SCELTA Scoprire e valorizzare le proprie risorse

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SCELTA Scoprire e valorizzare le proprie risorse
SCELTA
Scoprire e valorizzare
le proprie risorse
Sperimentazione di un’azione rivolta ad adolescenti
all’interno della scuola
Relazione del lavoro
Cinzia Sintini
Astrid Cossutta
Indice
1. Premessa
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2. Adolescenza
2.1 Strutturazione dell’identità personale
2.2 Identità di genere.
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3. Presupposti dell’azione. Persistenza di modelli sociali
del femminile, rappresentazione
e stima di sé nelle giovani donne
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4. Autostima e realizzazione di sé
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5. Definizione di competenza in ambito professionale
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6. L’intervento realizzato presso l’Istituto Superiore
C.Cattaneo di Modena
6.1 Finalità
6.2 Metodologia
6.2.1 Il principio del self empowerment
6.2.2 Il gruppo
6.2.3 Il setting di gruppo
6.2.4 L’atteggiamento nella conduzione del gruppo
6.2.5 Il colloquio individuale
6.2.6 La strutturazione del percorso
6.3 Strumenti psicodiagnostici
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7. Bibliografia
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“…vincente è colui che, seguendo le proprie indicazioni interne, riesce a navigare nella vita con le proprie leggi, con il proprio vento e con il proprio
timone, mentre navigare con il vento altrui significa
abbandonarsi alla corrente” (A.Carotenuto, 1991).
“l’individuo che realizza sé stesso accetta di essere in
modo consapevole il processo che, interiormente, egli
realmente è. Smette di essere ciò che non è e di indossare abiti di circostanza. Non si sforza di essere più
di quello che è con i relativi sentimenti di insicurezza e di ampollosa difesa. Non cerca di essere
meno di ciò che è con i relativi sentimenti di colpa e
valorizzazione” (C. Rogers, 1961).
1. PREMESSA
Descriveremo qui un intervento finalizzato alla individuazione e valorizzazione
delle proprie competenze attuato in un contesto scolastico utilizzando un approccio che tenga conto del fatto che i soggetti coinvolti sono in un momento cruciale
del loro processo evolutivo, l’adolescenza. Un momento difficile identificabile
come il luogo di messa in discussione dell’identità che diventa principio ordinatore
di tutti gli altri, pulsioni e relazioni comprese (Stupiggia 2002), un’identità che comprende anche l’appartenere al genere femminile piuttosto che maschile con tutto
ciò che comporta nella definizione dell’immagine di sé e nella percezione delle
proprie competenze appunto.
L’intervento di identificazione e valorizzazione delle competenze che abbiamo
proposto si basa sul presupposto fondamentale della necessità del massimo coinvolgimento dei destinatari nel processo che, attraverso uno specifico percorso,
possono contattare le proprie potenzialità ed formulare ipotesi progettuali di
espressione di esse.
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2. ADOLESCENZA
L’adolescenza può essere globalmente intesa come il periodo che si colloca tra l’infanzia e il momento dell’inserimento nel mondo adulto. È una fase essenziale dello
sviluppo che dà accesso alla vita adulta ed inizia con alla pubertà.
Con il termine “pubertà” ci si riferisce di solito più specificatamente ai fenomeni
della maturazione fisica e sessuale, con il termine “adolescenza” ai processi di carattere intellettuale, emotivo, sociale, attraverso cui si arriva, alla fine dell’adolescenza,
ad una configurazione relativamente stabile della personalità e alla definizione della
propria identità. Il termine adolescenza ha perciò un significato più allargato e
implica la considerazione di fenomeni culturali e sociali e non solo biologici.
L’adolescenza è caratterizzata da notevoli cambiamenti, specialmente per quel che
riguarda l’immagine di sé, la struttura di personalità e i rapporti interpersonali.
Secondo Galimberti questi cambiamenti si manifestano su diversi piani (Galimberti, 1992): sul piano dell’identità (con la rielaborazione dell’identità), sul piano
cognitivo (con una progressiva acquisizione delle capacità di ragionamento, di
riflessione, di astrazione), sul piano sessuale (con la trasformazione fisiologica e con
l’identificazione con il proprio ruolo sessuale) e sul piano morale e sociale (con
l’ampliamento delle relazioni interpersonali e l’adattamento a nuove condizioni
sociali).
In questo periodo riemergono anche le fasi precedenti dello sviluppo portando
con sé un certo numero di tensioni, di conflitti emotivi e difficoltà, i quali vengono
rielaborati ulteriormente per giungere all’assunzione di ruoli adulti e definiti e per
dar vita alla struttura di base della personalità adulta. È un periodo dunque di rapidi
cambiamenti fisiologici e psicologici, di profondo riadattamento alla famiglia, alla
scuola, al lavoro e alla vita sociale. Per l’adolescente affrontare tutti questi cambiamenti è fonte di ansia e di tensione. Questo può portare, secondo la Camaioni
(1993), a rapidi mutamenti di umore, ad un senso di infelicità, ad avere dubbi su di
sé, a farsi domandare sul senso dell’esistenza. Secondo l’autrice però, solo una parte
degli adolescenti ha una crescita tumultuosa, considerando questa un indicatore di
rischio per il successivo adattamento psicologico
Anche secondo Rutter una grande quantità di fattori influenza l’evoluzione dell’adolescenza e il suo buon esito: l’andamento della maturazione fisica, l’adeguata
accettazione dei ruoli sessuali, i cambiamenti nelle funzioni intellettive, una graduale emancipazione dalla propria casa, la presenza di conflitti con i genitori, i fattori sociali e culturali (Rutter, 1976).
Come abbiamo detto l’adolescenza è l’età del cambiamento, del passaggio dall’infanzia e all’età adulta. Si dice spesso che l’adolescente è allo stesso tempo un bam7
bino ed un adulto. Egli si trova a vivere un duplice movimento, da un lato rinnega la
sua infanzia e dall’altro ricerca uno statuto stabile di adulto tutto ciò, costituisce la
“crisi del processo psichico” che ogni adolescente attraversa.
Diversi modelli di comprensione e grandi cornici concettuali sono stati formulati,
nel tentativo di inquadrare e teorizzare i rimaneggiamenti tipici dell’adolescenza.
