentemente, si tratta di una forma grafica (e di un fonetismo) tipica dell’Italia settentrionale.
Sorprendente è il fatto che nella stessa funzione, nello stesso contesto fonologico e magari nelle stesse lessie troviamo anche la grafia z: troizant 9/9 (accanto a
troicent) trois cent, fazés 10/22 (accanto a facés), manazoit menaçoit 16/17, alegreze (19/28), rezuit 23/25, cazer chasser 27/20 ecc. (cf. Zamboni 1988:529)21. Ancora una volta abbiamo a che fare con una grafia tipica per l’Italia settentrionale
il cui valore fonologico sembra essere identico a quello di ç.
Nel campo del fonema sonoro corrispondente (/z/), la grafia z sembra essere
quasi inesistente (cf. però guize 355/4 per la forma normale guixe); batezer 9/39 è
un testimone incerto e rappresenta piuttosto batteggiare (per battezzare) che un
afr. batiser22. – Naturalmente troviamo nel nostro testo la soluzione tipica del
francese per rendere /z/, cioè una grafia con s semplice: damoiselles 7/7, gloriose
7/20, devisera 7/32, empoisonés 7/35. Con la stessa frequenza (o magari una frequenza più alta) troviamo per il nostro fonema la grafia x, anche questa una soluzione tipica del veneziano: texor 6/18, maxon 6/19, paexant 7/4, orexons 7/18,
bruxer 7/37, vixion 8/23 ecc. Le due tradizioni sembrano dunque coesistere pacificamente.
Tuttavia c’è il fatto che per /s/ abbiamo trovato, in posizione intervocalica, s accanto ad ss, e che anche nel campo di /z/ abbiamo incontrato esempi come soi dessarmerent 6/14, dunque con ss. La distinzione fra sorda e sonora intervocalica sembra dunque essere poco solida e piuttosto artificiale; ciò corrisponderebbe abbastanza bene alla situazione settentrionale.
Cf. però richece 19/12.
La stessa grafia si trova anche in posizione postconsonantica: dotanze 16/16 (accanto a dotance 17/20), comenze 19/33, possanze 20/36 (accanto a puisance) ecc.
22 Cf. anche deza 17/31 (congiuntivo di devoir/debere) accanto a degia 27/39.
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1.1.5 La situazione di -s (finale) mostra di nuovo tratti di instabilità. Citiamo soltanto qualche esempio di -s superfluo o mancante da certi punti di vista.
-s superfluo:
– le contes 6/11: si tratta del soggetto della frase. In afr. classico la -s finale si giustificherebbe per il sistema bicasuale, ma l’articolo usato è quello dell’ obliquo.
– depois la nativités 6/11: si tratta di una frase preposizionale e al singolare, la
-s dunque non si giustifica.
– del fort rois Agolant 6/12: di nuovo si tratta di una frase preposizionale esigendo il caso obliquo; la -s di rois non si può giustificare.
– verent lor segnor tornés asauvemant 6/24: lor segnor essendo oggetto in questa frase, il participio torné non richiede una -s anche in un sistema bicasuale
intatto.
-s mancante:
– li roi retorna a Paris 6/15: roi è il soggetto del verbo, e anche l’articolo mostra
la forma (arcaizzante) del soggetto; in un sistema bicasuale intatto, la forma
rois sarebbe d’obbligo. Abbiamo la stessa situazione in Quand li roi fu a Paris 6/17.
– avoit lassés in celle guerre plus de le dos part de soe giant 6/16: le dos part è evidentemente un plurale e si aspetterebbe dunque una -s per le e part.
– ce fu Roland, fil al dux Millon d’Anglant 7/2: fil è un’apposizione a Roland, attributo della frase; in un sistema bicasuale, Roland dovrebbe essere Rolanz, e
fil dovrebbe mostrare la -s finale.
Questi pochi esempi bastano per mostrare due cose: 1° Il sistema bicasuale
dell’antico francese non funziona più, malgrado la presenza di certe tracce formali (che pure sono diventati afunzionali). Ciò non può sorprendere perché le
varietà italiane non avevano mai conosciuto questo sistema, e l’antico francese
l’aveva abbandonato durante il secolo xiii°. Le confusioni nel nostro testo sono
invece prove che esiste ancora un ricordo dell’antica situazione che risale probabilmente alla lettura di testi e manoscritti del secolo xii°. – 2° L’incertezza nel
trattamento di -s finale non è però soltanto l’effetto della perdita del sistema bicasuale in francese, ma ha anche ragioni puramente fonetiche che perfino mi sembrano prevalere; ne forniscono una prova irrefutabile le forme del plurale (femminili) senza -s. In effetti, la -s finale si è ammutita in francese durante il secolo
xiii°, e a quest’epoca lo stesso processo era probabilmente già terminato in Italia
settentrionale (cf. Zamboni 1988:522) (il toscano non l’aveva mai conosciuto in
periodo documentato).
Ci troviamo dunque davanti alla situazione che nessuna delle fonti del francoitaliano fornisce un appoggio solido per la trattazione della -s finale. Rimane il
fatto curioso che in testi francesi della stessa epoca la caratterizzazione grafica
del plurale è quasi intatta, mentre nell’Aquilon le incoerenze sono numerosissime. Come vedremo più sotto, questa situazione la si può spiegare con il fatto
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che la conoscenza del francese orale del tempo sembra essere più importante per
il nostro autore che quella della tradizione letteraria (cf. anche Holtus 1989b:
75-79).
1.1.6 Quest’affermazione pare essere in contraddizione col prossimo tratto
fonetico-grafico che appartiene al campo della rappresentazione grafica dei suoni
vocalici. Si tratta della vocale o in sillaba iniziale e della o tonica (chiusa) in sillaba chiusa. Nei due casi, l’antico francese conosce ancora il suono più o meno originale, e soltanto durante il secolo xiii° /o/ passa a /u/. Nel nostro testo, abbiamo quasi sempre una grafia o:
o iniziale o atono: corozos 6/15, por coi 6/21, portant 6/22, fornis 6/25, tornés 7/10,
volloit 7/12, retorna 7/15 ecc.
o tonico in sillaba chiusa: tote 6/22, tot 7/18, molt 6/29, 7/15, vos 7/10, boce 7/35,
jor 8/39, cort 9/41 ecc.
