1 Essere giovani credenti, oggi La virtù della prudenza Premessa

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1 Essere giovani credenti, oggi La virtù della prudenza Premessa
Saronno2006
Essere giovan i credenti, oggi
La virtù della prudenza
+ Domenico Sigalini
Premessa
Sbarazziamoci subito di alcuni preconcetti che ci possono venire quando sentiamo parlare di prudenza,
della serie: questi giovani di oggi sono senza testa, non guardano bene prima di attraversare la strada, si
infilano in tutte le avventure più stupide che ci possono essere, non riflettono su quello che devono
fare, dicono quello che pensano, ma non pensano quello che dicono. Dimenticano a casa tutto e
occorre corrergli appresso per fornirli di documenti, fazzoletti da naso, intimo di varia natura…
Quando partono in automobile non sai se te la riportano come prima o se, soprattutto, ci sono dentro
ancora loro. Con la moto poi è una battaglia persa con una certezza negromantica assoluta.
Dovrebbero essere più prudenti! Dove la prudenza è ridotta a galateo per un verso e a calmiere degli
entusiasmi per l’altro, a norme di civile comportamento e a riduzione della vita a una sorta di poltrona e
pantofole, a osservazioni pure ragionevoli, ma senza essere un cardine della propria esistenza. Non per
niente la prudenza è una virtù cardinale, cioè che fa da cardine. I due battenti della vita poggiano su
quattro cardini indispensabili: uno di questi è appunto la prudenza.
Proviamo a vederla come capacità di discernimento nei confronti di tutto il vivere, cioè capacità di
mettere la vita al vaglio di una proposta alta che la illumina, la chiarisce alla tua e altrui coscienza, la
rende desiderabile e la distende in azioni progettuali e concrete.
Entra in campo allora
• tutta una capacità di leggere, un occhio attento a tutto quello che capita e a tutto quello che Dio
ti mette in corpo, sulla strada, nel cuore, nei tessuti di relazione che ricamano la tua esistenza.
Occorre accorgersi, mettere fuori il naso dalla porta, abbandonare il comodo loculo, fatto di
stereo, cellulare, Tv a cristalli liquidi, Internet, il blog personale, set di barbies, orsacchiotto, teca
di mp3… e vivere in diretta, non in virtuale
• tendere l’attenzione a una proposta che non nasce da te, ma che ti viene dal Signore della vita.
La vita non è tua, il mondo non è tuo, lo stesso cuore che batte in te, non è per te. C’è un
Signore che ti ha pensato a lungo. Tu sei un palpito del cuore di Dio, tu sei un pensiero di Dio
e Lui ti mette davanti strade da disegnare in maniera originale per la tua vita. Ti dà la sua parola
e quella ti è indispensabile per vivere, per discernere, per capire, per rimettere la tua vita in
discussione, non per smorzare la tua energia e la tua forza.
• Ha un posto la preghiera, perché ti lasci incantare da Lui, dai suoi occhi e vuoi leggervi dentro
il tuo futuro; ti lasci prendere dal suo modo di vivere e lo contempli al punto di non distinguere
più se sei tu che agisce o se è lui che agisce in te
• Ti allarghi alla vita degli altri che con te stanno facendo lo stesso cammino e ti puoi sentire
aiutato e soprattutto cresci e ti si chiariscono le scelte da fare nell’aiutare gli altri.
• Sai rischiare, cioè sai fare free climbing, con dita d’acciaio, tanta è la tua passione per la vita e
sai giocare sul trapezio senza reti di protezione, sicuro che fuori dalle braccia di Dio non caschi
mai.
Se prudenza si avvicina a questo allora ne possiamo vedere le tracce da seguire per invocarla come
dono di Dio e viverla come responsabilità nostra.
Ci facciamo come sempre illuminare dalla Parola che ci offre i primi due capisaldi della prudenza:
1. Ritenere Dio il Signore della vita e non i nostri calcoli, altrimenti la prudenza è una ingessatura, è un
calcolo egoistico, è un bilancino per pesare le nostre deboli forze e fermarsi alle nostre piccole vedute
2. Fidarsi di lui e rischiare, mettendosi in gioco per vivere nella realtà la bellezza dell’ispirazione
evangelica . Sembrerebbe il contrario della prudenza, ma è solo il contrario della concentrazione
dell’azione su di sé, sulle nostre sicurezze. Prudenza è osare sulla fiducia e sulla forza di Dio.