Queste diverse teorizzazioni possiamo considerarle articolate intorno a quattro
modelli principali: a) il modello fisiologico, che si occupa della crisi puberale, delle
modificazioni somatiche conseguenti dell’emergere della maturità genitale; b) il
modello sociologico e ambientale, che valorizza il ruolo essenziale svolto dall’ambiente circostante nell’evoluzione dell’adolescente (famiglia, cultura, società,
gruppi di pari); c) il modello psicoanalitico, che tiene conto dei rimodellamenti che
avvengono sulla base dei diversi processi di identificazione, dei cambiamenti nei
legami con gli oggetti edipici e della integrazione della personalità; d) infine il
modello cognitivo ed educativo, che affronta le modificazioni profonde della funzione cognitiva e lo sviluppo delle capacità intellettuali.
Prendendo come riferimento il modello psicoanalitico, la maggior parte degli
autori considera come caratteristici dell’adolescenza i seguenti elementi : il lutto da
elaborare dato dall’esperienza di separazione dalle figure genitoriali; l’uso di meccanismi di difesa specifici (intellettualizzazione, ascetismo, scissione, acting-out,
identificazione proiettiva); l’aumento del narcisismo; il problema dell’identità, strettamente legato alla qualità delle relazioni precoci, nel senso che più queste sono
state soddisfacenti più il sentimento di identità sarà stabile e sicuro; la problematica
del corpo (l’adolescente si trova a confrontarsi con una serie di rapide modificazioni somatiche che ha difficoltà ad integrare).
Un altro aspetto molto importante dell’adolescenza è per Blos (1967) la presenza di
una secondo fase verso l’individuazione. La prima si era già verificata verso la fine
del secondo anno, la seconda si verifica nell’adolescenza con le sue tipiche manifestazioni di opposizione e di ribellione, nei confronti delle figure genitoriali e mettendosi alla prova attraverso gli eccessi.Tutto ciò concorre a costruire il senso della
propria identità e a creare le condizioni per la conquista dell’individuazione e dell’autonomia.
Blos offre un’articolata interpretazione psicoanalitica (1962) del processo adolescenziale individuando cinque sottofasi e i temi che maggiormente lo condizionano. Abbiamo una prima fase “la preadolescenza”, che è caratterizzata dall’aumento quantitativo della pressione pulsionale e del riattivarsi della pregenitalità.
Segue una seconda fase,“la prima adolescenza”, che vede con l’inizio della rottura
dei legami con l’oggetto primario (oggetti genitoriali interni). La terza fase è “l’adolescenza propriamente detta” in cui domina la riattivazione del complesso edipico,
il ritiro dell’investimento libidico dalle figure genitoriali, la ricerca di oggetti eterosessuali, l’aumento del narcisismo, le modificazioni dell’Io, le modificazioni dell’immagine corporea, l’uso di meccanismi di difesa specifici, il ruolo della masturbazione nel favorire l’ingresso nella genitalità. Nel corso di questa fase appare il lutto
per la rinuncia ai genitori edipici con conseguente senso di vuoto interiore, dolore
e tristezza ed anche l’innamoramento legato alla scelta d’oggetto sessuale, che contrassegna il progresso della libido verso nuovi oggetti d’amore. Segue una quarta
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fase,“l’adolescenza tardiva”, in cui si verifica il consolidamento delle funzioni dell’Io
e la strutturazione della rappresentazione di Sé. Infine la quinta fase,“la post-adolescenza”, nel corso della quale il processo adolescenziale deve essere portato a termine.
Per Blos il passaggio attraverso l’adolescenza ha infinite variazioni e l’esito di questo passaggio sarà visibile nella tarda adolescenza con il consolidamento della struttura di personalità caratterizzato in particolare dall’acquisizione della maggior
capacità di agire in modo finalistico, di sapersi integrare socialmente, di avere più
costanza nelle emozioni e provare il senso di un’autostima più stabile (ibidem).
2.1 Strutturazione dell’identità personale
L’identità viene definita da Erikson come: la dotazione biologica, l’organizzazione e
l’esperienza personale, l’ambiente culturale, che contribuiscono, insieme, a dare un
significato, forma e continuità all’esistenza unica di ciascuno. L’identità per Erikson
costituisce una fase del processo evolutivo e la si può considerare un’entità dinamica ed il fenomeno più significativo dell’esistenza.
La formazione dell’identità deriva da un processo di riflessione ed osservazione
attuato dalle funzioni mentali e basato sulla percezione dei giudizi degli altri e sulla
propria percezione degli altri, in un processo inconscio di crescente differenziazione (Erikson, 1968).
Il processo di formazione dell’identità cambia e si sviluppa costantemente e ha le
sue crisi normative nell’adolescenza, periodo in cui gli avvenimenti passati sono
decisivi e determinano in un certo modo quelli futuri. Secondo Erikson il forte
senso di identità interiore che dovrebbe emergere alla fine dell’adolescenza, sarà un
requisito necessario per un’ulteriore crescita individuale.
Passaggio, mutamento, transizione: l’adolescenza spesso viene descritta in questi
termini, sottolineando l’aspetto di profondo cambiamento che questo periodo esercita sull’essere umano.
L’adolescente si trova a dover affrontare una serie di trasformazioni assai complesse che hanno a che fare con la sfera corporea da un lato e con quella più
prettamente relazionale dall’altra (separazione dalle figure genitoriali, investimento libido su nuovi oggetti, sentimenti di solitudine e di onnipotenza, incapacità di far fronte alle nuove spinte pulsionali, ecc.). A ciò si unisce la comparsa
di nuove esigenze: accanto ai bisogni primari di attaccamento, autonomia e autostima ora compare il bisogno di sentirsi un’entità a sé stante diversa e separata
dagli altri e di ricercare una propria identità di cui è parte integrante l’identità
sessuale (Fabrizi e all., 1995).
Durante l’adolescenza il sentimento di essere donna o uomo rispecchierà l’identità
che si era costituita nell’infanzia e che meglio si definisce sulla base dei cambiamenti che avvengono in questo periodo. Infatti, grazie al consolidamento dei
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modelli di riferimento legati alle differenze di genere, con precise differenze e
senza possibilità di confusione, viene a strutturarsi un nuovo universo personale
(Money,Tucker, 1975).
All’adolescente dunque spettano tre specifici compiti evolutivi, il cambiamento
nelle relazioni con gli oggetti adulti, con i coetanei e con il proprio corpo, nello stabilirsi di una identità sessuale. Parte essenziale dello sviluppo adolescenziale è trovare mezzi per utilizzare il proprio corpo nel rapporto con sé e con gli altri. Si tratta
quindi del processo che porta all’integrazione psicologica del corpo fisicamente e
sessualmente maturo come parte dell’immagine di sé (Laufer, 1975).
