el porzel int`el basso piave

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el porzel int`el basso piave
CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
EL PORZEL INT’EL BASSO PIAVE
Carlo Dariol
(DIA-2) ‘Na sopressa de casada… E chi la gusta più! Dove se’a compra?! Quasi
più nessuno alleva il maiale in casa. Eppure, fino a trenta-quarant’anni fa
(DIA) tutte le famiglie di contadini allevavano el porzel, principale fonte di
carne e condimento. Ogni famiglia ne teneva almeno uno; in una famiglia
“normale” di 30 persone se ne tenevano 4-5 l’anno; solo le famiglie molto
povere (’e fameje dei repetini) non potevano permettersi un maiale e allora, in
occasione di certe festività, andavano alla questua de… un cicioit, parona!
El porzel era uno di famiglia: i bambini ci giocavano; ci salivano in
groppa per essere accompagnati a scuola. Il maiale non era esigente: si
lasciava nutrire con gli avanzi della tavola e dell’orto, con le zucche, con
quello che si trovava. E in cambio degli avanzi… dava tutto, proprio tutto
perché, una volta macellato, di lui non si buttava via niente.
I tanti proverbi che ci sono rimasti sul maiale testimoniano di una
rapporto stretto tra uomo e animale. Lo si amava… e lo si uccideva. Era un
fato. Era così da sempre.
MUSICA
(DIA) Nella Bibbia, dopo la cacciata dall’Eden, il cattivo Caino fa
l’agricoltore e il buon Abele fa il pastore. In questa parte della Genesi
prevalgono chiaramente i valori pastorali degli ebrei che, usciti dalla
Mesopotamia, erano diventati nomadi e patriarcali (e quindi maschilisti).
Cosa c’entra questo con la storia del maiale? C’entra! Se in antico il
mondo agricolo dei popoli sedentari e il mondo pastorale dei nomadi erano
in antitesi, il maiale riuscì a conciliare questa contrapposizione. (DIA) In
Cina – la massima civiltà agricola del mondo – l’ideogramma della parola
“casa” da sempre si compone di due elementi: sopra, il segno di “tetto” e
sotto, il segno di “maiale”. Perché il maiale si rivelò da subito un ottimo
affare: è prolifico, cresce rapidamente di peso e realizza il massimo del
rapporto fra investimento e resa. Ma soprattutto è onnivoro e, nonostante
sia una formidabile fabbrica di proteine, non sottrae alcun tipo di risorsa agli
umani. Allevato allo stato brado, sfrutta i prodotti di aree non-agricole che
gli umani non mangiano e non interferisce con le aree riservate agli erbivori:
capre, pecore, bovini, cavalli… Se invece si pratica un allevamento stabulare,
il maiale viene alimentato in gran parte con i residui alimentari e con quelli
agricoli. In Cina e in Corea si allevavano nelle case maiali (DIA) la cui dieta
farebbe la gioia dell’assessore ai rifiuti: mezzo chilo di feci umane al giorno
per animale e circa 55 grammi di spazzature. È arduo pensare a un culatello
fatto con queste carni. In Europa gli ordini conventuali, gli ospizi, gli
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ospedali utilizzavano i maiali come netturbini. Anche le città, prima di
dotarsi di servizi di nettezza urbana, usavano branchi di suini. È questo non
ai tempi del Barbarossa, bensì a Napoli e a New York fino al XIX secolo
inoltrato.
Greci e romani utilizzavano la salagione e l’affumicatura per la
conservazione delle carni di maiale. (DIA) L’erudito Varrone (I sec a.C.) è il
primo autore che descrive l’impasto di un salume, che i legionari aveva
conosciuto durante le spedizioni nel Meridione, nella Lucania (letteralmente
“la terra boscosa”): un tipo di salsiccia, chiamata appunto Lucanica, che gli
eserciti romani introdussero poi nella Cisalpina, e il cui nome tuttora
sopravvive da noi come Luganega.
(DIA) Ovidio narra che gli uomini dell’età dell’oro erano vegetariani
(così sta scritto anche nella Genesi), ma aggiunge che la prima carne che
mangiarono fu il maiale. (DIA) Il grande naturalista Plinio il Vecchio (I sec.
d.C.) dice della carne di maiale: “nessun animale presenta tante utilizzazioni per la
cucina, la sua carne ha cinquanta sapori”.
(DIA) Dalle commedie di Plauto si ricava una lista ricchissima di pezzi
che vengono mangiati: muso, orecchie, costolette, schiena, filetto, petto e
trippa, piedi e cotenna, nonché frattaglie: i rognoni e soprattutto il fegato;
pregiatissimo quello di scrofa ingrassata a fichi venduto col nome di ficatum.
(DIA) Petronio, nei cena di Trimalcione, riporta che i romani impazzivano
per il “porcus trojanus”, un maialetto ripieno (come il cavallo di Troia) di
uccelletti, verdure, salse varie e formaggio fuso: una bomba di gustosità,
grassezza e calorie!
(DIA) Nel periodo medioevale e fino al XVIII secolo i suini erano
allevati allo stato brado nei boschi di querce e castagni. La loro vita era di 2-3
anni e generalmente non superavano i 70-80 kg. Erano accuditi dal porcaro
che doveva pagare al proprietario del terreno o del pascolo, generalmente il
nobile locale o a un monaco esattore, il “ghiandatico”. (DIA) Nell’editto di
Rotari del 643 d.C. si riporta che il porcaro valeva più di ogni altro gestore di
animali: “… se qualcuno avrà ucciso un porcaro altrui, paghi soldi 50… Per
l’uccisione di un pecoraio, capraio o bovaro, si paghino soldi 20”. Anche le
foreste erano classificate in base alla destinazione d’uso: era “fructosa” se
ricca di querce, e il valore era tanto maggiore quanti più maiali poteva
ospitare a pascolo.
(DIA) Due fattori si presentano senza interruzione dall’età romana fino
all’introduzione, nel Settecento, del pascolo artificiale. In una dieta che per il
grosso delle popolazioni padane era forzatamente “vegetariana” e povera di
proteine animali, 1) il maiale richiedeva bassa spesa e produceva carne, non
solo gustosa e adatta a molteplici trattamenti, ma 2) che si conservava a
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lungo tramite la salagione e l’affumicatura ed era perciò disponibile in
inverno, quando frutta e legumi freschi scarseggiavano. Poter conservare la
carne rappresentava un vantaggio enorme per società contadine dove il
problema fondamentale non era solo lo squilibrio fra offerta debole di cibo e
domanda forte, quanto la regolare disponibilità di viveri, che era soggetta a
variazioni fortissime per l’arretratezza agricola e l’assenza di tecniche di
conservazione del cibo.
(DIA) Per conservare ci voleva il sale. Il sale non si produceva
ovunque e andava importato. Dal IX e X secolo il monopolio del sale è in
mano ai Veneziani. Chi non vuol dipendere da Venezia deve arrangiarsi in
altro modo. Per chi abita vicino al mare, come qui nel Basso Piave, la fonte
del sale è l’acqua stessa del mare, che viene fatta bollire, prassi durata fino a
cinquant’anni fa. Ma questa è già storia recente.
DEF: SALAME: termine di origine rinascimentale (salamen) che indica la
carne macinata e trattata col sale.
(DIA) Dal 1700 in poi l’allevamento si fa più circoscritto: i boschi sono
stati fin troppo sfruttati, le epidemie come la peste sono scomparse e la
popolazione comincia ad aumentare: ma si continua a preferire il maiale per i
soliti due motivi.
(DIA) Nella seconda metà del XX secolo si assiste
all’industrializzazione dell’allevamento del maiale… Ma, a conferma del
ruolo sociale che il maiale aveva avuto nella vita rurale di un tempo,
sopravvivono manifestazioni paesane ed eventi in cui si consuma la carne
fresca di suino o in salume, nonostante che le nostre abitudini a tavola si
siano fortemente modificate e il rapporto con la terra più così strettamente
necessario.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’inevitabile “crisi del maiale”
la cui carne ha finito per essere considerata un fatale nemico per la salute
dell’uomo.