1. Lo avete in mente il ricco sfondato che fa ragionamenti molto prudenti su llo stoccaggio
delle sue fortune?
La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Era l’abbondanza dei raccolti dei campi, del lavoro, dell’impegno quotidiano, senza mai smettere.
Aveva tentato qualche volta di lasciarsi andare, ma aveva visto che si fermava tutto, non portava più a
casa niente. E’ sempre proprio così nella vita. Le cose te le devi guadagnare tutte, non ti regala niente
nessuno, devi sempre stringere i pugni, buttarti nella mischia a testa bassa. E’ pur vero che gli oroscopi
e la pubblicità dicono sempre il contrario e che per tutti c’è un raggio di sole, un colpo di fortuna, ma
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ho provato tutti i “gratta e vinci”, senza mai portare a casa un centesimo. Ho usato lo stesso metodo
anche nei miei affetti, ho pure grattato tanto, ma vinto proprio niente. Sotto ho trovato ancora me
stesso con le mie fissazioni e in mano la solita moneta. Qualcuno però lavora sodo e porta a casa,
qualche risultato si fa vedere. Come si guarda ai risultati che otteniamo in genere? Già nel modo con
cui si guarda al risultato delineiamo il nostro futuro. Spesso il risultato è visto come opera tua, della tua
grinta, del tuo impegno, della tua costanza. Al massimo chiami fortuna qualcosa che non è dipeso da te,
e poi per convincerti che sei ancora tu al centro dici che la fortuna occorre anche guadagnarsela. In
questo modo di leggere i risultati del nostro operare si sta incrinando il senso vero della vita. Non
esiste proprio nessuno che ti ha donato tutto quello che hai raccolto? E’ proprio tutta farina del tuo
sacco? Non senti che tutto quello che hai e che sei è un dono di Dio?
E’ come quando in casa fai il conto di quello che costi valutando il prezzo del cibo, dei vestiti, del
riscaldamento… poi metti su casa da solo perché vai all’università o a lavorare fuori e scopri che c’era
anche un tempo donato, soprattutto un amore impagabile che ti circondava e che era la componente
fondamentale del benessere che vivevi. Così è con i tuoi raccolti della vita, pensi sempre che tutto
dipenda da te, invece tutto ti è donato da Dio.
Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?
La prima scelta da fare è mettersi a pensare. Buona scelta, molti di noi non hanno mai tempo di
pensare: sono sempre sbattuti da ogni parte senza possibilità di prendersi in mano la vita. Purtroppo
però questo personaggio della parabola fa un soliloquio: ha lavorato tanto, ha condiviso con molti
fatica e lavoro, ora comincia a ragionare come il classico ricco: si isola, si ingabbia nella sua solitudine
e ragiona tra sé, mette fuori tutti, Dio per primo.
La domanda “che farò? ”, che cosa dobbiamo fare fratelli, che devo fare per… ricorre molto spesso
nel vangelo, segno che occorre mettere in atto progetti, cambiamenti concreti, giungere anche
all’attività, a misurarsi con qualcosa di sperimentabile. Significa che ci deve essere una disponibilità ad
inscrivere nella nostra esistenza un pensiero ragionante, ricercare e fare discernimento per un impegno
conseguente alla vita di fede, all’incontro con Cristo. Non è vero che i cristiani sono fatalisti; i cristiani
sono attivi, ma sanno che il principio e il sostegno di ogni azione è Dio. Quello proprio che non fa il
nostro ricco possidente, il nostro rampante arrivato e seduto.
Farò così… e poi dirò: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.
E’ caduto proprio nella trappola dell’avere, che sembra il massimo criterio di prudenza della vita.