La percezione delle proprie trasformazioni fisiche ha immediati riflessi a livelli psicologici: si assiste alla ricostruzione dell’immagine del proprio corpo che comporta
la messa in discussione della propria identità personale. Nel corso dell’infanzia e
della preadolescenza l’immagine del corpo cambia relativamente poco dal punto di
vista percettivo: la crescita è lenta, graduale e favorisce lo stabilizzarsi dell’identità
corporea. L’adolescente invece vive le trasformazioni del proprio corpo a livello di
taglia, di proporzioni, di modificazioni delle caratteristiche sessuali primarie e
secondarie; viene meno lo schema di riferimento che il ragazzo si era costruito a
partire dall’infanzia.
Il corpo in trasformazione è qualche volta avvertito come estraneo, l’adolescente
ne perde la padronanza, coltiva dubbi e ansie relativi alla fine dello sviluppo dato
che momentanee disarmonie (voce, aspetto, sproporzione nello sviluppo delle
diverse parti del corpo o del viso, imperfezioni della pelle…) vengono interpretate
come fenomeni duraturi.
La novità dello sviluppo e le sue irregolarità comportano dunque, prima che una
nuova immagine di sé si stabilizzi, un periodo di insicurezza, di ansietà, di preoccupata attenzione per il proprio corpo che viene paragonato con quello dei coetanei
o con altri modelli culturali (pubblicità, fumetti, films) per cercare una forma di rassicurazione.
Lo sviluppo emotivo-affettivo precedente gioca un ruolo di particolare importanza
al momento dei cambiamenti fisici e sessuali della pubertà. Il ragazzo/a ha elaborato
una serie di attitudini nei confronti del proprio corpo, ha imparato a considerare il
corpo e le sue esigenze in un certo modo, ha imparato a sentirsi più o meno adeguato e sicuro di sé in diverse situazioni, ha elaborato una serie di fantasie su come
vorrebbe essere fisicamente.
Dagli studi di Schofold emerge la grande importanza che ha l’immagine di sé
fisica nel processo di ricerca della propria identità personale (intesa come stima
di sé, fiducia nelle proprie possibilità, alto livello di aspirazione, capacità di sopportare la frustrazione, adattamento interpersonale). Egli sottolinea come la sicurezza del proprio corpo, che deriverebbe dal non sentirsi diversi, inadeguati,
rifiutati dagli altri, possa giocare un ruolo importante al momento della ricerca
del “nuovo se stesso”.
Non va sottovalutata, in particolare in un momento sviluppo in cui uno dei fenomeni più evidenti è l’ampliamento degli orizzonti dei rapporti interpersonali (bisogno del confronto e dell’inserimento in un gruppo di compagni) la dimensione
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sociale dell’immagine del corpo. L’immagine del corpo riflette da un lato il tipo di
considerazione di cui l’adolescente gode nel suo ambiente sociale, dall’altro le relazioni dell’adolescente stesso all’immagine di sé che il gruppo gli rimanda, dall’altro
ancora le attitudini derivate dall’osservazione e dal confronto del proprio corpo
con quello degli altri. È necessario tenere presente, come sottolineano Coleman e
Jones, che il meccanismo di accettazione-rifiuto, sopravalutazione-svalutazione
della propria immagine dal punto di vista fisico, non scatta su un ideale classico, ma
di un modello di bellezza-prestanza fisica fondato a livello socio culturale e pubblicizzato dai mass media (fumetti, films, televisione).
L’immagine del corpo si potrebbe dunque definire una costruzione psico–sociale
(Laufer, 1975) legate al processo di formazione di una personalità stabile: l’attuale
configurazione del corpo vi rientra, infatti, attraverso la mediazione dei fattori di
ordine sociale, psicologico, emotivo che ne condizionano l’interpretazione.
Nella strutturazione dell’identità sessuale dunque confluiscono modelli di identificazione famigliare, del gruppo, delle nuove relazioni, dei miti della musica, dello
spettacolo, dello sport, protagonisti di film, tutti modelli che hanno un forte impatto
nella sfera delle aspirazioni e degli ideali che contribuiscono alla formazione dell’identità.
2.2 Identità di genere
Una delle categorie fondamentali in quasi tutte le società è l’appartenenza ad uno
dei due sessi.
L’identità di genere la possiamo considerare la componente sessuale dell’identità.
Quando si parla di identità sessuale ci si riferisce alla consapevolezza e all’accettazione della propria natura biologica di base di maschio o femmina; mentre l’adozione del ruolo sessuale si riferisce all’acquisizione di quelle caratteristiche psicologiche che gli altri considerano appropriate all’uno o all’altro sesso, ad esempio
aggressività e dipendenza (Mussen, 1986). Poiché si tratta di un processo evolutivo,
le modalità in cui il sesso biologico e le componenti culturali ad esso associate vengono incorporati nella immagine di sé si strutturano in fasi successive del processo
della caratterizzazione sessuale.
L’identità di genere viene definita da Money come “l’unità e la persistenza della propria individualità maschile o femminile o ambivalente, particolarmente come esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento” (Money e
Ehrhardt, 1976,18). Il concetto di identità di genere conferisce al concetto di identità espresso da Erikson, la consapevolezza di appartenere ad uno o all’altro sesso e
il processo di acquisizione dell’identità di genere ha inizio con l’attribuzione del
sesso alla nascita, benché i suoi esiti si mostrino con il graduale sviluppo dell’IO.
R. Stoller designa con il termine “genere” quegli aspetti della sessualità che vengono
principalmente determinati culturalmente dopo la nascita e secondariamente
influenzati dalle componenti biologiche. Mentre con il termine “identità nucleare di
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genere” l’autore intende “il senso che abbiamo nel nostro sesso, di essere maschio
nei maschi e di essere femmina nelle femmine” (Stoller, 1979,53).
Con il termine “ruolo di genere” J. Money indica tutto quello che una persona fa o
dice per indicare agli altri o a se stessa il grado della sua mascolinità, femminilità o
ambivalenza. Gli elementi che concorrono alla determinazione dell’identità di
genere e di ruolo sessuale sono pertanto molteplici. L’identità di genere si presenta
come il risultato di una convergenza o integrazione di fattori che sono di ordine
biologico (genetico, ormonale e somatico), psicologico (relazionale/ambientale) e
sociale (Godino, 1998).