Ma na sopressa de casada…
(MUSICA)(DIA) L’ACQUISTO E L’ALLEVAMENTO
DONNA – Quando jera la scrofa de proprietà a partorir sie-oto… ma anca
ùndese-dódese porzeéti par volta, se tegnéa queli che dopo se levéa, e
chealtre s’i vendéa.
UOMO – Se s’i compréa… se’o féa dae fameje de contadini che véa ’a ’uja e
el mas-cio.
NARRATORE Quanto valeva un lattonzolo? Quattro conigli grandi o una
giornata di lavoro.
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DONNA – Alla nascita el porzeét pesa da uno a due chili. ’A scrofa partorisse
do volte l’anno.
NARRATORE Il periodo di gestazione è di 3 mesi 3 settimane e 3 giorni. Il
periodo di svezzamento, negli allevamenti, dura circa un mese.
DONNA – L’allevamento scumiziéa a marzo o aprile, col porzeét svezzà.
All’età di tre o quattro mesi el vegnéa castrà dal castrìn e dal chel momento
el porco diventéa maiale.
La castrazion delle femmine ’a vegnéa fata quando ’e scominziéa a “sentir ’a
luna”, e no ’e voéa magnar.
DEF: CASTRIN: figura professione comunale, ufficio importantissimo…
NARRATORE … più di un odierno responsabile ufficio ah-tributi… In
genere si usa castrare maschi e femmine ancora piccoletti, prima di
metterli in vendita. Se i maschi non vengono castrati, i salami ’i sa da
piss, el lardo non fonde, parché el se rapa su pa’ ’a pignata. La castratura
dev’esser fatta bene perché se un testicolo ritenuto non viene ben
asportato continua a svilupparsi e a produrre ormoni e la carne di
maiale saprà comunque da piss.
Se non si castrano le femmine, perché si dice crescano meglio, bisogna
sincerarsi che, al momento dell’uccisione, non siano in calore, il che
avviene ogni venti giorni, per la durata di 2-3 dì: anche in quel caso la
carne saprebbe di selvatico e sarebbe immangiabile. Si riconosce se la
uja è in calore quando… è tutta rossa! Per accertarsi che non sia in
calore, el porzeiter fa… delle carezze alla scrofa: se quella mostra di
gradire, meglio lasciar perdere e ripassare tra una settimana.
Meglio tenere maiali maschi: è tutta una questione di tempi e di impegni non
rinviabili: oggi occorre avvisare le autorità sanitarie, il veterinario,
ottenere le previste autorizzazioni; occorre sospendere altri lavori…
Non si può correre il rischio di preparare tutto, tenersi liberi due
giorni… e poi esser costretti a rinviare perché la scrofa…
UOMO – Nei primi mesi, l’alimentazion era costituita da ’na broda de acqua
calda, de farina co crusca, rape, zucche di scarto (que’e da porzèi), residui
e rifiuti dei pasti familiari. Verso ’a fine di agosto se passéa a darghe
patate de scarto, formenton, crusca; con un cressendo nell’ultima fase
dell’ingrassamento. Ogni tant qualche erba speciale, campanèe, par
purificar l’intestin.
DONNA – Se el porzèl sta male, esiste rimedi naturài oltre al pan e al sal
benedetti, o a’a benedizion del parroco: se se tratta de indigestion, se ghe
dà qualche cuciaro de struto.
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Se ghe butéa a broda sul lebo…
DEF. LÈBO o ÈBO = vaso di pietra scavata, di cemento per il cibo dei maiali
o degli animali domestici, truogolo; dal latino lebes-etis = vaso di rame,
bacino.
NARRATORE Al lebo il muso del porco arriva anche rimanendo nel stàvoeo
o stàgoeo. (DIA)
DEF. STAVO’LO o STAGO’LO = luogo di permanenza, dall’indoeuropeo
stha, in latino stabulum = stalla per animali, porcile, stabbio.
DONNA – (DIA) Ghe tochéa a la parona di casa o a una delle spose
portarghe da magnar. Ad ogni pasto bisognéa netar el lebo dai residui, se
zà non lo véa fat le galline.
NARRATORE – Il valore nutrizionale di ciò che si dava ai maiali un tempo
è decisamente superiore a quello che si dà oggi perché le razze erano
state selezionate apposta per dare “molto grasso”. Ora si fanno incroci
per ricavare “il magro”. Nelle industrie, ai maiali si danno cereali, scarti
di produzione industriale, “pastoni” di farinacci, orzo, schiacciato di
mais o di soia, e sale per evitare che il “pastone” fermenti.
UOMO – Gnanca esistéa ’a soia da’e nostre parti.
DONNA – I siori ghe déa ’e ghiande, tegnùe soto acqua parché le se
ammorbidisse e no andesse a mal. La fibra della carne dei maiali risultéa
pì fissa ma pì saporìa.
NARRATORE Per essere macellato, il maiale deve aver compiuto “i due
agosti”, cioè deve avere almeno 17-18 mesi perché la sua carne sia ben
matura e per ridurre la percentuale di scarto.
DONNA – Accanto al nostro, per una settimana si allevava anche quello del
prete.
POESIA (MUSICA) (EL PORZEL DE SANT’ANTONIO)
Stamatina
portà da uno dei Pressinoti
el porzel de Sant’Antonio
‘l é rivà dai Finoti.
Benedìo dal piovan
el va magnar de casa in casa.
’Na setimana qua
‘na setimana là
fin ch’el s’à ben ingrassà.
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Cussì, co poca spesa
ogni fameja
aiuta a so cesa.
NARRATORE (DIA) – A novembre arrivava il freddo ed era tempo di
uccidere il maiale. L’uccisione e la maialatura venivano affidate al
porzeiter, o norcino. La parola norcino deriva dalla località di Norcia
perché da lì partivano in origine questi lavoratori nella stagione
invernale per andare in tutta Italia per la macellazione del maiale. In
molte famiglia di contadini del Basso Piave el porzeiter nasceva in casa,
raccogliendo l’eredità dal papà o dallo zio.
POESIA (DIA)(MUSICA) (DOMAN SE COPA)
Tuti i Finoti
dai veci ai putei ai scavezoti
sa che doman se copa.
- ’L è quel bianco coa coda nera
grass
ch’el strussa quasi in tera.
Tita co ’e man da drio
camina int’el cortio.
ogni tant el se ferma
el tontona.
Se vede ch’el rajona:
- Se spera che reste sto tenpo bel.
el ghe vol proprio par ti, porzel,
che dal muso al codeghin
ti sì tut bon
moesin
cuor sangue figà osseti
uganega museti
e po’ saeame ardo costioete
socol panzeta
parsut e struto.
A me Bia po’
gnanca el to pel a buta via,
co quel ’a fa penei
pa’ onzar i lèti dei putei.
E bestie là ’e se intana,
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e sì che li onze
ogni setimana!
- Pare, veo ugà i cortei?
- Sì… sì… ò visà anca Nanei.
Paron Tita ride par de soto
ae sconte.
El sol va soramonte.
UOMO – (DIA) Bisognéa spetar el fredo parché ’a carne no se sechesse o
guastesse. No ghe jera el frigo… perciò no se ghe ne copéa pì de uno alla
volta. Se ’asséa passar 15-20 giorni prima de copar el secondo, e intanto
se magnéa ’e robe che ’ndéa magnàe suìto … Se te ghe ne copéa do,
dove conservéitu tuta ’a roba che bisogéa magnar suìto? Te ghe ’a déa ai
vicini, che po contraccambiéa quando jera el so turno… Ma jera mejo
spetar, così se féa tre magnàe anziché una e se consuméa tutto.