L’unica preoccupazione che ha è di poter continuamente avere di più, accumulare, stoccare, ingrandire
le cisterne, i contenitori, ingabbiare, mettere al sicuro, demolire e ricostruire, ma sempre per tenere e
avere. Non è tanto il modello economico che sta mettendo in pratica che ci interessa, perché
probabilmente oggi passerebbe per uno stolto, non si fanno fruttare così i soldi, le finanze, le proprietà,
occorre una diversa intelligenza e capacità di rischio, ma a noi serve capire la logica scellerata di un
possesso fine a se stesso, di una prudenza che è solo calcolo e egoismo, che spesso è legge dei nostri
comportamenti. I beni più belli che i giovani hanno sono i loro verdi anni. Qualcuno si può sedere a
guardare i bassi numeri dei suoi compleanni 18, 20, 22, 25…guarda quanta vita c’è davanti. Farò così:
mi giro il mondo, mi cavo questa soddisfazione, mi diverto, mi butto nelle avventure che mi capitano,
allargo le mie possibilità, le provo tutte, apro nuovi terminali. Anche voi andate contro tutte le leggi
dell’economia perché mettete la vostra giovinezza in stand by, anziché orientarla alla sua sorgente.
Volete fare a meno di Dio pur sapendo che è Dio che possiede il segreto della felicità, del vostro
essere. Ingrandiamo il nostro granaio per avere di più; più uno ha, più aumenta il desiderio e più
aumenta il desiderio, più cresce una fame maligna insaziabile. Immaginate quanto sarebbe diverso se
ritenessimo la giovinezza un dono, un regalo, una chiamata, una proposta, una amicizia da stringere
con Dio e con tutti quelli che ci mette sulla strada, se la vedessimo come investimento, anziché che
come possesso! Il possesso è quindi dall’altra parte della prudenza cristiana, il regalo, il dono invece,
no. E difatti
Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di
chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
E’ la tua vita che conta, non i tuoi beni; sei tu al centro della attenzione di Dio, non le tue cose; è il chi
tu sei, guadagnato a fatica che vuol incontrare il Signore, non le tue maschere. Io voglio trovare te,
incontrare te, ho desiderio di guardarti negli occhi; non vengo a farti vista a casa per guardare il tuo
appartamento, il tuo bagno galattico, il tuo stereo, il tuo garage, la tua raccolta di bottiglie di birra, i tuoi
album di fotografie, ma voglio godere della tua amicizia, dei tuoi sentimenti, dei tuoi sogni, di quello
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che hai sempre nutrito nel tuo cuore come bene prezioso. Soprattutto voglio gustare con te quel dono
che vuoi essere per tutti.
C’è un momento di verità della vita che ti dà la possibilità di essere te stesso senza inganni, senza
rimandi, senza puntelli. Tu solo con te stesso e con Dio. Se ci badate siamo sempre appoggiati a cose
inutili. Come farei senza questo, senza quest’altro, senza queste cose, questi oggetti, queste persone,
queste abitudini, questi orpelli? Non è che spesso prudenza per noi è questo non riuscire a staccarci
dalle cose, perché altrimenti ci manca la terra sotto ai piedi? Mi basta Dio?
2. Ricordate quel prudentiss imo giovane che è rimasto ingessato, an ziché osare?
Nello stesso ordine di idee, ma ancora più profondo e coinvolgente è l’altro prudentissimo giovane,
che va da Gesù. Ci aiuta a vedere come si deve cominciare a fare qualcosa, a sviluppare opere di
prudenza, ma opere, non discorsi o sentimenti.
Che devo fare di buono per avere vita piena?
Ha in corpo tanta volontà, tanti desideri, tanti sogni, tanto virtuale, tanta fantasia, è stufo di passare per
quello che si riempie sempre di parole. Basta riunioni a guardarsi negli occhi, non sono più un
bambino. Voglio una vita alla grande, non mi bastano le mezze misure. Questa vita mi passa via e non
me ne accorgo. Sono stanco di stare a guardare, voglio mettermi nella mischia. Hai una ricetta di bontà
da eseguire, il tuo segreto dove sta? Come fai tu ad essere così felice, a farti ascoltare da tutti? Quale è
la formula vincente della vita?
