STOK_Barbari e alterità etnica nelle Elegie di Properzio

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STOK_Barbari e alterità etnica nelle Elegie di Properzio
FABIO STOK
BARBARI E ALTERITÀ ETNICA NELLE ELEGIE DI PROPERZIO
1. Un tratto ricorrente dell’esperienza sentimentale narrata da Properzio è costituito dai viaggi: evocati, desiderati o aborriti. Già nell’elegia 1, 1 il poeta prospetta agli amici l’eventualità di accompagnarlo
in un viaggio ‘terapeutico’, che lo liberi dall’amore per Cinzia: ferte
per extremas gentis et ferte per undas, / qua non ulla meum femina norit iter
(vv. 29-30). Un viaggio, come si vede, ai confini del mondo 1: le extremae
gentes sono, nell’immaginario romano, quelle che vivono nelle aree remote, quelle più lontane dal centro, da Roma. Nel caso specifico il lettore di Properzio avrà pensato probabilmente agli Indi, memore del
Catullo di 11, 2-4: in extremos penetrabit Indos, / litus ut longe resonante
Eoa / tunditur unda (ripreso anche da Orazio a epist. 1, 1, 45, inpiger
extremos curris mercator ad Indos, e 1, 6, 5-6, quid censes munera terrae, /
quid maris extremos Arabas ditantis et Indos 2). Notevoli, del resto, sono
anche le analogie contestuali delle due composizioni 3: anche Catullo
immagina di essere accompagnato in extremos Indos dagli amici (in questo caso apostrofati per nome: Furi et Aureli [v. 1]); anche nel brano
catulliano il paese degli Indi è associato alle onde del mare, in riferimento all’Oceano che bagna i bordi dell’ecumene.
La tendenza a proiettare il viaggio su orizzonti lontani, oltre i confini
della dominazione romana dell’epoca, appare essere un tratto peculiare
1
Il viaggio quale terapia dalla passione amorosa è motivo corrente, ripreso per es.
da Cicerone a Tusc. 4, 77 (cfr. Fedeli 1980, p. 84), che si limita però a parlare di loci
mutatione, senza riferimenti a mete esotiche.
2
L’interpretazione del passo è controversa (cfr. Fedeli 1997, p. 1086), ma che siano
i munera maris (forse le perle) ad arricchire gli Indi lo fa pensare il precedente catulliano, che presenta questa popolazione come rivierasca.
3
Per altre riprese di Catullo nella 1, 1 cfr. Zetzel 1996, pp. 85-87; altre riprese di
Catul. 11 in Properzio sono discusse da Lucifora 1999, p. 106.
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dei viaggi connessi, in positivo o in negativo, all’esperienza elegiaca.
Non è sempre segnalata, per questi ipotetici viaggi, la presenza antropica, ma è significativa l’idea stessa che luoghi lontani e remoti possano
essere raggiunti dal poeta senza rischi notabili di incolumità. Vedremo fra
poco quali impicazioni questa assunzione comporti; preliminarmente converrà segnalare le linee portanti dell’esperienza properziana del viaggio.
Nella 1, 6 il poeta immagina di accompagnare Tullus nella trasferta
che sta intraprendendo (probabilmente al seguito dello zio L. Volcacius
Tullus, proconsole in Asia nel 30-29 a.C. 4): non ego nunc Hadriae vereor
mare noscere tecum, / Tulle, cum Aegaeo ducere vela salo, / cum quo Rhiphaeos
possim conscendere montis / ulteriusque domus vadere Memnonias (vv. 1-4). Il
viaggio è solo vagheggiato, in quanto il poeta avverte di essere trattenuto a Roma da Cinzia (v. 5: sed me complexae remorantur verba puellae) e di
non poter quindi accompagnare l’amico, ma proprio la ipotizzata presenza del poeta giustifica, si direbbe, la proiezione del viaggio ai confini
del mondo: se i riferimenti all’Adriatico e all’Egeo sono infatti compatibili con l’itinerario di Tullus 5, l’evocazione dei monti Rifei e della terra
di Memnone (l’Etiopia), proietta il viaggio all’estremo settentrione e al
confine meridionale dell’ecumene. È un un tratto, questo, che caratterizza l’approccio properziano rispetto agli analoghi viaggi offerti agli
amici per es. da Orazio, ad epod. 1, 11-4 e a carm. 2, 6, 1-4, anch’essi
iperbolici, ma comunque circoscritti ai reali confini del dominio romano.
La proiezione ‘esotica’ dei viaggi di 1, 1 e 1, 6 è funzionale al ruolo
antagonistico che essi svolgono rispetto all’amore elegiaco: dichiarato
nel caso di 1, 1, dove il viaggio deve allontanare il poeta non solo da
Cinzia ma dalle donne in genere (v. 30: qua non ulla meum femina norit
iter); potenziale nella 1, 6, e prontamente scartato per la non disponibilità del poeta ad allontanarsi dalla donna amata. Nel prosieguo dell’esperienza elegiaca il carattere antagonistico assegnato al viaggio appare anche accentuato: nella 2, 30 il poeta enfatizza l’inutilità del viaggio
quale rimedio d’amore: quo fugis, a demens? nulla est fuga: tu licet usque /
ad Tanain fugias, usque sequetur Amor (vv. 1-2), dove troviamo ancora indicata una meta esotica, l’odierno Don (così anche Orazio nell’apertura
di carm. 3, 10, Extremum Tanain si biberes, Lyce 6).
4
Cfr. Fedeli 1980, p. 168.
Dubito che la citazione dei due mari evochi al lettore (come ritiene Baker 1990,
p. 69) una polarizzazione est / ovest (avendo quale centro la Grecia?) parallela a quella
nord / sud certamente presente nei riferimenti successivi (cfr. oltre).
6
Cfr. Fedeli 2005, p. 629.
