Eco di BG 22012012-CITPD

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Eco di BG 22012012-CITPD
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 22 GENNAIO 2012
Primo piano
L’alpinista scomparso
Il ricordo
da Boston
Un vocione che non poteva spaventare, perché sempre accompagnato ad un sorriso allegro e affettuoso.
Una forza smisurata, mitigata
dalla grazia di gesti dolci e prezio-
si come la testa che si avvicinava
a quella di tua mamma, sostituendo i baci dell’infanzia con una piccola scrapata.
Mani grandi e generose, pronte ad
accogliere, condividere, racconta-
re e preparare un parapacio al volo.
Eri un grande alpinista, ma soprattutto uno scalatore sempre in
movimento, fremente di progetti,
intuizioni cose da fare! «per poter
toccare il cielo con un dito» mi risuona continuamente questa frase che hai pronunciato al tuo matrimonio con gli occhi brillanti di
amore.
È l’amore immenso e immortale
a
«Mario, l’umiltà
e la generosità
ti han reso grande»
A Lizzola in duemila per i funerali dello scalatore
Ora riposa accanto al padre, che fu guida alpina
A
Lizzola
ENZO VALENTI
Parafrasando, all’omelia, il brano
evangelico del discorso di Gesù
sulle Beatitudini, il parroco di
Lizzola, don Tiziano De Ciantis
- che ha celebrato l’Eucaristia
con altri otto sacerdoti - ha detto: «Mario apparteneva a quello
stuolo di umili che il Redentore
ha esaltato nel discorso della
montagna. Proprio la sua umiltà,
la sua generosità, la sua affabilità,
infatti, l’hanno reso grande. E
tante persone che hanno oggi voluto partecipare alle sue esequie
dimostrano come fosse nel cuore di tutti». Gli stessi sentimenti
espressi da Michela Andrioletti,
cugina di Mario che, in una sua
lettera giunta ieri da Boston, ha
tra l’altro scritto: «La tua era una
forza smisurata, mitigata dalla
grazia di gesti dolci e preziosi.
Come la testa che si avvicinava a
quella di tua mamma, sostituendo i baci dell’infanzia con una
piccola “scrapada”. Mi risuona
nel cuore quella frase che hai
pronunciato al tuo matrimonio,
con gli occhi brillanti di gioia:
"L’amore è immenso e immortale, proprio come le montagne.
Ciao Mario».
Una grande partecipazione
Di gente ieri a Lizzola, per l’ultimo saluto al grande alpinista, ce
n’era davvero tanta, circa duemila persone provenienti da molti
paesi della Bergamasca, dalla città,
ma anche dalla Valtellina e dalla
Valcamonica. Già nelle prime ore
del pomeriggio c’era un via vai
continuo dalla camera mortuaria
del Camoscio: per l’ultimo silenzioso saluto a Mario, per un forte
abbraccio a mamma Luigina, alla
moglie Mireia, ai fratelli Dino e
Raffaella. Era così numerosa la
gente che una donna ha anche affermato in bergamasco: «La somea la processiù de la Madona»
(«Sembra la processione della
Madonna»). Oltre a innumerevoli amici erano presenti con i gagliardetti il Cai di Bergamo e di altre sezioni e sottosezioni della
un grande applauso è salito verso
il cielo, verso le cime delle montagne che l’alpinista ha tanto amato. Quindi il corteo funebre, animato dal coro «Voci Orobiche» di
Casnigo, preceduto dai carabinieri di Ardesio, si è mosso verso la
parrocchia di San Bernardino.
Dietro la bara la moglie Mireia, i
fratelli Dino e Raffaella, i parenti.
Silenziose le vie del piccolo paese
alpino, attraversato dal corteo che
ha raggiunto in breve tempo la
chiesa, la cui unica navata non è
riuscita a contenere i presenti.
Musiche sacre tibetane
Durante l’omelia
è stato citato
il «Discorso della
montagna» di Gesù
provincia, rapprentanti dell’Avis
provinciale e di altri gruppi locali,
volontari del soccorso alpino, dell’Akia-soccorso piste, degli alpini,
di Rete Azzurra, della scuola sci
Lizzola, del locale sci club, della
polizia provinciale, di Kalica-Nepal. E poi, con i rispettivi gonfaloni, rappresentanti della Provincia,
della Comunità montana di Valle
Seriana, sindaci di tantissimi comuni seriani e bergamaschi. Tra i
quali quello di Valbondione, che
ieri aveva proclamato il lutto cittadino.