Allora Gesù guardandolo, fissandolo, lo amò
Lo ha ascoltato parlare, gli ha letto nel cuore un desiderio vero di bellezza, di radicalità, di bontà. Come
si fa a non volergli bene, a dare risposte preconfezionate a uno che ha voglia di vivere così, a uno che
senza calcoli gli si mette nelle mani “senza sapere di che morte deve morire”? Ci sentiamo tutti ora
sotto questo sguardo di Gesù. Ragazzi quanti sguardi si posano sulla vostra vita! Ricordate quello
sguardo di rimprovero che vi sentite addosso spesso dagli adulti anche se a voi sembra di non aver
niente da rimproverarvi? Vi ricordate dello sguardo dolcissimo della mamma in quella situazione di
conflitto e di impotenza? Ricordate lo sguardo pulito dell’amico, dell’amica? Ricordate soprattutto
quello sguardo d’amore che avete a lungo desiderato, cui vi siete preparati. Era venuto
all’appuntamento, voi lo stavate pedinando da non pochi giorni, vi eravate fatte annunciare da tutti gli
sms possibili, poi finalmente lo avete davanti, ma ha ancora addosso quei maledetti occhiali neri che gli
fasciano tutta la faccia, e finalmente li toglie e potete guardarlo negli occhi, vi potete guardare negli
occhi, vincete la tentazione di abbassarli, perché vi dovete guardare nell’anima, gli vedete perfino il
fondo dei calzini. Ecco Gesù lo guardò e lo amò, decise di spendere per lui tutta la sua affettività. Noi
siamo quel giovane, voi siete quel giovane che Gesù guarda e ama, che Gesù stana dai suoi loculi e
accoglie nel suo amore, nei suoi sogni. Facciamo parte dei sogni di Gesù. Speriamo solo che non gli si
trasformino in incubi.
và, vendi ciò che hai, dà ai poveri, vieni e seguimi.
Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Volevi fare? La tua domanda non era: Che devo fare? Questo non è
continuare la riunione di gruppo, non è stare a parlare. Io non vado più in parrocchia perchè lì si sta
solo a parlare, a sparare idiozie, a strizzare il cervello per tirar fuori interpretazioni sofisticate della
Parola. Ho cominciato a lavorare e voglio cose concrete. Io voglio fare qualcosa, voglio un po’ di
vivacità. E’ questo il cristianesimo? Incontrarsi ogni tanto a parlare, io ho lasciato la scuola perché ero
stufo di stare a forzare il cervello. Non mi far morire ancora tra i discorsi.
Ha lasciato la parrocchia per overdose di parole, poi sta ore e ore al pub a parlare, parlare, di tutto e di
niente, a lanciare sms, a fare parole crociate….
La prima grande azione per trovare vita piena è una vendita. Siamo nel mondo del consumo e abbiamo
una esperienza quotidiana dello shopping. Noi andiamo sempre a comperare, invece qui per essere
felici bisogna vendere. Vendere è staccarsi, è mettere sul banco, è aspettarsi che qualcuno sei porti via
quello che hai esposto. La gioia del venditore è di non continuare tutti i giorni a rimettere nei bauli la
merce che ha esposto. La gioia del vu’ cumprà è di tornare a casa la sera con il borsone vuoto e il
portafoglio pieno. Vendere non è regalare, non è buttare, è realizzare con quello che hai il massimo che
puoi. Non ti si chiede di mandare al macero, ma di ricavare da quel che hai tutto il possibile. Ma che
cosa vado a vendere io che faccio pietà e che mi sento solo decorativo? Non ho niente da mettere in
bancarella.
Forse puoi anche avere niente cui sei attaccato, ma non ci credo. Saresti disposto a vuotare il tuo
loculo, cioè la tua stanzetta, con i tuoi orsacchiotti di pelouche, la mensola del tuo bagno con tutti i gel,
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gli spray, le acque di Colonia, gli impulse, la sequenza di shampoo, l’assortimento di pomate… saresti
disposto a vendere lo stereo, tutti i cristalli liquidi che ingombrano tavoli e comodini, mensole e
cassettoni? Facciamo un salto nel garage? No. Quella mi serve per andare a lavorare. Alle quattro di
mattino la domenica, evidentemente!