5
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Gli sviluppi del libro III, che preludono alla fine dell’amore per
Cinzia, vedono una significativa rettifica della geografia del viaggio delineata in precedenza. La 3, 21 annuncia un magnum iter (v. 1) e una
longa via (v. 2) 7 ma la meta, questa volta, è la vicina Atene: magnum iter
ad doctas proficisci cogor Athenas, / ut me longa gravi solvat amore via (vv. 1-2).
È un viaggio che replica quello programmato nella 1, 1, come evidenzia
l’analoga apostrofe agli amici (v. 15), nel quale l’esito ‘terapetico’ è assicurato proprio dalla sostituzione delle extremae gentes di 1, 1, 29 con la
sede filosofica per eccellenza, appunto Atene, lungo un tragitto che Properzio descrive in modo dettagliato (vv. 15-23). La fuoriuscita dalla dimensione elegiaca è ben evidenziata dall’approdo che il poeta raggiunge
al termine del suo viaggio, ecce coronatae portum tetigere carinae (3, 24, 15) 8.
Un’analogo ritorno interessa, nel finale del libro III, anche il Tullus del
progettato viaggio di 1, 6, che nella 3, 22 abbandona la provincia per
dedicarsi ai doveri famigliari (vv. 40-42) e ritorna nella parens (v. 39)
Italia di cui l’elegia celebra un elogio dai toni scopertamente virgiliani.
Le due elegie (3, 21-22), chiaramente correlate 9, evidenziano movimento centripeto narrativamente conseguente alle spinte centrigughe e alle
destinazioni esotiche evidenziate dai viaggi immaginati nella dimensione
elegiaca.
2. Nella 1, 1, come abbiamo visto, il poeta chiede agli amici di
accompagnarlo per extremas gentis (v. 29), probabilmente nella terra degli
Indi: popolazione non soggetta al dominio romano, ma disponibile, si
direbbe, ad accogliere il poeta in fuga da Roma e a coadiuvare la finalità terapeutica del viaggio.
È questo un’approccio, nei confronti dell’alterità etnica, che possiamo considerare paradigmatico dell’immaginario properziano: anche le
popolazioni più remote e barbariche sono sensibili al linguaggio elegiaco. Nella 3, 16 leggiamo, a questo proposito, un dichiarazione eclatante
(avvertita come tale già dai lettori antichi, come evidenzia il graffito
pompeiano che la riprende 10): quisquis amator erit, Scythicis licet ambulet
oris, / nemo adeo ut noceat barbarus esse volet (vv. 13-14). Dauge vede qui
ripreso il topos « des êtres élémentaires, qui subissent l’ascendant d’une
7
Da intendersi certo principalmente sul piano temporale, in riferimento alla passione
nutrita dal poeta: cfr. Fedeli 1985, p. 609.
8
Riecheggia Verg. georg. 1, 303-304 (cfr. Fedeli 1985, p. 683).
9
Cfr. Fedeli 1980, p. 168.
10
CIL IV 1950 (cfr. Ferraro 1984).
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force magique ou spirituelle » 11, ma ciò che Properzio prospetta è piuttosto l’universalità del codice elegiaco, che afferma comprensibile anche
agli Sciti, prototipo di popolazione barbarica nella tradizione etnografica antica. La designazione di barbarus, per colui non rispettasse l’amator,
è certo correlata alla citazione della Scizia 12, ma assume qui un valore
assoluto, in relazione alla sensibilità nei confronti della sofferenza dell’amator 13 e, più in generale, del codice elegiaco. La dimensione elegiaca sembra delineare, per questo aspetto, una demarcazione che ridefinisce la figura del barbarus, sovrapponendosi a quella tradizionale di tipo
etnico.
Possiamo verificare questa ipotesi esaminando qualche altra occorrenza properziana del termine. Nella 2, 16 rivale del poeta è un praetor
ab Illyricis [...] terris (v. 1) designato come barbarus, già messo in vendita
al mercato degli schiavi: barbarus excussis agitat vestigia lumbis / et subito
felix nunc mea regna tenet (vv. 27-28). L’immagine è ovviamente iperbolica, nell’idea stessa di uno schiavo che diventa pretore 14. Essa presenta
peraltro echi di Verg. ecl. 1, 69-71, dove barbarus è il rozzo miles che si
impadronirà delle terre confiscate, i mea regna di Melibeo (v. 69): l’antitesi fra barbarie / mondo militare e civiltà / mondo colonico genera,
come è stato osservato 15, l’immagine properziana del rivale-barbaro, contrapposto non più al colono, ma all’amante elegiaco. Non secondaria,
nell’operazione, è la localizzazione illirica, che rimarca il paradosso del
governatore di una provincia tradizionalmente ‘barbarica’ che è barbarus
lui stesso. La scelta dell’Illiria appare d’altra parte paradigmatica, nella
narrazione properziana, quale sede disagiata, dalla quale muovono i rivali del poeta: già nella 1, 8 troviamo Cinzia tentata dal seguire un
Illiria un amante, di stanza evidentemente in quella provincia: an tibi
sum gelida vilior Illyria? (v. 2) 16. In ambedue i casi la destinazione è
funzionale alla notazione sui disagi del viaggio necessario per raggiungere la regione: nella 1, 8 il poeta mette in guardia Cinzia dai pericoli
che la attendono (vv. 5-6: tunc audire potes vesani murmura ponti / fortis et
11
Dauge 1981, p. 163.
Come rimarca Fedeli 1985, p. 503.
13
La predilezione di Properzio (e di Ovidio) per l’uso di barbarus nel senso di
incultus, ferus è segnalata da Dimundo 2000, p. 138n.
14
Cfr. Fedeli 2005, p. 487.
15
Cfr. Lucifora 1999, pp. 46-48. Il dibattito critico sul passo è richiamato in Fedeli
2005, pp. 487-488.
