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INDICE
Giornata della Comunicazione: il perchè di un incontro.
dott.ssa Annamaria Tamborra
Dir. Area Sanitaria – Coordinatrice Asse Comunicazione
I laboratori della comunicazione
dott.ssa Antonietta Favia
Referente tecnico Asse Comunicazione
La dimensione narrativa della vita
Giuseppe Latorre
Educatore professionale
Laboratorio della comunicazione “il gabbiano Jonathan Livingston”
Cosimo Belvito
Educatore professionale
Ognuno di noi ha una storia
Anna Pia Indraccolo
Educatrice professionale
Tutto è comunicazione
Anna Iannone
Educatrice professionale
Akròasis, l’ascolto del mondo
Giuseppe Latorre
Educatore professionale
Bande rumorose: scheda di presentazione del gruppo musicale
Michele Magno
Educatore professionale (Musicista Musicoterapista)
Laboratorio Teatrale “Angeli” “Che cos’è l’amor”
dott. Cosimo Muolo
Educatore professionale
Il teatro
Mario Gabriele
Educatore professionale
E’ possibile riconoscere ed affrontare conflitti; migliorare il
rapporto con il proprio corpo; migliorare l’autostima; migliorare le
capacità comunicazionali e relazionali.
“Giornata della Comunicazione”
il perché di un incontro
dott.ssa Annamaria Tamborra
Dir. Area Sanitaria –Coordinatrice ASSE Comunicazione
Nel corso del 2010, attraverso la programmazione di asse, è stato
possibile potenziare alcune azioni e progettualità che hanno
coinvolto un ampio numero di utenti ed operatori delle strutture
EPASSS.
Le azioni programmate dall’Area comunicazione hanno avuto tra
l’altro la finalità di:
- promuovere il confronto di metodologie
conseguimento di specifici obiettivi;
- favorire scambio di vissuti professionali
conoscenze ed esperienze tra gruppi;
adottate
per
il
e contaminazione di
Proprio per la rilevante valenza terapeutico-riabilitativa, specifica
di tali attività, gli Educatori condividono il percorso del singolo
laboratorio con i referenti sanitari della struttura, sviluppano
conoscenze specifiche sia attraverso momenti formativi interni o
esterni all’Ente, sia agendo la leva dell’autoformazione.
Nel 2010, quindi, nel corso dei diversi coordinamenti promossi per
monitorare le attività in atto, è emersa la necessità di promuovere
occasioni di confronto tra Educatori affinché fosse data visibilità ai
metodi, alle tecniche utilizzate ed agli esiti conseguiti.
Emergeva la necessità di individuare strategie operative che
potessero essere confrontate e verificate, all’interno del sistema,in
modo da individuare buone prassi operative più efficaci da adottare
nei percorsi riabilitativi.
Nasce da questo bisogno la “Giornata della comunicazione”.
- elevare il livello di conoscenza delle diverse metodologie
operative agite nei diversi gruppi di lavoro e nei diversi
laboratori;
- elevare il livello di conoscenza degli esiti conseguiti;
- avviare un processo di sistematizzazione delle esperienze e dei
saperi.
Le azioni genericamente comprese nell’Asse “comunicazione”,
hanno sviluppato, tra l’altro, una particolare attenzione sui diversi
laboratori di attività espressive attivi presso le strutture.
Laboratori quali ad esempio, di attività teatrale, musicale o di
narrazione autobiografica attivi da anni, sono strutturati e pensati
come strumenti di mediazione e di riabilitazione nella relazione con
gli assistiti. Essi hanno manifestato la loro efficacia in termini di
contributo nella conoscenza dell’altro, nella individuazione di
risorse e potenzialità possedute da ognuno; in particolare, in
merito alla capacità di elaborare il proprio vissuto e manifestarlo in
maniera positiva e creativa, portandolo fuori verso una maggiore
conoscenza e consapevolezza di sé, verso una ricostruzione
positiva del proprio essere persona.
Il coinvolgimento di tutti gli Educatori impegnati nei diversi
“laboratori della comunicazione” attivi in molte strutture EPASSS e
l’opportunità di raccontare la propria esperienza ad una ampia
platea sono stati non solo accolti con grande entusiasmo ma hanno
anche reso evidente la competenza e la passione diffusa nel nostro
sistema.
Gli Educatori hanno rappresentato, attraverso i lavori prodotti,
facce diverse di una grande volontà di contribuire, attraverso il
proprio lavoro, al miglioramento della qualità della vita dei pazienti
in assistenza.
Il quaderno raccoglie i materiali presentati in questa Giornata che
ci auguriamo costituisca il primo appuntamento in una prassi di
partecipazione attiva degli Operatori nella finalità di una continua
crescita istituzionale.
Infatti, attraverso gli strumenti della narrazione, del teatro, della
musica, della espressione grafica, è possibile esprimere sentimenti
ed emozioni di cui non è sempre facile parlare.
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
audiovisivo si entra nel vivo della re-visione dei propri modelli
cognitivi, emotivi, relazionali e posturali.
I laboratori della comunicazione
dott.ssa Antonietta Favia
Referente tecnico Asse Comunicazione
Abbiamo condiviso all’interno del gruppo della comunicazione, istituito
nel 2009-2010, la necessità di focalizzare l’attenzione su tutte le
attività di laboratorio che convergono nell’Asse comunicazione.
L’uso del mezzo espressivo (pittura, scrittura, musica e teatro) apre
un “canale comunicativo” e costituisce di per sé un fatto evolutivo
per ogni persona ma, perché assuma un valore terapeutico, occorre
osservare non solo il “prodotto espressivo”, ma anche l’attività
stessa del soggetto nel percorso che compie per arrivare a quel
prodotto.
Solo nella relazione terapeutica l’espressione libera della creatività
potrà essere utilizzata come un oggetto di cui si può parlare, su cui si
può lavorare, un momento conoscitivo, punto di partenza di un
possibile percorso terapeutico.
Diversi sono i canali comunicativi che vengono utilizzati come
“farmaco” per la cura della mente, come pratica riabilitativa che
consente al soggetto affetto da disturbi psichici:
di recuperare la dimensione simbolica della realtà
di esplorare il proprio mondo interiore
di suscitare emozioni
di acquistare consapevolezza
di produrre cambiamenti.
La Drammaterapia o Teatroterapia si propone di usare l’impianto
teatrale nella sua complessità come mediatore nelle relazioni di aiuto.
Usando le tecniche e il linguaggio teatrale è possibile portare avanti
un lavoro combinato su corpo, emozioni, immaginazione, memoria,
pensiero (creativo analitico e narrativo), attenzione, voce e
respirazione per raggiungere l’obiettivo di benessere ed integrazione
in ambito terapeutico-riabilitativo e sociale.
La Videoterapia (foto o filmati) è lo strumento per l’acquisizione delle
competenze “di cui ho osservazione” e per il monitoraggio di sé.
Ciò che riveste importanza non è la foto, ma il criterio di scelta delle
immagini da riprendere o scattare. La fotografia è il racconto di ciò
che sto guardando; ogni foto rappresenta un’immagine carica di un
senso esistenziale e un’importante traccia del percepito della persona.
L’immagine diventa strumento di una tecnica narrativa di conoscenza
del sé in quanto attraverso l’iter di costruzione del prodotto
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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La Narrazione
Le nostre vite sono incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle
storie che raccontiamo e che ci vengono raccontate, a quelle che
sogniamo e vorremmo poter raccontare. Tutte vengono raccontate
nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi in un
lungo monologo spesso inconsapevole ma ininterrotto.
Noi viviamo immersi nella narrazione, ripensando e soppesando il
senso delle nostre azioni passate, anticipando i risultati di quelle
progettate per il futuro.
“Come le storie curano”
Ricordare ovvero ri-membrare = rimettere insieme membra ed
elementi dispersi.
Si tratta di un
lavoro ri-costruttivo,
volto al mondo interno
frantumato dello psicotico, al quale il contesto narrativo si offre come
“un primario contenitore“.
Possiamo porre in termini propositivi le tematiche narratologiche
associate alla lettura dell’anamnesi: un approccio ad esse,
caratterizzato dalle riflessioni sulla creazione del racconto come
prodotto legato in modo indissolubile alla matrice stessa dell’esistere,
può permettere il recupero di una dimensione nuova della vita stessa
del paziente, all’interno dell’istituzione.
Può essere la base per un modo diverso di lavorare con il paziente
cronicizzato, la cui storia può riprendere corso se sostenuta dalle
possibilità creative della vita di relazione.