Questa grafia si trova anche per i monosillabi o (lat. ubi) 6/21 e ho (lat. aut) 9/27. –
Un caso problematico è il possessivo («tonico») soe 6/17, 7/28, soa 7/37 ecc.: Si potrebbe considerare soe come una grafia per la forma soue dell’antico francese; però
alla fine del ’300 questa forma era stata sostituita da molto tempo da sienne. Ci
pare più verosimile di aver a che fare con un’estensione delle abitudini grafiche
applicate a delle forme francesi su elementi genuinamente italiani.
Altre grafie in questo campo sono ou ed u, ma tutte e due sono rarissime, p.es.
tout 10/20, toute 12/2, hou (lat. ubi) 9/27; super souper 9/12, sue 857/7 etc. Queste
due grafie non pongono nessun problema: ou è la grafia francese corrente all’epoca, ed u rappresenta la tradizione italiana per rendere il fonema /u/.
Ci resta da spiegare perché la grafia o domini di gran lunga e che le grafie tipiche sia dell’una sia dell’altra delle due lingue fonti a quell’epoca costituiscano
fenomeni marginali. Si potrebbe, considerando i fatti soltanto di maniera superficiale, interpretare la predominanza di o come un tratto arcaico dell’antico francese
che risale, per esempio, ad una conoscenza di questa lingua mediante una lettura
assidua di manoscritti dell’epoca classica. Una tale interpretazione sarebbe invece
in aperta contraddizione con altri fenomeni che rispecchiano una solida conoscenza del francese parlato contemporaneo. Ma guardando più da vicino, constatiamo
che la grafia o si trova soprattutto in casi dove anche l’italiano (e particolarmente
il toscano) ha il fonema /o/ nel fonetismo corrente. La situazione è dunque molto
più complicata di quanto non appaia a prima vista: Tradizione grafico-fonetica
dell’antico francese classico (che naturalmente è conosciuto attraverso le letture
effettuate dall’autore), fonetismo attuale delle varianti italiane parlate e tradizione grafica corrispondente coincidono e hanno per effetto una spiccata preferenza
della grafia o. Questa predilezione è così forte che varca anche i limiti del campo
di equivalenze descritto e si estende a parole il cui corrispondente italiano ha un
fonetismo diverso (portant, tot[e] ecc.).
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1.1.7 Abbiamo una situazione abbastanza simile per i risultati di /o/ tonico lungo
del latino in sillaba aperta, conservato normalmente nella parte dell’Italia che ci
interessa23, dittongato in Francia sin dal sesto secolo con il risultato /ou/ che passa
a /eu/ verso la fine del secolo xii° per monottongarsi più tardi. Graficamente, il dittongo è rappresentato durante tutto il periodo dell’antico francese classico soprattutto da o, e solo nel secolo xiii° s’impone la grafia eu.
Se il nostro testo fosse uno specchio della situazione in medio francese, si dovrebbe aspettare una grafia eu che rappresenta un monottongo /œ/ o /ø/. Ma ne siamo lontanissimi: La grafia normale è o. Il caso più tipico è quello della desinenza
nominale -or (-eur): segnor 6/23, 6/25, meillor 6/25, 7/1, menor 7/25, monsegnor 9/16,
9/19, auctor 9/36, impereor 9/42, honor 11/20 ecc. Il fenomeno non è però limitato
alla desinenza nominale -or; si trova anche per lor (6/22, 6/23, 7/5 ecc.), per i dimostrativi cestor 6/25, cellor 7/23 e per un gran numero di altre forme in cui si aspetterebbe una grafia eu: pros 6/1724, corozos 6/15, dos 6/29, merveilos 8/6 ecc.
In tutti questi casi, l’italiano e le sue varietà settentrionali hanno un fonetismo in
/o/ con una rappresentazione grafica o; pensiamo che anche in questo caso la coincidenza fra situazione grafico-fonetica italiana e tradizione grafica dell’antico francese classico sia responsabile dell’uso quasi esclusivo di -o- nel nostro testo.
Inoltre si deve segnalare che un fenomeno analogo (ma con una regolarità chiaramente ridotta) si trova anche per i risultati di /o/ breve tonica in sillaba aperta,
cf. p.es. cors cœur 8/25 ecc., benché in antico francese classico le grafie uo e ue siano ben attestate accanto ad o. Le varietà italiane che ci interessano conoscono
questa dittongazione, ma nel Veneto settentrionale esiste anche una riduzione
secondaria di /wo/ ad /o/ (cf. Zamboni 1988:531).
1.1.8 Un caso un po’ diverso è quello dei dittonghi ai e ui del francese che sono
quasi sconosciuti in italiano e non hanno una vecchia tradizione grafica che coincide coll’uso corrente in italiano alla fine del ’300. Si tratta di esempi come lassés
6/16, maxon 6/19, mans 7/8, destrute 6/13 ecc.; le forme francesi equivalenti sono
laissés, maison, mains, destruite. Evidentemente abbiamo in questo caso un orientamento quasi completo alla tradizione italiana (lasciare, mansione, mano, distrutto) per quanto riguarda il vocalismo della radice.
Che si tratti di una tendenza forte e di un certo potenziale espansivo risulta anche
dal fatto che nel caso di matre (fr. maistre, sost. e agg.) 6/21, 7/5, 17/25, 18/15, mastre
17/23, 18/3, 18/7 ecc.25 ci troviamo di fronte allo stesso procedimento benché esistano in italiano le forme maistro e maestro (accanto a mastro) (Monaci 1955:731).
23 Per la dittongazione in certe regioni cf. p.es. TekavciĆ 1980:49ss. – Per la non-dittongazione
nel Veneto cf. Zamboni 1988:522.
24 Proudomes 6/29 è difficile da interpretare: può essere una grafia (piuttosto sorprendente)
per preu-, ma anche una corrispondenza atona per prodome.
25 Esiste anche la forma metre 17/5, 17/13, 17/21 ecc. che prova che l’autore è ben conscio del
fatto che in francese /ai/ è già stato ridotto a /e/.