16
Fedeli 2005, p. 473 è giustamente scettico sull’identificazione fra il rivale di 1, 8
e quello di 2, 16.
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in dura nave iacere potes?); nella 2, 16 egli si rammarica che il rivale non
sia naufragato sugli Acrocerauni (v. 3) e si augura di vederlo ripartire al
più presto (v. 10: dic alias iterum naviget Illyrias).
Un altro caso in cui l’appellativo barbarus appare correlabile con la
dimensione elegiaca lo troviamo nella 3, 8, dove esso è riferito ad Ettore: barbarus Hector (v. 31). L’appellativo appare di per sé problematico:
Fedeli lo ha spiegato rinviando alla definizione corrente dei Troiani quali
barbari 17; Heyworth, ritenendolo incongruo 18, ha accolto la congettura
Dardanus di Heinsius. Ma è forse significativo il fatto che Ettore, nel
contesto dell’elegia, sia posto in opposizione a Paride, che Helenae in
gremio maxima bella gerit (v. 32). Un Paride, diremmo, ‘elegiaco’, che il
poeta assimila a se stesso, impegnato a contendere Cinzia ai propri rivali (v. 33).
Un’analoga caratterizzazione di Ettore è rilevabile nella 2, 22, dove
è rimarcata la sua immagine di marito fedele all’amore coniugale: ferus
Andromachae lecto cum surgeret Hector, / bella Mycenaenae non timuere rates?
(vv. 31-32). L’appellativo ferus, riferibile all’atto di alzarsi dal letto per
andare a combattere 19, è centrale nell’immagine proposta: lo evidenzia
il fatto che poco oltre esso sia ripreso in riferimento al poeta stesso, che
dichiara di voler essere anche lui ferus: hic ferus Hector ego (v. 34), in
imprese erotiche modellate, come di consueto, su quelle belliche.
Alla definizione di una ‘barbarie’ caratterizzata da estraneità e/o avversione all’amore elegiaco fa riscontro, come abbiamo visto nel caso
della 3, 16, la permeabilità delle popolazioni barbariche al codice elegiaco. L’area scitica che abbiamo trovato citata in questa elegia è evocata
anche nella 2, 7, dove sono citate le popolazioni stanziate lungo il Boristene: hinc etenim tantum meruit mea gloria nomen, / gloria ad hibernos lata
Borysthenias (vv. 17-18). La notazione sul freddo della regione scitica, qui
rappresentata dal Dnjepr, è topica 20 e rende più eclatante l’idea che la
fama del poeta possa arrivare in queste regioni. Essa ribalta, peraltro, la
celebre affermazione di Cicerone sulla limitatezza degli spazi ai quali
può ambire la gloria umana nell’orbe terrestre: quis in reliquis orientis aut
obeuntis solis ultimis aut aquilonis austrive partibus tuum nomen audiet? quibus amputatis cernis profecto quantis in angustiis vestra se gloria dilatari velit
(rep. 6, 22). Cicerone presuppone l’idea di un’ecumene abitata da popo-
17
18
19
20
Fedeli 1985, p. 296.
Cfr. Heywoth 2007, p. 317.
Così Fedeli 2005, p. 643.
Cfr. Fedeli 2005, p. 237.
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lazioni lontane ed ostili; nella visione di Properzio anche le popolazioni
più lontane sono sensibili al linguaggio elegiaco, e quindi in grado di
supportare la fama del poeta elegiaco. È di un certo interesse il fatto
che l’idea sia corredata, nel contesto della recusatio proposta dall’elegia,
dall’immagine di una militia espansionistica alternativa a quella militare,
ovviamente pacifica (v. 14: nullus de nostro sanguine miles erit) e capitanata da Cinzia, che il poeta dichiara di voler seguire con entusiasmo negli
accampamenti: quod si vera meae comitarem castra puellae, / non mihi sat
mgnus Castoris iret equus (vv. 15-16). Una proiezione, in dimensione elegiaca anziché militare, del programma espansionistico della propaganda
augustea.
3. I tratti properziani rilevati evidenziano l’idea di un’ecumene
aperta, sul piano geografico come su quello etnografico, nel quale il
poeta raggiunge senza trovare ostacoli gli estremi del mondo e trova
extremae gentes accessibili al linguaggio elegiaco. Questa immagine del
mondo ha qualche rapporto con quella presupposta dalla cosiddetta ‘carta’
di Agrippa, fatta esporre da Augusto nella porticus Vipsania. È vero che
ciò avvenne dopo la morte di Agrippa, fra il 7 e il 2 a.C., e quindi in
un’epoca in cui l’opera di Properzio era già divulgata, ma l’idea dello
spazio e del mondo postulata dalla carta si era delineata già da qualche
decennio, in coincidenza con i nuovi assetti determinatisi con il dominio augusteo.
La configurazione precisa della carta resta incerta 21, ma appare
piuttosto verosimile che essa ricalcasse la tradizionale forma della clamide greca 22, con una marcata sottovalutazione dell’estensione dei continenti asiatico ed africano, e quindi delle aree non sottoposte al dominio
romano 23. Una sottovalutazione funzionale, come osservava Moynihan,
ad una sorta di mitologia geografica, per la quale « the empire was not
a vulnerable band of land cicling the Mediterranean at one tip of the
Eurasian landmass. Rather, it was the larger portion of the habitable
earth, poised on the verge of world rule » 24. Una rappresentazione del
tutto opposta a quella proposta qualche anno prima da Cicerone, nel
contesto già ricordato sopra per la posizione antitetica a quella di Properzio sulla possibilità di diffusione della fama: vides habitari in terra
21
22
23
24
Cfr., fra i lavori recenti, Talbert 2010, p. 255.
Cfr. Moynihan 1985, pp. 154-155.
Sulle testimonianze della carta di Agrippa cfr. Arnaud 2007-2008.
