IL VIDALI DI KARLSEN, UNA BIOGRAFIA E UN VIDEO CHE NON

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IL VIDALI DI KARLSEN, UNA BIOGRAFIA E UN VIDEO CHE NON
IL VIDALI DI KARLSEN, UNA BIOGRAFIA E UN VIDEO CHE NON CONDIVIDO.
Ho ceduto alla curiosità ed ho visto il 21 dicembre il video sulla figura di Vidali sul quale già è
intervenuto Gigi. Ero pronto a riprendere la posizione pubblicata a suo tempo sul sito dell’Aicvas
(www.aicvas.org) in merito all’articolo di Patrick Karlsen, che ha fornito la sua consulenza anche
alla realizzazione del video, articolo edito dal bollettino dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici, e
metterla eventualmente in discussione. La conclusione è un accordo sostanziale con Gigi quando
lamenta che non esista ancora una biografia di Vidali scritta con criteri ed obiettività scientifica. Per
conto mio, propongo qui solo alcune considerazioni, nella convinzione che il lavoro per inquadrare
obiettivamente la figura di Vidali, per chi vorrà farlo, è ancora molto.
Una delle parti che mi ha convinto di meno dell’articolo di Karlsen e dello stesso video è quella
relativa alla Trieste del primo dopoguerra. Karlsen dipinge, in base alle carte di polizia, il giovane
Vidali di quegli anni come dedito ad “un'attività illegale e criminale impressionante...” per la sua
attività negli Arditi Rossi. Pare dalle righe di Karlsen che Vidali avesse una sorta di attitudine
innata alla violenza criminale. Ma in quegli anni Trieste era attraversata dalle squadre fasciste che
seminavano terrore, morti, feriti, distruzioni, che senso ha parlare di terrorismo per l'organizzazione
di azioni di difesa? Qui la cronologia aiuta, e ricordo solo gli episodi più noti. L'incendio fascista
dell'hotel Balkan è del luglio 1920. Gli scontri al quartiere operaio di San Giacomo e nel resto della
città, costati oltre dieci morti (tra cui l'amico fraterno di Vidali, Bruno Taboga) sono del settembre
1920. La distruzione da parte fascista della redazione de Il Lavoratore, oltre a quella dell'Editnost
slovena è dell'8 – 9 febbraio 1921, quella della Camera del Lavoro di Trieste del 28 febbraio.
Invece, l'incendio del Cantiere San Rocco di Muggia, per protesta contro l'incendio della sede de Il
Lavoratore è dei primi di marzo 1921 (nessuna vittima, tredici arrestati e torturati, poi liberati),
l'arresto e la tortura in carcere dello stesso Vidali e del gruppo degli Arditi Rossi è del maggio 1921,
ben altri erano i terroristi in quel periodo. Il “quadro” che le autorità di polizia facevano allora di lui
non può certo essere ritenuto obiettivo (come invece pare faccia Karlsen) in quanto quelle stesse
autorità erano di parte, avendo dimostrato in innumerevoli episodi non solo tolleranza quanto
complicità e accordo con il fascismo. Molti anni dopo, Vidali ricorderà la sua giovinezza vissuta
nella Trieste in guerra, tra fame e cannonate, quando “fare come in Russia” pareva il riscatto
possibile di fronte al macello della prima guerra mondiale ed egli stesso concepiva questo riscatto
non come risultato di dibattiti teorici quanto dell’azione, anche violenta e spregiudicata, a fronte
della violenza spregiudicata della borghesia (Comandante Carlos, Roma, Editori Riuniti, ).