134
Peter Wunderli
1.1.9 Terminiamo la parte grafico-fonologica (benché ci siano ancora molti altri
aspetti che meriterebbero una discussione) con un caso abbastanza strano. Dinanzi ad una forma come veragie 6/1, 6/11 ecc. per fr. vrai si potrebbe in primo luogo
pensare ad una variante di verace, verasio ecc. (Monaci 1955:779) – e allora si
tratterebbe di un problema primordialmente lessicologico. Ma questa soluzione
dev’essere scartata di fronte ad esempi come giogie 6/8 (secondo gi), progiere (=
proiere prière) 7/25, agiés ayez 7/22, pagieray payerai 10/35, e soprattutto di
fronte a desinenze dell’imperfetto della 3a persona singolare e plurale26 e del condizionale in esempi come dixogient, porogie, trovogie, aurogie, vologie ecc.
(Wunderli 1982:liv). La grafia gi sembra dunque, in tutti questi casi, rappresentare il fonema /i/ in posizione intervocalica, dunque la variante fonica [j].
Come si spiega questa grafia veramente strana ed inedita? Abbiamo visto nella
parte dedicata alle consonanti che nel nostro testo esiste un’equazione i (= j) = gi
= z per realizzare i fonemi / / del francese, /d / del toscano e del lombardoveneziano. La grafia i avendo – accanto al valore consonantico – anche un valore
vocalico (/i/), l’equazione i = gi è stata estesa anche a questo campo, provocando
così una curiosa grafia vocalica che può essere considerata come una caratteristica franco-italiana tipica del nostro testo27.
1.2 Passando adesso al campo morfo-sintattico, dobbiamo sottolineare il fatto che
il trattamento della -s finale in quanto fenomeno grafico-fonetico ha naturalmente
importantissime ripercussioni sulla morfo-sintassi. Non ritorneremo però su questo aspetto e ci limiteremo a discutere fenomeni che riguardano il sistema bicasuale (articolo e dimostrativi), le preposizioni articolate e le forme del passato remoto (passé simple). Un altro fenomeno tipico del nostro testo (e del franco-italiano
in genere), quello del se «omnipersonale», lo abbiamo già trattato altrove
(Wunderli 1989:80-111).
1.2.1 Nel campo dell’articolo maschile, incontriamo delle forme in funzione di
soggetto che sarebbero assolutamente corrette anche in antico francese classico: li
dux 7/17, 7/24, 7/26, 7/32 ecc.: sia l’articolo che il sostantivo hanno una forma che
sarebbe tipica del caso soggetto. Questa correttezza perfetta risale però ad un accidente fortuito, dato che dux nel nostro testo è diventato una specie di forma
generale che può anche rappresentare il caso obliquo (p.es. a ly dux 8/14)28. – Normalmente il soggetto è caratterizzato dall’articolo li seguito da un sostantivo sen26 La grafia gi si trova soltanto davanti a vocale, mai davanti a consonante (cf. p.es. volloit
7/12); fra le vocali susseguenti domina e, ma cf. anche nogiant = noiant.
27 Non si può neanche escludere completamente che gi sia il riflesso grafico di una consonantizzazione di [j] intervocalico come si trova oggi in certi dialetti veneziani (cf. Zamboni 1988:524,
529); le nostre informazioni su questo fenomeno alla fine del secolo xivo sono però insufficienti
per decidere di questo aspetto.
28 Non mancano però forme italianizzanti come duca, ducha, che anch’esse si possono usare
in tutte le posizioni sintattiche.
«Interferenze» in franco-italiano
135
za -s: li cont 7/27, 7/31, 8/25 ecc., li serpant 7/38, li dragon 8/6, (quand fu) li jor 8/39,
li enfant (pl.) 9/4 ecc. L’articolo le, originariamente limitato all’obliquo, è rarissimo
in questa funzione, ma non manca completamente, p.es.:
. . . e li mist nom Aquilon, ce fu le nom de som pere. 9/39s.
Le dux de Baviere vient in Alemagne . . . 6/20
Questa situazione potrebbe far pensare ad una distinzione ancora relativamente
solida del tipo li = soggetto, le = obliquo.
Per il caso oggetto incontriamo in primo luogo tutta una serie di esempi con la
forma le (l’ davanti a vocale), che in questa funzione è molto più frequente che in
quella di soggetto: l’ome 7/29, de le venim 7/36, guastant le pais 7/39, in le dormir
8/12, batezer l’infant 9/39, da part l’impereor 9/42, da l’impereor 10/28 ecc. Questi
esempi sono però molto lontani da confermare l’ipotesi di un sistema bicasuale
dell’articolo ancora quasi intatto: La forma normale (e almeno tre volte più frequente) per l’obliquo è li: por ly roi de France 6/14, fil li roi Pipim 6/14, li terent . . .
li striver 6/27, le baston de li meillor cavaller 7/1, a ly roy 7/2, a li roi 7/3, cum ly dragon 8/5, lassast li liopard 8/7, asaltast li lion 8/7, sotmist li dragon 8/8, de li quens
10/32s.29, de li roi 10/33 ecc.
Tutto questo ci sembra provare che in linea di massima l’antico sistema bicasuale non esiste più nel nostro testo – il medio francese ha dunque «raggiunto» le
varietà italiane. Ma in un certo senso sembra sopravvivere una specie di ricordo
dell’antica situazione che si riflette nella netta dominanza di li che accompagna un
sostantivo in funzione di soggetto e la scarsa presenza di le in questo caso. Ma questa conclusione è contraddetta dalla situazione nel campo dell’obliquo, dove di nuovo siamo di fronte a una netta dominanza di li. Evidentemente, al ricordo della
situazione in antico francese classico si sovrappone un secondo fatto che consiste
in una tendenza alla generalizzazione di li in tutte le posizioni, probabilmente sotto l’influsso di it. il. Così arriviamo a una situazione che corrisponde in linea di
massima a quella delle varietà italiane, ma che non è priva di certe reminiscenze
dell’antico francese classico e di qualche testimonianza di una confusione totale
delle due funzioni originali.
1.2.2 Fino a un certo punto questa conclusione è confermata dalla situazione che
incontriamo nel campo degli articoli dimostrativi. Qui dobbiamo prima mettere in
rilievo che le forme usate sono sempre del tipo cist/cest e cil/cel, dunque forme che
rappresentano il tipo francese che risalgono ad ecce iste/ille; il tipo italiano eccu
istu/illu è quasi inesistente (si trova [naturalmente] nel prologo in ottava rima, e
poi c’è qualche scarso esempio soprattutto verso la fine del testo: quei 858/26, quella 857/25, quelle 395/20, questo 857/27).