Moynihan 1985, p. 152.
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raris et angustis in locis et in ipsis quasi maculis, ubi habitaturm vastas solitudines interiectas (rep. 6, 20).
Questa forte discontinuità che caratterizza l’immagine del mondo
negli anni che intercorrono fra la crisi della repubblica e l’instaurazione
del principato augusteo, già esplorata una ventina d’anni fa da Nicolet 25, è correlabile con quella « cultural revolution » che Wallace-Hadrill 26
ha individuato, più recentemente, in aspetti diversi della cultura di quest’epoca. Essa interessa in particolare il cosmopolitismo, correlato con
l’allargamento della cittadinanza che aveva interessato Roma nei decenni precedenti e con i rapporti interculturali che si intensificano in quest’epoca. Vedremo fra poco quali echi questi fenomeni trovino nell’opera
properziana. Un tratto ulteriore a cui Wallace-Hadrill conferisce notevole rilievo è quello del cosmopolitismo delle merci, relativo in particolare
il mercato dei consumi di lusso 27.
Anche questa tematica trova ampio riscontro nelle Elegie properziane: specie in riferimento ai beni preziosi posseduti o desiderati da Cinzia, dei quali è frequentemente rimarcata la provenienza orientale. Il
poeta per lo più contesta questa dinamica consumistica, recuperando
pulsioni suntuarie frequenti nella tradizione romana e riproposte in quegli anni dalla politica augustea 28, ma mostra anche una particolare insistenza nel segnalare l’origine esotica di quelle merci, enfatizzando quella dimensione globale ed ecumenica dell’universo elegiaco che abbiamo
trovato rimarcata dai viaggi (Propezio, come ha osservato Dauge, « devait prendre plaisir à observer l’aspect cosmopolite et colorè des rues
romaines » 29).
L’omologia fra il viaggio e l’importazione di merci esotiche è ben
evidente nel caso della 2, 16, dove Cinzia vorrebbe che il poeta si recasse lui stesso in India e nella Fenicia per approvigionarla di gemmae e di
stoffe purporee: semper in Oceanum mittit me quaerere gemmas / et iubet ex
ipsa tollere dona Tyro (vv. 17-18). Un’intera serie di provenienze esotiche
è nella 3, 13, ad esemplificazione dell’avidità delle fanciulle: Inda cavis
aurum mittit formica metallis, / et venit e Rubro concha Erycina salo, / et Tyros
ostrinos praebet Cadmea colores, / cinnamon et multi pastor odoris Arabs (vv. 5-8).
Spicca, in ambedue i passi, la presenza dell’India, regione privilegiata
25
26
27
28
29
Nicolet 1989, pp. 95-100.
Wallace-Hadrill 2008.
Wallace-Hadrill 2008, pp. 315-440.
Cfr. Mastrorosa 2005.
Dauge 1981, p. 163.
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(come vedremo) anche nella prefigurazione delle conquiste augustee.
Perle e preziosi importati dall’area indiana sono citati anche a 1, 8, 39
(non Indis flectere conchis); 2, 22, 10 (Indica gemma30); 1, 14, 11 (et legitur
Rubris gemma sub aequoribus 31); 1, 15, 6 (nec minus Eois pectus variare
lapillis). L’Arabia è citata per i profumi anche a 2, 29, 17 (Arabum de
gramine odores) e, sorprendentemente, per la seta a 2, 3, 15 (Arabo lucet
bombyce papilla 32); la Siria per gli unguenti a 2, 13, 30 (cum dabitur Syrio
munere plenus onyx 33); usuali i riferimenti alle città della Fenicia per la
porpora (per es. 2, 16, 55: ne tibi sit tanti Sidonia vestis, in ripresa del
cit. v. 18 dove Cinzia manda il poeta a tollere dona Tyro 34) o semplicemente per il colore purpureo (cfr. per es. 2, 29, 15: quae cum Sidoniae
nocturna ligamina mitrae 35). L’interesse per l’esotismo è rilevabile anche
nell’accenno alle tigri dell’Armenia, che il poeta augura al rivale della
1, 9 di dover affrontare: tum magis Armenias cupies accedere tigris (v. 18);
un riferimento che prelude all’importazione di reali tigri a Roma, registrata a partire dall’11 a.C. 36.
4. L’immagine di un mondo unificato sotto il dominio di Roma,
sancita dal virgiliano imperium sine fine di Aen. 1, 174 o dall’identificazione fra urbs ed orbis, corrente nella poesia tardoaugustea 37, era ovviamente contraddetta dalla presenza di vaste aree non controllate dai Romani,
pur nelle deformazioni che doveva caratterizzare, come abbiamo visto,
la carta di Agrippa (e la cartografia in genere). L’incongruenza era per
lo più risolta, nella propaganda corrente, dai progetti di imminenti conquiste e da una gestione mirata della politica estera, ben documentata
nel caso della diplomazia partica e dell’annosa questione della restituzione delle insegne perdute da Crasso e da Antonio.
Fra i diversi fronti bellici in cui Roma era all’epoca variamente impegnata, Properzio appare piuttosto disinteressato nei confronti delle vicende germaniche. Ad esse egli riserva solo un accenno cursorio nella
30
Gemma piuttosto che perla: cfr. Fedeli 2005, p. 634.
Fedeli 1980, p. 328: perle, piuttosto che pietre preziose.
32
Forse per continuità con l’Assiria, produttrice di seta per Plin. nat. 11, 78 (cfr.
Fedeli 2005, p. 133).
33
Cfr. Fedeli 2005, p. 392.
34
Per cui Sidonia designa la porpora, e non solo il colore: cfr. Fedeli 2005, pp. 508-509.
35
Sul sorprendente copricapo notturno con cui si presenta Cinzia cfr. Fedeli 2005,
p. 827.