Quando la bara è stata issata
sulle spalle dai suoi amici, tra i
quali l’alpinista Marco Zaffaroni,
Si è trattato di una cerimonia improntata alla massima semplicità: per rispettare la volontà dei
familiari e in sintonia con lo stile di vita di Mario. Nel corso della cerimonia il coro ha interpretato «L’impresa», al momento
della comunione nella volta del
tempio si sono innalzate musiche sacre tibetane e al termine
della messa si è eseguita la canzone «Io vagabondo», dei Nomadi, in riferimento al fatto che Mario era sempre in movimento per
salire sulle montagne della terra.
L’estremo saluto all’alpinista è
stato dato, con uno scrosciante
applauso, nel piazzale antistante
il piccolo cimitero di Lizzola.
Quindi le esequie sono continuate in forma privata. Mario ora riposa accanto a suo padre Patrizio, guida alpina, che gli ha trasmesso la passione per la montagna e per i suoi valori. ■
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L’alpinista Marco Zaffaroni (a
destra) porta a spalle il feretro
di Mario Merelli, insieme al nipote Sergio FOTO FRONZI
Il tributo prima di Atalanta-Juventus
A
Allo stadio striscione
e un minuto di silenzio
A
Paolo Valoti ieri a Lizzola
Ieri sera allo stadio di Bergamo prima di Atalanta-Juve i tifosi neroazzurri hanno voluto ricordare l’alpinista Mario Merelli con uno striscione sul quale era scritto: «E adesso
scala la vetta più alta fin lassù... Ciao
Merelli grande uomo, grande sportivo». Prima del fischio d’inizio della partita è stato anche osservato
un minuto di silenzio, durante il
quale una foto dello scalatore è stata proiettata sul maxi-schermo.
nore e la sfortuna di condividere
l’ultima e fatale scalata – potesse
protrarsi all’infinito. Anche lui ha
il suo mantra ed è quello con cui
ripercorre in continuazione quei
fatidici istanti sulle creste del versante valtellinese: l’ascensione,
l’imprevisto e l’inutile corsa per
lanciare l’allarme. Poi è solo silenzio. «Per le parole - dice mentre
esce dalla chiesa accompagnato
dalla figlia Ilaria e dall’amico Emilio Moreschi - ci saranno altre occasioni». Non è facile parlare in
certi frangenti. Troppa la commozione mentre la bara viene salutata sul piazzale del cimitero dove si
ritrovano in migliaia per l’ultimissimo atto di questa triste giornata. «Mi piace ricordarlo come il
portabandiera di un alpinismo romantico e ormai agli sgoccioli –
dice Piero Nava, decano degli scalatori bergamaschi – un alpinismo
semplice, fatto di passione e senza secondi fini». «Siamo cresciuti
praticamente assieme – aggiunge
Rosa Morotti, alpinista e vedova
dell’alpinista Sergio Dalla Longa
– l’ho conosciuto da bambina e
l’ho sempre frequentato. La disavventura al Dhaulagiri (la spedizione durante la quale morì lo stesso
Dalla Longa e alla quale partecipava anche Mario Merelli, ndr) ci
aveva ulteriormente unito. È pazzesco e fa rabbia pensare che se ne
sia andato così, in questa maniera tanto banale». Di montagne facili, però non ne esistono, tanto
meno tra i giganti delle Orobie dove Merelli era di casa, e anche questo Mario lo sapeva bene. Così forse ha ragione Marco Astori, altro
Il minuto di silenzio allo stadio
a
Il dolore degli amici
alpinisti: era destino
Il silenzio di Valoti
SCHILPARIO
a Le note si spandono come un filo sottile. Sfiorano un po’
tutti con la loro cantilenante melodia, e c’è chi le ascolta quasi sorpreso lasciandole scappare e chi,
invece, le ferma come fossero
frammenti preziosi in grado di accendere immagini lontane. Solo
chi è stato laggiù, tra le montagne
più alte della terra, associa infatti
questa nenia, questo motivo che
rappresenta anche uno dei mantra buddisti più importanti (Om
mani padma hum), a luoghi precisi, volti di persone, avventure
vissute con lo zaino in spalla. Ieri,
nella chiesa di Lizzola, di gente così, capace di farsi rapire da questa
musica orientaleggiante, ce n’era
parecchia: da Agostino Da Polenza a Mario Panzeri, da Rosa Morotti a Sara Novell. Tanti alpinisti
di generazioni diverse, arrivati qui
per l’ultimo e sentito omaggio a
Mario Merelli, lo scalatore scomparso mercoledì scorso sullo
Scais. Un’unica lunghissima cordata che, come sempre in certe
occasioni, si ricompone. Ed è bello assistere a questo incontro, a
questa comunità delle terre alte,
che sente il bisogno di ritrovarsi,
smettere la maschera da duri, e
riabbracciarsi con gli occhi lucidi.