Interessanti sono le notizie recuperate da Karlsen sulla “lontananza” di Vidali dal partito italiano, in
quei primi anni, anche se alcune cose vanno chiarite. Karlsen cita la testimonianza di Silone circa la
presenza di Vidali nel corteo degli antifascisti Arditi d'Italia del 1922, in occasione della Marcia su
Roma. Silone però afferma che non era solo ma in compagnia di “un certo numero di giovani
comunisti”. Nel momento in cui il fascismo vinceva ed il partito italiano – diretto allora da Bordiga
- era contrario a rispondere con azioni armate di impronta antifascista, la presenza di Vidali e di
altri giovani a quel corteo mi pare esempio di autonomia rispetto alle indicazioni del centro
(Testimonianza di Ignazio Silone in Giuseppe Piemontese, Il movimento operaio a Trieste, Roma,
Editor Riuniti 1974). Non sarà l’unica volta, per così dire nel bene e nel male, come dimostrerà la
ribellione filo stalinista di Vidali alla svolta (giustissima) avvenuta in occasione del XX° Congresso
del PCUS nel 1956. Karlsen vede una rottura tra la prima e l'ultima parte della sua carriera politica,
quando non era ritenuto affidabile per i suoi colpi di testa e la sua irruenza, e quella centrale in cui
invece appare ligio funzionario agli ordini della “casa” moscovita. In realtà, a me pare (e potrei
ovviamente sbagliarmi) che la fama di personaggio parzialmente inaffidabile per il suo carattere
irruento abbia seguito sempre Vidali, ritenuto uomo d'azione, da impiegare in situazioni confuse
dove c'era da “menare le mani” ma da non coinvolgere nelle operazioni realmente riservate. La
scheda biografico – politica scritta in URSS su Carlos Contreras nel 1940 dai due occhiuti e
sospettosi responsabili dell’Ufficio Quadri, D’Onofrio e Pavanin, dopo aver riportato giudizi
positivi e quasi entusiastici sull’operato di Vidali, concludeva però con queste osservazioni (che
traduco dal francese): “Senza dubbio è straordinariamente impulsivo, impressionabile e talvolta
ingenuo (naif). In generale soffre di una eccessiva fiducia nella gente” (posizione 545, 6, 491). Lo
stesso Karlsen indirettamente lo conferma ricordando la documentazione contenuta nel fascicolo a
lui intestato presente negli archivi del Comintern, dove si indicava “la necessità di porgli sempre
qualcuno al fianco per sorvegliarne l'egocentrismo e il temperamento aggressivo”. Le mani Vidali
le ha realmente menate, pagando spesso di persona e portandone sul corpo i segni: dalla profonda
cicatrice in testa procurategli dai fascisti ad Alessandria al pollice perso sotto i bombardamenti a
Madrid sino (e sono gli episodi più noti) all’occhio danneggiato dal cazzotto di un fascista nella
Trieste del secondo dopoguerra.
Poco dirò sulla “leggenda nera” perché sono già intervenuto sul tema anche su questo sito e perché
nel video è effettivamente stata ridimensionata anche – mi pare – rispetto all’articolo. Sulla morte di
Mella lo stesso Karlsen ha ammesso di non sapere nulla di certo. Se ricordo bene il video non lo
sospetta della sparizione (uccisione) di Andrea Nin (sospetto che veniva adombrato nell’articolo).
La sua responsabilità in questa vicenda sinora è stata esclusa dagli archivi sovietici. Il video esuma
invece l’accusa che vuole Vidali responsabile dell’uccisione eseguita personalmente di centinaia di
anarchici. In realtà, che io sappia, l’immagine di un Vidali “killer seriale” è stata proposta in
riferimento al massacro di Puaracuellos, vicino Madrid, quando le forze di sicurezza repubblicane
(comunisti in massima parte, ma anche qualche anarchico) uccisero nel novembre del 1936 oltre
duemila prigionieri fascisti fatti uscire dalle carceri, temendo che potessero appoggiare in qualche
modo le colonne franchiste che premevano alle porte della città. Il massacro è stato reale, il
peggiore compiuto dalla Repubblica in quel momento particolare a fronte di massacri franchisti
proseguiti per tutta la durata della guerra (e dopo nelle carceri) che hanno interessato un numero ben
maggiore di vittime. Vidali uccisore seriale in quella occasione invece è una chiacchiera riportata
dal giornalista Herbert Matterws, il quale la aveva sentita da Ernest Hemingway il quale la aveva
sentita da altri, un po’ debole come argomentazione; se c’era del “lavoro sporco” considerato (a
torto più che a ragione) in quel momento inevitabile c’erano molti disposti a farlo. Vero è che alcuni
storici lo indicano come responsabile in Spagna della Sezione per la Lotta al Trozkismo dei Servizi
Speciali sovietici e come tale deve essere stato al centro di una serie di operazioni di repressione
interna al fronte antifascista. In realtà una visita agli archivi dell’Internazionale a Mosca, dove la
documentazione è conservata (quella relativa al POUM è alla posizione 495, 183) per saperne di più
è difficilmente sostenibile da noi “storici scalzi” e soprattutto “in braghe di tela” e sprovvisti di
risorse economiche. E’ in ogni modo vero che Vidali, pubblicamente e quindi mettendoci la faccia
(cosa che un vero agente dei servizi non avrebbe fatto), come tanti comunisti dell’epoca è più volte
intervenuto sulla necessità di lottare contro la “Quinta Colonna” e il trozkismo.