36
Cfr. Fedeli 1980, p. 242.
37
Cfr. Bréguet 1969; Stok 2001, p. 279.
31
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3, 3, in un contesto in cui sono rievocati i trionfi realizzati da Mario a
spese di Cimbri e Teutoni, barbarus aut Svevi perfusus sanguine Rhenus
(v. 45: si noti qui l’uso di barbarus nell’accezione etnografica del termine),
dove si legge di solito un riferimento allo sconfinamento degli Svevi e
al successivo intervento del 29 a.C. 38, ma che potrebbe forse riguardare
il più lontano intervento di Giulio Cesare contro Ariovisto 39. Un ulteriore accenno alle vicende germaniche è rilevabile nella 4, 6, dove Properzio ricorda la campagna contro i Sigambri del 16 a.C. (v. 77: ille [scil.
Bacchus] paludosos memoret servire Sygambros) e, in termini più sfumati, la
campagna nubiana del 23-22 a.C. (v. 78: Cepheam hic [scil. Phoebus] Meroën fuscaque regna canat) 40.
Maggiore spazio è dedicato da Properzio non solo alla questione
partica, che ha certamente nella politica dell’epoca il rilievo maggiore,
ma anche al meno rilevante fronte britannico, che vide solo qualche
progetto di riconquista da parte di Augusto, dopo l’abbandono dell’isola
successivo alla spedizione di Giuio Cesare: progetto a più riprese dibattuto (nel 34 a.C. e poi nel 27 a.C.: cfr. Cass. Dio 49, 38) ma mai
diventato operativo.
Questo rilievo assegnato alla Britannia appare funzionale, nell’immaginario geografico delle Elegie, alla polarizzazione est / ovest con cui Properzio rimarca la vastità dell’ecumente romano (anche la carta di Agrippa, va osservato, privilegiava probabilmente la longitudine rispetto alla
latitudine). La scelta è funzionale alla valorizzarizzazione della distanza
dei fronti militari da Roma, con un’assimilazione, nella dinamica elegiaca, fra partecipazione alla guerra e viaggio, ambedue fattori di lontananza / separazione dalla donna amata.
È da questa prospettiva che il poeta delinea nella 2, 27 un’alternativa
fra due possibili proprie destinazioni belliche, appunto quella partica e
quella britannica: seu pedibus Parthos sequimur seu classe Britannos (v. 5).
Un’alternativa che mi pare suggerita anche nella 2, 9, dove il poeta, vagheggiando la possibilità di allontanarsi da Cinzia, si chiede che cosa farebbe la donna: quid si longinquos retinerer miles ad Indos, / aut mea si staret
navis in Oceano? (vv. 29-30). La prima eventualità è quella della partecipazione ad una campagna militare in India, che in realtà non fu mai all’ordine giorno, restando l’India al di fuori delle mire strategiche augustee 41
38
39
40
41
Cfr. per es. Camps 1966, p. 68.
Come ritiene Fedeli 1985, p. 151.
Cfr. Fedeli 1985, p. 171.
Cairns 2006, pp. 332-333.
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(ci furono, invece, contatti diplomatici instaurati in quegli anni da Augusto: cfr. Oros. 6, 21, 19; Cass. Dio 54, 9, 8-10); il riferimento sarà da
intendere, nel caso specifico, alla campagna partica, effettivamente e a
più riprese ventilata. La seconda eventualità prospettata vede il poeta
quale nauta / mercator, disperso in un « mare legato al senso dell’ignoto e
all’idea del pericolo » 42. Ma l’alternativa fra le due eventualità fa pensare, anche per la seconda, ad una finalità bellica: il riferimento all’Oceano suggerisce che si tratti proprio della Britannia, all’estremità opposta
al fronte orientale, fronte bellico raggiungabile con una navigazione oceanica.
Anche la 2, 10 rivela, ancora non in modo esplicito, la consueta
polarizzazione geografica: iam negat Euphrates equitem post terga tueri /
Parthorum, et Crassos se nuisse dolet. / India quin, Auguste, tuo dat colla
triumpho / et domus intactae te tremit Arabiae; / et si qua extremis tellus se
subtrahit oris / sentiat illa tuas postmodo capta manus (vv. 13-18). Il fronte
orientale è rappresentato in questo caso dai Parti, dall’India e dall’Arabia: l’intactae di v. 16 suggerisce di datare l’elegia ad epoca precedente
alla disastrosa spedizione arabica di Elio Gallo (25-24 a.C.) 43. La tellus
estrema non ancora sottomessa, oltre a quelle citate, sarà da identificarsi
anche in questo caso con la Britannia 44, completando il quadro dell’orbe terrestre.
Più elaborato, ma basato anch’esso sulla polarizzazione est / ovest, è il
quadro che vede impegnato Licota nella 4, 3, dove lo sguardo spazia
dall’oriente di Bactra agli occidentali Britanni, passando in rassegna
popolazioni caucasiche e danubiane (in riferimento alla campagna getica del 28-27 a.C. 45), e tornando poi all’estremità orientale rappresentata
dagli Indi: te modo viderunt iteratos Bactra per ortus 46, / te modo munito
Neuricus hostis equo, / hibernique Getae pictoque Britannia curru / ustus est
Eoa decolor Indus aqua (vv. 8-10). Toponimi ed etnomini, come osserva
Hutchinson, riflettono le attività militari dell’epoca ma sono focalizzati
42
Fedeli 2005, p. 294. Sull’immagine del mare in cui il poeta immagina di disperdersi cfr. le osservazioni di Günther 2006, p. 338 (« Propertius nauta »).
43
Cfr. Fedeli 2005, p. 325.
44
Così Cairns 2006, p. 339; più improbabile che possa trattarsi dell’Egitto, come
ritiene Lucifora 1999, p. 106, nel presupposto che l’elegia sia precedente alla battaglia
di Azio (31 a.C.).
