IV Domenica di Pasqua - Arcidiocesi di Catanzaro

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IV Domenica di Pasqua - Arcidiocesi di Catanzaro
Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
via Arcivescovado, 13
88100 – Catanzaro
tel. 0961.721333 - fax 0961.701044
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sito internet: www.diocesicatanzarosquillace.it
per l’Omelia domenicale a cura dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone
IV Domenica di Pasqua
11 maggio 2014
Chiamati per nome
Introduzione
Nelle scorse domeniche la Liturgia della Parola ha veicolato la nostra professione di
fede e, rafforzato il nostro riaffilarci al Signore della vita, proponendoci i racconti del
ciclo delle apparizioni del Risorto. Oggi, IV domenica di Pasqua, la Liturgia della
Parola assolve allo stesso compito proponendo l’immagine suggestiva di Cristo
“buon pastore”. Essa è presente nel brano della Prima lettera di Pietro, indirettamente
nel brano degli Atti degli Apostoli e, infine, nella pagina del Vangelo di Giovanni.
Mentre risuona nel canto di una delle liriche più intense del Salterio: “Il Signore è il
mio pastore, non manco di nulla; in pascoli erbosi mi fa riposare”. Dunque, il
simbolismo del pastore pervade tutta la liturgia odierna. Un simbolismo questo carico
di risonanze, che a noi spesso sfuggono, ma di certo non sono sfuggite ai cristiani
delle primissime ore. Infatti, il fascino esercitato da questa immagine del Cristo,
“buon pastore”, fu tale da essere sempre rappresentata nel catacombe, a testimoniare
la radicalità di una fede, che è stata in vita guida sicura del credente in Cristo e in
morte segno di certa resurrezione in Cristo, pastore di anime e porta dell’eterno. E
quest’ultima considerazione ci apre a cogliere la ricchezza del secondo simbolo di
questa domenica, “la porta”. Sempre nella pagina del vangelo di Giovanni, Cristo
attribuisce a sé l’immagine della porta. Ma come è possibile a questo punto conciliare
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la funzione del pastore con quella della porta? Apparentemente sembrerebbe
inconciliabile l’operazione di accostamento, ma inserita nel contesto di questi giorni
pasquali diventa possibile. Entrambe le immagini infatti sono rappresentative della
divinità del Cristo, sintesi armoniosa del senso ultimo della sua incarnazione e morte,
e della sua missione. Così se pensiamo alla Pasqua come al passaggio dalla morte alla
vita, Cristo è la nostra “porta “ di passaggio; se pensiamo alla Pasqua come al
compimento della nostra vocazione, che è prima di tutto chiamata alla vita, Cristo è il
“buon pastore” che ci chiama alla vita.
Il buon pastore
L’immagine del “buon pastore” è forse per i credenti la più familiare, eppure se ne
ignora il carico di significato che porta con sé e che affonda le sue radici nel mondo
orientale. Infatti, se consideriamo la figura del pastore nell’Antico Testamento, ci si
renderà conto che egli non era considerato solo la guida del gregge, ma il compagno
di vita in modo totale, pronto a condividere con il suo gregge la sete, le marce, il sole
infuocato, il freddo notturno. Inoltre, tra il pastore e le pecore vi era simpatia, tenera
complicità, intesa; la sua voce non raggiungeva il gregge nella sua collettività, ma
ciascuna pecora “ad una ad una”. Del gregge era la guida, “cammina innanzi”, quasi a
voler aprire la strada, a voler prevenire i pericoli, mentre le pecore lo “seguono”
sicure. E in questo modo avranno “la vita in abbondanza”. E ancora, il pastore ha un
comando specifico per ciascuna e per questo le chiama per nome; e tra lui e loro non
c’è il padrone e l’animale, ma un dialogo, fatto di parola ed ascolto, “conoscono la
mia voce”. Il pastore divino poi “fa uscire” il suo gregge in un grande esodo, verso
pascoli fertili, la vita in abbondanza appunto. Lentamente siamo scivolati dal
linguaggio simbolico alla realtà, svelando l’immagine la verità che sottende: il “buon
pastore” è il Cristo che è a capo del suo gregge, il popolo dei credenti, divenuti ormai
discepoli alla sua sequela. E nel momento in cui si instaura il rapporto di intimità e ne
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riconosciamo la voce, lasciandoci condurre da Lui, la conseguenza sarà la vita in
abbondanza. Ecco la parola breve e immensa che fa di una guida un pastore, un buon
pastore: vita. ad essa e per essa ogni “buon pastore” conduce e chiama, perché la vita
è la prima e naturale vocazione di ogni uomo. Ma non si tratta di una semplice vita, è
vita in pienezza, una vita cioè che è degna dei figli di Dio. La sola condizione - se
tale si può definire – per raggiungerla è avere desiderio di essa, solo così infatti si può
riconoscere la proposta della vera vita. L’unica che possiamo desiderare, perché essa
è respiro, forza, amore, relazione, gioia, libertà, parola che tracima, che cambia il
desiderio e la mente, che deborda nelle terre di Dio. E veniamo alla seconda
immagine di questa pagina del Vangelo, la “porta”. Infatti, per passare oltre, per
accedere alla vera vita a cui ciascuno di noi è stato chiamato, la porta da varcare è
Cristo stesso. Egli è insieme la porta e la vita. La porta che si apre sulla terra
dell’amore leale, che è più forte della morte; la porta che si apre alla vita eterna, che è
vita di libertà e di pienezza. Dunque, Cristo è pastore che conduce, ma è insieme la
porta aperta, anzi la realtà viva e palpitante attraverso la quale fluisce la vita stessa. In
questi nuovi termini si ripropone il messaggio pasquale: attraverso Cristopastore e
porta si arriva a conquistare la vita: “Se uno entra attraverso di me, sarà salvo”,
ovvero riceverà il dono della sicurezza e della pace; “entrerà e uscirà e troverà
pascolo”, ovvero troverà il nutrimento necessario per sostenere la vita, ma avrà anche
la libertà di “entrare e uscire”, perché la vita in abbondanza non può negare la libertà.
