Classica Rock - Sound and Music

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Classica Rock - Sound and Music
Classica
F. MENDELSSOHN Sinfonies 4 & 5 (DG/Speakers Corner)
La carriera musicale di Lorin Maazel inizia presto, come violinista e più ancora come direttore d’orchestra. Si esibisce sul podio ad appena dieci anni e riceve l’invito di Toscanini nel
1941 a dirigere la “sua” NBC Symphony Orchestra. In settanta anni di grande musica alla testa delle maggiori orchestre (da ultimo con la New York Philharmonic) la sua energia, joie
de vivre e la spiccata simpatia mediatica lo hanno reso uno degli interpreti più amati dal
pubblico delle sale da concerto. Più volte ha diretto il Concerto di Capodanno, accrescendo
in tal modo la sua notorietà anche tra i non specialisti. Ancora di recente in Italia, a capo
dell’orchestra giovanile “Toscanini” ha dimostrato come lo slancio di un tempo non sia venuto meno. Il successo, trent’anni fa, nel lancio della Telarc in gran parte dipese dal fatto che
l’Orchestra di Cleveland (la formazione “di casa”) era in quel periodo diretta proprio da
Lorin Maazel, che di buon grado accettava di suonare per un’etichetta all’epoca sconosciuta.
Il resto è storia di una delle più stimolanti avventure editoriali in campo musicale.
Risulta di particolare interesse allora la ristampa in buon vinile Speakers Corner di un LP
della Deutsche Grammophon che lo vede protagonista, uno storico numero di catalogo
138684 che dovrebbe risalire al 1960/1961. Il programma comprende le sinfonie n.4
(Italiana) e n.5 (Riforma) di Mendelssohn, pagine di grande pregio che si distinguono nella
pur ricca produzione del primo Ottocento, fecondo frutto di uno degli autori più gradevolmente espressivi del suo tempo. Temi di grande fluidità, costruzione strumentale leggera e accattivante, andamento ritmico spesso vivace sono i tratti
essenziali del sinfonismo di Mendelssohn, il Mozart romantico per alcuni, capace di gemme di insospettabile piacevolezza. Soprattutto nella Quarta, dichiaratamente ispirata alla solarità italiana tanto in voga nell’Europa ottocentesca, la celebre apertura del primo tempo si lancia in un ritmo vorticoso e in una scrittura raffinata che viene duplicata nell’esilarante Finale, un “salterallo” in stile “partenopeo” che non manca di affascinare. La Filarmonica di Berlino segue con smalto
ineccepibile i ritmi serrati imposti da Maazel, confezionando un’edizione che dopo mezzo secolo non ha perso vigore.
Marco Cicogna
Rock
JIMI HENDRIX EXPERIENCE Axis: Bold As Love (Sony Legacy)
Incredibile ma vero: sette mesi appena separano nel 1967 (in mezzo il trionfo a Monterey)
“Are You Experienced?” dal successore, che esce in dicembre. Contrariamente al debutto, in
contemporanea e in edizione identica per i mercati UK e USA. È un LP complessivamente
più morbido e variegato, nello stesso tempo più black e ancora più zuppo di LSD. Potrebbe
risultare fuorviante “Exp”, che con i suoi stridori chitarristici in andirivieni da un canale
all’altro sembrerebbe riprendere le fila del discorso di “Are You Experienced?” esattamente
da dove si era interrotto, ma subito “Up From The Skies” svolta, declinando sublime Curtis
Mayfield “in jazz”. Se “Spanish Castle Magic” stordisce con passo marziale e chitarre sinuose e alate, “Wait Until Tomorrow” è un bittarello incantato e ironico, con un tocco di funk nel
basso. Se “Ain’t No Telling” dispiega asciutto rhythm’n’blues, “Little Wing” si strugge fra effetti di leslie e glockenspiel, la voce una carezza e la melodia pure, ove “If 6 Was 9” è un intossicante frullato, con alcune parti parlate invece che cantate, di blues trasfigurato in hard e
psichedelia. Tempo di girare il disco. “You Got Me Floatin’” anticipa di tondi vent’anni i
Living Colour, “Castles Made Of Sand” folkeggia e souleggia, “She’s So Fine” è un mirabile
manualetto (autore Noel Redding: si sente) di acid-pop albionico. E poi: “One Rainy Wish”
delicato acquerello, “Little Miss Lover” i Red Hot Chili Peppers già fra noi, “Bold As Love”
una ballata che l’impennarsi dell’elettrica spara su orbite remote in un universo di luce e angeli. Magnifico. Sin dall’esotica copertina che colloca Jimi in un pantheon di divinità indiane. Volete mettere il vinile con il CD?
Vi costerà quei quattordici euro portarvi a casa questa apprezzabile stampa major calda di pressa. Pesa qualche grammo meno di quella mono del 2008 per Classic Compact, ma il prezzo è la metà e, per quanto mi riguarda, stento anche
solo a concepirle non in stereo diverse di queste canzoni.
Eddy Cilìa
NIRVANA Bleach (Sub Pop)
Per un fantastico scherzo del fato, nel loro primo tour europeo i Nirvana suonarono a Berlino
il giorno dopo la caduta del Muro. L’uomo che avrebbe sbriciolato le barriere erette dai media statunitensi attorno al punk fu spettatore dell’evento storico più emozionante della seconda metà del XX secolo. Chissà se si rese conto della portata dell’accaduto. Sia come sia, i
Nirvana che avranno su tanto rock l’effetto di Gorbaciov sul comunismo in “Bleach” sono
ancora lungi dall’essere, come reciterà un titolo di “Nevermind”, “in fioritura”. Registrato e
mixato in quaranta ore, spendendo 606 dollari, il loro primo LP è grezzo e ombroso. Kurt
Cobain, Chris Novoselic e Chad Channing percorrevano in dieci pezzi su undici della scaletta originale i sentieri di un cupo post-punk indebitato tanto nei confronti dei Black Sabbath
che degli allora carneadi Melvins. Più che agli interpreti originali, gli Shocking Blue, pare un
omaggio a questi ultimi la rivisitazione di “Love Buzz”. Ma era quell’unica canzone fuori canone a raccontare cosa diventeranno i Nostri: spettacolarmente melodica, “About A Girl” faceva approdare John Lennon nel Nordovest americano e prometteva che dell’infelice Cobain
si sarebbe sentito ancora parlare. Quanto, nessuno poteva immaginarlo. In questa sontuosa
edizione in vinile bianco approntata per il ventennale, la Sub Pop non si è limitata ad aggiungere al programma di base i due brani già recuperati sin dalla prima ristampa in digitale. Ha raddoppiato con un secondo 33 giri, immortalante un concerto del febbraio ’90 altrimenti inedito. Trecentosessanta grammi di Storia.
Eddy Cilìa
AUDIOREVIEW n. 310 aprile 2010
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