45
Cfr. Fedeli 1965, p. 123.
46
Bactra per ortus, omesso da N, è espunto da Hutchinson 2006, p. 104: cfr. la
discussione del problema in Günther 1997, p. 67; Heyworth 2007 accoglie il (pregevole)
emendamento di Housman Bactra per arcus.
BARBARI E ALTERITÀ ETNICA NELLE ELEGIE DI PROPERZIO
165
anche « on remote extremes, wich Augustus had not necessarly quite
reached yet » 47. Questa connotazione appare evidente soprattutto per il
fronte orientale, dove il riferimento a Bactra (prediletto da Properzio)
prefigura un’avanzata romana oltre lo stesso regno dei Parti, fino a quell’aqua (v. 10) che, come abbiamo visto, è spesso citata per rimarcare il
limite oceanico delle terre orientali 48.
Se i riferimenti properziani alla guerra in Britannia trovano solo
qualche riscontro nei progetti augustei di riconquista dell’isola, più consistenti implicazioni storico-politiche presentano i riferimenti alla guerra
partica, che interessano una questione delicata della politica augustea. I
riferimenti, anche incidentali, sono frequenti: nella 2, 13 le frecce di
Amore sono paragonate a quelle achemenie (vv. 1-2) 49; nella 2, 14 la
vittoria sui Parti è citata come misura dell’affermazione del poeta sui
rivali: haec mihi devictis potior victoria Parthis (v. 23), con successiva metafora dell’inscriptio del vincitore sulle colonne del tempio (vv. 25-32) 50.
L’insistenza properziana sulla rivincita della disfatta di Carre potrebbero riflettere una dialettica interna all’entourage augusteo 51. Certamente lo sviluppo del tema, dalla 2, 14 alla 4, 6, risente dell’evoluzione
della politica estera di Augusto, che nel 20 a.C. approdò all’accordo con
la diplomazia di Fraate IV, nel quale era contemplata la restituzione
delle insegne perdute in precedenza dagli eserciti romani. Quel che interessa qui rilevare è il ruolo ‘residuale’ che Properzio assegna alla campagna partica relativamente al controllo del mondo, l’idea cioè che la
sconfitta dei Parti sia l’ultima mossa per pervenire alla completa dominazione del mondo.
È di un certo interesse l’insistenza con cui Properzio cita il toponimo
Bactra, emblematica di una prospettiva di espansione proiettata oltre
l’impero partico. La fortuna del toponimo era stata certamente preparata da Virgilio, che lo utilizza nella laus Italiae delle Georgiche, accostata
all’India e alla Pancaia (vv. 138-139: non Bactra neque Indi / totaque turiferis Panchaia pinguis harenis) in opposizione all’Italia, e nell’Eneide, quale
47
Hutchinson 2006, pp. 103-104.
Una simbologia erotica nei riferimenti properziani ai limiti del mondo è ipotizzata da Janan 2001, p. 38; sull’espressività emotiva della geografia properziana cfr. già
Stahl 1985, p. 7.
49
Nella tradizione manoscritta a brandire le frecce achemenie è un guasto etrusca,
variamente emendato (cfr. Fedeli 2005, p. 365). Heyworth ha accolto Itura (cfr. Heyworth
2007, pp. 161-162); altre ipotesi: Susa (recc.), Bacrta (Oudendorp), Persa (Barber).
50
Cfr. Fedeli 2005, p. 430.
51
Cfr. Cristofoli 2008, pp. 176-181.
48
166
FABIO STOK
luogo di provenienza di truppe schierate da Antonio nella battaglia di
Azio, et ultima secum / Bactra vehit (8, 687-688), dove ultima evidenzia la
distanza geografica della regione. La citazione fu forse suggerita dall’autoidentificazione propagandistica di Antonio con Alessandro Magno, la
cui moglie, Roxane, era figlia del satrapo della Battriana 52. La fortuna
del toponimo è confermata da Orazio, che carm. 3, 29, 27-28 assimila
senz’altro la regione con il regno dei Parti (regnata Cyro / Bactra). Properzio sembra privilegiare il toponimo quale nome di città, piuttosto
che di regione, e ne fa, nella 3, 1, il traguardo conclusivo della conquista del mondo: multi, Roma, tuas laudes annalibus addent, / qui finem imperii Bactra futura canent (vv. 15-16) 53. Il toponimo è citato ancora nella 3,
11 per la sua conquista ad opera di Semiramide (v. 26: iussit at imperio
subdere Bactra caput; sulla vicenda a cui Properzio fa riferimento cfr. Diod.
2, 6, 2-8) e poi nella già citata 4, 3, per l’impegno di Licota nella guerra
partica (v. 7: te modo viderunt intensos Bactra per arcus; v. 63: ascensis tanti
sit gloria Bactris). Bactra appare paradigmatica, nella visione properziana,
della porzione remota ed insieme residua dell’ecumene.
5. Uno dei fenomeni che caratterizzano la « cultural revolution » descritta da Wallace-Hadrill è l’idea di ‘permeabilità della cittadinanza’:
un’idea alimentata dall’estensione dei diritti di cittadinanza che aveva
fatto seguito alla guerra sociale e che avrà come esito il ben noto dibattito dell’epoca di Claudio sull’accesso al Senato della Gallia Comata 54. Il
rilievo che essa presenta nela cultura augustea è ben evidenziato dalla
ripresa della tradizione dell’asylum Romuli (tema che sarà addotto da
Claudio a favore dell’integrazione dei Galli) 55, proiezione mitica di una
politica di aggregazione e di assimilazione nei confronti delle diverse
popolazioni dell’impero, che già in età augustea è funzionale non solo
all’assimilazione delle popolazioni italiche ma anche al più generale assetto interetnico dell’impero 56.