«Om mani padma hum» ripete il motivo. E quasi riesce a strappare anche un mezzo sorriso, forse l’unico, a Paolo Valoti. A Lizzola è arrivato presto il past president del Cai come se il saluto all’amico Mario - con cui ha avuto l’o-
interprete dell’alpinismo orobico
che di grandi amici in montagna
ne ha già perso uno nel 2009, la
guida alpina scalvina Roby Piantoni: «C’è poco da fare – allarga le
braccia – era destino: non ci si può
fare nulla». Meglio ricordare le cose belle. Che, nel caso di Merelli,
sono tante. «Non solo sul piano alpinistico – ricorda Pierangelo
Zanga, protagonista di diverse avventure tra le Ande e il Karakorum -, Mario era straordinario anche sul piano umano, così come lo
era suo padre Patrizio che ho avuto la fortuna di conoscere. Hanno
lasciato un grande vuoto». Al termine della cerimonia, nel cielo di
Lizzola risuonano due boati. Forse un modo per salutarli entrambi. ■
Emanuele Falchetti
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 22 GENNAIO 2012
proprio come le montagne! tu lo
sai bene perché quello di tuo padre ti ha avvolto e accompagnato
ovunque.
Ora quell’amore deve farsi roccia: per sostenere una moglie, una
madre, un fratello e una sorella
che avranno sempre bisogno di te
e deve farsi ruscello per scorrere
a fianco di tutti i tuoi cari perché
non si sentano soli e si trasformerà
in un sassolino che chiunque ti ha
conosciuto di porterà in tasca, perché è impossibile averti incontrato e non averti voluto bene.
Adesso non posso che salutarti e
stai tranquillo che ho smesso di
chiamarti Gian Mario ci manche-
rai. Ciao Mario.
Tua cugina Michela Andrioletti
da Boston
a
Quei baci che spediva dalle vette
E tra le margherite delle nozze
risuona il mantra tibetano
A
Lizzola
MARTA TODESCHINI
Come lui: semplice e ricco di segni tutti da leggere. Non ci sono
stati discorsi né ricordi letti al
microfono, ieri al funerale di Mario Merelli. I gesti – pochi e semplici –, sono venuti da sé, schietti come era lui.
I canti delle sue montagne e il
mantra tibetano «Om mani padme hum». Undici rose rosse un
poco sfiorite, splendide. E quelle due ciotole sull’altare e all’ambone, piene di fiori candidi come
la neve. A ricordare l’alpinista di
Lizzola sono bastati un canto che
pare una giaculatoria, il mantra
che anche in Nepal (dove Mario
aveva lasciato il cuore e aveva
pure costruito un ospedale) viene recitato per ottenere la liberazione, la pace e la libertà dalle
sofferenze. La melodia fluida e
veloce ha riempito la navata della chiesa per poi accompagnare
il feretro all’esterno, fino al cimitero.
Solo chi si trovava sotto l’altare – e non erano comunque pochi, vista la gran quantità di persone che hanno voluto partecipare ai funerali di Merelli – ha
potuto vedere Mireia, Raffaella,
Elena e Dino, moglie, cognate e
fratello di Mario, uniti a cantare
il mantra.
Mireia che portava gli orecchini di perle bianche del matrimonio celebrato proprio in questa chiesa due anni e due mesi fa
ha poi condiviso con i parenti di
Lizzola l’ultima canzone scelta
per Mario.
La sua canzone
Era «Io vagabondo» dei Nomadi, e il cerchio di chi la ritmava si
è inevitabilmente allargato, dedicandola a un sognatore che,
come testimonia il compagno di
cordata Marco Zaffaroni, «60-70
giorni all’anno, tutti i giorni per
La moglie di Mario Merelli, Mireia (a destra), abbracciata dalla cognata Raffaella
tutto il giorno, se ne andava a anche il ritmo lento e cadenzato
conquistare montagne all’altro con cui monsignor Mansueto
Callioni, che quel matrimonio lo
capo del mondo».