All’interno della vita di relazione l’anamnesi diventa terreno su cui
germogliare per dare origine ad una storia raccontata e non ad
un’immagine fredda e statica.
In questo “guardare creativo” sono ravvisabili gli albori di quella
scoperta di verità, fecondità che è auspicabile obiettivo del lavoro
terapeutico.
Insomma, la narrazione come processo attivo di produzione di senso.
Noi non siamo solo quello che siamo stati, ma anche quello che
scordiamo di essere stati, con vissuti, emozioni, ricordi sentiti come
propri. Ogni soggetto è un sé che si costituisce solo riflessivamente,
cioè solo dopo un lungo itinerario di scoperta di sé tramite
l’interpretazione dei propri molteplici atti.
Nel corso della vita non facciamo altro che raccontare noi stessi
attraverso storie che rappresentano dei veri e propri atti narrativi in
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
quanto frutto di operazioni attive di organizzazione ed elaborazione
dei diversi episodi che riteniamo più importanti per la nostra vita.
Tale operazione, tuttavia, non nasce esclusivamente dall’esigenza di
raccontarci all’esterno, bensì dalla necessità di dare un senso a ciò
che ci accade, di collegare i diversi eventi che costellano la nostra
esistenza lungo una dimensione sia temporale che spaziale.
Nasce dal desiderio di raccontarci a noi stessi. Gli avvenimenti
molteplici che costellano la vita delle persone vengono com-presi ed
integrati tra loro, dando origine a rappresentazioni narrative sul sé.
La narrazione è un essenziale strumento relazionale e soprattutto
rappresenta la via attraverso cui dare forma alla propria identità.
Sono le storie che le persone raccontano e si raccontano delle proprie
vite a determinare il significato che loro stesse attribuiscono alle
esperienze vissute.
Narrare rappresenta un’operazione di consapevolezza in quanto
equivale a costruire una propria visione di sé stessi e del mondo.
L’attività narrante acquista un senso solo se c’è un ALTRO che
ascolta, acquista un senso solo nella relazione tra narrante ed
ascoltatore della narrazione.
Il terapeuta deve aiutare il paziente a ri-scrivere la propria
autobiografia, la propria storia, tenendo presente un obiettivo:
facilitare la persona nell’assunzione di responsabilità, aiutarla a
rischiare possibilità diverse, a modificare un copione di vita che si
ripeteva sempre nello stesso modo ed avviarne un altro, costruire
una nuova visione di sé e del mondo.
All’interno del setting si produce una storia di cui terapeuta e paziente
sono co-narratori. Il qui ed ora della terapia diventa il luogo e il
tempo all’interno dei quali iniziare e vivere esperienze nuove, nuovi
modi di sentire versioni diverse della propria esistenza e quindi nuovi
racconti.
In tal modo la narrazione può essere un veicolo di cambiamento.
“Ricostruire una storia diventa un costruire insieme un tratto di vita,
rimodellare parti di sé, della rappresentazione della propria identità e
del proprio contesto sociale.” (Duccio Demetrio-1994)
“Attraverso la narrazione della storia, non solo vengono comunicate
le proprie emozioni, ma viene favorita anche la riconciliazione di parti
frammentate del sé: il nominarle e il definirle produce l’acquisizione di
consapevolezza, punto iniziale per un’evoluzione che coinvolge
l’intero sistema di sé attraverso il ri-orientamento.” (Rossi -2003)
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La dimensione narrativa della vita
Giuseppe Latorre
Educatore professionale
Raccontarsi…l’autobiografia come cura di sé
Imparare a leggere il libro della propria vita
La dimensione narrativa della vita è dunque un aiuto prezioso per
riconoscere gli aspetti sapienziali dell’esistenza.
Scrivere, leggere, proprio come vivere, sono un continuo esercizio
della propria libertà e delle possibilità da essa mostrate: il lettore in
tal modo non giunge soltanto ad acquisire nuove informazioni, egli
conosce se stesso in un’altra maniera, perché si confronta con un
differente universo, mostrato dal racconto, con cui interagisce e che
anche lo modifica; di fronte al testo egli acquisisce una maggiore
capacità di comprensione di sé, mutando il proprio universo di
pensiero, scoprendo nuove possibilità di azione e un differente
modello di valutazione.
Il lettore ritrova di fronte al testo la propria identità, un’identità di
tipo narrativo, nel senso che lo aiuta a leggere quel libro così
importante e purtroppo altrettanto disatteso che è la propria vita. La
scoperta della propria identità, delle domande fondamentali che ne
hanno accompagnato il percorso e la ricerca, può trovare un aiuto
potente nell’ascolto, nella lettura e nella interpretazione di racconti
esemplari, a loro volta confrontati con il racconto della propria vita;
come per l’azione, non esiste identità che non sia narrata, poiché il
nostro modo di conoscere e valutare la varietà delle esperienze
occorse è narrativo.
C’è un altro elemento fondamentale, caratteristico della narrazione,
il coinvolgimento del lettore: egli non resta distaccato e passivo,
perché quanto viene raccontato muove i suoi sentimenti. Tutto ciò è
di grande valore pedagogico, pertanto il compito di un educatore
dovrebbe essere anzitutto di stimolare, nella lettura di vita
dell’accompagnato,
il
senso
del
mistero,
dello
stupore,
dell’immaginazione. Anche se può sembrare che i racconti, al
massimo, ci offrano una conoscenza culturale, percorrere la storia
insieme al protagonista costituisce un viaggio esperienziale che
serve a costruire le nostre menti, a regolare le nostre emozioni e a
mettere alla prova le nostre capacità. Le narrative personali
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contribuiscono alle nostre reazioni, risposte e modi di impegnarci
con gli altri quando ripensiamo alla nostra storia per fare delle
scelte nelle relazioni e in altri ambiti della nostra vita.
L’autobiografia non è soltanto un tornare a vivere. È un tornare a
crescere per se stessi e gli altri, è un incoraggiamento a continuare
a rubare giorni al futuro che ci resta, e a vivere più profondamente
-aiutati da quell’io necessario e tessitore reso più vigile e al
contempo indulgente- quelle esperienze che, per la fretta e
disattenzione degli anni cruciali, non potevano essere vissute con
la stessa intensità.
Le fiches, sono per tale ragione divise in tre comparti. La
numerazione è unica ma, in tal modo, saprete subito a colpo
d’occhio quale sarà l’esito di ogni singola sollecitazione.
Per Rievocare….
Il gioco dell’oca
Rivedo…
La prima volta che…
Sensi…
Il sesto senso…
Cose e luoghi
Parole
Quella volta che…
Figure fatali
Mentori
In Fernando Pessoa tutto questo diventa poesia:
…Se ricordo che fui, diverso mi vedo,
e il passato è il presente della memoria.
Chi sono stato è qualcuno che amo,
ma soltanto nei sogni…
nulla se non l’istante mi riconosce.
Nulla il mio stesso ricordo, e sento
che chi sono e chi sono stato
sono sogni differenti.
Andar per biografie…con giochi autobiografici e di gruppo, torna
puntualmente il bisogno di lavorare ancora su di sé.
Metodologia.
Percorso autobiografico diviso in tre sezione fondamentali:
Le trenta fiches del gioco della vita possono essere spese
seguendo una traccia che ora vi proporremo o scelto in base
all’estro del momento.
L’autobiografia inizia quando prendiamo coscienza che stiamo
vivendo; è l’alfa dei primi importanti balbettamenti riflessivi e
l’omega degli sguardi maturi e più saggi.
Le fiches sono dunque suddivise in ragione della memoria come
rievocazione, ricordo, rimembranza.
Vi rammentiamo che:
Rievocare significa richiamare dalla penombra dell’oblìo cose, fatti,
sensazioni, figure.
Ricordare vuol dire ritrovare quelle particolari rievocazioni più
significative di altre per le emozioni, gli stati d’animo e affettivi che
ci fanno Rivivere;
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
Rimembrare equivale a rimettere insieme rievocazioni e ricordi per
dare loro una forma, un disegno, un’architettura. Affinché gli
impulsi della memoria non restino a livello di effimere sensazioni,
ma ci aiutino a ricomporre in una rappresentazione dotata di una
certa qual unitarietà la nostra storia. Per fare bilanci e dipingere un
nostro autoritratto virtuale anche in periodi diversi della vita.