29
Qui anche il sostantivo mostra la forma di un antico caso soggetto.
136
Peter Wunderli
Naturalmente ci sono casi dove cist/cil accompagnano un sostantivo in funzione
di soggetto: cist dux 8/27, 9/26, cist Aquilon 10/13 ecc. Molto più frequenti sono invece i casi dove queste forme fanno parte di un sintagma in funzione d’obliquo
(oggetto diretto, indiretto o frase preposizionale): a cil temp 6/24, 6/29, por cil gior
7/16, a cil pont 7/31, 8/8, de cil serpant 7/37, 8/4, cil mesme gior 9/41, a cist segle 8/17.
Accanto a tutti questi esempi non esiste una sola attestazione di cest/cel nel nostro
testo – fenomeno tanto più sorprendente perché le forme femminili ceste/cele sono
abbondantemente attestate: in ceste partie 6/11, in celle guerre 6/16, in celle gloriose dame 7/20, de celle angoise 8/14, celle mesme vision 10/9 ecc. Possiamo dunque
concludere che nel campo dei dimostrativi la generalizzazione delle forme in i è
stata ancora più coerente che nel caso dell’articolo, e ciò malgrado il fatto che in
questo caso un appoggio indiretto italiano del tipo il/li non esiste. Probabilmente
abbiamo a che fare con un influsso indiretto dovuto alla situazione nel campo
dell’articolo (con una radicalizzazione, però, della dominazione dell’antica forma
del soggetto la cui causa ignoriamo).
Anche nel campo dei dimostrativi pronominali si trovano soltanto forme in i al
singolare maschile30: soggetto cil che 6/14, 8/33; obliquo de cil che 6/30. Al plurale
abbiamo una frequenza sorprendente delle forme in -or (cestor, cellor) nelle due
funzioni (accanto a ceus/cels, p.es. a ceus 6/8): soggetto cestor dos 6/7, 6/29; obliquo
de tot cellor 9/20 ecc.31 La ricca documentazione di queste forme risale forse al fatto che forme come quelor, questor sembrano essere correnti negli antichi testi settentrionali (cf. TekavciĆ 1980:§521).
1.2.3 Interessante è anche il campo delle preposizioni articolate, e particolarmente le combinazioni con a e de/di. Per i sostantivi femminili, preposizione e articolo sono normalmente semplicemente giustapposti: a la pluspart 6/4, a la place
6/25s., a la cort 7/15, de la lignee Davit 7/20, de la zambre 7/25s., a la dame 9/25, a la
segonde hore 9/37, a la feste 9/41, a l’oficie 10/29 ecc. Ci sono però casi in cui preposizione e articolo formano un unico corpo grafico (con raddoppiamento della
consonante) come alla place 6/25s., alla cort 7/15, alla dame 9/25 ecc., ma non sono
da mettere sullo stesso piano con le forme moderne: Trovandosi anche combinazioni come ella (e la) 6/11, 6/12, ellautre (e l’autre) 6/26, ellor (e lor) 7/14, ellui (e lui)
7/36, esses (e ses) 7/36, allautre (a l’autre) 11/12, assa (a sa) 12/22, chella (che la)
12/23 ecc., possiamo concludere che non si tratta di un fenomeno specifico delle
preposizioni articolate, ma di un’abitudine grafica generale che tende a riunire
particelle grammaticali all’unità seguente con raddoppiamento della consonante
iniziale di quest’ultima32. Quest’abitudine non è sconosciuta in manoscritti genuinamente francesi.
Le forme del femminile sono naturalmente in e.
Inoltre sono frequenti le forme del tipo celui/celuy: 122/2, 159/34, 322/34, 341/29, 393/32,
418/6 ecc.
32 Nella nostra edizione non abbiamo conservato questi raddoppiamenti.
30
31
«Interferenze» in franco-italiano
137
Nel campo dei maschili, abbiamo normalmente una semplice giustapposizione
della preposizione e dell’articolo: de li grand feit 6/7, de li meillor cavaller 7/1, fille
a li roy Pipin 7/2, sorelle a li roi de France 7/3, de le venim 7/36, a ly dux 8/14, demanda de li roi 10/30, de li quens 10/32 ecc. Per le forme au e du del medio francese (con l voccalizzata) abbiamo incontrato una sola attestazione (du 318/16),
ma sono relativamente frequenti gli esempi (circa un terzo dei casi) in cui abbiamo a che fare con una forma agglutinata con conservazione (almeno grafica)
della -l del gruppo sintetico: del fort rois Agolant 6/12, fil al dux Millon 7/2, al cef
del decime jor 9/40, del mond 10/26s. ecc. Questo tipo sembra orientarsi alla tradizione toscana (che è anche quella dell’italiano moderno), ma ancora una volta
si deve sottolineare che è appoggiata dalla situazione nell’antico francese classico (prima della vocalizzazione di -l davanti a consonante iniziale), tradizione che
senza dubbio era conosciuta nell’Italia settentrionale tramite la lettura di testi e
manoscritti di quell’epoca. In contrario dei casi menzionati più sopra, la soluzione
«di concordanza» rimane però minoritaria nel campo delle preposizioni articolate.
1.2.4 Un tratto spiccante nel nostro testo è la confusione quasi sistematica dei
relativi que e qui che si manifesta nella forma italianizzante che; il numero degli
esempi è quasi infinito:
. . . e furent in Aspromont compagnon de cil che tant fu complis de vertus che porta a son temp
le baston de li meillor cavaller che soi trovast . . . 6/29ss.
Li dux guarde e voit la place plaine de giantil home e de borzois e paexant che furent venus
por luy veoir. 7/3s.
E pois tornerent a la cort che estoit bandie molt ricemant. 7/15
Ai glorios sire Deu, che por sauver la nature humane mandastes vetre fil a prendre carn humane in celle gloriose dame de la lignee Davit. 7/19s.
. . . il nos promist che ciascuns che por sa foi soi lasseroit morir, il le coroneroit in son santisme regne. 7/21s.