DONNA – Co se copéa el porzèl, tra ’a zente che partecipéa ghe jera sempre
’na gran eccitazion e l’atmosfera jera carica de attesa. Ghe jera un sac de
persone. (DIA) Il porzeiter, jutà dalla parona che cerchéa de tranquillizzar
’a bestia, entréa nel stagoeo, el lighéa ’na corda a’a mascèa superior e la
giréa intorno al muso, par soffocar i zighi. (DIA) Quindi i lo strassinéa
so el mesà. Ghe jera quei che tegnéa ferme ’e zate…
UOMO – (DIA) Jera da ver paura, parché na zatàda o na testàda jero drìo
l’angolo e ’e forze del porzel, in pericoeo, ’e se jera moltiplicàe a
dismisura. (DIA) Dopo ghe tochéa al porzeiter trovar el punto dove
piantar el cortel soto la goea del porzèl, sopra lo sterno, (DIA) par colpir
el cuor, par far in modo che no’l soffrisse, el se dissanguesse in poc
tempo, e ’a carne se liberesse completamente del sangue.
DONNA – (DIA) Qualcun copéa el porco tajandoghe ’a giugulare, par
recuperar mejo tut el sangue.
POESIA (MUSICA) (CAIN!, CAIN!, CAIN!)
A brosa stamatina
a è int’el marsteét co ’a tersta in zo
su ’e do foiete seche del figher
inte i stechi de ’a paeada
sora ’a strada.
’A s’à butà co gusto int’el me ort
e ’a à brusà radici e pomodori
ma l’articioc drit
co tute quee jozzete
s’à fat na corona de perlete.
Soto el sol che riva in a’egrìa
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e ste’e pian pian sparisse via.
Joani Nanei e so fradel
va verso el stagoeo del porzel.
El porzel come un soldà in vedeta
li speta.
- Ciò, ciò! Voltete un fià!
Camina!
dise Joani co vose moesina.
Ma lu va torno
inbriago storno.
- Pa’a maeora, vientu fora?
Tante man ghe salta sora:
chi lo branca pa’l muso
chi pa’a coda
chi pa’e rece.
Lu ziga. I putei se stropa e rece.
Lu ziga forte, forte
fursi el sa ch’el va aea morte.
-Tira, ciapa de là!
pena igà el ziga disperà
sora a toea da lavar.
De colpo Nanei
ghe fica el cortel in goea
fondo tre dei
- Cain!, Cain!, Cain!
El sangue coea int’el cadin
Aqua, sbrighève
me fèo vegner a freve?
Poro porzel
par fortuna ti no te sente
né ’a aqua scotente
e gnanca i cortei
che rasa via tuti i to pei!
UOMO – El cortel jera un pugna’ét coi lati taglienti, oppur un puntiròl sottile,
(DIA) per cior su mejo el sangue che sprizzéa immediatamente. (DIA)
DONNA – In quel momento era presente sempre una donna, con un paiòl de
rame, (DIA) l’unica fémena presente alle operazioni, de soìto ’a parona
de casa o una delle spose. E col cortel la féa un segno de crose nel
sangue par purificarlo.
Ma finché no’l jera mort, el porzel jera pericoloso: el poro Nano ’l é vissù tuta
’a vita co un brazz finto parchè el porzel el ghe ne ha portà via uno. I jera
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drìo picar el porzèl ancora vivo parché el se dissanguasse e, mentre el véa
ancora ’e contrazion, co un movimento repentin l’ha morsegà el brazz de
Nano e no lo ha moeà finché non i à copà ’a bestia; e ancora ’a morsa
delle mascelle’a jera cussì forte che ’i à dovest tajar via ’a testa per liberar
el brazz, ormai invàido par sempre.
NARRATORE I maiali sono capaci di divorare un uomo. La mafia, per far
sparire i cadaveri, li dà in pasto ai porci. (DIA) E pensare che i maiale
sono bestie così pulite… Se si trastullano nel fango è per ottenere
refrigerio, non avendo pelle dotata di ghiandole sudoripare. E se
ruttano… è per dire cortesemente che hanno gradito.
I maiali di un tempo pesavano 150-160 chili; quello di oggi arrivano sui
300… E bastano due-tre persone per ammazzarli. Qualcosa
dell’eccitazione di un tempo è rimasto, ma tutto si è fatto più
meccanico.
(DIA) Oggi per legge bisogna uccidere il maiale sparandogli il proiettile in
fronte, il veterinario dovrà poter controllare e trovare il buco in fronte.
Data la stazza del maiale i nostri allevatori usano proiettili-propulsori
per cinghiali, più grossi di quelli per maiali. Vincenzo ha in tasca il
proiettile di riserva, sia mai che il primo colpo riesca un po’ storto e
non tramortisca del tutto il maiale: il maiale si dovrà “accosciare” (gesto),
come un calciatore.
È stata messa la porta cieca tra l’interno e l’esterno dello stabulo, perché i
maiali che rimarranno dentro non vedano quello che succede fuori. Se
vedessero, il secondo non uscirebbe più tanto volentieri… i maiali sono
bestie intelligenti… fiutano la morte… e non gli caveresti più il sangue,
si dice.
Vincenzo entra – è lui che li conosce, che gli ha sempre dato da mangiare – e
ne fa uscire uno, a caso, è la sorte che decide in questi casi, differente di
qualche ora. Ha la corda in mano, dovrà legarla al muso, far fare alla
corda “il giro morto” attorno alla gramola del maiale, solo così non ci
sarà il rischio che uno strappo più forte rompa la corda.
È arrivato a dare una mano il nipote Marco, da Cavallino, con i capelli
raccolti a codino. La modernità nella tradizione.
Il maiale è stato trascinato sul patio di cemento davanti allo stabulo.
Vincenzo ha la pistola in mano. La cede al nipote appena arrivato che
la punta in fronte al maiale e spara, con rapidità, sicurezza e
determinazione, quasi fosse il killer infallibile giunto da lontano per il
lavoro sporco, preciso, indolore. Una versione rivista di pulp fiction.
Manca solo che risalga immediatamente sulla sua auto con la busta dei
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soldi e se ne torni via.
Il maiale si “accoscia”, ma sussulta, continua a sussultare; la corda è ceduta
al figlio Sandro che la tira per far girare il maiale di lato: appena il cuore
è a portata di coltello, Vincenzo infila il coltello al centro della gola, un
fiotto di sangue ne esce, inonda di sangue il patio, il maiale sussulta, dà
alcuni scossoni, si sporca tutto di sangue, mentre Sando, trascinandogli
il muso con la corda, gli impedisce di rimettersi in piedi e di nuocere.
Oggi non si raccoglie più il sangue; si preferisce lasciarlo scorrere per
terra, quanto più a lungo è possibile, in modo che la carne ne resti
meno intrisa. La vita sta uscendo a fiotti dalla giugulare, il maiale
sussulta ancora, è quasi fermo; ora è fermo; è morto.
(DIA) «Te ghe vol bene te ghe vol ben, ma te’o copa».
UOMO – In onor del sacrificio, se féa gran festa, par ringraziar ’e fameje
vizine vegnùe a iutar. In campagna tutti copéa el porzel e tuti invitéa
amighi e parenti.
DONNA – L’uccision del porzèl jera come ’a nascita de un tosatel o ’a morte
de un vecio, calcoasa a metà tra ’e do robe, parché da’a morte nasséa ’a
vita.
NARRATORE – Il maiale viene appeso per una gamba all’argano del
trattore, e sollevato. Con l’acqua calda che giunge da una caldaia
esterna messa in funzione da una mezz’ora si comincia a lavarlo.
DONNA – (DIA) Per scaldar l’acqua se uséa fogo de fassine de videgài, cioè de
tralci de vide, e le fémene scominziéa tre ore prima.