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Per Ricordare…
Stupori
Apici
Cronologie
Passaggi
Fasi
Inizi ed epiloghi
Coincidenze
Galleria di famiglia (ma non solo)
L’autoritratto, molti ritratti
Mutamenti
Per Rimembrare…
Arcipelago
Simboli
La spirale e il triangolo
Sguardi dall’alto
Labirinti
Metafore
La risacca e la deriva
Ovali
Mandala
Messaggi in bottiglia.
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Laboratorio della comunicazione
“Il gabbiano Jonathan Livingston”
Cosimo Belvito
Educatore professionale
Il racconto come genere letterario
Il racconto è una narrazione breve che occupa un numero limitato
di pagine e richiede perciò un tempo di lettura anch'esso limitato.
E. A. Poe afferma che durante l'ora della lettura del racconto
l'anima del lettore è in balìa dello scrittore.
Il racconto è dunque qualsiasi testo che sia organizzato attorno ad una
storia raccontata da un narratore.
Il termine ingloba la narrazione orale, quella scritta e la
narrazione per immagini, suoni, parole (racconto filmico).
Elementi costitutivi del racconto sono la storia (il contenuto) e il
discorso, ossia il modo in cui il contenuto è raccontato.
Tutte le situazioni prospettate nei racconti, anche quelle più assurde
ed incredibili, ci riconducono sempre alla realtà: o a quella esterna
della storia e della vita sociale o a quella interna, dei sentimenti o
degli stati d'animo.
Il racconto disvela quindi il proprio sé, i propri sogni, le proprie
aspirazioni.
Alla stesura di un buon racconto concorre la divisione del testo in
sequenze: sequenze di tempo, (il giorno successivo, due anni
dopo), sequenze di luogo, (dietro l'angolo, nel cortile); tale divisione
ha la funzione di distinguere i fatti narrati dalle descrizioni e dalle
riflessioni che aiutano ad interpretare il senso. In ogni racconto
occorre partire da una situazione iniziale e procedere con
l'esordio, ossia con la narrazione delle cause che portano al
cambiamento della situazione, quindi con la narrazione del
cambiamento stesso, per giungere al momento di massima tensione
(spannung) e subito dopo ritornare ad un ordine ritrovato,
mantenendo costantemente l'attenzione non per i fatti ma per le
reazioni psicologiche ai fatti.
considerato uno dei grandi Padri fondatori della Chiesa:
Sant'Agostino.
“Le Confessioni” di Agostino sono un testo senza precedenti
nella storia della letteratura occidentale, se si escludono i
“Colloqui con se stesso” dell'imperatore Marco Aurelio, nel Il
secolo d. C. Per la prima volta un uomo scrive di sé non per
celebrare le sue imprese militari o politiche, ma per raccontare la
propria storia interiore.
Oltre al loro indiscutibile valore letterario “Le Confessioni” hanno
anche una grande importanza come documento storico.
Nonostante numerosi esempi illustri l'Autobiografia come genere
letterario codificato si afferma nel Settecento, perchè è solo nel
Settecento- con l'avvento dell'Illuminismo- che si diffonde l'idea
che la vita di un individuo possa avere un qualche interesse in sé.
Prima di allora era considerata utile solo in quanto modello di vita
per gli altri (agiografia o vita di Santi).
A differenza del diario, l'autobiografia è scritta per essere- letta. La
sua caratteristica più evidente è che non è contemporanea agli
eventi che racconta, ma è scritta quando questi sono ormai
lontani nel tempo, per questo spesso può essere considerata una
sorta di romanzo di formazione.
Con l'avvento della psicanalisi e la scoperta della complessità
dell'io
il
Novecento
può
essere
considerato
il
secolo
dell'autobiografia per eccellenza, di chi scrive per non dimenticare,
per raccontare l'orrore, la paura, la guerra, ma anche i propri
personali tormenti, la storia interiore della propria vita.
A dispetto di quello che si potrebbe pensare, l'autobiografia non è
un genere letterario ingenuo, il semplice e lineare racconto della
vita.
Visto che nel momento in cui viene raccontata una vita acquista
valore, chi racconta spesso omette dei particolari, ne ritocca altri,
inventa addirittura cose che non sono mai successe.
Così l'autobiografia diventa il romanzo di quella vita, diventa in
tutto e per tutto un'opera letteraria, perchè ciò che rende la vita
di un uomo interessante non è il racconto dei fatti ma come i fatti
vengono raccontati.
Il disagio esistenziale nel racconto di sé
Il racconto autobiografico: cenni storici
La scrittura autobiografica come riflessione, meditazione sugli
avvenimenti della propria vita passata nasce in epoca tardo-latina
con l'opera straordinaria di un religioso che col tempo verrà
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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La narrazione autobiografica evidenzia il suo potere curativo in
quanto rappresenta uno strumento terapeutico, educativo e
formativo utilizzabile con diverse tipologie di utenza.
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
Narcisistiche autocontemplazioni
La dimensione narcisistica alimentata di continuo nello svelarsi
del racconto, rivela nuovi interessi nei confronti della narrazione.
Il racconto della personale storia di sé fa innamorare il
protagonista di una passione positiva che genera l'esigenza di
approfondire la conoscenza interiore ed introspettiva. La
narrazione delle proprie istanze interiori, condurrà alla
valorizzazione di aspetti, eventi, emozioni dimenticate, rinnovando
la capacità di emozionare, di stupire, di incantare. Il racconto
autobiografico rende infatti consapevoli del fascino insito
nell'esistenza di ogni persona.
L'emozione fatta scaturire dalla narrazione si svela un valore
prezioso per l'arricchimento del proprio animo.
Il metodo
Autobiografia
Se per autobiografia s'intende il racconto della propria vita è pur
vero che non esistiamo da soli, ma siamo pezzi di una storia più
grande di cui parte è stata già scritta, parte la scriveremo noi e
parte la passeremo ad altri per completarla.
Che cosa cercare nell'autobiografia.
Nell'autobiografia si cerca il senso che il Soggetto attribuisce alle
esperienze compiute, il senso del suo vissuto, il suo bisogno di
appartenenza, il suo bisogno di aggregazione e di comunicazione.
Se un racconto orale non ha senso senza un ascoltatore, la
scrittura autobiografica non ha senso senza un racconto, senza lo
scrivere di sé e per sé.
L'autobiografia dunque, prima di essere un racconto scritto è
l'insieme delle narrazioni che il soggetto compie nel momento in
cui si sforza di dare senso alla sua esperienza umana.
Nell'autobiografia il soggetto occupa interamente la scena, senza
interferenze. Si racconta seguendo un impulso emozionale e
affettivo a riflettere e poi a raccontare gli eventi che ha vissuto.
Quando una persona ricorda il suo passato, più che assumere il
ruolo dello storico in cerca di verità oggettive, rivive gli eventi
trascorsi come una rappresentazione teatrale in cui è l'interprete
principale ed è in scena come protagonista. Quando ciascuno di noi
ricorda, si trova a svolgere operazioni di analisi, di arricchimento,
integrazione. In questo modo si alterano la traccia originale e la
verità del ricordo.
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Nell'esercizio autobiografico si sviluppa la disponibilità all'ascolto. Il
monologo è lo strumento che consente lo sviluppo dell'interiorità e
si basa su una forma di dialogo con una realtà interna.
L'autobiografia è la ricostruzione della memoria personale che
nella sua rappresentazione non esclude anche altri. Si può parlare
di una conversazione con se stessi che si realizza grazie
all'attivazione di un processo definibile come bilocazione cognitiva.
La bilocazione cognitiva è la capacità di scoprirsi dotati della
possibilità di dividersi senza perdersi; è la capacità di essere qui e
contemporaneamente nell'allora della reminiscenza di sé.
L'archivio dei ricordi
Un buon archivio dei ricordi necessita di :
Foto, riflessioni scritte, racconti scritti, registrati e filmati,
narrazioni scritte o registrate, film.
Molteplici sono i temi che possono ingenerare veri e propri viaggi
sulla traccia del tempo:
-Il nome proprio.
E' importante indagare sulle ragioni che nella storia familiare
hanno determinato la scelta del nome, i diminutivi, gli accrescitivi,
indagare sulle tradizioni.
-La famiglia.
La storia familiare deve essere ricostruita con foto, con racconti
registrati e filmati.
-La casa.
Deve essere descritta minuziosamente la casa abitata nel passato,
deve essere confrontata con quella abitata nel presente e con
quella che si vorrebbe abitare nel futuro.
- Giochi e giocattoli.
Il recupero dei giochi aiuta a comprendere la funzione di
transizione verso il mondo esterno che molti giocattoli, pur nella
loro estrema semplicità, hanno svolto nel passato
-Il corpo. Specificità del proprio esistere.