Dalla fusione dei vari fattori biologici, psicologici e sociali che costituiscono l’identità, emerge una singolare soggettività che non è determinabile a priori. L’identità
dell’individuo, in conseguenza alla fragilità data dall’instabilità biologica, non può
essere accomunata ad una natura determinata, ma solo grazie all’apporto culturale
riuscirà ad acquisire gli elementi in grado di darle consistenza e solidità. Perciò, l’identità deve essere ricercata nel tempo all’interno di coordinate culturali che si
evolvono con il variare della storia e della struttura sociale (Godino, 1998).
Tuttavia, è fondamentale che tra le varie caratteristiche mutanti dell’identità, la propria individualità, il proprio senso dell’Io si mantenga ininterrotto e costante; è
necessario che la nostra identità, in quanto struttura psichica, agisca da elemento
atto a riconoscerci nonostante le varie trasformazioni connesse al nostro esistere in
rapporto all’ambiente esterno e interno.
Pertanto, possiamo affermare che l’identità è un processo in costruzione che concerne l’intera durata della vita, che si “realizza in maniera graduale e continuativa e
tende verso una estrema varietà di forma possibili” (Riffelli, 1998, 23).
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3. PRESUPPOSTI DELL’AZIONE. PERSISTENZA
DI MODELLI SOCIALI DEL FEMMINILE, RAPPRESENTAZIONE
E STIMA DI SÉ NELLE GIOVANI DONNE
A partire dagli anni settanta si è assistito ad un cambiamento profondo nel rapporto
fra le donne ed un aspetto fondamentale della vita sociale, il lavoro.
È quindi in un quadro sociale ben diverso da quello precedente a questa data che le
adolescenti strutturano la propria identità di genere ed in cui le giovani donne progettano il loro futuro.
Il crescente protagonismo sociale delle donne ha moltiplicato gli ambiti nei quali
esse possono spendere le proprie competenze ed arricchito i modelli a cui esse
possono fare riferimento.
Si è assistito negli ultimi venti anni ad una presenza massiccia della popolazione
femminile nei percorsi formativi dell’istruzione secondaria superiore e dell’università che hanno contribuito a modificare il modello di donna che si inserisce nell’organizzazione del lavoro.
L’istruzione costituisce l’elemento che maggiormente differenzia le giovani donne
che si presentano sul mercato del lavoro dalle generazioni precedenti (Merelli,
Nava, Ruggerini, 2002).
Tuttavia, nonostante questo quadro favorevole rimangono zone d’ombra che hanno
spesso come risultato una sottoutilizzazione delle competenze espresse dalle donne.
Le cause possono a nostro parere essere individuate in due macro fattori.
• Da un lato nelle barriere che si strutturano sulla base di stereotipi che continuano a caratterizzare le relazioni fra i sessi.
Si possono identificare i più frequenti quelli che definiscono le donne per caratteristiche innate, più fragili ed indecise e quindi meno adatte a svolgere professioni caratterizzate da capacità decisionale e combattività ritenute caratteristiche
tipicamente maschili, e negli stereotipi che, sulla base della disponibilità di tempo
per la professione considerata totale per gli uomini e parziale per le donne che
rivolgono la propria attenzione anche alla sfera affettivo-familiare, valutano le
donne stesse meno affidabili e responsabilizzabili rispetto all’ambito professionale ed al ruolo.
• Dall’altro il livello di autostima delle giovani donne che si presentano al mercato
del lavoro, anche se maggiormente secolarizzate dei loro colleghi maschi, è
spesso inferiore e condiziona la loro progettualità.
Inutile nascondere a questo proposito che a delineare questa situazione concorrono anche gli stereotipi sopra citati che noi troviamo presenti anche nella famiglia e nella scuola, luoghi ove le giovani donne strutturano la loro identità e definiscono le loro strategie di vita.
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Essere una giovane donna ha a che fare con una autorappresentazione ed una
percezione di sé che intreccia mondi immaginari soggettivi del femminile con l’educazione, le richieste dell’ambiente ed i modelli culturali attraversando le fasi
cruciali del processo evolutivo dell’individuo fra cui l’adolescenza, un momento
in cui l’evoluzione naturale stravolge l’esistenza e mette in crisi l’identità con i
veloci cambiamenti del corpo, i presagi di separazione dai genitori e la sessualità
incombente e minacciosa.
In sintesi, sulla base di quanto rilevato dalla ricerca condotta da M. Merelli, P. Nava e
M. G. Ruggerini si può affermare che ancora troppo spesso le scelte delle giovani
donne in ambito professionale sembrano seguire schemi e percorsi a cui sottende
una svalutazione delle proprie capacità e competenze ed un mancato riconoscimento, una scarsa consapevolezza, circa le proprie potenzialità personali che
potrebbero, se riconosciute e valorizzate, ampliare la gamma di possibilità di scelta
connesse ai progetti professionali e di vita.
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4. AUTOSTIMA E REALIZZAZIONE DI SÉ
L’autostima può essere definita come un senso soggettivo e duraturo di consapevolezza e riconoscimento del proprio valore fondato su appropriate percezioni di sé
ed è essenziale per la sopravvivenza psicologica; come esseri umani noi siamo in
grado di definire chi siamo, di formare quindi una identità, e di attribuirle un valore.
Si possono identificare come elementi fondamentali dell’autostima:
Elementi cognitivi che consentono la definizione e caratterizzazione di sé in senso
descrittivo come il sesso, l’aspetto fisico, la competenza in vari ambiti e relazioni.
Elementi affettivi identificabili nell’insieme di sentimenti positivi o negativi provati
nei confronti di sé stessi.
Elementi valutativi di tipo cognitivo-affettivo identificabili nei pattern di competenze connessi a criteri di paragone o a livelli di rendimento ideale e nei sentimenti
di sé che accompagnano le autovalutazioni.
L’autostima riflette la stabilità della struttura del Sé, della propria identità che si sviluppa durante gli anni formativi dell’infanzia e dell’adolescenza.
L’autostima viene nutrita sia dagli apprezzamenti che il soggetto ottiene dall’esterno sia da ciò che ha interiorizzato, che pensa e sente in relazione a sé stesso.A
tale proposito pensiamo al ruolo fondamentale che esercitano la famiglia e la scuola
nell’evoluzione dell’individuo, nella strutturazione dell’identità delle giovani donne
e dei giovani uomini.