Sire Deu, agiés mersi de tot cellor che por vetre foi sunt mort in Aspromont! 7/22s.
L’uso di che in tutti questi esempi sembra costituire un italianismo flagrante, dato
che l’italiano non distingue nel campo dei relativi fra soggetto e oggetto. Si deve
però segnalare che questo fenomeno non è inedito nell’antico e medio francese
(cf. Wunderli 1982:lv; Wunderli 1968a:126; Wunderli 1968b:45s. ). Benché il
fenomeno si manifesti soltanto sporadicamente e senza nessuna regolarità, la
situazione in francese può aver fornito una specie di appoggio o di base alla generalizzazione dell’uso italiano. Abbiamo dunque a che fare con la convergenza di
due tendenze similari e non con un crudo italianismo; italiana è soltanto
l’esclusività di che nella funzione di soggetto.
138
Peter Wunderli
1.2.5 L’ultimo fenomeno che discuteremo nel campo morfo-sintattico riguarda
certe forme sorprendenti del passé simple (passato remoto) della 6a persona. Il
gran numero dei verbi attestati sotto questa forma sono naturalmente verbi assolutamente regolari della prima coniugazione; normalmente appaiono con la desinenza -erent che è tipica del francese: porterent 6/22, tornerent 7/15, intrerent 8/40,
inclinerent 9/4, acompagnerent 9/9, troverent 9/12, 11/12, 14/8, civalcerent 10/27,
ariverent 10/37, 14/7, incontrerent 10/38, studierent 11/19, se consilerent 11/20, allerent 13/21, 14/7, 14/35 ecc. Raramente si trovano anche forme come intrarent 14/10,
trarent 106/36 dove la vocale tonica della desinenza rispecchia la tradizione italiana.
Naturalmente ci sono anche forme tipiche per la coniugazione regolare in -ir(e)
come dormirent 7/30, partirent 13/10, oirent 9/10, e anche forme di verbi irregolari
appaiono nella veste che si aspetterebbe nel medio francese: furent 6/17, 7/4, 10/27
ecc.33, vindrent 14/34. Ma accanto a queste forme «normali» ci sono anche forme
rifatte in -erent, sia nel campo dei verbi che hanno normalmente una forma del
passé simple in -irent alla 6a persona come combaterent 8/7, responderent 9/31,
11/24, che in quello dei verbi fondamentalmente irregolari: verent (virent) 6/23,
11/21, ferent (firent) 7/12, 11/10, 12/38, referent (refirent) 13/29, terent (tinrent) 6/26
ecc.
Pensiamo che tutti questi casi costituiscono rifacimenti tipicamente francoitaliani orientati alla forma più corrente del passé simple, cioè quella in -erent, e
che sfruttano la possibilità di mettere a profitto i sistemi francese e toscano (nei
dialetti settentrionali il passato remoto è quasi sconosciuto) per la creazione di un
nuovo strumento d’espressione; questa soluzione può però esssere utilizzata soltanto nei casi dove non c’è pericolo di confusione: Così vindrent rimane intatto accanto a terent (per tindrent) perché verent funziona già come «regolarizzazione» di
virent.
1.3 In numerosi casi il campo dei fenomeni lessicali o lessicologici non può essere
separato chiaramente dai fenomeni grafico-fonetici. Pensiamo però che i problemi discussi in ciò che segue siano prevalentemente di natura lessicale.
1.3.1 Il primo caso da discutere ci pare essere relativamente semplice. Si tratta
delle lessie francesi puis, puisque e depuis, che appaiono nel nostro testo normalmente sotto la forma pois, poische e depois: pois 6/18, 7/5, 7/15, depois 6/11, pois
che 6/23, poische 7/10 ecc.
Naturalmente si potrebbe pensare a prima vista a un effetto dell’equivalenza
puramente grafica u = ou = o discussa più sopra. Questa spiegazione però è poco
soddisfacente per due ragioni: In primo luogo, non abbiamo a che fare con un fone-
33 Accanto a casi che risentono dell’equivalenza grafica u = ou = o (malgrado il valore fonologico /ü/) come forent 6/7, 13/24; cf. anche porent 9/32.
«Interferenze» in franco-italiano
139
ma /u/ o /o/, ma col fonema /ü/34. E poi esiste una spiegazione che ci pare molto più
adeguata. Il francese puis risale ad una forma latina postea o meglio *postius,
l’italiano poi ad una forma pos (< post). Pensiamo che si tratti di una sostituzione
lessicologica che mette al posto della forma tipicamente francese quella tipicamente italiana, e ciò non soltanto nelle unità singole, ma anche in quelle legate lessicologicamente o sintagmaticamente.
1.3.2 Il secondo caso mostra certe affinità col precedente, benché questa volta
l’etimologia sia identica in francese ed in italiano: si tratta delle preposizioni francesi en e dans, che sono rese nell’Aquilon regolarmente da in: in ceste partie 6/11,
in le pais de Calavrie 6/13, in la contrea d’Aspramont 6/13, in celle guerre 6/16, in la
compagnie 6/18, in lor maxon 6/19, in tel maniere 6/19, in lor pais 6/20, in Alemagne
6/20, in pais 6/22, in Cristentés 6/24s., in Aspromont 6/30, 7/23, in la matre sale 7/5,
in sa zambre 7/17, in son lit 7/26, in tel meniere 7/32, in son palés 7/33, in la sale 7/35,
in Ungarie 7/39 ecc.
In un primo momento, naturalmente, si potrebbe pensare ad una corrispondenza puramente grafica del tipo i = e come la troviamo in coppie come intrare/entrer,
inclinare/encliner, corrispondere/correspondre, virtù/vertu, intra/entre ecc., e questo
tipo di equivalenza può certamente essere responsabile in parte della regolarità
dell’uso di in. Ma il fatto che in si trova anche regolarmente in casi dove l’uso di
dans sarebbe perfettamente possibile35, ci fa pensare piuttosto ad una sostituzione
lessicale che consiste in una generalizzazione della forma tipica per le varietà italiane e che ricopre più o meno esattamente le funzioni del medio francese en e dans.