UOMO – (DIA) Lavà ala bona, se ’o peséa.
NARRATORE Non è strettamente necessario pesarlo ma è un dato che gli
allevatori desiderano conservare. Per confrontarlo con quello di altri
allevatori. Un po’ come fanno i pescatori quando raccontano la misura
delle loro prede. Il cassone, sollevato col trattore e messo sulla bilancia,
pesa 317 Kg, e 8-9 se ne sono appena andati col sangue.
Il maiale viene legato di nuovo per una gamba e (DIA) depositato su una
sorta di portantina che viene posizionata sotto la tettoia. Di lì a poco si
procederà alla rasatura.
UOMO – Se doparéa ’a cariola de legno de’a stàea, quella col pianal, che
servìa par portar in giro ’a boazza. Ovviamente ’a cariòea prima se ’a
netéa. E se destiréa par sora ’a scala par regger el peso del porzel in tuta
’a so lunghezza.
NARRATORE Viene pesato il cassone che è servito per pesarlo, la tara: 47
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Kg, dunque il maiale pesa 270 Kg. Il maiale, sulla portantina, viene
sistemato di schiena e assicurato con due grossi travetti di legno ai lati.
Ora si comincia a “farghe el pel”. La caldaia lavora a pieno ritmo.
UOMO – Co ’na brocca se cioèa su l’acqua.
NARRATORE (DIA) La brocca è rimasta la stessa. Si versa l’acqua calda
col tubo di gomma o con la brocca (DIA) e con i coltelli si comincia a
raschiare via il pelo. In gennaio è più fatica pelarli perché hanno fatto il
secondo pelo per il freddo. E non bisogna scaldare troppo la pelle
altrimenti diventa più difficile pelarlo. Alcune razze di maiale sono già
“nude” di pelo.
UOMO – (DIA) Se cavéa el pel anca con un cóp, col bordo tagliente, parché
no ghe jera cortèi par tuti. Se vendéa ’e setole ai scarperi par far penèi da
barba.
NARRATORE Il maiale viene adagiato su un fianco e pulito di lato. Le
zampe di quel lato vengono infilate nella brocca piena d’acqua bollente
per ammorbidire le unghie, (DIA) quindi Sandro, con un attrezzo a
forma di uncino, le caverà a una a una. Finito di pelarlo da una parte si
volta il maiale dall’altra e si completa il lavoro.
DONNA – Se ghe dèa ’e ongie ai tosatèi, che ’i ’ndesse a sepuìrle nei pressi
del stàgoeo, parché el novo ospite el regnesse. ’E soto-ongie vegnéa
magnae: ’e somejéa ai nerveti.
NARRATORE Con la fiamma ossidrica si bruciano i peli delle parti
posteriori (quando sarà appeso si andrebbe peggio a fare il lavoro). Nel
frattempo Gianni, con il tubo di gomma, riempie d’acqua gli intestini e
li pulisce.
(DIA) Intanto el porzeiter recide le zampe posteriori sul retro per estrarne i
tendini (d’Achille), quel tanto che basta per inserirci i ganci per i quali il
maiale verrà appeso. Quei due tendini sono in grado di reggere tutto il
peso del maiale.
UOMO – (DIA) Se’o tiréa su co ’e carucole.
POESIA (DIA)(MUSICA) (EL VIEN PICÀ)
Dopo tre ore bianco e rosa
el vien picà soto el tedon
e po’ squartà.
- Aqua calda,
aqua, par carità!
A Bia daea cusìna
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
ogni tant buta ‘na ociadina.
Tita contento
el fa un so rajonamento:
- A ocio e crose
el pesarà uno e oto…
Un gat nero passa pa’ soto
el varda el nasa
po’ el scampa drio casa.
El porzel
picà soto el tedon
el val, sfide mi,
oh tant, tant de pì
de on bel milion!
In staea
Tita à parecià stecheti
par tegner verti saeami e museti.
Milio à tirà via e scusse ae atoete.
Bisogna che e sia perfete.
Nanei sentà sora un fass
de cane
el neta e viane.
NARRATORE Ci vuole passione e carattere per fare questo lavoro,
racconta Marco: lui ha imparato il lavoro dallo zio, mentre suo padre
non aveva la stessa passione; c’è chi li alleva e governa per un anno ma
al momento dell’ammazzamento se ne deve andar via lasciando la
cruenta incombenza agli altri.
(DIA) Sospeso il maiale a una trave, con la fiamma ossidrica si finisce di
bruciare il pelo e altri eventuali microinsetti che infettino o infestino la
pelle, possibili causa di “batteri”. (DIA) Ora il maiale è nudo e bianco,
splendente al sole del mattino.
(DIA) Vincenzo, con un coltello affilatissimo, comincia a sezionare in
verticale la pelle nella parte bassa della carcassa, vicino alla gola, mentre
l’acqua che esce dal tubo di gomma lava via il sangue che ne scorga.
Viene tolta la lingua che viene subito pelata della pelle che la ricopre
che farebbe andare a male la lingua una volta insaccata; inserita in carne
da musetto, diventerà “el lengual”. Poi viene asportato il costato, “el
stomego”, un tempo chiamato “jèvaro”, forse perché, appeso,
assomiglia veramente a una lepre. Si abbassa un poco l’argano per poter
accedere più agevolmente al cavallo delle gambe posteriori, e si
comincia a dividerlo dall’alto in basso sulla parte ventrale, a partire
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
dall’apertura anale. Si asporta per prima “la pipa” che appare legata al
corpo da una sorta di tirante elastico, il cordone urinario.
UOMO – Se mandéa el bocia pì crudét da chealtra parte: “Va controllar se el
tajo el é giusto”…oppur «Va da drio e tìraghe ’a coda…», e de qua se
tiréa ’a pipa pal so elastico, el cordon urinario, e se ’a ’asséa ndar come na
fionda e ’a ghe riveà sul naso al tosatel. Svéjete! E se ridéa.
NARRATORE C’è chi stacca subito la testa e chi no. Non c’è una regola.
(DIA) Si taglia la pelle sulla parte alta della carcassa e quindi l’ultima guaina:
si vedono la vescica, gonfia dell’acqua del clistere, l’intestino crasso e il
tenue: si recidono pian piano tutt’attorno i tessuti connettivi che
trattengono le interiora e le si lascia cadere su una tavola da lavare retta
da due uomini; (DIA) ecco il velo, che veniva usato un tempo per far
trippe, si asporta la milza che dovrà essere mostrata al veterinario (il
maiale è sanissimo); si scende ancora (verso la testa) e si asporta il
fegato, che è voluminoso ma non pesa poi molto, essendo una spugna;
al fegato sono attaccati i polmoni, belli rosei di non fumatore; in un
polmone ci sono in verità alcune chiazze rosse: sangue che il maiale ha
respirato quando è stato sgozzato e che è finito nella trachea. Poi
Vincenzo segna col coltello la mezzeria del dorso, linea lungo la quale
procederà il nipote, segando con la sega elettrica.
(DIA) Qualcosa richiama alla mente film horror o un romanzo di McEwan.
È forse l’atto più cinematografico di tutto il processo: la sega elettrica
scende a dividere in due la colonna vertebrale e il midollo, giù giù fino
alla testa. Anche il cranio è diviso a metà: vengono recuperate le
cervella, i due emisferi, grandi ciascuno come un (gesto) cervello di
olgettina.
Le due mezzene resteranno appese all’argano del trattore finché non
verranno lavorate, nel pomeriggio. Nel frattempo verranno ricoperte
con un lenzuolo perché gli insetti non vi si depositino e non depositino
le loro uova.
COPPIA (DIA) Se tajéa in do el porzel co ’a valdora, un corteàzz gross e
pesante. (DIA) Se non ghe jera ’a valdora ghe jera el corteaz par tajar legna.