Con una autostima positiva si può tollerare un rifiuto, una critica, una valutazione
negativa in ambito scolastico o professionale perché si ha un supporto interiorizzato che sostiene, mentre la mancanza di autostima produce un bisogno costante di
appoggio esterno: il bisogno di essere stimato dagli altri. E poiché questo appoggio
ambientale viene cercato come conseguenza del proprio concetto di sé, non può
mai apportare un contributo alla crescita del Sé. L’uomo trascende se stesso solo
attraverso la sua vera natura e non attraverso l’ambizione o le mete artificiali (Perls,
1977).
L’opinione ed i sentimenti rispetto a sé stessi influenza le scelte, la progettualità di
vita, e quindi anche le aspettative ed i comportamenti relativi al lavoro.
Il grado di autostima ha una ripercussione diretta sulle scelte formative e sulla vita
professionale. Senza riconoscimento delle proprie caratteristiche, conoscenze, abilità e quindi competenze si può essere anche produttivi ma ostacolati nella realizzazione di sé. Si possono fare esperienze importanti e formative o perseguire obiettivi difficili ed ancora ottenere risultati importanti senza riconoscerne il valore.
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Quando la consapevolezza ed il riconoscimento del proprio valore sono scarsi,
quando ci si valuta solamente sulla base delle prestazioni e cioè di ciò che si fa e
non si tiene conto di ciò che si è, e cioè dei propri valori, dei propri sentimenti, del
proprio valore di individuo unico, le proprie energie non vengono adeguatamente
rinnovate e reinvestite e vengono esaurite (Giusti, 1995).
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5. DEFINIZIONE DI COMPETENZA
IN AMBITO PROFESSIONALE
Il termine “competenza “ deriva dal latino competentia ( cum petere, dirigersi a) e
secondo la definizione nella lingua italiana del Devoto-Oli, significa “piena capacità
di orientarsi in determinati campi, legittima autorità di esprimere un mandato…”
Nell’uso corrente che si fa del termine inoltre, la “mancanza o la assenza di competenze “assume una connotazione negativa connessa con l’“essere incompetente”. Si
tende altresì a ritenere inscindibile il rapporto fra competenza e conoscenza mentre trattare di competenze significa tener conto della possibilità, per una persona, di
riconoscimento, di apprezzamento e valorizzazione, di espressione, di autostima, di
interazione relazionale e di interazione fra situazioni.
Il termine di competenza ha ormai preso il posto di termini come “capacità” o abilità”anche in relazione al fatto che il nuovo modello di produzione dei saperi e del
saper fare che sta emergendo tende a coniugare la specializzazione con la creatività
e postula quindi la necessità di una formazione polivalente fondata su conoscenze
allargate che sviluppino l’autonomia e sollecitino ad imparare per tutta la vita. La
conoscenza viene intesa in senso allargato e definita come una stratificazione di
saperi di base, di saperi tecnici e di attitudini sociali (Libro Bianco della Commissione dell’Unità Europea).
Si può inoltre osservare una convergenza di opinioni sempre più accentuata fra le
imprese e gli attori che operano in ambito educativo circa la utilità di conciliare gli
insegnamenti generali e la formazione in aree specialistiche orientandosi verso l’esercizio di professioni connotate da alta competenza tecnica e le cui modalità attuatile sono segnate da capacità organizzative, di interazione relazionale, di diagnosi e
di risoluzione dei problemi, di presa di decisione, in sintesi da quelle che vengono
definite competenze trasversali o metacompetenze rendendo così difficile ed
impropria la connotazione di professione maschile o femminile.
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6. L’INTERVENTO PRESSO L’ISTITUTO SUPERIORE
“C. CATTANEO” DI MODENA
6.1 Finalità dell’azione e destinatari dell’intervento
L’intervento, effettuato nell’ambito del progetto Scelta ed attuato all’interno del
sistema scolastico, è finalizzato allo sviluppo e alla crescita delle adolescenti in un
momento significativo connesso al passaggio fra un contesto organizzativo conosciuto (la scuola superiore) ed un nuovo contesto organizzativo (università o organizzazione produttiva), utilizzando un’ottica che comprende il genere.
L’intervento stesso può essere identificato come un’azione che assume finalità di
prevenzione delle difficoltà connesse a questo passaggio.
Il percorso seguito, che ha visto la messa in campo di diverse metodologie e strumenti, è stato in specifico finalizzato allo sviluppo dell’autostima come componente fondamentale della sicurezza di sé e di conseguenza alla percezione, riconoscimento, valorizzazione ed identificazione delle competenze individuali.
Nel lavoro è stato utilizzato un approccio che tiene conto del genere e quindi della
difficoltà che le giovani donne hanno nel riconoscere valore di risorse trasferibili in
ambito professionale, alle competenze connesse alle relazioni interpersonali e di
cura. Difficoltà riscontrata altresì nel riconoscerle fondamentali anche per l’esercizio di professioni che vengono identificate come prevalentemente maschili.
Tutto questo in un’ottica non tanto di orientamento forzato delle giovani donne
verso queste ultime professioni, obiettivo che porterebbe insita in sé l’ombra della
svalutazione di quelle di cura o in generale identificate come prevalentemente femminili, e la corsa a quelle maschili ritenute più qualificanti e qualificate, ma per
aumentare le loro possibilità di scelta in una visione di libertà di identificazione di
significato da dare alla propria vita.
Il lavoro è stato portato a termine all’interno di un gruppo composto di 19 ragazze
di età fra i 17 e i 18 anni, allieve della classe IV B dell’Istituto professionale per il
commercio, turismo e servizi sociali C. Cattaneo di Modena.
6.2 La metodologia
L’intervento si fonda sul principio che in ogni persona vi sono potenzialità che
consentono di riattivare risorse di tipo sia cognitivo che emotivo.
Identifichiamo il lavoro svolto come un lavoro sull’autostima che comprende la
individuazione delle proprie risorse e competenze per la realizzazione di un
progetto personale.
Il lavoro si è strutturato attraverso azioni di gruppo e individuali.
Il lavoro nel gruppo si è svolto con la presenza di due conduttrici.
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6.2.1 Il principio del self empowerment
Il lavoro svolto sia con il gruppo di allieve che attraverso il lavoro individuale, si
basa principio di self-empowerment, che può essere definito come un percorso di
autoesplorazione finalizzato alla consapevolezza di sé e delle proprie risorse e di
conseguenza all’autodeterminazione.