1.3.3. Nel nostro testo ci troviamo spesso di fronte a un uso sorprendente di por
in contesti dove si aspetterebbe in francese par:
. . . li orgoil e la puisanze del fort rois Agolant por la puisanze de Deu pere fu destrute in le
pais de Calavrie in la contrea d’Aspramont por ly roi de France . . . 6/12s.
. . . il fist cere riant e la prist por mans . . . 7/7s.
Depois veit in Ungarie, e insimant la gasta, e torne por Italle aveninant le pais. 7/39-8/1
ecc.
Naturalmente non mancano i casi in cui por corrisponde al francese pour,
p.es. 7/15, 7/19, 7/21 ecc., e si deve sottolineare che questo magari è il caso normale.
Per spiegare l’uso citato qui sopra si potrebbe rimandare al fatto che in italiano
lat. per e lat. pro si sono fusi in una sola forma per, mentre in francese rimangono
distinti sotto le forme di par e por (pour). E questo fatto conta certamente molto
nella situazione che incontriamo nel nostro testo, ma se fosse l’unico fattore effi-
34
35
E ciò malgrado il caso già discusso di furent/forent.
Ci sono soltanto due attestazioni di dens (14/10, 23/36) col senso di dedans.
140
Peter Wunderli
cace sarebbe difficile spiegare perché l’autore sceglie por e non par (che costituisce
la corrispondenza diretta di per). Però, si deve ancora tener conto di un altro fatto
che riguarda il francese: nell’antico e medio francese gli esempi di una confusione
fra par e por/pour (nelle due direzioni) non sono frequenti, ma bene attestati (cf.
p.es. Wunderli 1968a:126; 1968b:45s.). Siamo del parere che la superposizione
delle situazioni in francese ed in italiano fornisca una spiegazione sufficente per la
situazione nell’Aquilon.
1.3.4 Veniamo, per terminare le nostre riflessioni sul primo capitolo dell’Aquilon,
alla discussione di alcuni casi più o meno isolati.
Relativamente interessante è il trattamento del nome di luogo Aspremont. La
forma francese inalterata non manca nel nostro testo (831/5), ma è eccezionale. In
Aspramont 6/14 abbiamo un’adattamento puramente grafico all’italiano: Dato che
la vocale francese e in posizione atona corrisponde normalmente a una a in italiano, questa sostituzione produce un composto grammaticalmente scorretto poiché
nel primo caso si tratta di un elemento con un aspetto di aggettivo femminile e nel
secondo di un sostantivo maschile. In Aspromont 6/23, 6/30, 7/23, 10/8 però non si
tiene conto delle corrispondenze puramente grafiche: Il nome è per così dire ricomposto con un aggettivo aspro che corrisponde al genere del sostantivo. Questo
esempio ci mostra che il compromesso fra le due lingue fonte può essere cercato
a diversi livelli del sistema linguistico e che l’autore/l’amanuense/il copista può
dare la preferenza all’una o all’altra delle soluzioni secondo il suo gusto.
Simile per molti aspetti è il trattamento del fr. agenouiller, che appare a distanza di una sola riga sotto due forme fondamentalmente diverse: inginocchier 7/12,
inginoilent 7/13; cf. inoltre se zinoila 10/36. Nel primo caso abbiamo una forma
italiana quasi inalterata di cui è soltanto sostituita la desinenza dell’infinito -are
dal suo equivalente francese -(i)er; e il terzo esempio appartiene alla stessa categoria: il problema del prefisso trova la sua soluzione in una soppressione completa,
la consonante iniziale della radice appare sotto una grafia tipicamente settentrionale e la desinenza del passé simple è addattata al sistema francese. Nel secondo
esempio, invece, abbiamo un compromesso più equilibrato: Il prefisso e le grafie
vocaliche i (= e) ed o (= ou) sono ben italiani, ma la desinenza e soprattutto la
radice sono quelle del francese.
Nel caso di striver étrier abbiamo una soluzione che favorisce il francese: La radice non è l’italiano staffa, ma un compromesso fra le due forme francesi estrief e estrier, però con la e protetica soppressa «all’italiana». Italianismi relativamente crudi, con tutt’al più leggerissime adattazioni morfologiche sono sorelle (sg.) 7/3, corozos (a.it. corrocioso) 6/15, ciascun 6/19, 6/20, 6/22, 7/5, texor 6/18, bruxer 7/37, da 6/21,
guarde 7/3. In incontre 7/6, davant 7/13, primer 6/28, contrea 6/13 abbiamo a che fare
con compromessi piuttosto grafico-fonologici che hanno la funzione di dare a parole (anche) genuinamente francesi un aspetto familiare al lettore italiano.
Così, il campo lessicologico ci fornisce una bella conferma della nostra tesi che
nel caso del franco-italiano non si può parlare di interferenze nel senso tradizio-
«Interferenze» in franco-italiano
141
nale del termine, ma che si tratta della creazione deliberata di un tertium, un nuovo idioma artificiale, in cui, a seconda del caso, le due fonti principali sono rappresentate in modo molto variabile:Abbiamo una scala che va dal francese quasi puro
all’italiano quasi puro, con quasi tutte le posizioni intermedie. Naturalmente non
abbiamo esaurito il nostro brano rappresentativo, che contiene ancora un gran numero di esempi che meriterebbero un commento; per una dimostrazione esemplare i casi discussi bastano però largamente.
2. Passiamo adesso alla discussione di certi fenomeni che mancano nel primo capitolo dell’Aquilon, ma che sono nondimeno molto caratteristici del testo nella sua
totalità. Abbiamo visto in ciò che precede, per esempio, che la -s finale – non essendo più pronunciata in antico francese – manca in un gran numero di casi, e che
in altre situazioni è aggiunta in modo parasitario. Senza entrare in una dicussione
approfondita, segnaliamo qui soltanto che lo stesso fenomeno si trova anche per
le consonanti -t e -l finali, come per la vocale -e nella stessa posizione36.
2.1 Piuttosto rara, ma nondimeno tipica del nostro testo è la sostituzione di ai (2a
pers. sg. pres. ind. di avere) alla forma francese as. Lo stesso fenomeno si trova
anche per la desinenza della 2a persona singolare del futuro che risale etimologicamente alla stessa forma di habere, p.es.:
Ai Trivigant, dist il, faus e deslogial, coment ai pous ofrir che sogie sconfit por ceste giant!
79/21s.