E' importante riflettere sui cambiamenti corporei per accettare i
cambiamenti nell'aspetto esteriore e proporre impegni correttivi.
-Feste e cerimonie.
Le feste e le cerimonie devono essere documentate con foto e
filmati.
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-Amici e avventure.
Devono essere raccontati episodi significativi su alcuni legami di
amicizia, su come sono nati e come si sono modulati nel tempo. E'
molto importante ricercare le regole d'oro della vera amicizia.
-Animali.
Si devono ricostruire ricordi di animali incontrati e conosciuti. A
questo proposito sarebbe auspicabile narrare storie di animali del
cinema e della televisione ( Rin tin tin – Lassie – Rex - Alla ricerca
della valle incantata –Dumbo – Fievel - La carica dei 101 - Lilly e il
vagabondo - Gli Aristogatti).
-Viaggi.
Devono essere raccontati viaggi reali o fantastici con il supporto di
cartoline o di souvenirs.
-Emozioni.
Devono essere raccontati episodi
inscenarli, (paura - terrore - gioia).
di
emozioni
forti
fino
a
-Scuola.
Si devono ricostruire ricordi di insegnanti, di ambienti e di spazi
dell'edificio scolastico, di aule, di compagni di scuola, di materie di
studio.
-Identificazione.
E' importante ricordare i miti del passato e confrontarli con quelli
del presente per comprendere i processi di identificazione.
Indicazioni operative
Ricorda il primo racconto importante della tua vita.
Scrivi il diario; annota episodi di vita quotidiana, scrivi una
presentazione di te stesso indirizzata a qualcuno che non ti
conosce.
Descrivi un personaggio mitico del passato, l'ambiente, la
professione, il valore simbolico.
La vita non e' quella che si e’
vissuta ma quella che si ricorda e
come
la
si
ricorda
per
raccontarla.
G. G. MARQUEZ
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Il Gabbiano Jonathan Livingston
Parla della voglia di lottare, di ottenere ciò in cui si crede e che spesso
invece, per paura di fallire o di essere giudicati, non si tenta neppure di
intraprendere.
Al di là del testo che narra la storia di un gabbiano che scopre la bellezza
di librarsi nel cielo, si nasconde il significato profondo della vita: la ricerca
della libertà.
il piccolo gabbiano riesce ad intravedere una nuova via da poter seguire,
una via che lo allontana dalla banalità e comprende che oltre che del cibo
un gabbiano vive della luce e del calore del sole, del soffio del vento, delle
onde spumeggianti del mare e della freschezza dell'aria. Jonathan
desidera solo poter volare e far partecipi della sua gioia anche i suoi amici:
ma questi non lo capiranno, accecati da quei valori materiali nei quali
intravedono l'unica ragione di vita e dalla paura di cambiare, arrivando
persino a cacciarlo dallo stormo, vedendolo come una minaccia.
Ma è proprio la forza di volontà di Jonathan che prevale su tutti i
preconcetti: egli continua a volare e a gioire delle emozioni che riesce a
percepire. Jonathan non è un ribelle: è solo un piccolo gabbiano che segue
il suo istinto.
Lo stesso Richard Bach (l’autore del racconto) dedica la sua opera al
gabbiano Jonathan che vive nel profondo di ognuno di noi. Dovremmo
tutti avere il coraggio delle azioni, senza il timore di non riuscire nel nostro
intento. Solo così riusciremo a vedere e a percepire tutte quelle cose che ci
fanno sentire vivi e saremo capaci di far alzare in volo quel gabbiano che si
nasconde nel nostro cuore.
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
Ognuno di noi ha una storia
Anna Pia Indraccolo
Educatrice professionale
Ognuno di noi ha una storia
del
proprio
vissuto,
un
racconto interiore, la cui
continuità, il cui senso è la
nostra vita.
Si potrebbe dire che ognuno
di noi costruisce e vive un
racconto,
e
che
questo
racconto è noi stessi, la
nostra identità.
Il pensiero autobiografico, comunque espresso, anche quando è
rivolto verso un passato doloroso fatto di errori e di eventi infelici,
è sempre un ripatteggiamento con ciò che si è stati e questa
riconciliazione procura un senso di tranquillità, di pace. Ricostruire
alla moviola la propria esistenza, e accettarla, procura una
sensazione di benessere che ha origine nella capacità di prendersi
in carica
L'autobiografia, sottolinea Demetrio(1), è un tempo per sé che non
ha segreti per sé e, per questo, la si può definire, una cura di sé.
La funzione curativa dell'autobiografia non è quella di liberare il
soggetto dal proprio passato, ma è quella di soddisfare il suo
desiderio di cercare, scoprire, comprendere il senso della sua vita e
della vita, è un modo per tornare a crescere e vivere più
intensamente la propria storia personale nel presente e nel futuro.
Il racconto è una sorta di liberazione, uno sfogo emotivo che
permette di comunicare tanto le proprie emozioni quanto le
tensioni, è un modo per rielaborare l'esperienza dolorosa, una
sorta di sostegno durante i momenti più difficili della propria vita.
Oltre al benessere psicologico, scrivendo di sé, la persona può
arrivare a cambiare i suoi atteggiamenti nei confronti della realtà,
atteggiamenti che possono essere radicati nella ripetizione di
narrazioni mentali e sociali negative che rappresentano le
fondamenta del disagio psichico.
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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L'esito della ricerca autobiografica dipende esclusivamente dalla
relazione che si instaura tra il soggetto che racconta e chi l'ascolta.
In tale relazione assumono un ruolo importante gli aspetti di
alleanza tra i partner, la circolarità dell'informazione, l'empatia,
l'ascolto attivo.
In ambito specificatamente psichiatrico, il "rimpasto" di frammenti
relativi a diversi livelli autobiografici sottratti allo smarrimento che
deriva inevitabilmente dalla distruzione della esperienza composita
della vita è da intendere come punto d'arrivo.
Il soggetto narrante è dato o può essere dato soltanto a
conclusione di un processo più o meno lungo e complessivo di
almeno una parziale ricostruzione e ricomposizione dell'io.
Gli elementi propedeutici indispensabili all'avvio di tale processo
sono
costituiti
dalla
consapevolezza
della
"malattia",
dall'appartenenza ad un "gruppo di pari", dall'accettazione di un
percorso terapeutico-riabilitativo.
L'esperienza del "laboratorio della comunicazione", inteso come
luogo della narrazione autobiografica, presente nel Centro diurno
di Carbonara può essere così descritto.
"il gruppo ignora il laboratorio e le sue attività. Operatori e pazienti
non si conoscono, non si sono mai incontrati. L'elemento iniziale di
certezza è costituito dalla professionalità e dall'esperienza degli
educatori. Conoscersi reciprocamente sul campo è prassi
consolidata: le relazioni vanno agite nel fare.
Gli utenti non sono abituati a parlare di sé, a comunicare
liberamente, a strutturare il pensiero. Allora non si può che iniziare
a giocare con le parole dando potenza a quello che si dice.
In una atmosfera di diffidenza e attesa, gli operatori invitano a
definire con immediatezza una porta, un attaccapanni, una sedia.
Capita che qualcuno dica una parola a sproposito, che non ha
attinenza alcuna con l'oggetto da definire e che qualche altro del
gruppo la censuri sarcasticamente in quanto non logica. E'
convinzione della maggioranza che gli educatori la boccino e la
scartino. Ma tanto non accade. La parola fuori posto è invece
accettata e accolta con grande dignità. Sono accolti anche gli
"errori". E' possibile cioè sbagliare, anzi lo sbaglio è più vero della
correzione. Nell'immediatezza si è autentici quando il dire non
passa attraverso le preventiva riflessione. Il gruppo si rilassa,
entra e si lascia trasportare dal gioco. L'apice del coinvolgimento è
raggiunto dalla declamazione. Il ritorno "potente" e "nobile" di ogni
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
parola pronunciata
gratificante.
è l'avvio di
una
relazione accettante
e
Resa nobiltà al dire, a qualsiasi dire, si tenta di strutturare piccoli
pensieri e racconti di fantasia. In circolo si lega una parola all'altra
sino a chiederle, appunto, nella logica della fantasia. Il gioco va
avanti, l'avventura della conoscenza di sé e degli altri trova un
punto d'approdo nella creazione dei racconti
collettivi.