Apertura e permeabilità non escludono, come ha notato WallaceHadrill, « the opposite side of the coin » 57, cioè reazioni di chiusura e di
52
Cfr. Rossi 1984.
Così Fedeli 1985, p. 66. Diversa interpretazione in Newman 1997, p. 234: « through Propertius, Augustus may reassure his people that, whatever his eastern ambitions,
they will be duy restrained ».
54
Wallace-Hadrill 2008, pp. 443-448.
55
La tradizione di questo motivo è ricostruita da Dench 2005, pp. 93-151.
56
Cfr. Lee-Stecum 2008, p. 78.
57
Wallace-Hadrill 2008, p. 446.
53
BARBARI E ALTERITÀ ETNICA NELLE ELEGIE DI PROPERZIO
167
xenofobia, connesse all’affermazione del dominio imperiale e della centralità di Roma. Ambedue gli approcci traspaiono e si intrecciano anche
nelle testimonianze letterarie. In Properzio l’apertura universale e cosmopolita della dimensione elegiaca, che abbiamo esplorato sopra, è bilanciata da rivendicazioni di tipo esclusivistico: così nella già citata laus
Italiae di 3, 22 e, in termini politicamente più pregnanti, nella 3, 11,
dove la supremazia di Roma è affermata in opposizione all’eversione
operata da Cleopatra, septem urbs alta iugis, toto quae praesidet orbi / femineas timuit territa Marte minas (vv. 57-58) 58. Heyworth ha espunto il v. 58,
ipotizzando una lacuna 59, ma resta comunque centrale, nell’elegia, l’esecrazione di Cleopatra, in termini che si riverberano sull’intero Egitto,
anche nella ripresa di stereotipi di tipo etnico: al v. 34 leggiamo un
giudizio di questo tipo su Alessandria, ma esso riguarda ovviamente gli
Egiziani in genere: noxia Alexandria dolis aptissima tellus. Pregiudizio che
a Roma doveva essere corrente già in età tardorepubblicana (è testimonato anche da Cicerone a Rab. Post. 35: Audiebamus Alexandriam, nunc
cognoscimus: illim omnes praestigiae, illim, inquam, omnes fallaciae 60), e che
fu alimentato negli anni successivi dal clima antiegiziano determinato
dallo scontro con Antonio.
Quello di 3, 11 non è un giudizio isolato. Al di là della ripresa di
motivi politici relativi ad Azio e alla sua gestione nella propaganda augustea 61, Properzio esibisce pregiudizi antiegiziani anche in contesti che
prescindono dalla storia recente. Di particolare interesse, a questo proposito, appare la 2, 33, dove lo spunto è costituito dalla castità dettata
a Cinzia dal culto di Iside. Deprecando l’introduzione del culto a Roma,
il poeta non si limita a presentare la divinità come antielegiaca, quae
dea tam cupidos totiens divisit amantes (v. 5), ma assume « il tono del cittadino romano scandalizzato » 62, lamentando che essa conquisti tanti adepti romani: an tibi non satis est fuscis Aegyptus alumnis? (v. 15). La notazione sul colore della pelle degli Africani è usuale (a 4, 6, 78 sono fusca i
regna di Meore; a 3, 14, 16 l’aurora colorat i popoli dell’Oriente) e non
presenterebbe di per sé motivo di pregiudizio 63, ma resta indubbio l’at-
58
Sul tono solenne del v. 57 cfr. Fedeli 1985, pp. 387-388.
Cfr. Heyworth 2007, pp. 317-318.
60
Cfr. Fedeli 1985, p. 374.
61
Cfr. Cristofoli 2008.
62
Fedeli 2005, p. 925.
63
Sull’uso di fuscus negli autori latini cfr. Snowden 1970, pp. 268-269; cfr. anche
Thompson 1989, pp. 51-53.
59
168
FABIO STOK
teggiamento negativo che il poeta mostra, e che lo porta a rimarcare la
distanza dell’Egitto da Roma (v. 16: cur tibi iam longa Roma petita via?) e
l’inimicizia fra i due paesi, delineando un’opposizione fra i due relativi
fiumi, cum Tiberi Nilo gratia nulla fuit (v. 20), che allude alla guerra
conclusasi ad Azio 64 e che è significativamente riproposta nella già citata
3, 11, et Tiberim Nili cogere ferre minas (v. 42).
Qualche rapporto con l’orientamento antiegiziano di Properzio potrebbe avere anche la singolare notazione di 2, 16, 40, dove l’Egitto,
raggiunto da Antonio in fuga dopo la battaglia di Azio, è presentato
come zona estrema della terra: et extremo quaerere in orbe fugam. I commentatori hanno ipotizzato che Properzio non si riferisca qui all’Egitto
ma ad una generica fuga dello sconfitto, « nel tentativo di arrivare il più
lontano possibile » 65, ma il parametro geografico, nelle coordinate properziane, è ridisegnato in funzione della topografia poetica, come abbiamo visto nel caso dei viaggi; la collocazione geografica tende a riflettere, nel caso specifico, la connotazione negativa dell’Egitto, qui ben motivata dal fatto di costituire l’ultimo rifugio di Antonio. Anche nella citata 2, 33, 16 Properzio aveva evidenziato la longa via percorsa da Iside,
enfatizzando quindi la distanza dell’Egitto da Roma.
Un altro caso in cui Properzio rivelerebbe « orgogliosi e convinti toni
nazionalistici » 66 è stato individuato nella 2, 18, dove è presa di mira
l’acconciatura esotica scelta da Cinzia: nunc etiam infectos demens imitare
Britannos, / ludis et externo tincta nitore caput? (vv. 24-25). Il nitor dei
Britanni è externus, termine che evidenzia non solo l’alterità ma anche
la topica marginalità geografica della Britannia. Nel caso specifico Properzio sembra riferirsi ad un uso celtico, come evidenzia il successivo
riferimento al Belgicus color (v. 26), una tintura per capelli da identificarsi probabilmente con la Batava spuma di cui parla Marziale a 8, 33,
20 67. Va osservato che la critica rivolta a Cinzia, di usare queso tipo di
64
Sull’immagine di Cleopatra nella propaganda relativa alla battaglia di Azio cfr.
