Fondazione Telios

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Riflessioni sull'automobile oggi, leggendo:
Cento anni di automobile francese
Flammarion, Paris, 1984
Un elegante volume di 357 pagine, di grande formato, carta semi-patinata con fotografie e
riproduzioni a colori, dedicato a tutte le marche produttrici di autovetture in Francia dal
1884.
Classico libro-strenna, ma con testi di prim'ordine.
Oltre alla presentazione di Jean Panhard, rampollo del fondatore dell'omonima casa
costruttrice attiva fino agli anni '60, la prefazione di Michel Déon, accademico di Francia, è
tutt'altro che di routine.
Un testo di un intellettuale, che conosce la materia e la presenta da un punto di vista
soggettivo, da utente appassionato, con linguaggio avvincente (e molto sciovinismo).
Per gli uomini della mia generazione, le automobili sono state prima di tutto dei meravigliosi
giocattoli che diventavano grandi con noi: modelli in miniatura, poi automobiline a pedali che
facevano sognare i giocattoli più perfezionati che i grandi costruttori - Bugatti, Renault, Citroen,
Panhard - offrivano ai figli dei re.
Senza essere figli di re, ci si poteva permettere delle belle discese a carrozzeria scoperta, senza
freni, su piccole strade di campagna.
Al peggio, si rompeva del legno o si accartocciava della latta ritrovandosi nel fossato.
E' così che mi sono misurato per la prima volta con la velocità - una velocità tutta relativa - e che
ho concepito per essa un certo rispetto che è andato aumentando con gli anni.
Basta aver guidato una volta nella propria vita dietro a un grande pilota, a eguale andatura, su un
circuito come quello di Montlhéry, per capire che la velocità è, più che una scienza, un'arte dove
l'intuizione gioca un ruolo primordiale.
La mia prima vera automobile è stata inevitabilmente un piccolo bolide decapottabile a due posti,
col motore ruggente, meccanicamente fragile.
Il parabrezza abbassato accentuava la grinta.
Si era padroni a bordo, occorreva stare attenti a tutto.
Déon, che appartiene alla generazione che ha visto irrompere le auto negli anni '30 e ne
ha seguito l'evoluzione sino agli anni '80 del secolo scorso, continua la sua presentazione
descrivendo il significato dell'acquisto di un'automobile da parte di un jeune homme dei
tempi a cavallo dell'ultima guerra:
L'automobile era la libertà, il lusso di essere soli, padroni della propria strada, disponibili per tutte
le occasioni della vita che nello stesso tempo venivano provocate umiliando il pericolo.
Chi può vantarsi di essere sempre stato un guidatore saggio ?
E' solo col passare del tempo che si comprende quanto, rischiando la propria esistenza, si rischia
meno generosamente quella degli altri.
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C'è, nell'uso smodato della velocità da parte della gioventù, una sorta di romanticismo, un nuovo
male del secolo che non è possibile negare, addirittura fatale, direi.
Il passaggio ad una vettura più saggia - quattro posti, guida chiusa - è un vero tornante della vita.
Ci vuole un pò di tempo per amare anche questa.
L'imborghesimento ha le sue virtù.
Ma il ricordo resta, e sopraggiunge la riflessione: l'automobile è stata la grande invenzione del 20°
secolo.
Ha rivoluzionato i nostri costumi, ingrandito il nostro spazio, è stata un'avventura che ha preteso
mille sacrifici, che ha eccitato l'immaginazione degli uomini.
Ci ha liberato, ci ha reso suoi schiavi.
Dalle considerazioni sul rapporto emotivo che si instaurò fin dall'inizio tra uomo e
macchina, Déon passa quindi in rassegna alcuni episodi chiave della storia dell'auto in
Francia, per giungere ai giorni nostri.
Paris-Bordeaux-Paris ? sembrava impossibile, alla maggior parte degli specialisti, che
un'automobile potesse percorrere milleduecento chilometri in un colpo solo.
Due mesi prima della gara, una nuova iscrizione aveva fatto sensazione, quella di Charles
Jeantaud su una vettura elettrica di sua concezione.
Questo carrozziere-costruttore annunciava che avrebbe disposto di batterie ogni quaranta
chilometri.
E, per alimentare la sua pubblicità, avrebbe affittato un treno speciale per seguirlo.
Come Barnum.
L'undici giugno 1895, diciannove vetture prendono posto alla partenza sulla piazza d'armi di
Versailles, dodici a petrolio, sei a vapore, e una elettrica.
Allora: petrolio, vapore, o elettricità ?
Poichè non possiamo raccontare tutte le peripezie di questa straordinaria avventura, parliamo
semplicemente dei risultati.
Il vincitore, prima di tutto: Emile Levassor percorre la distanza in 48 ore e 47 minuti, alla media di
24 Km/h.
Fantastica performance !
Per due giorni, il motore ha girato senza intoppi, e il pilota non ha chiuso occhio !
Il vapore è sconfitto.
Solo la Bollée finisce all'ultimo posto.
Quanto a Jeantaud, ha realizzato un exploit epico.
Avendo dovuto raddrizzare il suo assale posteriore a Orléans - durata della riparazione: 24 ore raggiunse Bordeaux in 82 ore e 50 minuti.
Oggi, nel 1984, si deve constatare che la storica corsa Paris-Bordeaux-Paris tracciò senza alcun
errore il destino futuro dell'automobile
Così il motore a combustione interna e i pneumatici si sono imposti.