El porzel restéa picà un giorno (qualche volta do) par far scoear tut el
sangue. .
(MUSICA) (DIA) FINE PRIMA PARTE
(DIA: sponsor)
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
(DIA: II parte)
DONNA – El giorno dopo, dopo zena, vegnéa liberà ’e to’e e sora de que’e,
(DIA) trasporta’e nel luogo opportuno, o sora el tavoeazz, vegnéa
deposità el porzèl. Po i veci andéa al bar a beva e fumar fin al tempo de
riprendar el lavoro. La lavorazione delle carni incominciava all’alba.
UOMO – Con un fià de carne macinata de prima scelta, sal e pévare,
infagotada inte’a carta oleata e cotta soto ’a cenere, se féa el tasto, el
primo assaggio. ’A prima braciola ’a jera pal prete. Se ghe ne meteva via
anca pa’e fameje vicine, pal dotor, pa’a levatrice, pa ’a maestra.
DONNA – (DIA) ’E trippe vegnéa ben netàe, anche in tel vin parché ’e
ciapesse el profumo. El vin no manchéa mai nele case dei contadini.
NARRATORE Oggi non si attendono più uno o due giorni per lavorare il
maiale. Già nel pomeriggio, nella stanza riparata, sono pronti i due
tavolacci di legno. I tavolacci sono nuovi, mi fa notare Vincenzo,
eppure non sarebbero più regolari: per legge dovrebbero essere in
acciaio. Assisto da un metro a tutte le operazioni, un tempo gli estranei
ne erano esclusi. Con il muletto, le due mezzene vengono portate verso
la stanza da lavoro. Prima Vincenzo ne asporta le due mezze teste, che
finiscono ciascuna su un tavolaccio. Quindi taglia le spalle, e pure loro
finiscono ciascuna su un tavolaccio. Sandro ora fa scendere
leggermente le pale del muletto: una delle due mezzene se la
caricheranno in spalle due uomini, l’altra si depositerà sulla portantina
che è stata appositamente sistemata sotto.
La prima mezzena giunge al tavolaccio più lontano; l’altra viene portata fino
al secondo tavolaccio direttamente con la portantina.
UOMO – El porzel, picà alla scala, vegnéa portà in casa tut intiero, e ghe
vo’eva brazzi forti de òmini par portarlo drento.
NARRATORE Due uomini a un tavolaccio e due all’altro cominciano la
lavorazione delle carni. Con un coltellone si tagliano innanzitutto gli
zamponi all’altezza del garretto. Si estrae il rognone, che viene privato
della guaina che lo ricopre: è bello lucido; viene diviso a metà e privato
della parte cartilaginea interna, non commestibile.
DONNA – El finìa suìto sul fogo, co vin bianco e pévare.
NARRATORE Vengono quindi strappate le “sonde”, la grande massa di
grasso che separa le interiora dalla carcassa. Oggi vengono buttate via.
DONNA – El grass se ’o masenéa e cusinéa, el deventéa struto, bon par tut
l’ano. Pì grass véa el porzèl e mejo jera. Quel che no se fondéa se’o
rostìa, se féa i ciccioli, li si schinzéa col schinzapatate.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
POESIA (MUSICA)(DIA) (EL STAMPO PA’ FAR SAEAMI)
Tra i sbarbatei
che no i è né omeni e nè putei
l’é Iseo
un bel fiol alt
co ’a vose cioca
e un fià de barba rossa.
- Iseo, ti che ti sì un on
Va cior da Cancaron
el stampo par far saeami.
Sta atento ai cani.
E lu parte a spron batù.
dopo un toc
el riva pioc..., pioc...
- L’atu trovà?
- Sì, sì, ma che sudà!
- Pùzeo par tera pian e tìreo fora.
Iseo mete drento e man
po’ bianco cofà ’na strassa
el vede che i ride e i se sganassa.
- Fiol de ’na tecia,
t’à portà e piere de ’na casa vecia!
Fate furbo, fiol mio,
se te vol che i grandi no i te ride drio.
Bianco cofà ’na strassa
Iseo ride… e pó ghe passa…
NARRATORE – (DIA) Viene tolto dunque il filetto dalla schiena. Il filetto
si mette dentro la sopressa per fare la sopressa col fi’eto (DIA) Sul
banco di una macelleria il filetto sarebbe rimasto attaccato all’osso delle
braciole, il pezzo piccolo di carne che sta dalla parte concava dell’osso.
È rimasto un pezzo di “pipa”, quella che in mattinata era stata tolta per
prima.
UOMO – No ’a vegnéa cavada ma ’assada tacaa par ndar ben a riconosserla e
cavarla tuta insieme quando se scominziéa el lavoro, spesso ncora al
buio.
NARRATORE – Si toglie la cotica della spalla.
DONNA – ’A códega de entrambe ’e spa’e, un tòc unico, ’e medine, vegnéa
cusìa e dentro se ghe metéa tuti i tochi de grass… par tut l’ano. Quindi ’a
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
vegnéa stuca’e co ’a calzina perché no passesse l’aria e no’a fesse ’a
muffa, e conservàa int’el “tedon”.
NARRATORE – (DIA) Viene quindi levato il lardo vicino alla colonna
vertebrale. Vicino alla coscia è un pezzo di carne, il fianchetto, che
diventerà un insaccato, come la pancetta. Si toglie la cotenna per intero
e si estraggono i vari pezzi pregiati: (DIA) dapprima le pancette.
UOMO – Se cavéa ’a panzetta fin soto ’a códega. Da un porzel se ricavéa do
panzette, grandi, de 6-7 chili ognuna.
NARRATORE – (DIA) Oggi si lascia un po’ più di grasso alla cotenna e si
fanno quattro pancette più piccole.
(DIA) Quindi il porzeiter estrae le noci, vicino alle cosce, molto magre,
dette ciascuna anche fiocco e che in macelleria diventerebbero “fesa” o
“girello”. (DIA) Poi gli ossocolli (un tempo rigorosamente due, oggi
anche di più, cinque o sei in quanto mescolati ad altre tipologie di
carne), che in macelleria diventerebbero la “coppa”, i filoni o carrè. Ma
in questo caso le noci e i carrè diventeranno carne da salami e sopresse.
(DIA) Si procede a curare la coscia. È già stato tolto lo zampone. La carne
del polpaccio – lo stinco, che in macelleria viene venduto intero, per
essere cotto in tegame – qui diventerà carne da musetto, essendo una
carne ricca di nervi, che necessita di essere bollita. Se la carne ricca di
nervi finisse negli insaccati, i nervetti si incastrerebbero tra i denti e
saremmo costretti a mangiarli con lo stuzzicadenti a portata di mano.
Se invece i nervetti vengono bolliti, si trasformano in gelatina e
conferiscono (assieme alla cotenna) quel sapore appicicaticcio – che
“peta” – caratteristico dei musetti.
(DIA) È il momento di riaffilare i coltelli con l’ugariol, detto anche azain,
(DIA) inventato negli anni Sessanta. Un tempo c’era invece la piera da
ugar.
(DIA) Viene quindi tolta la cassa toracica, ’e costesìne, che finiranno nel
congelatore.
DONNA – Se ’e magnéa nei primi giorni.
NARRATORE In ogni caso non conviene lasciare la carne di maiale troppo
tempo in congelatore perché diventa dura. Non è come il manzo, che
“non patisce”.
Il lavoro dei porzeiteri continua senza posa. (DIA) Dalla coscia viene estratto
il girello, uno dei cinque gusti, ossia delle cinque parti nobili della coscia,
insieme con lo stinco, la noce, la fesa e la tasca o portafoglio. Il
culatello, il prosciutto più tenero e saporito che si conosca, comprende
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
più parti delle cinque. Nelle Basso Piave non si fanno prosciutti, manca
l’aria buona che li asciuga: si fanno in Emilia e in Friuli. Più a nord con
le medesime parti della coscia, affumicandole, si fanno gli spek.