Sono già intervenuto anche sulla vicenda della condanna e deportazione nel gulag sovietico, dove
morirà, di Luigi Calligaris, ”Siciliano”, che Vidali conosceva bene in quanto attivo comunista
durante gli anni del primo dopoguerra a Trieste, perseguitato dal fascismo ed emigrato in Urss. Allo
stato della documentazione, nonostante le accuse venute da più parti, Vidali non sembra avere
giocato un ruolo importante in tutta la vicenda. Certamente, va detto, ne era perfettamente a
conoscenza, e non risultano interventi suoi per difendere il compagno di lotte di un tempo a Trieste.
Non risultano neppure interventi suoi nel secondo dopoguerra per chiarire la vicenda, e questo, sia
in riferimento alla vicenda di Calligaris che ad altre, mi pare il limite maggiore di Vidali. Certo,
anche nel dopoguerra nessun comunista sarebbe pubblicamente intervenuto per distinguere la sua
responsabilità da quella di altri in merito a fatti che coinvolgevano il partito. Ma iniziare a chiarire
in ambienti più riservati era possibile e forse indispensabile.
Karlsen accenna nel suo articolo e nel video anche al fatto che niente è emerso finora a carico di
Vidali circa l’uccisione di Trozky sulla quale si sa ormai quasi tutto. Per Christiane Barckausen,
notoriamente informatissima su questi fatti, Vidali era entrato dopo la guerra di Spagna in conflitto
con alcuni agenti stalinisti negli Usa ed in Messico, e questi avrebbero creato contro di lui una sorta
di “macchina del fango”, con l’obiettivo di scaricargli addosso colpe di altri che dovevano rimanere
nascosti. Barckausen cita anche il fatto che nei cosiddetti “Venona files”, i messaggi inviati da
Mosca ai vari agenti sparsi negli Usa ed in America Latina intercettati e decrittati dai servizi segreti
statunitensi fra 1942 e 1945 ed ora rinvenibili on - line, il nome di Vidali non compare. E' vero, ho
constatato personalmente che non compare nei files, e neppure nell'annesso notebook di Alexander
Vassiliev (scaricabili dal sito wilsoncenter.org). Pertanto almeno a partire dal suo rientro nel
continente americano dopo la guerra di Spagna, Vidali non avrebbe fatto parte della rete di agenti
sovietici. Neppure della rete di Oumansky (ovvero Kostantin Umanskij “Redaktor”) alle cui
dipendenze secondo Dorothy Gallagher, (vedi l’ormai datato suo: All the Right Enemies: The Life
and Murder of Carlo Tresca, Penguin Books, New York 1989), Vidali avrebbe lavorato in Messico
per “addestrare agenti tedeschi”, notizia che si rivela pertanto falsa. Giustamente l’articolo e il video
neppure raccolgono le accuse a Vidali di avere avvelenato la sua stessa compagna, Tina Modotti,
morta per un malore a Città del Messico in un taxi.