Ma non voglio crearvi stati ansiosi. Diceva Giovanni Paolo II in un memorabile commento a questo
brano di vangelo. Quale è la ricchezza più grande che quel giovane doveva mettere a disposizione,
doveva offrire ai poveri, da cui doveva operare un distacco positivo, di cui doveva fare offerta? Il bene
più grande che un giovane ha è la giovinezza, i tuoi 16, 18, 20, 30 anni.
Quella devi mettere a disposizione, quella devi mettere all’asta per ricavare il massimo, devi far crescere
di valore, devi giocarla in borsa e continuamente al rialzo. La tua freschezza, la tua gioia, la tua grinta, il
tuo benessere, il tuo fuoco, il tuo essere sentinella, la tua bellezza, il tuo corpo, la tua voglia di vivere.
Questa deve essere spesa, e regalata ai poveri.
Che stai facendo della tua giovinezza. Qualcuno ne sta godendo oltre a te? La tua ragazza o il tuo
ragazzo? Siete già fermi a due cuori e una capanna? Ma ci vuole un condominio, una città, il mondo
intero. Due cuori e il mondo. Magari siete andati anche voi da Gesù a chiedere che fare e siete andati
in coppia. A voi coppia Gesù spara tutta la raffica di verbi. E voi due potete essere felici se mettete a
disposizione la vostra vita d’amore per gli altri, per i poveri. La maggior parte delle coppie di
innamorati di oggi vive il massimo di egoismo possibile, quando si imposta tutta la vita di coppia a
cercare il posto più appartato per farsi i fatti propri. Uno per ogni stagione. E la felicità scoppia alla
grande.
Pure la noia a orologeria.
Hai fatto la decisione? Non stare a rimpiangere mai, vieni e seguimi.
Non ti lascio solo, stai con me, cuore a cuore. Venite a me voi che siete giù di corda, che vi sentite soli
e rifiutati non avrò altro da fare che accarezzarvi e coccolarvi. Vi ho dimostrato o no che vi voglio
bene? Lo sai che dimentico subito le tue carognate. Vedi quanto Dio ti ama. Tieni il mio passo.
Gesù non lo aveva cacciato, non gli aveva detto: guarda che la vita è in salita, devi farti coraggio, passa
attraverso la croce, poi vedrai che ti arriva la felicità. Dovrai arrangiarti a vivere sobrio, ma poi ti
abituerai. Gesù dice vieni e seguimi. Stai con me. Non ti abbandono. Da solo non puoi stare. Ti offro
la mia compagnia, la mia amicizia, vieni e vedi. Non mi sottraggo alle tue domande, ai tuoi dubbi, ai
tuoi tentennamenti, io sono con te. Non ti chiedo sforzi titanici mentre io sto a guardare in conferenza
stampa. Ti offro la mia compagnia. Non saprai dove posare il capo, dovrai stare tutta la vita col sacco a
pelo, ma sarai con me. Ti coinvolgerò nella mia avventura, ti farò pescatore di uomini.
Quello corrugò la fronte e se ne andò rattristato, perché aveva molte ricchezze
E’ rimasto un ex futuro apostolo, un ex futuro felice, un ex futuro innamorato, un presente appesantito
padrone della sua vita, che un po’ alla volta, ma forse ancora tutta in quella tristezza del congedo se ne
è fuggita dalle mani. E’ rimasto giovane, bello, aitante, color mattone a tutte le stagioni, vestito casual,
jeans e Dolce e Gabbana, volkswagen e occhiali, scarpe, taglio dei capelli, harley davidson, cellulare,
palmare, ….
Bellissimo, tutto come prima
Un’unica piccola insignificante differenza per i suoi amici e le sue amiche che conoscono bene i suoi
tic, le sue smorfie e i suoi sorrisi e soprattutto il suo volto e che qualche volta gli hanno schiacciato
addosso i brufoli: una leggerissima ruga nel volto (è il vangelo che ne fa la fotografia: quello corrugò
la fronte), una increspatura della pelle, un taglio delle labbra a parabola rivolta verso il basso.