(DIA) I pezzi di carne più pregiati finiscono nella carne bona, che diventerà
carne da salami e sopresse; la parte più sanguinolenta (sanguanosa)
diventerà carne da salsicce (=sale + ciccia); la carne più ricca di nervi, ’e
pé’esine magre, insieme al “sporc” della testa (e con la cotica, lavorata e
separata nelle sue parti), finirà nei musetti o cotechini. Nel musét, a rigor
di etimologie, con la cotica finiva la carne del muso. Oggi cotechino e
musetto sono sinonimi.
DONNA – El musét jera bon da magnare co i fasiòi.
NARRATORE I visceri (polmoni, cuore, fegato, reni, milza) saranno
mangiati subito, oppure possono entrare nella confezione di salami di
rapido consumo.
DONNA – Se uséa tochi de codega par “ingrassar” el cuoio dei zoco’eti, par
mantegnerli morbidi. Era un’ottima crema per le mani, anche se la
migliore in assoluto è il se(g)o di manzo.
NARRATORE Si “cura” quindi la testa. Si estraggono le cervella che
verranno mangiate presto. La parte sanguanosa di carne e grasso vicina
alla gola, dove è entrato il coltello e dove il sangue ha sporcato le carni
attorno, diventerà carne da salsicce. (DIA) Sempre dalla testa si ricava il
guanciale o bodegal, ottimo come ripieno delle quaglie. Un tempo, col
guanciale (tolta la cotica) si condivano i radicchi coi fagioli…
L’orecchio, almeno la parte più esterna, diventa cotica. In Piemonte e
Lombardia, con l’orecchio o col mustìc si fa la cassöla.
Del porzel no se buta gnente… (DIA) e de’a porzèa se tien anca el numero.
DONNA – Co ’e vianèe (uretere) se féa i budèi pa’e salsicce. Col prete se féa ’a
trippa.
DEF: il prete è lo stomaco. Era chiamato così perché lo si dava al prete in
pagamento del quartese…
NARRATORE (DIA) I pezzi pregiati, momentaneamente depositati su di
un tavolo in un’altra stanza e coperti da un lenzuolo, verranno messi in
salamoia e vi resteranno dalle 48 ore in su. La salamoia è costituita di
sale, rosmarino, salvia, bacche di ginepro, aglio, foglie di alloro e vino,
chiodi di garofano e cannella. Il vino ricopre tutto. Il pepe si aggiungerà
alla fine, prima di insaccare.
Col tempo si sono migliorati gli accostamenti di carni: gli ossocolli odierni,
che risultano dall’unione di diverse tipologie di carne, sono più buoni
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
perché offrono la parte magra e la parte grassa, la parte morbida e la
parte soda…
(DIA) Si lavora la cotenna. L’aiutante toglie la pelle da un quarto di porco e
la passa al capo, che la taglia a strisce larghe 7-8 centimetri, e con un
coltello, che affila sovente, toglieva il primo strato di lardo, quello più
molle, senza fibra, inadatto per finire dentro i salami e le sopresse, e lo
butta da una parte; lo strato sottostante, più denso, più fibroso lo mette
da un’altra.
DONNA – Del lardo senza fibra, insieme co ’e “sonde”, se féa òio; per la
precisione struto: se ’o masenéa, se ’o féa boja, mescoeando
continuamente, finché el diventéa liquido; el vegnéa quindi salà e mess
nei recipienti, ne ’a vessiga del porzèl o in damigiane, par essar utilizzà
par frizza o par condir durante l’ano.
NARRATORE Ci fu un tempo in cui anche la parte molle veniva macinata
con la carne e finiva negli insaccati, ma aveva l’effetto di lasciarli molli a
lungo, i salami rimanevano sempre molli. Con la sapienza che viene
dall’esperienza si capì che conveniva toglierlo.
DONNA – ’Na parte del scorz pì fibroso…
DEF. scòrz = tratto di cotica di maiale, pelle con lardo, dal latino cortex-cis =
corteccia, scorza; “scòrzi” sono le “orecchie” nell’uso delle presa in giro
e del motteggio.
DONNA – …veniva messo da parte, tagliato e insaccato nelle medine o
messo sui vasi di vetro per servir da condimento tutto l’anno: quando ne
serviva un po’ se ne prendeva un ricciolo che veniva sciolto in un teciét. Si
tagliava la fettina quando serviva, quando ad esempio si dovevano
condire i radicchi, la si metteva sul fuoco e la si faceva sciogliere e si
versava il condimento fuso sui radici e fasiòi, una bontà. Bisognava però
mangiarli subito perché quando il grasso si raffredda e solidifica i
radicchi si attaccano tra di loro in un pezzo unico.
Anca qualche toc de pèe, na volta netàa del grass, ’a vegnéa cotta…
UOMO – El scorzét sui radici e fasiòi ’l é bonissimo. Jèreo grass? Sì, ma co tuti
i sforzi fisici che i contadini féa, lavori de badil e de pala, i véa bisogno de
grassi
NARRATORE Si procede alla disossatura. (DIA) El porzeiter lavora con
costanza e regolarità sopra il tavolaccio, inventato con questa forma
ancora nella notte dei tempi, con le sponde rialzate per questioni di
igiene e di praticità, perché non cadano a terra le varie parti separate, e
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
con una sorta di imbuto su di un lato corto per far scolare l’acqua con
cui continuamente si pulisce il tavolaccio.
UOMO – Anche i tosatèi lavoréa un tempo, i scominziéa coi lavori pì
semplici: netando ’a códega, par esempio, col corteìn.
NARRATORE Ma nel vedere la maestria con cui i porzeiteri separano i due
strati di grasso lasciando la cotica pulita e nuda, con colpi di coltello
rapidi e precisi, c’è da chiedersi come riuscissero a fare i bambini tale
operazione.
Ora bisogna lasciar raffreddare la carne. Non si macina mai il maiale finché è
caldo, altrimenti la carne non si macina, ma si spreme, non si fa in
pezzetti piccoli ma diventa poltiglia.
Viene lasciata riposare tutta la notte, in strati non troppo alti perché non pesi
sugli strati inferiori accelerando la fermentazione e perché, a causa del
troppo peso, non esca il siero, cosa che farebbe perdere sapore alla
carne; quindi la carne viene ricoperta per bene con delle tovaglie.
Il giorno dopo dalla carne per salami e sopresse si tolgono le ultime
“péesine”, fibre di muscolo, e le si butta nella carne da muséti.
(MUSICA) (DIA) LA MACINATURA
Ora la macinazione è elettrica, una volta si faceva a mano. Dura ore, la
macinatura. Su un tavolaccio si mette il preparato per salami e sopresse,
sull’altro quello per i musetti, sul tavolino stanno i pezzi grossi sotto
sale.
UOMO – ’A carne da salami e que’a da sopresse jera masenàe co grana
differente.
NARRATORE Oggi la grana è la stessa, variano solo le dimensioni del
budello e quelle maggiori delle sopresse sono sufficienti a mantenere al
loro interno la carne più morbida.
Il preparato per salami e sopresse disteso sul primo tavolaccio forma uno
strato alto 10-12 centimetri. (DIA) È il momento di versare la quantità
giusta di sale. L’errore più grave che si potrebbe commettere ora sarebbe
quello della eccessiva salatura: se si sala troppo, salami e musetti sono
immangiabili Per questo la carne è stata pesata accuratamente dentro i
mastelli sulla bilancia grande e il sale pesato accuratamente con la
stadera. Quello della troppa salatura è un rischio che le pancette e gli
ossocolli non corrono, essendo pezzi di carne unici che “si prendono il
sale che gli serve”.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
UOMO – Se ndéa cior l’acqua de mar col caretèl da 50 litri e se’a féa boja;
ocoréa diversi viaji par ver el sal che servìa. (DIA) In seguito si cominciò
ad acquistarlo ai casuìni: lo si acquistava in pezzi grossi e lo si macinava in
casa con una bottiglia di vetro usata a mo’ di mattarello.