Cristofoli 2005, pp. 194-195.
65
Così Fedeli 2005, p. 497. Diversamente Shackleton Bailey 1956, p. 286, che ritiene plausibile per l’Egitto la definizione properziana in considerazione di Cic. fam. 15, 9,
1, in ultimas gentes detto della Cilicia (ma la definizione è funzionale al contesto, non a
coordinate geografiche), e di Hor. carm. 3, 3, 45-48, dove in ultimas ... oras designa da
una parte lo stretto di Gibilterra, dall’altra l’Egitto (ma i due termini interessano qui,
più che l’ecumene, il Mediterraneo; è possibile che le foci del Nilo indicassero, nelle
coordinate geografiche suggerite da Orazio, il limite meridionale dell’impero: così per
es. Romano 1991, p. 739).
66
Così Fedeli 2005, p. 544. Analogamente anche Dimundo 2000, p. 320.
67
Cfr. Fedeli 2005, p. 547.
BARBARI E ALTERITÀ ETNICA NELLE ELEGIE DI PROPERZIO
169
trucco, non comporta una ripulsa tout court dello stesso, mostrando
Properzio un certo relativismo, che tende a riconoscere la specificità etnica dei criteri di bellezza: ut natura dedit, sic omnis recta figura est (v. 26).
Il color Belgicus è turpis, come abbiamo visto, ore Romano, non di per sé.
Un approccio di tipo relativistico nei confronti dell’alterità etnica,
quale è rilevabile nell’elegia citata, non era ignoto alla cultura romana
tardorepubblicana, come ben evidenzia Cornelio Nepote nel proemio
che ci rimane del De viris illustribus, ed appare implicito nelle forme di
dominazione che si andavano perfezionando nella prima età imperiale.
L’atteggiamento di Properzio è iscrivibile in questa dimensione, pur con
le oscillazioni evidenziate dal ‘caso’ egiziano.
Un’analoga apertura all’alterità, pur in una prospettiva romanocentrica, è rilevabile anche in una coppia di elegie che fanno ambedue
riferimento a costumi di poolazioni non romane: la 3, 13 sulla pratica
indiana di bruciare le vedove assieme al feretro del marito, e la 3, 14
sul comportamento delle donne spartane 68. Della pratica indiana, ben
documentata 69, Properzio propone una descrizione dettagliata che trova
qualche riscontro nelle altre fonti: felix Eois lex funeris una maritis, / quos
Aurora suis rubra colorat aquis 70. / Namque ubi mortifero iacta est fax ultima
lecto, / uxorum fusis stat pia turba comis, / et certamen habent leti, quae viva
sequatur / coniugium: pudor est non licuisse mori. / Gaudent 71 victrices et
flammae pectora praebent, / imponuntque suis ora perusta viris (vv. 15-22). La
valorizzazione del suicidio collettivo delle donne indiane, di per sé paradossale, è funzionale all’impianto moralistico dell’elegia, nella quale
non manca l’appello al proverbiale pauperismo della Roma arcaica: felix
agrestum quondam pacata iuventus / divitiae quorum messis et arbor erant
(vv. 25-26).
Il recupero della moralità femminile, nella 3, 13, è in pendant con
l’elogio della permissività femminile proposto nella 3, 14, con riferimento ad un’altra pratica culturale non-romana, quella di Sparta: multa
68
La correlazione delle due elegie è sottolineata da Cairns 2006, pp. 332-333, anche se resterei prudente sull’ipotesi del ricorso di Properzio ad una stessa « thaumatographic source ».
69
Cfr. Heckel-Yardley 1981.
70
Aquis è lezione recenziore accolta da Heyworth in luogo di equis dei codici antiquiori (lezione ripresa dalla maggior parte degli editori), avvalorata dai citati frequenti
riferimenti al confine oceanico delle terre orientali.
71
Congettura di Stephanus accolta da Heyworth (cfr. Heyworth 2007, p. 349) in
luogo della lezione tradita ardent (difesa da Fedeli 1985, p. 427); meno convincente la
soluzione plaudunt adottata da Giardina nella sua ed. del 2005.
170
FABIO STOK
tuae, Sparte, miramur iura palestrae (v. 1), dove iura, ripreso nel finale
dell’elegia (vv. 33-34: quod si iura fores pugnasque imitata Laconum, / carior
hoc esser tu mihi, Roma, bono), è il corrispettivo della lex funeris di 3, 13,
15. Il quadro che l’elegia propone, di una Sparta sessualmente licenziosa, è stata ritenuta marcatamente ironico, per la deformazione che Properzio sembra operare rispetto alla tradizione spartana, riletta in chiave
libertina 72, ma Cairns ha osservato come l’attribuzione della libertà sessuale alle donne spartane non sia estemporanea, al di là della sua fondatezza storica, e sembri ripresa seriamente da Properzio 73.
Nel complesso, nella duplice operazione di 3, 13 e 3, 14, Properzio
propone i due esempi di alterità culturale in termini che risentono certamente del punto di vista romano e delle modalità discorsive adottate,
ma che presuppongono comunque una focalizzazione culturale dei fenomeni descritti, consenguente alle modalità di relativismo elaborate dalla
cultura romana dell’epoca. L’utilizzazione dei due esempi, attentamente
divergente (moralistica nella 3, 13, libertina nella 3, 14), andrà valutata
nel suo insieme, nell’ambito della strategia narrativa properziana.
72
73
Cfr. Fedeli 1985, pp. 449-451.
Cairns 2006, pp. 376-377.
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