La tristezza incarnata.
Perché? Era troppo ricco, aveva troppe cose, non apparteneva a se stesso, ma alla sua immagine, ai suoi
ninnoli, alle sue abitudini, ai suoi gusti, alle sue paranoie.
Era troppo prudente? era il contrario esatto della prudenza.
Prudente è stato Stefano, prudente è stato Paolo, Pietro ancora di più, proprio lui che non ne azzeccava
una, prudenti i due discepoli di Emmaus. La prudenza è fidarsi di Dio, discernere con la sua Parola, ma
con una decisione predeterminata: sbilanciarsi dalla sua parte.
Stefano è un giovane che viene conquistato al nuovo modo di vivere degli apostoli, dopo i
giorni tristi dello smarrimento e per qualcuno del tradimento, dopo la invasione dello Spirito, mandato
da Gesù stesso a presidiare nella coscienza delle persone e nella vita della primitiva comunità cristiana,
la figura, la presenza, l’intimità di Gesù. Nella chiesa primitiva è un momento molto delicato: si tratta
di passare dall’esperienza della liberazione a uno stato di libertà, dalla gioia di non sentirsi più addosso
il peso del tradimento, dello smacco, del peccato alla costruzione di una nuova vita in libertà. Un conto
è essere liberati, un altro è vivere da liberi, riorganizzare la propria vita, i sentimenti, gli affetti, le
decisioni da persone responsabili e nuove. Ecco Santo Stefano vive questa bella esperienza: sta
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passando dal vecchio testamento, dalla religione del tempio alla religione del crocifisso risorto ha in
mente le dure parole che aveva usato Gesù per far prendere coscienza a chi lo vuol seguire che la
strada è in salita. Erano una sferzata al nostro perbenismo, al politicamente corretto. “Sarete trascinati
davanti a governatori e re a causa mia, odiati da tutti a causa del mio nome ”. Gesù non blandisce mai,
non è mai accomodante, dice al cristiano “di che morte deve morire”, se lo vuol seguire.
Le nostre atmosfere allora si rarefanno, i nostri sentimentalismi non reggono, la vita appare
tutta nella sua verità. Se Gesù è accolto da un cuore che ama, sprigionerà forza impensabile. “Non vi
preoccupate di come o cosa dovete dire”. Non resterete smarriti nelle prove della vita, non vi lascerò
soli, non vi capiterà mai di sentirvi abbandonati. Io sarò sempre con voi, una presenza intima, forte,
sicura. una difesa attiva: io sarò spirito di fortezza dentro di voi. Gesù crocifisso, pure contemplato
indifeso, mobilita una forza impensabile nella nostra vita. È la forza non della disperazione ma della
speranza.
E Stefano con questa forza dentro affronta tutte le difficoltà della nuova vita. E’ convinto
dentro, non lo ferma nessuno, sa perdonare come il maestro; lo Spirito è all’opera per definire nella
vita di Stefano i lineamenti della figura di Gesù.
C’è anche un giovane dottore della legge che partecipa al suo martirio, non è ancora molto
convinto della pericolosità di questi giovani che si lasciano uccidere e esprimono amore, sta ancora a
guardare. E’ il giovane studente Saulo. L’atteggiamento di Stefano gli fa montare dentro rabbia,
anziché ammirazione. Così occorrerebbe ammazzare tutti quelli che vanno contro le nostre tradizioni!
Per ora tiene solo i mantelli di quelli che lapidano Stefano; presto sarà lui che andrà a tirar fuori dalle
case questi pericolosi cristiani, aveva forze per trascinare tutti anche se era dalla parte sbagliata; finché
Dio lo chiamerà a miglior causa a mettere tutta la sua energia, la sua vita al servizio di Gesù.
Quanti giovani hanno energie in corpo da vendere che andrebbero spese per una miglior causa!
Se mi permettete di dirvi un tormento che vivo in questi tempi: sento nascere dentro di me tanta
“rabbia ” per i tanti giovani che vedo buttar via energie enormi che potrebbero dare un volto nuovo, più
bello alla nostra società e invece abboccano alle cose più insulse inventate apposta per tenerli in apnea.