NARRATORE Poi tocca al pepe, le cui percentuali variano secondo i gusti.
L’aglio, spaccato, è immerso nel vino con uno strofinaccio, così il vino
acquista il sapore dell’aglio e l’aglio non rimane nella carne, accusato di
annerirla, di ossidarla. «Io ho messo un cabernet – mi ha spiegato
Vicenzo – per insaporirla».
Qualche volta si fanno degli esperimenti. La finocchiona si ottiene
aggiungendo all’impasto della sopressa anche semi di finocchio
selvatico. La sopressa si può fare col filetto, che si cerca di inserire bene
al centro per ragioni estetiche.
Con le dita a pettine, il sale e il pepe vengono spinti verso il fondo, si tratta
di una prima mescolatura. Viene quindi versato il vino che ha preso il
sapore dell’aglio.(DIA) La carne è compatta, il vino sulla superficie
forma tante piccole pozzanghere dove sono appena entrate le dita. (4DIA) Il porzeiter da una parte e l’aiutante dall’altra, partendo da metà
tavolaccio sollevano righe di carne che depositano sulla prima metà del
tavolaccio: lo fanno per mescolare il sale e il pepe, per mettere la parte
a contatto con il tavolaccio che non ha visto il sale e il pepe a contatto
con la speziata superficie superiore dell’altra metà. Quindi, con le mani
a coltello o a cucchiaio, il doppio strato di carne ora tutto su una metà
del tavolaccio viene slavinato o sgrapedà giù a strati; “‘a prima sgarbada”.
L’operazione viene ripetuta quattro o cinque volte, anche sei o otto se
serve, dipende dalla temperatura e dalla grana di macinazione, lo decide
el porzeiter. (DIA) Si va avanti finché le spezie si sono bene mescolate,
finché ‘a carne no liga.
(MUSICA)(DIA) L’INSACCATURA
La differenza tra salami e sopresse dipende solo dal diametro del budello:
7,5-8 cm per i salami, 12-14 anche 16 per le sopresse. I budelli che si
utilizzano oggi sono budelli artificiali (comunque di bestia, di manzo)
che si acquistano e sembrano di carta: immersi nell’acqua tiepida
(aromatizzata con aglio, aceto, vino) diventano morbidi. Oggi si
adoperano anche budelli sintetici, per fare ad esempio la salsiccia
arrotolata.
DONNA – I budèi vegnéa rivoltati con la parte grassa all’esterno e lavati ben
ne l’acqua calda e ’assai a mojo in un fià de ajo, vin, aséo, sia par
disinfettarli che par profumarli.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
’A vessiga vegnéa impenià de strut, che deventéa duro, e picàda a na trave; po
’a vegnéa tajada a fete, almeno nela parte iniziale. Opur ’a vegnéa gonfia’a
e fata secar par servir, in caso de malattia, come recipiente pal jazz.
NARRATORE (DIA) Per insaccare si utilizza l’insaccatrice, una macchina
elettrica (un tempo a mano) che preme la carne verso il beccuccio
d’uscita, sul quale è stato infilato TUTTO il tratto di budello.
UOMO – I salami ’na volta jera tuti storti, quasi a luna, parché l’intestin tenue
l’é tut a curve. Co l’intestin crasso se féa ’e sopresse. Col diaframma se
“féa su” l’ossacol…
NARRATORE Silvano “macina” la carne col tritacarne; Graziano infila le
budella nell’imbuto della macchina e cura l’insaccatura affinché non
restino incluse bolle d’aria; Mimmo e Carlo legano i salami, (DIA)
ufficio importantissimo, perché chi fa el saeame bon, ‘l é chi che lo liga.
I porzeiteri si sono dotati ciascuno di un piccolo attrezzo meccanico per
tenere teso lo spago che serve per legare i salami; sono attrezzi
differenti, elaborati sulla base di anni e anni di esperienza, ma sono
entrambi due piccole morse da filo: Mimmo il suo lo porta appeso al
collo, Carlo lo ha assicurato al tavolaccio. Non potendo legare i salami
con le due mani, perché una deve reggere il salame e ruotarlo su se
stesso per compattare la carne all’interno, servirebbe una terza mano
per tirare lo spago e fare il nodo: ed ecco il perché dell’attrezzo. Un
tempo si usavano i denti per tirare lo spago ma il progresso e l’ingegno
fornirono soluzioni più efficaci.
A due a due vengono legati i salami, tra l’uno e l’altro viene lasciato mezzo
metro di spago per appenderli.
(DIA) Un ultimo aiutante, con la spunciatrice, o puncirol o spunciarol, “spuncia”
i salami per far uscire l’aria. Quindi ciascuna coppia di salami viene
appesa a cavallo di una trave che è stata disposta tra due cavalletti
industriali. (DIA) La sezione delle trave è abbastanza ampia per tenere i
due salami divaricati.
UOMO – Quando se uséa un fero, se pichéa i do salami uno pì su e chealtro
pì zo parché non ’i se tochesse, ma quel pì su jera preda dei sorzi; opur se
divarichéa el spago con un toc de cana o de legno, sagomà a cacciavide
nelle estremità cussì el spago se incastréa nel dente.
NARRATORE La lunghezza del salame è calcolata perché una volta “inisà”
venga consumato in breve; quella del musetto perché basti per un
pasto. Oggi i salami sono più corti di un tempo, pesano 7-8 etti l’uno,
sono lunghi 20-25 centimetri. Più lunghi, costringerebbero a buttar via
ogni volta la prima fetta, quella che si ossida e che si dà al gatto. Oggi
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
una sopressa di 2, 2 kili e mezzo, è già grande. Un tempo si facevano
sopresse di 4-5 Kg.
Quando una trave è completa, se ne appoggia un’altra ai due cavalletti e si
ricomincia dall’inizio. Sono travi fatte apposta. Hanno fermaspaghi
ogni 20-25 cm e, sul lato inferiore, degli occhielli per appendere altri
ganci che reggano altri salami o musetti.
Ecco, la carne di un tipo è finita, occorre pulire ben bene l’insaccatrice, che
viene aperta: tutto ciò che è rimasto nella vite senza fine viene raccolto
e fatte a palline (gesto) che vengono infilate a mano nell’ultimo budello
per l’ultimo salame, che viene risagomato per bene, due-tre giri del
budello e la carne si compatta per bene, per l’ultima legatura.
UOMO – ’A testa vegnéa lavoràa par ultima.
NARRATORE Il sistema non era affatto razionale essendo la testa una delle
parti più soggette a deteriorarsi; ma intervenivano considerazioni di
carattere magico e tradizionali di cui ho trattato nel libro. Sia Mimmo
che Vincenzo invece l’hanno lavorata per prima.
Durano ore le operazioni di insaccatura, finché di ogni maiale rimangono
50-55 musetti, 60-65 salami, 13-14 sopresse, 2 ossocolli, 2 pancette.
COPPIA Co’a lengua se fèa un salame.
NARRATORE La lingua, prima di essere introdotta nella pasta, è stata
tagliata a metà, salata e lasciata riposare per molte ore; quindi cosparsa
di pepe, cannella in canna e ancora sale.
UOMO – Alcuni metéa un fià de panzeta torno al lengual; altri ’na parte de’a
spalla.
DONNA – Se te’a magna suta, ’a lengua la é come l’ossocol.
NARRATORE Gli ossocolli e le pancette, più grossi dei salami, vengono
forati di sotto in su con un lungo ferro, in modo che, una volta appesi,
esca l’acqua che si è raccolta all’interno.