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Continueranno a farlo nel XXI° secolo.
Tuttavia, non si deve dimenticare che alla fine di questo XXI° secolo il petrolio diventerà sempre
più raro.
Allora, con quale energia si potrà andare per strada ?
Ecco che lo sguardo ritorna a Charles Jeantaud e al suo patetico destino, dato che si suicidò nel
1906 constatando la sconfitta della propulsione elettrica.
Dopo il petrolio, si avrà a disposizione senza dubbio per un pò di tempo l'elettricità nucleare.
E si ripenserà alla vettura elettrica.
Ma, dopo l'esaurimento dell'uranio all'inizio del XXII° secolo, l'umanità si troverà di fronte al
problema della propria sopravvivenza.
Come faranno, i dodici o quindici (?) miliardi di terrestri di allora, a sopravvivere senza colossali
risorse energetiche ?
Si tenta attualmente di risolvere un problema vitale - la parola è debole - quello della fusione
dell'idrogeno.
La riuscita resta incerta.
Se non si riuscirà in tempo utile, l'umanità sparirà.
Se si riuscirà, si disporrà di una quantità illimitata di energia elettrica, dato che il deuterio (idrogeno
pesante) si trova nel mare.
E allora il nome di Charles Jeantaud verrà scritto a lettere di fuoco sul tempio dell'automobile, al
quale il valoroso pioniere apportò modestamente nel 1895 una delle prime pietre.
Ovvio l'interesse per queste parole per chi propugna l'auto elettrica come alternativa
percorribile all'attuale mobilità basata sul petrolio, e all'attuale insostenibile tasso di
inquinamento urbano dovuto alle emissioni dei motori endotermici, senza contare la
questione delle emissioni di CO2 e del cambiamento climatico connesso.
Le considerazioni successive sui nuovi rapporti tra uomo e automobile sono anch'esse
illuminanti.
La relazione affettiva con una vettura è totalmente cambiata per una molteplicità di ragioni, di cui
una delle prime è probabilmente che, nelle città e su certe strade, la guida è sovente uguale a un
viaggio all'inferno.
Prigioniero della sua scatola, il guidatore va al passo, massacra la sua trasmissione, raddoppia il
suo consumo di benzina, e mette ben più tempo ad arrivare al suo ufficio e a raggiungere la sua
residenza secondaria che con la metropolitana o un treno di periferia, come fanno la maggior parte
dei newiorchesi o dei londinesi.
La pletora di automobili ha ucciso l'automobile e il piacere di guidare.
Aggrappato al suo volante, il guidatore, esasperato dalla lentezza e dalle difficoltà della
circolazione, diviene presto un esagitato.
Gli uomini più dolci si trasformano in furie, l'ingiuria e l'odio in bocca.
Il problema è che, spesso, hanno acquistato una vettura per le sue accelerazioni e la sua potenza,
e che non possono assaporare i piaceri che si attendevano, dentro gli ingorghi o nelle code
autostradali.
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A che pro un'auto il cui contachilometri può arrivare allegramente fino ai 200 km/h, quando le
velocità autorizzate non oltrepassano i 130 km/h nei casi migliori ?
Altre considerazioni sempre più attuali quelle relative al peso dell'industria automobilistica
nei rispettivi paesi, e agli effetti distorcenti sull'equilibrio economico e sociale dei
medesimi.
Dopo aver descritto in termini crudi gli effetti ingombranti, per non dire devastanti, per
l'ambiente e per le città conseguenti ad una proliferazioni di veicoli che ricorda le cellule di
un corpo mostruoso che invade l'universo con una tale rapidità da impedire il controllo
della sua espansione, Déon dice:
Non si discute neppure di limitare questa espansione, che permette a milioni di uomini, tecnici o
operai, di vivere.
Basta una riduzione delle vendite, e la disoccupazione cresce rapidamente.
Gli scioperi non sono un problema solo per un industriale, ma per un intero paese.
La benzina pone altri problemi assillanti alle nazioni che non producono la propria energia.
L'industria automobilistica rischia di essere sempre uno strumento di squilibrio nei paesi
industrializzati.
Non si pone oggi, e non si porrà per molto tempo neppure domani, rimedio a queste crisi se non
attraverso medicine empiriche che non soddisfano nessuno e che debbono essere cambiate il
giorno dopo.
E' giocoforza constatare che l'uomo si è dato una vera e propria droga di cui non riesce più a
rinunciare.
Testo, quindi, di indubbio interesse, visto che le considerazioni svolte 25 anni fa sono di
un'attualità più che evidente.
Non sappiamo se l'accademico di Francia Michel Déon è ancora vivo, e se può osservare
cosa sta succedendo oggi:
- la crisi mondiale e il suo riflesso sull'industria automobilistica
- la proliferazione delle cellule di un corpo mostruoso nella Cina di fine 2009, dove le
vendite di auto hanno toccato i 13 milioni sopravanzando gli Stati Uniti, e Pechino è
attanagliata da un traffico sempre più incombente e avvolta da una nube di smog ed
emissioni da far impallidire la Londra degli anni '50 del secolo scorso
- la nascita, contrastata e rimandata fino ad oggi, dell'auto elettrica, che forse proprio in
terra di Francia trova l'ambiente in cui attecchire nel 2010 (almeno si spera)
n.b: il testo originale, in lingua francese, è consultabile sul sito della Fondazione.
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