L’empowerment di una persona può essere definito come una forma di potere
interno inteso come forza, motivazione e canalizzazione di energie, ma anche come
insieme di competenze e strumenti che consentono il governo attivo di specifiche
situazioni o di aree di esperienze di vita (Bruscaglioni, 1994).
Il processo di empowerment è finalizzato alla costruzione delle possibilità
mediante l’uso ottimale delle proprie risorse in modo che tra le possibilità possa
avvenire la scelta che rende l’individuo protagonista della propria situazione di vita.
La scelta può riguardare una alternativa innovativa oppure il permanere in una situazione conosciuta, ma con la consapevolezza di avere possibilità anche alternative e
quindi un maggiore vissuto di determinazione nella definizione delle proprie prospettive di vita.
Il lavoro svolto ha avuto l’ambizioso obiettivo di porsi come attivatore di quel processo di self-empowerment che avviene prima di tutto dentro la persona, attraverso
la fase fondamentale della apertura della pensabilità, come acquisizione della consapevolezza circa l’esistenza delle risorse all’interno di sé e capacità di individuazione della loro utilizzabilità all’esterno, finalizzato appunto alla percezione del
potere interno legato alla possibilità di essere e di fare, di usare al meglio le proprie
risorse, di interagire positivamente con l’ambiente circostante.
Questo principio del self-empowerment attraversa tutte le azioni poste in essere
attraverso la sperimentazione individuale e di gruppo, perché si identifica come
forma di aiuto alla persona con la finalità generale di autopromozione personale.
6.2.2 Il gruppo
Il gruppo è stato identificato come luogo di espressione e potenziamento della
ricerca individuale e supporto privilegiato perché consente il confronto, il riconoscimento e la condivisione delle esperienze individuali.
Nel gruppo, o proprio dall’essere in gruppo, deriva, secondo Mucchielli, una presa
di coscienza degli atteggiamenti personali delle categorie interpretative che hanno
influenzato e influenzano i nostri comportamenti e questo momento di consapevolezza è alla base dei mutamenti di significati che attribuiamo alle nostre azioni. Il
gruppo favorisce la scoperta negli altri di modalità di comportamento nei confronti
dello stesso compito diversi da quelli soggettivi e favorisce la scoperta di sé e la
valutazione del problema da un’ottica diversa che poteva non essere stata precedentemente presa in considerazione.
Il gruppo può essere quindi individuato come il luogo ove può avvenire il superamento delle percezioni stereotipate nei confronti di se e degli altri.
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Sul piano della conduzione del lavoro nel gruppo il riferimento al modello teorico
è quello di Rogers e del suo principio dell’intervento non direttivo, che sottolinea
l’importanza di creare un clima, condizioni emotive ottimali, caratterizzate da spontaneità e fiducia che permettano ai partecipanti la massima apertura nei confronti
degli stimoli provenienti dal contesto di gruppo ed essi possano così maturare l’opportunità di rimuovere eventuali ostacoli emozionali ed emotivi che impediscono il
dispiegarsi delle potenzialità che l’individuo possiede.
6.2.3 Il setting di gruppo
Fondamentale per promuovere il processo di autovalutazione delle risorse del singolo nel gruppo è che il gruppo stesso si connoti come spazio “protetto” che rende
possibile l’autoesplorazione e condizione ineliminabile perché lo spazio del
gruppo sia appunto protetto è la definizione chiara del setting.
Il setting in questo contesto è la cornice necessaria e formale per l’intervento, un
insieme di condizioni fattuali all’interno del quale l’operatore esercita la sua professione.
Le componenti strutturali del setting sono gli aspetti di cornice:
Spazio fisico
Spazio temporale
Sistema di regole
Definizione del setting di del gruppo in cui è stato fatto l’intervento:
Tipo di gruppo
Il gruppo, le allieve della classe IV B dell’istituto C. Cattaneo, in cui il lavoro si è
svolto, si connota come gruppo già costituito, operativo, la cui rete di relazioni è
strutturata e significativa per le componenti.
Spazio fisico
Lo spazio fisico è stato considerato come primo elemento per la costituzione di
uno stato mentale, per questo è stato identificato un luogo fisico che è stato lo
stesso per tutte le sessioni di lavoro di gruppo e che è stato predisposto dalle conduttrici in modo funzionale al distacco dell’esperienza di sperimentazione dal contesto scolastico quotidiano, pur essendo lo spazio fisico stesso all’interno dell’Istituto scolastico.
Spazio temporale
È stato definita la durata complessiva e l’articolazione dell’esperienza e quindi della
relazione fra le partecipanti e le conduttrici.
È stata definita la sequenza degli incontri e la durata di ogni singolo incontro di
gruppo.
Sistema di regole
Per garantire che le partecipanti al gruppo potessero esprimersi liberamente sono
state definite dalle conduttrici alcune regole riguardanti:
• la riservatezza rispetto al sistema scolastico di ogni informazione privata di cui,
attraverso il lavoro di esplorazione, le conduttrici fossero venute a conoscenza.
• l’assenza di finalità di tipo valutativo da parte delle conduttrici nei confronti delle
partecipanti.
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6.2.4 L’atteggiamento metodologico nella conduzione del gruppo
Fondamentale perché l’esperienza porti ad un apprendimento da parte delle partecipanti e ad una maggiore consapevolezza di sé è la partecipazione attiva di ognuna
e perché questo sia possibile occorre che si instauri un clima di fiducia all’interno
del quale esse possano esprimersi, esplorare, rinforzarsi e crescere.
L’atteggiamento metodologico delle conduttrici si basa sui seguenti principi:
Interesse e disponibilità a comprendere il linguaggio e le esperienze delle
ragazze.
Assenza di giudizio che comporta l’attribuzione di valore all’indipendenza
psicologica delle partecipanti.
Rispetto della personalità delle partecipanti
Decentramento da sé inteso come necessità di accogliere i diversi schemi di
riferimento delle partecipanti che potrebbero essere diversi dal proprio in un
processo che richiede la capacità di assunzione alterna del proprio e dell’altrui
schema di riferimento.
Il setting e l’atteggiamento delle conduttrici ha consentito la definizione delle condizioni di sicurezza, condivise nel gruppo, ed identificabili nella riservatezza, nell’assenza di giudizio, nell’assenza di un’ottica valutativa, nella chiarezza rispetto ai
termini della relazione e cioè ai ruoli, alla durata, agli scopi.