E’ sempre meglio guardare il “grande fratello” che prendere coscienza del nostro futuro. Lascia che
prendano qualche bustina, qualche spinello così resteranno addormentati per tutta la vita!
3. Né taleban i, né invertebrati, né cu ltori d i magia, perché la fede è un atto d i vera pruden za:
intellettualmente onesto e umanamente sensato.
Il mondo della fede è ancora visto da certo positivismo ideologico come l’inizio della deriva dell’uso
dell’intelligenza e forse alcune espressioni religiose molto enfatizzate ne possono dare l’idea. Infatti
siamo di fronte anche a duri fondamentalismi, che in verità sono sempre fatti esplodere artatamente da
interessi politici e militari. Alla fine del secolo scorso in occasione di una festa nazionale iraniana, che
ricordava il rientro in patria di Komeini, ho partecipato a un incontro nei locali dell’ambasciata
dell’Iran presso la Santa Sede. Il ministro della cultura del paese volle un dialogo esplicito con me in
qualità di incaricato della pastorale giovanile italiana. Mi diceva con molta sicurezza che il secolo XXI
sarebbe stato il secolo della religione e mi rimproverava per la fragilità dei nostri modelli educativi
occidentali nei confronti della gioventù. Non c’era verso di far cogliere che la religione da noi non
emanava leggi di valenza civile, che c’era una libertà di coscienza oltre che di scelta dei propri
comportamenti. In una parola non riuscivo a spiegare che noi non siamo talebani, anche se mi ha fatto
riflettere sulla carenza di una proposta più convinta della fede al mondo giovanile italiano. Forse non
siamo talebani anche se rischiamo di essere invertebrati, cioè di non offrire identità forti, capaci di fare
della fede un atto intellettualmente onesto e umanamente sensato. La fede ha uno spazio necessario
nella intelligenza delle persone, non manda all’ammasso la capacità critica, non sospende l’uso di ogni
sforzo umano di comprensione, di sistematizzazione, di razionalità e nello stesso tempo aiuta l’uomo a
trovare il senso della vita, non lo lascia solo nella ricerca dei significati fondamentali della vita.
C’è una laicità della fede che è preziosissima e c’è una spiritualità della ragione che è altrettanto
decisiva nell’aiutare l’uomo ad essere se stesso. Il problema più grande oggi però non è tanto la fatica
razionale dell’accogliere il mistero, ma è la troppa facilità nell’affidarsi al mondo della magia. Non c’è
un eccesso di uso della ragione, ma un difetto di criticità che va sempre attivata.
Questo empasse lo si supera con un modello di approccio alla realtà importante per un cristiano: il
modello ermeneutico. E’ un modo di pensare che tende a diventare un modo di essere, più che una
strategia.
In sintesi deve sempre aiutarci a rispondere a due domande: che cosa ha la Parola di Dio da dirti su
questa vita concreta che stai vivendo, sui tuoi verdi anni e sul mondo e che cosa ha la tua vita e la vita
del mondo da offrire alla Parola perché diventi carne e salvezza per te, per il mondo. E’ un
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discernimento non piccolo che porta sicuramente a definire opere prudenti, a fare di te una figura di
cristiano prudente.
Allora essere cristiani oggi significa essere convinti che c’è una Parola che non è nostra da incarnare
nella vita, ma anche farci interpreti della vita quotidiana, delle aspirazioni di tutti, come unica carne di
cui quella Parola si deve rivestire per essere salvezza.
La presenza del cristiano nel mondo è dunque sempre un nuovo che nasce da:
• accoglienza e provocazione
• ascolto e sfida
• proposta e scavo nelle domande.
Né il “come ”, né il “che cosa ” è la domanda più importante, ma il “chi ” essere.
Noi non siamo preoccupati di trovare gli imbuti per far ingoiare a nessuno ciò che a noi sta a cuore, ma
nemmeno vogliamo annacquare la bellezza della nostra fede; siamo invece disposti a giocarci nella vita
di tutti al servizio del Regno di Dio.
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