L'entusiasmo deve essere accolto, colto ed esternato, quindi,
vengono letti e drammatizzati in uno spettacolo pubblico
Esercitata la fantasia, si avvia con cautela e attenzione un percorso
di narrazione del sé in ambiti parziali di autobiografia: il gusto, il
corpo, la malinconia, la felicità, la famiglia per iniziare a demolire
difese ed autocensure.
Quando queste cadono definitivamente, il paziente può dirsi pronto
a diventare soggetto narrante, a raccontarsi individualmente in
prima persona. Ma un altro sforzo lo attende, quello del rapporto
con l'altro. Dove altro è da intendere come appartenenza perduta,
spazi di vita resi estranei o vissuti in modi ostili, cultura smarrita.
La graduale formazione del gruppo, serve come modello ai pazienti
per la creazione di un'identità.
In questo modo, i pazienti iniziano ad incorporare l'identità del
gruppo, come propria, provando un senso di rassicurazione che
deriva dalla loro appartenenza al gruppo stesso ed è tale
identificazione con il gruppo ad offrire protezione. La paura e
l'imbarazzo di esporsi di fronte agli altri membri del gruppo è una
delle forze che legano gli uni agli altri. Il gruppo produce
sentimenti di sicurezza, conforto e gioia. I pazienti tentano di
definire i propri limiti personali.
Nel 2009 ben 8 pazienti riescono a raccontarsi creando così la
propria autobiografia.
(1)
Duccio Demetrio “L’autobiografia come cura di sé”
1996, Cortina Raffaello
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
Tutto è comunicazione
Anna lannone
Educatrice Professionale
La pratica comunicativa ha accompagnato la Comunità riabilitativa
di Corato sin dalle sue origini, in primo luogo come metodo di
formazione per gli educatori, in secondo luogo con l'applicazione
pratica su gruppi di utenti durante le attività di laboratorio a
sfondo espressivo.
Nascono così i laboratori grafico- espressivo e della
comunicazione e con essi comincia il raffronto tra teoria e pratica.
Si stabiliscono finalità e metodo e si comincia ad operare su alcuni
gruppi.
Lo stile di conduzione adottato è caratterizzato da:
• capacità di ascolto,
• capacità di far circolare la comunicazione,
• capacità di ottenere un interscambio dialogico tra i partecipanti.
La finalità consiste nell'educare il paziente a:
• pensare,
• raccontare gli eventi relativi alla propria esperienza di vita,
• far provare l'emozione di questa attività liberatoria,
• alleviare l'ansia ed imparare a gestirla.
Il metodo adottato è quello del racconto degli eventi in forma
prima scritta e personale poi partecipata tramite la lettura in
gruppo. Ciò aiuta il paziente a produrre una ristrutturazione
cognitiva legata agli eventi presenti e passati.
"L'uomo che non ritorna su quanto ha vissuto resta alla superficie
di sé stesso.
Non c'è esperienza nel puro accadere degli eventi." ( J. Thomas)
Prima che l'utente giunga a parlare di sé è necessario creare nel
gruppo un clima emotivo adeguato, di fiducia reciproca, uno
spazio dove egli può mettersi in gioco senza essere giudicato,
dove può parlare della propria intimità ed essere accolto.
Per favorire il racconto è spesso necessario fornire degli stimoli
finalizzati ad attivare il processo della memoria.
L'utilizzo di foto, disegni, oggetti del passato o parole "chiave"
come amicizia, amore, solitudine, gioia... facilita l'espressività.
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
Gli elaborati, brevi testi o semplici pensieri, prodotti durante o
prima dell'incontro, sono poi oggetto di discussione in gruppo e
danno origine a riflessioni su tematiche comuni.
Ogni utente, supportato dal gruppo, ha la possibilità di riflettere
sul proprio passato raccontando vicende belle o tristi, rivivendo
gioie e frustrazioni, ripercorrendo successi e delusioni.
Il gruppo è una risorsa preziosa per ogni partecipante in quanto
favorisce i processi di autostima ed eterostima. Nel primo caso il
soggetto viene aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la
riscoperta della propria storia di vita, nel secondo il soggetto
riceve attenzione e conferma dalla disponibilità di uno sguardo,
da parole incoraggianti, dal tempo offerto e si riconosce nelle
parole degli altri.
Il laboratorio della comunicazione può essere definito laboratorio
di "educazione interiore" (L. Tussi) sia perché si basa sulla
meditazione, sull'autoriflessione, sulla capacità introspettiva sia
per la funzione di portare gli utenti a "sentirsi persone" di nuovo
e a far recuperare insieme al passato il senso dell'essere oggi e il
desiderio di una progettualità futura.
Se il paziente giunge ad un contatto più stretto con sé e a creare
un io più emancipato acquisisce la capacità di entrare in relazione
con gli altri senza grossi disagi e in modo più profondo.
Nell'ambito della pratica comunicativa si è inserito, alcuni anni fa,
il laboratorio del racconto autobiografico. Interrotto per un po' di
tempo, perché non rispondeva alle necessità dei pazienti, è stato
ripreso nel 2010 con un utente in fase depressiva, con scarsa
autostima e scarsa fiducia nelle sue potenzialità, un utente che
ha cominciato ad avvertire il bisogno di parlare della sua storia,
che non ha ancora trovato accoglienza nel gruppo ed ha prediletto
un setting individuale in cui è sicuro di parlare ad un ascoltatore
attento.
Il ruolo che l'educatore "autobiografo" svolge in questo tipo di
attività è utile al narratore che ha la possibilità di riflettere sul
proprio vissuto e dare un senso alla sua esistenza ma anche
all'educatore che è costretto a mettersi in gioco, a conoscere ed
interrogarsi sulla sua vicenda esistenziale. Per entrambi l'attività
è strumento di formazione, è un modo per scambiarsi identità e
significati. Per l'educatore non è una conoscenza su qualcuno ma
un'esperienza "con". La relazione con l'utente si modifica, anche
i reciproci comportamenti cambiano.
Nella Comunità riabilitativa di Corato l'attività è nata in modo
spontaneo cioè senza una contrattazione con il paziente circa i
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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tempi, i luoghi e le modalità dell'ascolto.
Ben presto è emersa l'esigenza di dare una progettualità
temporale e di metodo sia perché diventasse uno strumento
terapeutico sia per dare uno spazio adeguato all'utente e un
riconoscimento a ciò che racconta.
Gli incontri avvengono settimanalmente. L'educatore sollecita
l'utente alla costanza nell'esercizio della narrazione, lo invita a
scrivere; se la capacità di scrittura è scarsa è l'educatore a
trascrivere il racconto. L'educatore non segue una griglia già
predisposta e il racconto avviene in forma libera e spontanea
dietro input, suggestioni e semplici domande relative all'infanzia,
alle amicizie, al rapporto con i genitori, alle esperienze scolastiche
e lavorative ,etc...
La scelta del luogo è fondamentale; uno spazio tranquillo,
silenzioso, in cui il soggetto
non
venga
interrotto
frequentemente, favorisce l'interazione dialogica anzi l'intimità
dialogica.
La narrazione non è sempre lineare ma frammentaria e
discontinua, costellata di ricordi, fratture, esitazioni. L'educatore
ha il compito di ricomporre la vita passata in forma riconoscibile
trovando un nesso ed un'armonia tra le diverse esperienze
frammentarie
La raccolta dei dati e il feedback sono concordati attraverso un
lavoro di supervisione anche partecipata da parte dello psicologo.
Si condividono input di tipo ristrutturativo e di ricomposizione,
prima di riprendere il percorso.
In questo incontro-confronto il narratore si intrattiene con sé
stesso, racconta la sua storia di vita incompiuta ricca di vicende
contrastanti e, con l'azione del rimembrare gli eventi, recupera il
proprio mondo interiore svolgendo il ruolo di attore protagonista.
In questo incontro si rivelano spesso atteggiamenti comunicativi
che riguardano il linguaggio non verbale: espressione del volto,
sguardo, postura, pause, silenzi che riguardano sensazioni ed
emozioni rispetto a ciò che sta raccontando. L'educatore rispetta
lo stato d'animo, non interrompe l'interlocutore e mostra
sempre interesse anche quando ripete cose già dette, se ci sono
pause o esitazioni si ferma, non prende la parola e favorisce il
silenzio. Questo atteggiamento attenua il senso di ansia e di
impotenza e da la possibilità di elaborazioni riflessive.