Nell’esperienza di gruppo le partecipanti hanno così potuto esplorare e condividere in sicurezza, in un contesto rassicurante e non valutativo, le proprie esperienze, le proprie fantasie negative rispetto al futuro, la ricerca delle proprie
risorse personali, innescando un processo di cambiamento che travalica il contesto del gruppo.
Le dimensioni affettive del lavoro in gruppo hanno svolto una funzione fondamentale nella riflessione necessaria per la costruzione di un loro progetto futuro in
ambito professionale.
Questa azione di gruppo può essere individuata come un aiuto alle partecipanti,
affinché confrontandosi, possano riconoscersi, darsi valore e identificare i propri
limiti, e quindi imparare a prendere decisioni e fare scelte più consapevoli.
6.2.5 Il colloquio individuale
Il colloquio individuale è una situazione di interazione a due, di relazione che si
instaura attraverso il colloquio stesso, che è insieme strumento operativo e metodologia globale per gestire la relazione.
Anche il colloquio individuale ha come finalità generale in questo intervento il supporto alle ragazze nella presa di coscienza delle proprie risorse interne, delle pro22
prie competenze affinché, attraverso la valorizzazione delle risorse ma anche l’individuazione e l’accettazione dei vincoli personali, possano riconoscere le proprie
potenzialità e favorirne l’investimento verso un’azione progettuale.
L’operatrice svolge una funzione di mediazione fra il soggetto, le sue risorse, i suoi
limiti, i suoi condizionamenti, le sue paure, le sue opportunità e la realtà, con i suoi
vincoli strutturali e contingenti, funzionando da facilitatrice nella negoziazione fra
desiderio o immaginario e realtà concreta.Aiuta la persona a individuare le potenzialità col fine di far si che al persona maturi un rapporto soddisfacente tra sé e il
contesto, partendo sempre dal presupposto che è la ragazza il soggetto, la principale artefice del proprio processo di adattamento al proprio ambiente di vita.
Dal punto di vista generale anche l’azione individuale che si concretizza nel colloquio è orientata al potenziamento del self-empowerment.
Anche in questa fase è fondamentale l’ascolto, un clima di fiducia che aiuti ancora
una volta l’interlocutore a non sentirsi mai ne giudicato, né influenzato.
6.2.6 La strutturazione del percorso
Il lavoro si è strutturato in varie fasi.
Iª FASE
Immagine di sé
Obiettivo della prima fase è l’autoesplorazione attraverso l’identificazione e l’esplorazione delle esperienze significative della propria vita sia in ambito personale che
sociale consentendo anche l’identificazione delle risorse personali messe in campo
in quelle occasioni e gli apprendimenti.
Uno degli stimoli dati alle partecipanti consiste nell’invito a rappresentare su un
grande foglio, ed attraverso vari materiali, le esperienze che considerano più importanti, un altro di rappresentare sé stesse nello spazio attraverso una frase e il disegno di sé. Non è stata data alcuna indicazione di dove collocare le varie rappresentazioni in modo tale da lasciare la massima libertà di espressione del proprio spazio
psichico rappresentato dal foglio.
Al termine ogni partecipante è stata invitata a presentare il proprio lavoro, a descriverlo e incoraggiata dalle conduttrici, a condividere i propri vissuti nel gruppo connessi alle esperienze rappresentate e al lavoro svolto.
Attraverso questo tipo di lavoro e dalla condivisione nel gruppo classe sono emersi
nuovi contenuti comuni e nuovi legami tra le partecipanti.
IIª FASE
Immaginazione del futuro
Il lavoro riguarda l’esplorazione del proprio immaginario rispetto al futuro, un futuro
che, nel pensarlo, può spaventare o far sentire tutta la propria insicurezza ed allo
stesso tempo essere pieno di desideri. Un futuro in cui importante è il confronto con
modelli adulti, di donna e di uomo, disponibili nella famiglia e nel sociale.
Un lavoro sulla consapevolezza del proprio Sé attraverso l’esplorazione dei propri
valori e delle proprie aspettative.
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È stato chiesto alle partecipanti di rappresentare il proprio futuro attraverso un
immagine simbolica per consentire una maggiore libertà di contattare la rappresentazione svincolata da una progettualità concreta, per cui più affrontabile.
Al termine anche di questo lavoro vi è stata condivisione nel gruppo.
La condivisione ha consentito una riflessione approfondita sulle priorità individuate dal gruppo e sui modelli di riferimento.
IIIª FASE
Il lavoro e le paure latenti, esplorazione ed elaborazione di strategie.
Obiettivo di questa fase è il confronto con i vissuti emotivi negativi, connessi al
fronteggiamento di un passaggio critico al termine della scuola superiore. Il lavoro
ha lo scopo di aiutare ad esplorare e a condividere le paure, fantasie negative, le
preoccupazioni nei confronti di un nuovo compito concernente la propria esperienza formativa e lavorativa (Pombeni, 1996).
Attraverso questa attività le ragazze hanno potuto individuare, condividere le paure
e formulare insieme nuove strategie di fronteggiamento.
IVª FASE
Individuazione di caratteristiche e limiti attraverso la valutazione di sé e
delle altre. Modelli del maschile e del femminile.
Quale lavoro per sé?
In questo lavoro a ciascuna partecipante viene chiesto di individuare e descrivere
le caratteristiche, i principali punti di forza ed anche i punti deboli di sé e delle altre
esprimendoli in forma anonima.
Il successivo passo è quello di rendere le affermazioni descrittive e togliere loro
ogni eventuale valenza giudicante.
Questo consente la restituzione di quanto emerso dal lavoro e la condivisione permettendo alle partecipanti di fare un ulteriore passo riconoscendo ciò che è vero
per sé da ciò che invece non sentono come tale pur accogliendolo come elemento
di riflessione.
Questo lavoro consente l’esplicitazione di aspetti della personalità delle partecipanti, e l’identificazione di punti di forza e punti deboli così come percepiti dalle
altre, spesso sconosciuti a colei di cui si parla.
La valutazione delle altre può in questo modo essere utilizzata come feed-back
esterno che conferma e rinforza le caratteristiche positive ma anche permette di
elaborare ed integrare nel concetto di sé i punti deboli e nuovi ulteriori elementi.
Vª FASE
Un progetto possibile
In questa fase finale l’obiettivo è quello di costruire con le partecipanti, sulla base
delle risorse individuate, un possibile progetto.