Chiamati alla vita e alla fede
Ora l’insegnamento è chiaro: la “vita”, la salvezza degli uomini viene da Cristo; Egli
ci chiama alla vita vera, e per questo il Padre, con un gesto di infinito amore, lo ha
mandato quale pastore del suo gregge, il popolo dei credenti, perché divenisse la
porta da varcare per arrivare alla vita eterna. Allora per salvarsi è necessario far
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ritorno al Pastore delle anime, riconoscerne la voce e seguirla; occorre rientrare nel
suo gregge, nel suo ovile mediante la fede e l’osservanza dei suoi comandamenti, che
si riassumono nell’amore per Dio e per il prossimo. Pretendere di salvarsi, di trovare
la “vita”, di realizzarsi pienamente come uomini, prescindendo da Cristo è puramente
illusione. Come anche vana illusione è poter pensare di giungere al Padre a
prescindere dai fratelli. L’esperienza di fede, infatti, non può essere rinchiusa entro le
mura delle Chiese e delle sacrestie, né nelle case e neppure nell’intimità dei cuori. La
vera fede ama respirare la libertà a contatto con la vera vita, che è la grande avventura
dei fratelli in cammino con noi sulle strade del mondo. Perché tutto questo avvenga è
necessario che si risponda sì alle chiamate del Pastore. La sua prima chiamata è
chiamata alla vita. É la sua Voce che ci ridesta dal nulla alla vera esistenza, è la sua
voce che ci richiama alla radicalità della vita, che per questo non va affatto
sottovalutata, ma anzi va vissuta in pieno in qualsiasi condizione e fino alla fine.
Quindi è sempre la sua Voce che chiama alla seconda vita, la vita nella fede. Ad essa
il “Buon Pastore” ci chiama attraverso i Sacramenti: il Battesimo, con il quale siamo
entrati a far parte dell’ “ovile” di Cristo; la Prima Comunione, per la quale siamo
introdotti a pieno titolo nella comunità dei credenti, bambini che siedono già alla
tavola dei grandi, degli adulti nella fede; la Cresima, che ci ha maturati, ci ha resi in
quanto cristiani pienamente adulti, capaci d’impegno e di testimonianza nella Chiesa
e nella società. Quindi la vocazione alla fede diventa anche, da parte di Dio, una
nostra chiamata all’impegno, a svolgere un ruolo in mezzo agli uomini.
Conclusioni
La vita dunque sin dal suo nascere è vocazione, è chiamata da parte di Dio. Anzi è la
persona in sé vocazione stessa: “La persona è vocazione, cioè un progetto dinamico
in permanente sviluppo, pensato da Qualcuno che lo ha visto in armonia con tutti gli
altri progetti, in un piano d’insieme” (Emmanuel Mounier). E la nostra missione
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pasquale consiste proprio nel capire a quale tassello del progetto di Dio siamo stati
chiamati, perché anche attraverso di noi si compia il suo disegno divino sull’uomo e
la terra. perciò domandiamoci ogni mattina come viviamo la nostra missione
pasquale, perché ognuno di noi ha la sua vocazione, ad ognuno è arrivata la voce del
“Buon pastore”. Rispondere di “sì” a quella voce e seguirla, significa farla diventare
la porta attraverso la quale entrare nel regno della vita vera, già a partire dal nostro
presente. Auguri a tutte le mamme. Serena domenica.
 Vincenzo Bertolone
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