L'educatore impegnato nel laboratorio del racconto autobiografico
ha la necessità di porre le distanze tra la sua vita e quella del
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
paziente, attua quindi un confronto periodico con lo psicologo o
con gli altri colleghi al fine di:
• evitare "scivolamenti empatici" come l'identificazione con le
situazioni raccontate,
• sollevarsi dalla fatica di parlare, ascoltare, pensare,
• analizzare le narrazioni.
L'ascoltatore annota impressioni, temi emersi, contenuti
ricorrenti, rileva la lunghezza o la brevità di alcuni nuclei tematici,
la ricorrenza di parole e frasi, l'assenza di certi temi; li riporta
nell'incontro con il supervisore dove si cerca di decodificare la
narrazione, di comprendere il significato dei diversi racconti e di
cogliere nuclei vitali per potenziali narrazioni negli incontri
successivi.
Entrare nel mondo delle "storie di vita" significa entrare in un
mondo di significati che l'utente desidera comunicarci ponendo i
fatti in un determinato modo piuttosto che in un altro.
Dal bagaglio di ricordi si ricavano frammenti di desideri ed
esigenze personali su cui attivare una progettualità futura.
I ricordi prendono vita e la vita si fa attraverso i ricordi.
"L'autobiografia è un viaggio formativo e non un chiudere i
conti; ogni abilitazione acquisita non è mai l'ultima e
nasconde sempre una faccia, quella del non ancora
realizzato." (Bruno Schettini)
DAL LABORATORIO DEL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO.
ALCUNI STRALCI DELLE STORIE E DISEGNI:
“Avevo soltanto due anni, ero in fondo ad un lungo corridoio; ad
un tratto notai le gambe di un uomo avvicinarsi. Non guardai il suo
volto ma mi aggrappai forte a lui e non mi distaccai più sino a
quando giungemmo a casa.
Finalmente avevo lasciato quella casa tanto grande, quelle donne
vestite di nero e quei bimbi più grandi di me che mi picchiavano.”
“Ogni tanto mi chiedevo se ero solo al mondo o se esisteva
qualcuno che mi amava.
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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All’età di nove anni, mentre giocavo per strada, appresi dai
compagni la verità: io non appartenevo a quella famiglia in cui mi
trovavo.
Avevo avuto la conferma, ne era a conoscenza tutto il quartiere.
Iniziò da quel momento una crisi d’identità che mi porto dentro
ancora adesso che ho 40 anni.”
“Mi piaceva moltissimo la primavera, vedere svolazzare le farfalle e
poi posarsi sui fiori, osservare le prime gemme degli alberi,
ascoltare il canto delle cicale e camminare a piedi nudi tra le vigne
lasciando di qua e di là le scarpe e i calzini.”
“Mia moglie sorridendo mi salutò e andò via lasciandomi nelle mani
del medico di turno che mi sottopose ad una prima visita.
Quel medico mi fece delle strane domande, ma ancora non avevo
capito in quale ambiente ero capitato.
Un infermiere alto e robusto mi accompagnò al secondo piano,
salendo per le scale notai delle grate molto alte che
circoscrivevano la gabbia scale con funzione di sicurezza.
Cominciai a capire che non dovevasi trattare di un ospedale civile e
ne ebbi la conferma quando vidi che l’infermiere che mi
accompagnava chiudeva a chiave tutte le porte delle corsie che
lasciavamo alle nostre spalle.
Giunto nella stanza, come prima cosa mi fecero una fiala di
Serenase e poi presi posto nel mio letto. Rimasi ricoverato un
mese e dodici giorni.
Ricordo che piangevo ogni giorno perché mi sentivo debole, mi
sedarono a tal punto che non avevo più la forza di reagire di fronte
a qualsiasi stimolo.
Rimanevo per ore a guardare fisso il muro ad un palmo di
distanza. Una mosca poteva entrare da una narice ed uscire
dall’altra senza che io me ne accorgessi.”
“La vita scorreva, mio padre era stato trasferito dalle suore, ma il
20 Dicembre 1986 fui chiamato da una suora perché mio padre
peggiorò.
Un operatore mi accompagnò a trovarlo. Mentre salivo le scale vidi
arrivare gli infermieri con la barella vuota, mi comunicarono che
mio padre era morto.
Caddi di nuovo in depressione, ma questa volta non ero solo.”
“Dal momento in cui ho incominciato a vivere questa favola con
Anna e il Dr. Saverio, ho vissuto un’esperienza serena, tranquilla
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
e mi è servita per trovare il coraggio di combattere le brutalità
della vita.
Quando sto con loro e racconto i “miei vissuti” mi sento in pace .
Vorrei che quest’avventura continuasse perché a me piace sia il
modo in cui mi rispondono e sia ciò che pensano di me.
Il mio racconto è un po’ povero ma autentico.
La vita è un film e ognuno di noi lo scrive ed è il protagonista.
In tutta la mia vita non ho mai avuto due amici così generosi e
disponibili.
Con loro sto ripercorrendo il mio passato e spero di continuare
questo gioco in modo che io venga fuori con un sorriso”.
“Quando ho una delusione penso all’alcool, al fumo e alla
droga per dimenticare.”
“Dopo una festa di carnevale ho sognato il demonio.
Sono all’inferno.”
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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“Sole birichino ora si nasconde ora si presenta. Il sole è
simbolo della vita e del calore.”
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
Akròasis, l’ascolto del mondo
Giuseppe Latorre
Educatore professionale
Dall’amore per la musica può nascere il desiderio
di approfondire la ricerca che ci permette di cogliere la
natura più profonda della realtà e della nostra identità,
da ascoltare con un orecchio opportunamente preparato.
“E’ una donna un po’ timida. Nasconde dei problemi.”
Riferimenti Bibliografici:
"Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui
continuità il cui senso è la nostra vita.” “Si potrebbe dire che ognuno di noi
costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.”
“Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere se necessario
ripossedere, la storia del nostro vissuto.” “Dobbiamo ripetere noi stessi, nel senso
etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi.”
“L'uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per
conservare la sua identità, il suo sé.”
O. Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, (tr.it.,
1986, pp.153-4.)
“Autobiografia per accomunare culture e subculture differenti – La complessità
introspettiva Spazi e tempi di racconti in evoluzioni narrative. Le trame della narrazione.”
“La didattica autobiografica: Una traccia per percorsi scolastici alla scoperta di sé e
dell'altro.”
Laura Tussi
“La pratica autobiografica come cura di sé lungo il corso della vita.”
Bruno Schettini
“Animazione e storie di vita.”
da Prospettive sociali e sanitarie
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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La musica può diventare strumento di comunicazione, incontro e
scambio non solo tra le persone e tra popoli e culture diverse, ma
può svolgere prima di tutto la stessa funzione all’interno
dell’essere umano grazie al potere di far emergere tutte le diverse
sfaccettature del diamante che ognuno di noi è, e di cui spesso
conosciamo solo pochi lati invece di godere della ricchezza e della
molteplicità della nostra natura. Musiche diverse stimolano e
risvegliano in noi aspetti diversi, umori diversi, questo ormai lo
abbiamo scoperto tutti.
Uno degli scopi del laboratorio musicale strutturato nel Centro
diurno di via Caldarola, in Bari, è quello di fornire quegli elementi
teorici e pratici che consentono di vivere con maggior apertura ed
intensità la musica, sia l’Ascolto musicale sia la creazione musicale.
Si potrà così imparare a risvegliare la sensibilità per conoscere e
riconoscere l’effetto che ogni particolare melodia ha sul nostro
organismo, stato d’animo, lucidità mentale, rapporto con gli altri e
sintonia con i nostri aspetti più profondi e più alti.
Akròasis, l’ascolto del mondo.
L’Akròasis, l’ascolto del mondo, è un’arte dimenticata. Siamo sordi
all’ascolto della natura, delle persone, di noi stessi.
E non avendo imparato ad ascoltare, non ci rendiamo conto di
quanto diversi possano essere gli influssi del suono sulla psiche.
Le proprietà curative della musica sono conosciute ed applicate sin
dai tempi antichi. La musica diventa curativa nella misura in cui si
impara a riconoscere l’influenza specifica che essa opera
sull’individuo. Tenendo conto, però, che in parte l’effetto di una
musica è strettamente personale, dipende dalla storia di ognuno,
dal particolare significato che nella propria esperienza si attribuisce
a una determinata mel odia, e in parte pu ò essere invece
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
considerato simile per tutti, in quanto interazione tra una
vibrazione, la musica, e un campo energetico, il corpo umano.