Atend un petit, dist Cordoés, e verai in quel guixe moi confeseray! 107/2
Con questa modifica le forme della prima e della seconda persona di questi paradigmi diventano identiche; questo sincretismo non costituisce però un serio ostacolo all’interpretazione corretta del testo, nemmeno in casi dove le due forme fanno
parte della stessa frase (cf. il nostro secondo esempio). – Inoltre abbiamo incontrato esempi con una forma in (-)ais; può essere interpretata come forma con una -s
parasitica, ma potrebbe anche trattarsi di una specie di sincretismo fra as e ai:
Cordoés, Cordoés, se tu non vois desdire ce che ais dit e fere homagie a l’amirant, mon pere,
il toi convint confesser a Machomet e a cist brand. 106/41s.
Fille, dist li castelan, ne toi doter, che Macomet toi aidera se non serais colpable del peché.
192/39s.
In ogni caso abbiamo a che fare in tutti questi esempi con un chiaro prestito dalla
tradizione italiana37 che è utilizzato tale quale o che serve a creare una nuova forma che non esiste né nell’una né nell’altra delle due lingue fonte.
36
37
Cf. per questi casi Wunderli 1982:liiis.
Per l’esito -i per la 2a persona del singolare in veneziano cf. Zamboni 1988:529.
142
Peter Wunderli
2.2 Uno dei fenomeni più strani del nostro testo è senza dubbio il fatto che ci
troviamo di fronte a una confusione quasi totale delle forme verbali della 3a persona del singolare e quelle della 3a persona del plurale; questa confusione si manifesta nelle due direzioni possibili. Curioso anche il fatto che la non-distinzione del
numero per la 3a persona non si trovi soltanto per le forme nelle quali la caduta di
-nt nella sesta persona ha creato in medio francese un sincretismo fonico fra le due
funzioni (presente dell’indicativo, congiuntivo I, imperfetto ecc.), ma anche e soprattutto in forme che morfologicamente rimangono chiaramente distinte.
Esempi per l’uso di una forma verbale del plurale con un soggetto al singolare
sono fra gli altri:
. . . che volonter ausse feit a vos ce che avés feit a moi. Mes fortune non l’ont consentus. 35/13s.
Ans veit quant le cival poit aller, e son scuer vont aprés. 45/23s.
Le ducha de Cartagine . . . leverent le camp e se redurent a une cité che se apelle Lione. 95/23s.
E certemant notre sire Deu les unt mandés che nos devromes aller sor eus . . . 126/7s.
ecc.
Negli esempi seguenti abbiamo un soggetto al plurale con un verbo al singolare;
questo caso è di gran lunga più frequente del precedente che ha qualcosa di eccezionale:
Matre, se les ovres seguira a l’ardimant, nos aurons honor. 25/35
. . . et ausi s’acorda tot ses compagnon. 56/26
. . . gi voil che zurés feulté a mon segnor, le amirant, e del vetre non perderés niant, anc nos
doneromes del notre, e tot insi voil che faze tot les autres. 85/18ss.
Dites moi, chi sont li duy chevaler che combat cors a cors in cil plans? 104/16s.
E allor s’en vient o li .co. chevaler estoit in mi le camp . . . 106/3
. . . che ceus che civaucent de nuit, les zaitis civaus remant darer e mant se perdont por ces selves
. . . 128/2s.
Sanson, Vinimer e Samuel sera cum vos e mant des autres. 204/1
ecc.
Il penultimo esempio ci mostra che è anche possibile far seguire direttamente una
costruzione con verbo al plurale a un’ altra con verbo al singolare, e questo è anche
possibile se i due verbi dipendono dallo stesso soggetto:
E tantost comanda a sa dame e a tot sa masnie che insisent de nef et allast a cort de l’amirant.
14/31s.
Lors insiront oni jor a la meslie e fera grand daumagie in notre giant. 231/29
Naturalmente i casi con forma verbale «corretta» sono molto più numerosi che i
casi di confusione, ma gli esempi soprattutto del singolare per un plurale sono tan-
«Interferenze» in franco-italiano
143
to numerosi nel nostro testo che pensiamo poter affermare che la distinzione del
numero nella 3a persona del verbo è in fondo qualcosa di artificiale che riguarda
solamente il livello grafico; al livello fono-morfologico le due forme devono essere
considerate come equivalenti.
Questa situazione – e soprattutto la predominanza dei casi in cui abbiamo una
forma del singolare per un plurale – fa naturalmente pensare ad un influsso spiccato del veneziano dove le due forme coincidono regolarmente con quella del singolare (cf. p.es. Zamboni 1988:529). Però non si deve dimenticare che anche nel
medio francese la distinzione fra 3a persona del singolare e del plurale non esiste
più per la maggior parte dei paradigmi dopo l’ammutimento del gruppo -nt in
posizione finale. Pensiamo che la situazione nel francese parlato dell’epoca abbia
fornito almeno una specie di base, un terreno prospicuo per l’estensione del sincretismo veneziano.
2.3 Forse ancora più sorprendente è l’ultimo fenomeno che discuteremo nel quadro del nostro contributo; si tratta di nuovo di un problema della morfologia verbale, e di nuovo riguarda la 3a persona del plurale: In un gran numero di casi siamo di fronte a un’evidente confusione fra le forme del futuro e quelle del passé
simple. Più frequente è l’uso di ciò che pare essere un «futuro» per un «passé simple», dunque della desinenza -(e)ront al posto di -(e)rent:
Quand ciascun auront manzé et beu segond sa usanze, lé zambres furent aprestés . . . 18/35s.
. . . E ciste vite teront ogni jor. Mes autremant i furent bien servis. 20/3s.
E quand soi incontreront, non feit a domander le grand honor che fist le duc al roi e le roy a
luy . . . 57/25s.
E per force convient volter les spales e se mistrent a la fue, e laseront lor segnor pris, e non forent in ordene . . . 66/16ss.
Ses homes le seguirent de buon voloir e asalteront lor anamis tant vigoroxemant che lé plus
ardis des Persant perderont lor ardir. 69/8ss.
ecc.
Gli esempi in cui una forma del futuro appare con la desinenza -(e)rent sono più
rari, ma sono sempre sufficientemente attestati:
E allor fist fer une crie por le camp che a la mie nuit, quand oirent ses grailes soner, ciascun
soit aprestés de lor armes a seguir l’insagne de l’amirant. 61/36ss.
