Ubi Banca, il feudo senza regole di Bergamo e Brescia faceva

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Ubi Banca, il feudo senza regole di Bergamo e Brescia faceva
Ubi Banca, il feudo senza regole di
Bergamo e Brescia faceva anche affari
offshore da Panama al Lussemburgo
Lobby
Dopo la diffusione dei Panama Papers, che tira in ballo l'istituto come snodo per
l'esportazione di capitali nei paradisi fiscali, l'associazione piccoli azionisti e
Adusbef hanno presentato un esposto alla Procura di Milano. Il numero uno
Victor Massiah resta impassibile. Intanto sono stati eletti a governare la banca i
candidati della lista presentata dalla vecchia oligarchia
di Giorgio Meletti | 9 aprile 2016
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Più informazioni su: Banche, Panama Papers, Ubi Banca
Ci mancavano solo i Panama Papers. Adesso che i documenti segreti sui
furbetti dei paradisi fiscali chiamano pesantemente in causa Ubi Banca, per
la ex grande popolare lombarda le tinte del quadro sono sempre più fosche.
Scorrendo l’esposto, confezionato ieri per la Procura della Repubblica di
Milanodal
presidente
dell’Adusbef Elio
Lannutti e
dal
presidente
dell’Associazione piccoli azionisti Ubi Banca Giorgio Jannone, viene da
pensare che per gli storici, quando vorranno capire lo sfarinamento del sistema
bancario italiano, la storia esemplare non sarà né Montepaschi né Etruria,
ma proprio Ubi Banca. Il copione è perfetto, un Jurassic Park del credito che i
“territori” di Bergamo e Brescia hanno custodito come un fossile in un guscio di
ambra.
Sull’Espresso, titolare dei Panama Papers, scrive Vittorio Malagutti: “Per Ubi
la piattaforma d’operazioni per gli affarioffshore si trovava in Lussemburgo (…)
Nelle carte compaiono i nomi di 40 sigle offshore, registrate a Panama e alle
isole Seychelles, che appaiono legate a Ubi. (…) Gli azionisti delle offshore sono
da ricercare tra i clienti di Ubi, che via granducato e con l’assistenza dello studio
panamense sono così riusciti a sbarcare in un paradiso fiscale”. Ubi, come sua
abitudine, non ha emesso alcun comunicato. Fa parte di quella cultura bancaria
che ritiene di non dover dare spiegazioni neppure agli azionisti. Lannutti e
Jannone chiedono così ai magistrati di spiegare a che cosa servano due
consociate in Cina, tre a Singapore, 16 in Lussemburgo e 8 nello stato americano
del Delaware.
L’amministratore delegato Victor Massiah si muove impassibile nel complesso
Risiko bancario con cui governo e Bankitalia tentano di salvare il sistema
attraverso accoppiamenti giudiziosi tra istituti sani e banche malate. Ma Ubi non
scoppia di salute. Meno di due mesi fa Deutsche Bank ha diffuso un impietoso
report intitolato Headwinds on capital (Venti contrari sul capitale), rilevando
come nell’ultimo trimestre del 2015 il Cet1 ratio (indicatore della solidità
patrimoniale) sia sceso dal 12,56 all’11,62 per cento. Un anno fa il colosso
tedesco assegnava a Ubi un obiettivo di prezzo di 7,2 euro per azione, oggi la
stima è scesa a 5. Ieri la banca bergamasca ha perso in borsa il 6 per cento,
chiudendo la giornata a 3,04 euro.
Ma la piccola oligarchia provinciale, fondata su un equilibrio medievale tra
bergamaschi e bresciani, comanda ancora felice. Sabato scorso a Bergamo i soliti
noti – che hanno ancora come totem il presidente bresciano di Intesa
Sanpaolo Giovanni Bazoli– si sono fatti beffe della riforma delle Popolari
voluta dal governo Renzi. L’idea era di superare il voto per testa – che lasciava
queste grandi banche in mano a cordate politiche o affaristiche locali –
trasformandole in società per azioni.
Ubi è stata la prima grande popolare a diventare spa, e sabato ha fatto vedere che
non è servito a niente. Al momento di eleggere il consiglio d’amministrazione è
saltato fuori che la lista che ha preso più voti, quella presentata
da Assogestioni – cioè dall’associazione dei fondi comuni d’investimento,
fortemente condizionata dalle banche – aveva solo tre nomi, che peraltro
avevano fatto sapere che non avrebbero accettato ruoli apicali. Così sono stati
eletti a governare la banca i candidati della listaperdente, presentata dalla
vecchia oligarchia che controlla appena il 17 per cento del capitale. Presidente
del consiglio di sorveglianza è stato confermato Andrea Moltrasio,
vicepresidente il noto avvocato Mario Cera. Al vertice del consiglio di gestione
rimarrà l’imprenditore bresciano Franco Polotti. Per trovare un nome nuovo
nel vertice bisogna accontentarsi di quello di Francesca Bazoli, la figlia del
banchiere. Era già pronta tre anni fa, quando suo padre dovette lasciare il
consiglio dell’Ubi per le norme sul conflitto d’interessi, ma ce l’ha fatta solo
adesso che le Popolari sono state modernizzate.
L’esposto di Lannutti e Jannone chiede ai magistrati di spiegare il ruolo
di Gregorio Gitti, genero di Bazoli in quanto marito della neo-consigliera, al
centro di un sistema di società di diritto olandese usate per “cartolarizzare” le
sofferenze. Si chiamano tutte Ubi-qualcosa ma non sarebbero dell’Ubi,
risultando, secondo le accuse, quasi tutte controllate da misteriose fondazioni
olandesi “il cui oggetto sociale parrebbe ad una prima analisi lontano dall’attività
di recupero crediti bancari”. Dopo le prime denunce di Jannone diverse di queste
società sono state poste in liquidazione.
Su tutto questo la vigilanza (passata dalla Banca d’Italia alla Bce) non sembra
avere niente da dire. La severità con le banche è inversamente proporzionale alle
dimensioni, e Ubi ha 115 miliardi di attivi. Eppure i dossier aperti sono
numerosi. Milano indaga sulla controllata Iw Bank, banca online sospettata di
essere uno snodo di riciclaggio ed esportazione di capitali. La lista dei reati
ipotizzati comprende associazione a delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio.
Un’inchiesta della procura di Bergamo vede numerosi indagati, tra cui Bazoli e
Polotti, per i sospetti di manipolazione dell’assemblea del 2013. La vicenda portò
a una raffica di perquisizioni nel 2014 e nel 2015, e la Consob ha sanzionato
alcuni amministratori della banca, ma non sappiamo chi: la decisione è stata
segretata perché – fate bene attenzione – la sua pubblicazione avrebbe provocato
“grave rischio per i mercati finanziari” o “danno sproporzionato per le parti”. È
così: la Consob, che vigila sul mercato, sanziona un comportamento scorretto ma
dice che è talmente grave che è meglio che il mercato non lo sappia. Per Jurassic
Ubi non ci sono regole, per le banche più piccole c’è il bail-in.