Un sogno, questo «mal di celebrò, ha letto l’ultima parte
montagna», condiviso dalla sua della preghiera eucaristica: «Amsposa, catapultata da Barcellona mettili a godere la luce del Tuo
a Lizzola e che «per puro amore volto».
Un funerale semplice, come
– spiegavano in casa Merelli a
era Merelli: anche l’opoche ore dalla morte
melia, su ammissione
di Mario – si è ritrovastesso celebranta, lei che è ottico, a
Alla fine dello
te, è stata breve e
cucinare torte per la
colazione del Meublé della Messa schietta, «perché Maera così, lui era un
Camoscio. E con
i parenti rio
uomo essenziale, non
quanta gioia e passiocantano «Io amava la pomposità»
ne».
detto don Tiziano
Quelle due ciotole
vagabondo» ha
De Ciantis, parroco di
di margherite bianche
questa frazioncina
e velo da sposa erano
lì sull’altare e all’ambone a ricor- che ieri pomeriggio pareva aver
dare che il 28 novembre 2009 richiamato il mondo.
Mario era proprio sotto questa
mensa per il giorno in cui, disse Il valore dell’essenziale
durante il pranzo nuziale al pa- Il mondo di Merelli il genuino:
lazzetto dello sport, aveva «dav- volti lucidi e rugosi a quarant’anvero toccato il cielo con un dito», ni, scarpone in goretex ai piedi e
strette di mano decise, poco da
sposandola.
A suo modo lo ha ricordato dire perché quel tanto basta. Da
dire o da sussurrare, magari con
il sorriso. Come quelli – tanti – di
Mireia. Alle cognate che le stavano a fianco nel banco, al sacerdote quando parlava della gioia,
dell’«allegria, simpatia, schiettezza di Mario che sapeva come
farti sentire in famiglia. In un libro ho letto che le persone essenziali le sai cogliere anche solo da come ti offrono una tazza
di tè» ha poi detto.
In tanti annuivano: le nipoti
di Merelli, gli uomini del soccorso alpino che circondavano il feretro, la stessa Mireia.
«Altissimi baci» messaggiava
Mario ai parenti dalle vette himalayane. Mamma Luigina ieri
ha custodito i ricordi nell’intimo
della sua casa, lontana da quella
folla silenziosa che ha circondato di premure il suo «eroe». Come i due botti fatti scoppiare sul
monte all’arrivo del corteo al cimitero. Un addio all’ultima vera
vetta. ■
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a
L’amico Pasini campione italiano
di sci di fondo: ho vinto per Mario
A
Schilpario
cuore di tante gente presente:
«Voglio dedicare questa vittoria
- sottolinea Pasini - al mio amico Mario Merelli, scomparso tragicamente nei giorni scorsi. Lui
era un grande uomo e un grande
maestro di vita, abbiamo passato tante serate insieme. Questa
vittoria è, credo, il modo migliore per onorare la sua memoria».
«È il mio primo titolo italiano ed è
una grande soddisfazione averlo
vinto in casa».
Un cartello apparso ieri fuori da un bar di Lizzola FOTO FRONZI
Anche se è di Valgoglio, Fabio Pasini si sente in casa propria, visto
che la pista degli Abeti di Schilpario lo vede spesso allenarsi sul
proprio tracciato. Il primo commento dopo la vittoria (la cronaca a pagina 66) arriva al microfono di Maurizio «il Vichingo» Capitanio, speaker d’occasione. Ed
è un commento che tocchi il
Il saluto della Val Di Scalve
Fabio Pasini
Spontaneo nasce nello stadio del
fondo di Schilpario un applauso
tutto da dedicare all’amico scom-
parso, al grande alpinista bergamasco che non c’è più.
«Mario era un eccezionale uomo di montagna - racconta Maurizio Capitanio, vicario delle
scuole di Valle e speaker d’eccezione - e come tale era un po’
universale: tutti lo conoscevano
anche qui in valle di Scalve. È difficile trovare un episodio specifico da raccontare sul suo rapporto con la nostra bella valle. Di
certo c’era il rapporto con un altro grande delle nostre montagne, Roby Piantoni (alpinista
scalvino scomparso nell’ottobre
del 2009 sulle pareti dello Shisha
Pangma, in Tibet, ndr), con il
quale aveva affrontato anche importanti scalate, tra cui il Broad
Peak (8034 mt) nel 2005». ■
Alice Bassanesi