DONNA – ’A sera se féa ’na gran zena, ’na ganzèga.
DEF. GANZÈGA = pranzo o bevuta che si fa alla fine di un’opera o diuna
gran fatica, ad esempio raggiunto il colmo, al grezzo di una casa.
NARRATORE (DIA) Otto giorni staranno appesi in una stanza senza
prendere né aria né freddo. Se c’è aria secca il budello si secca e il
salame tende a fare il rancido.
DEF. RÀNZEGO = rancido, andato a male, dal latino rancidum = infetto,
putrefatto, per alterazione degli oli e dei grassi; per traslato vecchio e
antiquato e sorpassato.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
NARRATORE Con lo spruzzino ad acqua bisognerà tenerli umidi finché
sulla superficie del budello non si sarà formata la “muffetta”.
Quando hanno fatto la muffetta non si distinguono più salami e cotechini,
non si distinguono più le sopresse dall’ossocollo e dalle pancette.
COPPIA Par riconosssa ’a sopressa col lengual ghe se lighéa un bòtoeo de
panocia, per riconossa l’ossocol un cao de vida, par riconossa ’e panzete se
’assa el spago più longo sul cul. El spago vien ’assà longo anche ai museti
par distinguerli dai salami. Da qualche parte, per riconossa i museti, se
preferisse ligar un spago a metà.
POESIA (MUSICA) (I LO FA SU)
Stamatina
el porzel
‘l é in cusina
sora a toea.
I lo fa su
gemi de spago
pevare broche de garofoeo
canèa budei sal
roba che costa un capital.
Nanei taja e fa tochèti
- Qua i saeami a uganega i museti
là parsuti sopressa e panzeta
- Vardé de no tajarve e farve mal,
recordeve el lengual
Mastegando ‘na cica de tabaco
lavora Nanei co gran distaco.
A carne rostìa
manda un odor
cussì da bon
che tuti magna
senza remission.
Ae oto de sera a insacada
a è za picada in alt
soto.
Pa’ Richeto picenin
‘l é sta fat un saeamin.
23
CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
Adess inte a cusina
e jozze cominzia a cascar
ora su Berto
e ora sua Dorina.
DONNA – (DIA) In quasi tute ’e cusine venete, ghe jera un tempo un
baldacchin par sugar i salami. ’A jera na strutura mobile, formada da do
pai, picài pari al soffitto con un fil de fero, dove pojéa, disposti
trasversalmente, dei pai pì sottili, a cui vegnéa picài i salami.
(MUSICA)(DIA) IL CONSUMO
Se magnéa el jevaro gnanca dopo do ore; e drioman el baldon fat col sangue.
Nei primi giorni se magnéa ’a costa; l’intestin; el fegato, fat a bistecche o co’a
zégoea; i polmoni (’a coradèa); i rognoni; el zervel; ’a tripa fatta col
stomego, réce, co(d)a e pìe.
Gli ossi, anca quei de’a testa, roti o segài a tochi, vegnéa coti nell’acqua, saeài e
ciuciài nei stessi giorni. ’I servìa anche par far el brodo, specie ’i ossi de ’a
testa; un brodo mejo de quel de gaìna.
NARRATORE La luganega deve essere mangiata entro due settimane. I
primi musetti si possono mangiare dopo 8-10 giorni. Dopo 10-15
giorni si possono mangiare i primi salami, all’inizio però cotti. La fetta è
tagliata col budello, il budello si restringe e la fetta fa “‘a scudeéta”. Co
un sghinz de aceto balsamico è la morte sua.
UOMO – Na volta non ghe jera l’aceto balsamico!
NARRATORE I salami vengono quindi portati nei granai, dove rimarranno
fino a marzo, e lì si asciugano.
UOMO – Par proteggerli dai sorzi, li si pichéa a un zercion de bicicletta, cui se
tachéa tre feri; se ghe rompéa el cul a na bottiglia, se fea passare i tre ferri
pal col de’a bottiglia e se pichéa el parecio a na trave del graner. I sorzi
no riussìa a rivar ai salami, i mettéa ’e zate sul vero e ’i sbrisséa…
NARRATORE Dopo un mese, il salame si può mangiare anche crudo.
COPPIA I salami va magnài entro gennaio-febbraio parché dopo i tende a far
el rànzego. In ogni caso, quando rivéa el caldo, aprile-maggio, li si stacchéa
dal soffitto del graner e li si portéa zo in caneva, al fresco…
El lengual vegnéa magnà el giorno de ’a “sensa”, cioè dell’Ascensione, 40
giorni dopo Pasqua.
NARRATORE Dopo si passa alle sopresse, che devono avere minimo sei
mesi di stagionatura; quindi alle pancette.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
UOMO – ’A festa de’i ossoco’i jera quando si batéa el formento a giugno, a
san Giovanni. L’ossocol jera l’ultimo.
DONNA – La pancetta teoricamente sarìe dura’a de pì ma a giugno ’a jera zà
stada magnada.
El paron o il gastaldo girèa pa’ i campi al tempo de’a battitura del formento, e
nell’occasion, el preferìa sajar l’ossocol.
NARRATORE E da giugno a novembre?
DONNA – Ne tochéa magnar ga’ine.
UOMO – A casa mia na volta é mort un porzèl de russin; el soffrìa de prurito
e el se russéa dapartut come un mat. El dotor véa dita che bisognéa
coparlo e butarlo via… e l’é restà finché el porzèl no ’l é stat sepuìo.
Pena ch’el dotor ’l é ndat via, i òmeni de casa ’i e ndati a tirar su el
porzel, i lo ha spolpà e sen ndati vanti na settimana a magnar bisteche…
perché ’a carne, se te ’a cusina, el batterio more.
E po me papà in privato ’l ha dita: «Sperén anca n’altro ano…», ché se
véa magnà come siori quea settimana.
NARRATORE In generale rimaneva ultima una pancetta. Ma un salame
doveva sopravvivere fino alla venuta dei nuovi, perché compisse la sua
funzione di magico richiamo. Oh, santo porco, aiutaci ancora. Mi si
passi l’espressione ardita…
Ecco, abbiamo accennato a “Porco!” quale offesa particolarmente diffusa…
fin dall’antichità. Si dà del “porco” a un uomo che si lascia andare ai
piaceri della carne, intesi sia come piaceri del cibo che del sesso. Troia è
“detto a femmina per ingiuria” si legge nel dizionario del Tommaseo,
almeno dal XIV secolo. Dato che l’appellativo è offensivo lo si usa
dunque per bestemmiare, atto che qua nel Basso Piave si traduce
appunto con porchidar. Ma per taluni personaggi dalla loquela difficile (si
incontravano un tempo nei bar) la bestemmia è uno strumento salvifico
per oliare la lingua e procedere nel discorso, che altrimenti marcerebbe
a strappi, tra interruzioni e afasie.
E vista ’a serata… ’asséme tirar el me porco.
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CARLO DARIOL – El porzèl int’el Basso Piave
(MUSICA)(DIA) (EL PORZEL)
E noaltri ghe voén ben ai cani,
li tratén come fioi de fameja
e ghe fen far de tut, anca maeani,
sen contenti co ’i ne sbaja e ne sveja.
Ghe voén ben ai gati, furbi e scaltri,
cofà madòne che dona ’a paveja
fin de fermarse a magnar da noialtri
gnanca stirando par grazie ’na zeja.
E al porzel, sì, ghe voén anca ben
ma no ghe dén nome, se no ’l pareja
el trao d’un cristian... Da come che sen
par no sentir pecà o maraveja
pa’ un ano ’l denigren parché savén
che po coparén un che ne someja.
(DIA: FINE)(MUSICA FINALE)
(DIA ringraziamenti)
(DIA saluti)
Testo e presentazione multimediale: CARLO DARIOL
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