In questa fase riteniamo più funzionale al lavoro utilizzare come strumento il colloquio individuale.
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In questo contesto le partecipanti hanno la possibilità di esprimere ed esplorare i
vissuti connessi al percorso, possono accogliere ed elaborare insieme all’operatrice
quanto emerso dagli strumenti psicodiagnostici utilizzati riflettendo su alcuni
aspetti della propria personalità oppure della propria esperienza su cui non avevano
mai riflettuto esplicitamente introducendo ulteriori elementi di consapevolezza. La
logica dell’utilizzo di questi strumenti è sempre quella di un uso non passivo ed
invece basato sull’interazione dinamica fra operatrice e partecipante all’azione.
Il lavoro comprende una rielaborazione individuale di quanto emerso nelle fasi precedenti sia dal punto di vista dei vissuti che dei contenuti; un approfondimento
ulteriore della fase di autoesplorazione e la possibilità per le operatrici di lavorare
anche sul livello riparativo; la restituzione e la rielaborazione delle informazioni
ricavate dall’utilizzo degli strumenti psicodiagnostici; la rielaborazione di sintesi
degli elementi fondamentali emersi dal percorso e degli apprendimenti; la identificazione delle proprie competenze distinguendo fra competenze tecniche, competenze trasversali e competenze di genere; la identificazione di un progetto.
Durante il colloquio finale che conclude il lavoro abbiamo ritenuto opportuno utilizzare come supporto una scheda di sintesi, su cui la partecipante ha potuto fissare quanto emerso in relazione alla valutazione delle proprie competenze ed alle
risorse attivabili per il proprio progetto.
6.3 Strumenti psicodiagnostici
Durante il lavoro, sono stati somministrati alle partecipanti due test i cui risultati,
emersi dalla elaborazione, sono stati restituiti alle stesse in sede di colloquio individuale.
I test somministrati sono stati utilizzati sempre facendo riferimento ad un approccio che ha visto al centro del processo di autovalutazione e diagnosi delle proprie
competenze le partecipanti ed in un ruolo di attivazione e facilitazione del processo stesso le professioniste che hanno condotto i gruppi ed il colloquio individuale che hanno svolto altresì un ruolo di supporto e sostegno nella elaborazione
dei vissuti individuali e di gruppo connessi all’esperienza nel suo complesso.
Seguendo tale approccio le professioniste hanno descritto alle ragazze i risultati
ottenuti attraverso la elaborazione dei test che sono entrati così a far parte degli elementi a disposizione delle ragazze stesse ampliando integrando la gamma di informazioni a disposizione su sé stesse.
Sono stati somministrati dalle psicologhe i seguenti test:
TMA (Test di valutazione multidimensionale dell’autostima)
B.A. Bracken
Fascia di età: dai nove ai 19 anni.
È stato ritenuto fondamentale disporre anche di strumenti oggettivi rispetto alla
dimensione fondamentale della personalità delle partecipanti relativa all’autopercezione ed all’autovalutazione del proprio Sé nell’ambito del lavoro sull’autostima.
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La valutazione diagnostica dell’autostima richiede particolare attenzione per la difficoltà connessa al fatto che il concetto di sé è costituito da varie dimensioni, ciascuna delle quali relativamente indipendente dalle altre.
L’autostima globale nel TMA viene distinta in sei aree specifiche:
Area interpersonale che ha fornito informazioni su come la ragazza percepisce e
valuta i rapporti sociali con i pari e con gli adulti.
Area scolastica che ha fornito informazioni su come la ragazza percepisce e valuta
le proprie capacità in rapporto a successi ed insuccessi in ambito scolastico.
Area emozionale che ha fornito informazioni su come la ragazza percepisce e
valuta la propria vita emotiva e la capacità di controllare le emozioni negative.
Area familiare che ha fornito informazioni su come la ragazza percepisce e valuta
il proprio sistema di relazioni all’interno della famiglia.
Area corporea che ha fornito informazioni sulla percezione del proprio sé corporeo.
Area della padronanza sull’ambiente che ha fornito informazioni su come la
ragazza percepisce e valuta la propria capacità di fronteggiamento degli eventi e
delle principali situazioni della propria vita.
QPCC (Questionario di percezione di competenze e convinzioni)
M.Pellerey-F.Orio
Fascia di età: adulti
La finalità connessa all’utilizzo del QPCC è stata duplice. Da un lato ha consentito di
far riflettere le ragazze sul valore che rivestono alcune competenze nel contesto
professionale e dall’altro di riflettere altresì sull’immagine che esse hanno di sé
stesse rispetto alla qualità di alcune competenze. L’utilizzo di uno strumento di questo tipo è stato utile ai fini fornire alle ragazze informazioni utili per la definizione
dei propri progetti formativi e professionali.
Le dimensioni prese in considerazione dal QPCC sono quattro, a loro volta articolate in dieci scale o fattori:
Dimensione affettivo-emozionale
Dimensione volitiva
Dimensione cognitiva
Dimensione motivazionale
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29
LE AUTRICI:
Cinzia Sintini
Psicologa psicoterapeuta di formazione psicocorporea ed in psicoterapia
ad orientamento gestaltico
Opera in ambito clinico, scolastico e del lavoro.
Conduce gruppi di psicoterapia e di formazione nell’ambito del counseling
e delle relazioni d’aiuto.
Si occupa di ricerca e conduce gruppi sull’identità femminile e sul rapporto
fra identità personale e professionale.
Astrid Cossutta
Psicologa di formazione psicocorporea ed immaginativa.
Opera in ambito clinico e scolastico.
Collabora con il R.I.S.E.A. (Ricerche e Servizi per l’Adolescenza)
Il presente lavoro è stato effettuato nell’ambito del Progetto Scelta
(Sperimentazione di un modello per la realizzazione di interventi
integrazioni fra sistemi formativi per motivare le studentesse
verso studi tradizionalmente maschili), da Ecap, Efeso, Enfap,
Ecipar, Nuovo Cescot, con il contributo della Coop. Le Nove
Approvazione del ministero
Progettazione e coordinamento dell’intervento:
Cinzia Sintini
Conduttrici dei lavori nei gruppi
Cinzia Sintini
Astrid Cossutta
Consulenti coinvolte nei colloqui individuali:
Edda Plazzi
Gloria Tazzari
Raffaella Cardone
Supervisione Tecnico Scientifica:
Maurizio Stupiggia