Allora la musica diventa curativa non di per sé, ma quando viene
ascoltata dalla persona giusta e nel momento giusto. La musica
può avere un effetto riposante e rasserenante, può trasformarsi in
una opportunità per aprirsi alle emozioni, può risvegliare la volontà
e incitare all’azione; può attivare funzioni intellettuali e suscitare
l’ispirazione artistica e creativa.
La musica rasserena, allieta, spiana le fronti corrugate e in tal
senso ci sono autori che sortiscono tali effetti.
Hayden, Bach, Mozart, Corelli, Rossini, Vivaldi, Strauss, Respighi.
La musica religiosa, e oltre al solito Bach, Pachelbel, Pier Luigi da
Palestrina, Handel.
Ma tanto accade non solo negli ambiti più ricercati, ma anche
nell’ambito della musica popolare, gli Spiritual.
A questo punto non servono parole, se non per invitare ognuno ad
aprirsi a questa dimensione sonora interiore. Parlando di musica ci
si preoccupa di che cosa ascoltare, ma non ci si sofferma mai
abbastanza su come invece ascoltare. Ci si può lasciar sfiorare
dalla musica oppure farsene assorbire completamente, la musica
può essere un sottofondo sul quale fantasticare, oppure può
diventare la protagonista assoluta di una esperienza in cui si
trascendono i limiti tra colui che ascolta e ciò che è ascoltato, in
cui ci si lascia compenetrare dalla musica.
Questo atteggiamento di totale apertura nei confronti della musica
viene definito Ascolto musicale, una modalità di ascolto che
stimola un’attenzione multipla che coinvolge tutto il corpo. Noi non
ascoltiamo solo con le orecchie, ma con tutto il corpo, attraverso i
sensori presenti in tutte le cellule che fanno si che il nostro corpo a
sua volta risuoni. Così il nostro ascolto diventa ritmo, suono,
musica.
Pertanto, nell’ambito delle attività creative, l’ascolto della musica
diventa quel veicolo necessario affinché le emozioni, le sensazioni
possano essere tradotte in disegno (tecnica mandala, scrittura
creativa, laboratorio dell’Ascolto).
Gli stili musicali sono molteplici e variano a seconda dell’attività
che si va a strutturare. Si tratta di un vero e proprio nutrimento
musicale, che favorisce lo sviluppo di tante potenzialità assopite,
risveglio dell’emotività e creatività.
L’obiettivo dell’attività è quello di fornire agli utenti l’opportunità di
riconoscere di aver bisogno di stare a casa magari ascoltando
della buona musica. Infatti già si verifica che durante
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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alcune attività gli utenti richiedano una particolare scaletta
musicale per calmarsi, rilassarsi e dedicarsi alla creatività che
promana da una mente tranquilla.
La musica è un linguaggio che permette all’inesprimibile di trovare
forma di espressione, è il linguaggio delle emozioni, dei sentimenti
delle rivelazioni improvvise sugli aspetti più alti della nostra natura
e della realtà.
L’esercizio della capacità d’ascolto è dunque un percorso che in
realtà non ha mai fine, perché permette sempre di scoprire
qualche cosa di nuovo dentro e fuori di noi.
Nell’aprirsi alla musica, molti noteranno quanto spontaneamente
emergano immagini, ricordi, emozioni: è il caso di offrire
opportunità di espressione a tutto quanto emerge, con le parole,
con il disegno o con il movimento.
Queste le proposte per approfittare al massimo del percorso
musicale, poiché il fine fondamentale è di ampliare i confini della
consapevolezza.
Bibliografia:
• AA.VV: L’ ascolto che guarisce
• R. Assagioli: Lo sviluppo transpersonale
• R. Benenzon: Manuale di musicoterapica
• A. Storr: La dinamica della creatività
• F. Massaro: L’ ascolto musicale terapeutico
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
Bande rumorose
Scheda di presentazione del gruppo musicale
Michele Magno
Educatore professionale (Musicista Musicoterapista)
Tempo fa, più o meno nel 2001, all'interno del laboratorio
musicale attivo presso il Centro Diurno EPASSS di Bari Carbonara,
nasceva l'esperienza "Bande Rumorose".
Uno dei partecipanti al laboratorio aveva cominciato a tirar fuori
delle liriche proprie. La loro struttura invitava a musicarle,
sembrava a volte che la melodia fosse già presente nel testo.
Presero forma delle canzoni, e altri, per spirito di emulazione,
proposero le loro poesie desiderosi di sentirle musicalmente
trasformate. Circolavano brani musicali che venivano cantati con
un'espressione inimmaginabile, condivisi da tutto il gruppo. Si
trasmettevano forti emozioni, ognuno finiva per ritrovarsi nel
vissuto dell'altro.
Ci si caricava di un'energia liberatoria, forse si cominciava a dare
un senso a se stessi.
Presto nacque l'esigenza di comunicare tutto questo agli altri. Perché
si voleva dare visibilità a quello che si stava facendo. Essere
riconosciuti dalla comunità sociale. Essere accettati per quello che si
è, carichi di problemi ma con tanta voglia di esistere nonostante
tutto. Quello che fa la differenza è la nostra autenticità, che mette
al bando qualsiasi competenza tecnica. Abbiamo affidato questa ai
musicisti che ci accompagnano nella nostra avventura. Sono il
nostro tramite con il mondo, a tratti impietoso, dello spettacolo.
Ma noi andiamo avanti con coraggio e testardaggine. Preferiamo
circondarci di gente che abbia una certa sensibilità. Che sia disposta
a riscoprire l'altro.
Chi ci vede e ci ascolta dice che l'impatto è notevole.
Abbiamo
suonato
nelle
parrocchie,
nelle
scuole,
nelle
circoscrizioni, nei pubs, nelle associazioni, nelle sale comunali, ma
abbiamo affrontato anche le piazze. Ad esempio abbiamo
partecipato alla Festa dei Popoli, organizzata dal Centro Abusuan di
Bari in collaborazione col Comune e la Provincia, ma anche
recentemente all'Estate Biscegliese, esibendoci all' Anfiteatro
Mediterraneo, e al Settembre Modugnese, esibendoci all'Anfiteatro
di Piazza Garibaldi.
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Il gruppo è in un continuo evolversi per quanto riguarda la
formazione. Punti fermi sono i musicisti consulenti che attualmente
sono Gino Portoghese al flauto traverso e come fonico, Adolfo La
Volpe al basso e Vittorio Gallo ai sassofoni e alla tastiera.
Responsabile e coordinatore di questa esperienza, ma anche
chitarrista - compositore, è Michele Magno.
Gli altri componenti sono Jean Paul Bitetti alla batteria e alla voce,
Saverio Calabria, Francesco Terranova, Cosimo Chironna e
Gabriella Fiorile alle voci.
I testi sono di Lorenzo D'Aloya, Jean Paul Bitetti, Nicola Fornarelli,
Lia Gagliardi, Giuliano Muti, Donato Strisciuglio e Antonio
Trentunzi.
Del gruppo hanno fatto parte anche altre persone, ognuna delle
quali ha lasciato e continua a lasciare una traccia di sé in tutto
quello che facciamo. “Bande Rumorose” nel 2003, con l'intento di
dare una testimonianza tangibile del lavoro svolto fino a quel
momento, ha inciso un CD intitolato "Persone in estinzione".
Per noi è una maniera ulteriore per farci conoscere, per lasciare
un ricordo dei nostri concerti o per raggiungere chi ai nostri
concerti non è ancora potuto venire.
E' in cantiere la realizzazione di un altro CD, perché i tempi
sono maturi per fermare con un supporto musicale la fotografia
attuale del nostro gruppo, diversa di molto rispetto alla situazione
del 2003.
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
sensorialità e alla percezione del movimento corporeo e vocale. Le
prove sono state semplici ed elementari, con esercitazioni per
rendere armonico il rapporto tra corpo e voce, nella relazione con
se stessi, gli altri e lo spazio a disposizione. Non è stato
indispensabile pensare ed arrivare alla elaborazione dello
spettacolo finale, però non abbiamo voluto escluderlo.
Il fattore specifico di questa esperienza è stato dato dall'intervento
creativo durante tutto il percorso.
Laboratorio Teatrale
"Angeli"
"Che cos'è l'amor"
dott. Cosimo Muolo
Educatore professionale
Quella che viene presentata attraverso questa relazione è la
testimonianza che è possibile, utilizzando tecniche proprie dell'arte
scenica, attuare iniziative che tendano alla riabilitazione di
soggetti, che si trovano in situazione di svantaggio psichico e/o
sociale.