Vos, sire Naime, remarés cum . x. de nos in votre compagnie a garder li pont tant che tornemos
arer; e gi insirent com .xl. 215/21s.38
38 Questo esempio contiene inoltre il problema che gi come soggetto è seguito da una forma
verbale della sesta persona; probabilmente si tratta di una constructio ad sensum del tipo «e .xl.
insirent».
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Peter Wunderli
Chi sont ceus carpenter e mastres che vorent laborar davant le castel? Certemant nul! Que
scorte farés vos a ceus che caveront les fosse? . . . 237/4s.
ecc.
Ci rimane da spiegare questa situazione abbastanza sorprendente per la quale ci
sembra quasi impossibile trovare una schietta e diretta base nel veneziano o nel
toscano. Per questa ragione rivolgiamo ancora una volta la nostra attenzione alle
corrispondenze grafico-fonetiche fra «italiano» e francese. E di fatti, una corrispondenza del tipo -e- / -o- è frequente per la vocale atona nelle forme della sesta
persona: presente parlent/parlono, perdent/perdono; passé simple/passato remoto
parlèrent/parlarono, furent/furono, partirent/partirono ecc. Che quest’equivalenza
costituisca una realtà del nostro testo risulta anche dall’esempio 128/3 citato nel
capitolo precedente dove perdont è indiscutibilmente una forma della 6a persona
dell’indicativo presente (= perdent). Su questa base possiamo già spiegare le forme
del passé simple che mostrano una desinenza -(e)ront: Ci troviamo di fronte a un
tentativo di «italianizzazione» che sfrutta la menzionata equivalenza grafica e = o
per le corrispondenti vocali atone. Più problematiche sono le forme del futuro in
-rent (per -ront). Qui abbiamo da fare con una vocale tonica, e in questo campo
un’equivalenza e/o non esiste fra francese e italiano. La sola spiegazione ci sembra
essere la seguente: le due desinenze sono diventate intercambiabili per il passé
simple (parleront/parlerent, oiront/oirent ecc.); quest’equivalenza grafica (e puramente grafica) è stata di seguito erroneamente estesa al futuro dove abbiamo a
che fare con una vocale tonica.
3. Veniamo alla conclusione delle nostre riflessioni, che naturalmente sono frammentarie e lontane da esaurire la ricchezza del nostro testo di fenomeni sorprendenti che esigono un commento.
Le nostre analisi ci sembrano provare che per un testo franco-italiano come
l’Aquilon il concetto tradizionale dell’interferenza è insufficiente: Non si tratta di
un influsso più o meno casuale di una lingua b su una lingua a, ma piuttosto di una
creazione di un tertium, una lingua c che sfrutta le lingue a e b come fonti. Questa
lingua c, il franco-italiano (franital), non è identica né all’una né all’altra delle fonti; si tratta di un prodotto autonomo voluto, più vicino al francese che non
all’italiano secondo l’intenzione del suo creatore, Raffaele da Verona. È soprattutto quest’ultimo fatto che ci dà l’impressione di un’influenza italiano francese. E
quest’ultima impressione, in certi casi, non è sbagliata, ma è lontana da essere corretta per tutte le particolarità incontrate nel nostro testo.
La scelta fra soluzioni francesi e italiane esiste quasi a tutti i livelli: grafico,
grafico-fonologico, morfologico, sintattico, semantico, lessicologico ecc. Elementi
crudamente «italiani» (settentrionali o toscani) si trovano soprattutto nel campo
lessicale, ma anche, per esempio, fra le grafie (p.es. a e u per ai e ui). In altri casi
abbiamo una specie di compromesso fra le due fonti:
«Interferenze» in franco-italiano
145
– Qualche volta la soluzione sembra rappresentare la situazione dell’antico
francese classico, ma questa soluzione è scelta soltanto in casi in cui esiste una
coincidenza con una delle varietà importanti dell’italiano settentrionale o centrale (o grafico per il fonema /u/ = ou/u; desinenza -or per -eur ecc.).
– In altri casi, è la situazione del francese parlato dell’epoca che sembra favorire l’una o l’altra delle soluzioni possibili (uso soltanto sporadico del sistema
bicasuale; -s finale mancante o parasitico; confusione fra relativo soggetto e oggetto sotto la forma di che; confusione par/por; ecc.). Il nostro autore ha certamente una conoscenza solida del francese libresco tradizionale; ma conosce
anche molto bene il francese parlato della sua epoca; è ciò che gli permette di
scegliere secondo il caso nell’uno o nell’altro dei campi una soluzione relativamente vicina ad una delle diverse situazioni italiane.
– Questa spiccata volontà di trovare, in casi di divergenze importanti, soluzioni
che abbiano un appoggio tanto in uno dei diversi sistemi francesi quanto in uno
di quegli italiani, non impedisce che in altri casi venga scelta una forma che non
esiste né nell’una né nell’altra delle fonti (sostantivi femminili con -s al singolare; grafia gi per [j]; «normalizzazione» di certe forme irregolari del passé simple in -erent; forme ais [as] e verais [verras] ecc.). Malgrado questa tendenza molto chiara di trovare compromessi fra due (o anche più) sistemi in contatto ed in
concorrenza, non ci troviamo davanti ad un sistema omogeneo e coerente,
tutt’al contrario: La soluzione adottata per un dato problema può cambiare da
un’occorrenza all’altra. Soprattutto nel campo grafico-fonetico ci pare poco adeguato cercare un’interpretazione unica per equivalenze del tipo ge/i = gi = z =
i (j) o anche ch = ce/i = ç = z. L’autore (e anche il copista) sembrano piuttosto
giocare su queste equivalenze e divertirsi a dare al loro testo un aspetto variopinto e non prevedibile.
Per tutte queste ragioni pensiamo che non sia esagerato concludere con
l’affermazione che il franital è veramente un fenomeno sui generis.
Düsseldorf
Peter Wunderli
146
Peter Wunderli
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«Interferenze» in franco-italiano
Appendice
L’inizio dell’Aquilon de Bavière
(Wunderli 1982:6s.)
[p. 6]
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[p. 7]