In attesa quindi di saperne di più (se c’è da saperne di più) su questi fatti, penso che Vidali vada al
momento studiato (e giudicato) per quanto ha fatto alla luce del sole. Il grande, instancabile lavoro
svolto in America Latina, in Urss ed in Spagna in favore di tanti perseguitati politici e della lotta
antimperialista, assieme a Tina Modotti ed altre compagne e compagni non è mai stato analizzato in
Italia a sufficienza. Il V° Reggimento ha costituito l’ossatura dell’Esercito Popolare Repubblicano
perché era lo strumento adatto per quel tipo di guerra, moderna e politica, al posto delle milizie che
si erano dimostrate incapaci di contrastare l’avanzata delle colonne franchiste su Madrid, e di una
improponibile ricostituzione del vecchio esercito spagnolo che alcuni generali rimasti fedeli alla
Repubblica avrebbero voluto. In questo senso il suo ruolo nella difesa della Repubblica è stato
determinante, non è possibile appiattire la sua figura in Spagna sulla repressione della cosiddetta
“Quinta Colonna”, quasi che la lotta al nemico interno fosse il suo compito invece che la lotta al
franchismo. Creano un po’ di imbarazzo, mi pare, sia nel video che nell’articolo, le posizioni e
l’opera di Vidali nel secondo dopoguerra, quando con metodi certamente spregiudicati, compresi i
pestaggi, riesce a ridurre l’influenza del PCJugoslavo a Trieste e nella Venezia Giulia e ad imporre
l’autorità del partito italiano. Il vecchio rivoluzionario internazionalista sfugge al cliché dello “slavo
comunista”. Va detto che nel documentario le vicende di Trieste sono trattate con toni di propaganda
filo – italiana asdsolutamente acritici ed a senso unico. Il regista in ogni caso si premura di spiegare
che Vidali sosteneva l’Italia non per fervore patriottico ma perché quello era l’interesse di Stalin. In
realtà Vidali aveva ricevuto la direttiva di andare a Trieste a sostenere il PCI direttamente da
Togliatti e non da Stalin, ed era giunto nella città giuliana nel 1947, un anno prima del conflitto tra
Tito ed il Cominform, nel momento in cui Tito pareva il migliore alleato dell’Urss. D’altro canto le
vicende del rifiuto della svolta antistalinista del XX Congresso, fanno capire come non fosse un
mero ed acritico esecutore di ordini.
Vidali ha fatto parte di quella generazione di uomini che ha creduto in una rivoluzione da realizzare
obbedendo alle direttive di un partito centralizzato e militare, cui dedicare e forse sacrificare la
stessa vita e gli affetti. Ha creduto al mito dell’Unione Sovietica ed alla necessità di seguirne le
direttive, anche se talvolta forse o sicuramente sbagliate, perché mettendole pubblicamente in
discussione si tornava alle divisioni, al caos, alle discussioni inconcludenti proprie del movimento
operaio nel periodo precedente. Ha pensato che le critiche dovessero essere fatte collettivamente e
se possibile costruttivamente come strumento politico e non come presa di distanza individuale o
singola dissociazione delle proprie responsabilità da quelle di altri. Ha creduto assieme a tanti altri
che più il partito si avvicinava la vittoria più il nemico lo avrebbe infiltrato con suoi agenti, e
pertanto bisognava diffidare da chi lavorava al tuo fianco. Il suo carattere impulsivo gli ha alienato
molte simpatie anche in quel di Trieste. Probabilmente quello che lo angosciava di più da vecchio –
e ne ha scritto – era vedere che non c’era più una generazione di giovani che avesse lo stesso
entusiasmo politico della sua, che ritenesse il riscatto dell’umanità un obiettivo straordinario cui
sacrificare tutto. Noi viviamo in un altra epoca, sappiamo (e qui ovviamente esprimo opinioni
personali) che quel rivolgimento sociale in favore degli ultimi di cui si sente disperata necessità
dovrà assolutamente partire da un riflessione critica del passato, di tutto il passato (non solo del
comunismo stalinista, anche altre esperienze hanno fatto i loro errori o hanno mostrato i loro enormi
limiti) e parlerà linguaggi nuovi. Proprio per questo dobbiamo iniziare a leggere la biografia di
Vidali fuori dalle polemiche politiche con il distacco scientifico che merita.
Marco Puppini