Il percorso ha avuto inizio lo scorso anno quando si è fatta
concreta la possibilità di attivare un iter riabilitativo in arte
teatrale. Non abbiamo fatto o tentato di fare psicodramma,
neanche animazione teatrale, ma solo creato con il nostro
laboratorio, uno spazio comune, in cui ad ogni partecipante, è
stato reso possibile guardarsi allo specchio per osservare le proprie
capacità.
Il teatro ha fornito i suoi strumenti e le sue tecniche.
Per noi operatori si è subito posto il problema di individuare una
rosa di candidati tra i quali, successivamente, il regista ha
compiuto la sua selezione. Non abbiamo utilizzato rigidi parametri
clinici (le diagnosi) di inclusione o esclusione. La nostra attenzione
è stata focalizzata sui livelli motivazionali ed attitudinali delle
persone segnalate.
Il gruppo è stato strutturato con cadenza periodica. Forse
inizialmente è risultato persino difficile, per ciascuno, capire che
cosa si dovesse fare, tutti seduti in cerchio. Ben presto questo
spazio è stato trasformato in luogo di conoscenza, in possibilità di
espressione e di comunicazione. Un posto dove ci si è ritrovati per
fare tante prove, ma anche un'occasione per analizzare ed
affrontare tutte le problematiche derivanti dalla costruzione di uno
spettacolo.
È stato presentato il progetto, a tutti è parso ambizioso. È risultato
infatti evidente che sono state gettate le basi per creare
opportunità di crescita e stimoli nuovi, uscendo dai binari del
teatro fatto finora.
Si è cominciato con un lavoro che ha implicato l'educazione alla
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Questo lavoro di improvvisazione è stato verbalizzato con cura, poi
reso disponibile ed usato come punto di riferimento e/o spunto per
il lavoro successivo sul testo da rappresentare. A differenza delle
esperienze precedenti, questa volta non è stato necessario il lavoro
di mediazione tra il testo e l'attore. L'obiettivo non è stato quello di
riportare sulla scena un copione imparato a memoria, ma quello di
pensare, sperimentare e creare qualcosa.
E' stato creato uno spettacolo la cui storia, forma e contenuti sono
nati, volta per volta, da ciò che i partecipanti hanno fatto emergere
da sé e dal gruppo. Hanno seguito costantemente e con attenzione
tutto il percorso, scandito da orari prestabiliti e prove ripetute.
Sono stati capaci di creare qualcosa, che ha consentito al pubblico
di identificarsi con ciò che l'attore ha rappresentato. Il pubblico, ha
visto il protagonista in una veste creativa e ha potuto, attraverso
l'applauso, riconoscere nel protagonista nuove capacità e ne ha
rinforzato l'autostima ed il senso di identità.
Gli allievi raccontano
Da poche settimane abbiamo ripreso le attività che riguardano il
laboratorio teatrale. Adesso riuniti intorno al tavolo, con la guida
degli operatori, stiamo tentando di fare un resoconto di questo
percorso che ha avuto inizio lo scorso anno.
Un'attività come quella del teatro non è certamente facile da
raccontare, ma possiamo affermare che è stata senza dubbio
positiva, anche se per tutti ci sono stati momenti davvero difficili.
Non aver ricevuto il copione da memorizzare e di conseguenza con
la preoccupazione di dover fare una cosa nuova ci ha tolto ogni
certezza.
Poi noi abbiamo sempre difficoltà di concentrazione: inizialmente
riusciamo a seguire tutto, ma dopo un po' la testa si perde e la
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Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”
concentrazione si dissolve sempre più. Siamo stati però confortati
dal fatto che ci è stata messa a disposizione un'organizzazione
perfetta e poi siamo stati seguiti bene, sia dal punto di vista delle
persone che dal punto di vista teatrale, tutto questo ci ha
permesso di fare lo spettacolo.
L'inizio non è stato per nulla difficoltoso, in quanto si è trattato
solamente di rispondere a delle domande molto semplici: «cosa
sono per te gli angeli, che regali hai ricevuto da piccolo, cosa
ricordi della tua infanzia e così via».
Il tutto è durato poco tempo, ma i giorni successivi, in attesa del
secondo incontro, sono passati tra la voglia di provare questa
nuova esperienza e la preoccupazione forte di non farcela. E
arrivato il giorno del secondo incontro ed abbiamo iniziato a
lavorare. Pian piano, provando e riprovando, abbiamo potuto
constatare di riuscire sempre più a migliorare. La regista ci ha
insegnato ad impostare la voce in maniera tale da ascoltarci con
chiarezza. In seguito abbiamo continuato con i gesti ed i
movimenti. Lo scopo di queste esercitazioni è stato quello di
imparare a muoverci sullo spazio scenico usando il corpo in
maniera più fluida e sciolta.
Per ottenere questo risultato ci ha fatto eseguire un'infinità di
esercizi a corpo libero che poi sono sfociati in una sorta di balletto,
su una base musicale.
Gli operatori ci hanno poi spiegato che l'obiettivo era quello di
riuscire ad armonizzare il rapporto tra il corpo, la voce e la mente
nella relazione con se stessi, gli altri e lo spazio. La sera del
debutto, l'emozione provata è stata molto forte, ma siamo riusciti
a superare la paura che c'era prima di andare in scena; siamo
stati così capaci di recitare di fronte ad una sala piena di persone.
Angelo, Anna, Marzia, Nicoletta
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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Il teatro
Mario Gabriele
Educatore professionale
I gruppi che si sono avvicendati nel Laboratorio teatrale dal 1998
ad oggi non hanno mai utilizzato testo o copioni altrui.
L’elaborazione delle trame, due per ogni anno, è sempre avvenuta
in apposite riunioni di gruppo. Quindi sono da intendersi collettive
e di autore collettivo.
Nell’incontro d’avvio ogni partecipante era invitato a scrivere in
forma anonima su un piccolo foglio una parola che richiamasse e
racchiudesse una variante significativa del proprio vissuto,
ripiegarlo e deporlo in un contenitore. Si procedeva a sceglierne
uno e la parola sorteggiata costituiva una sorta di “incipit” alla
narrazione, le altre, nessuna esclusa, erano di volta in volta
richiamate e utilizzate nello sviluppo e nel completamento della
trama medesima.
Si provvedeva in tal modo a riconoscere, accettare e comprendere
il vissuto di ciascuno per poi valorizzarlo, sdrammatizzarlo e
trasfigurarlo in commedia, laddove la percezione del sé e dell’altro
fondavano:
una comunità
una appartenenza
un tragitto
un obiettivo
una relazione
un aiuto
una stima
un’autostima
un controllo
un’integrazione
una ricomposizione
un’autonomia
un’accettazione
una valorizzazione
una logica
un ordine
un impegno
una sfida
un autocontrollo
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una puntualità
una coralità
un’emozione
una commozione
una conquista
un cammino
una nascita
una rinascita
un riconoscimento
una catarsi.
e pure la paziènze.
Me so ‘mbarade a sendì l’alde
e a jésse sendude
a ajiudè l’alde
e a jésse ajiutade.
Mo sacceche fa la mamme
e la megghiere
e pure la figghje.
Ma la cose chjù importande
jé che me so’ mbarade a velè bbéne a tutte
probrje a tutte.”
Così poetava Graziella, in origine ragazza con la pistola:
“No ji non voghe jesse n’attrice
non m’indèrésse a tenè no véste cu striscione
le vuande rètinade
nu cappidde che la Mine nand’a l’ecchje.
Credo che in questi scarni versi siano contenuti verità e valori di
una esperienza e di un agire centrati sulla persona e per la
persona. D’altra parte Graziella , dopo essersi liberata dalla pistola,
da cinque anni, con grazie e letizia, lavora curando basilico,
maggiorana, menta, timo e peperoncino. E con lei altri tre
“teatranti” sono nel mondo, guadagnando salario e dignità.
Non m’indèréssene u lusse
le battemane
le lusce appecciade attuarne attuarne.
M’ indèréssene invèce la vida de le chembagne mi
e la vida mèje
de marideme
e de le figghje mi
p’amaje e pe jesse amade.
Prime de salì sob’a cusse benedette palche
ji penzève ché tutte me velèvene male
ché non jére bbuè a nunde
e che jére fèmene scadénde.
E allore m’appecciave totte
m’arrajave
gredave
malèdescèva
e tenéve tutte in catture.
Cusse palche
quande cose m’è fatte capì
m’è fatte assì fore le cose chjù bélle
ché tenève annaschennude jind’a mè
la forze
la feducje
u coragge
Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE
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