Ritratto di Virginia Woolf

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Ritratto di Virginia Woolf
Francesca Santucci
RITRATTO DI VIRGINIA WOOLF
[…]la bellezza del mondo, che dovrà così presto soccombere, ha due tagli,
uno di gioia, l’altro d’angoscia, che ci dividono il cuore.
(V. Woolf, “Una stanza tutta per sé”)
Ebbi la fortuna, molti anni fa, per interesse personale e perché il direttore del giornale al quale
allora collaboravo come giornalista non pubblicista mi affidò l’incarico di scriverne un articolo,
di visitare la mostra che il Centro Studi Condizione Donna, in collaborazione con il Comune di
Napoli, dedicò a Virginia Woolf, figura che leggendaria si colloca nel Novecento, secolo in cui
con la letteratura più intenso divenne il rapporto delle donne, convertitesi da semplici fruitrici e
occasionali autrici a protagoniste, in piena parità di valore col corrispettivo mondo maschile.
Scrittrice dallo stile raffinato e ricercato, acuta critica letteraria, autrice di romanzi dal
carattere sperimentale, saggi, racconti, circondata da un alone romantico per quella sua
malinconica bellezza ripetutamente offerta dal suo più famoso ritratto fotografico (eseguito da
G. C. Beresford intorno al 1902), per la fragilità, la frigidità, i disturbi psichici, il suicidio, ombre
della sua vita originate da fatti concreti, come, in gioventù, le ripetute violenze sessuali da
parte dei fratellastri, ebbe un’esistenza funestata da gravi dolori, ma anche costellata di
soddisfazioni letterarie.
Arrivata relativamente tardi alla carriera di scrittrice, ma famosa già alla fine degli anni Venti,
attraversò in profondità le problematiche della condizione femminile borghese, costituendo la
sua opera un essenziale punto di riferimento per le autrici che rifiutavano di adeguarsi ai
dominanti modelli maschili e cercavano di elaborare una forma autonoma di scrittura,
divenendo una figura importante nell’evoluzione del romanzo del ventesimo secolo e di culto
del nuovo movimento delle donne, suscitando enorme interesse anche taluni aspetti del suo
privato, come l’intenso legame con la scrittrice Vita Sackville-West.
Entusiasta dell’incarico affidatomi (ché tanto, allora, accendeva il suo “femminismo” il mio!),
mi recai alla Sala Gemito di Napoli dove erano esposti manoscritti, documenti, riviste, foto di
Virginia e degli amici letterati (Thomas Eliot, James Joyce, Gertrude Stein, Vita SackvilleWest). Ricordo che visitai la mostra come in trance, immersa nel “flusso interiore” delle mie
riflessioni e delle mie emozioni, l’attenzione solo per “Lei”, dimentica anche del collega che mi
accompagnava.
Dal materiale esposto traspariva un senso di pura bellezza emanato dalle foto che
immortalavano i sottili lineamenti di Virginia vestita degli abiti dell’epoca, dalla sua voce
(registrata insieme a brani di musica classica) che a tratti interrompeva il riverente silenzio
della sala.
Mentalmente ripercorrevo la sua vita di donna travagliata dalla perdita di persone molto care,
da crisi depressive e tentativi di suicidio (ma non di rado gli animi più sensibili e dalle menti più
eccelse pagano per l’esaltazione creatrice con malinconie, depressioni e stati maniacali, tanto
che il genio è spesso considerato il primo stadio della follia), 1 ma anche di eccezionale scrittrice
ed intellettuale sensibile alle tematiche della condizione femminile (in seguito anche a quelle
pacifiste, contro gli orrori della guerra) attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti
tra i sessi, femminista, prima che per scelta intellettuale, d’istinto, suffragato, poi, da riflessioni
di profondo respiro in svariati saggi di critica e dalla formidabile intuizione, espressa
nell’importante saggio del 1929 “Una stanza tutta per sé”, che le donne, isolate nel mondo
domestico, escluse dalla cultura, per potersi esprimere compiutamente intellettualmente ed
artisticamente hanno bisogno di una “stanza tutta per sé” (di spazi propri) e di risorse
economiche (La libertà intellettuale dipende da cose materiali),2 perché solo attraverso
l’indipendenza economica si consegue l’emancipazione dall’uomo.
Foto, documenti, scritti, la sua voce che oltrepassava il tempo, tutto parlava di lei, di quella
donna straordinaria che, nonostante la malattia con cui avrebbe convissuto per tanta parte
della sua esistenza, e che l’avrebbe condotta a morte, quel giorno, il 28 marzo 1941, in cui si
annegò nel fiume Ouse, perché percepì che prepotenti i sintomi del suo male tornavano a
riassalirla (Ho perso ogni controllo delle parole, non riesco a farci più niente. Non riesco a far sì
che la mano smetta di tremare.[…] questa mano trema dalla rabbia)3 era riuscita a realizzarsi
nella scrittura che tanto amava, producendo illuminanti contributi sul /al femminile così
fortemente rischiarando la zona d’ombra in cui veniva relegata l’altra metà del cielo.
Mi colpirono molto anche i suoi ritratti, che la ritraevano bellissima (com’era stata sin da
bambina, allora la chiamavano “Beauty”, e Vanessa, sua sorella, la descrive “rosea e paffuta,
con grandi occhi verdi”),4 ma tutto in Virginia era Bellezza (e fu così che intitolai, poi, il mio
articolo, “Virginia e la Bellezza”), anche il suo male, poiché, quando riemergeva dalle “onde”
dei disturbi psichici che, tumultuose l’aggredivano, sempre riattingeva nuove forze (sempre,
tranne quell’ultima volta in cui nemmeno la magia delle parole riuscì a distoglierla dalle sue
ossessioni e s’annegò nel fiume con i sassi nelle tasche- in un estremo gesto di volontà, atto
coraggioso, lucida follia, chissà!): si rituffava, allora, nell’amato “mestiere”, partorendo nuovi
capolavori.
Nata a Londra il 25 gennaio 1882 in una famiglia facoltosa, di intellettuali, numerosa, da
genitori entrambi reduci da esperienze matrimoniali, Julia Prinsep, sua madre, era donna
bellissima e colta; vedova, dalla precedente unione con Herbert Duckworth aveva avuto tre
figli, George, Gerald e Stella, dal secondo matrimonio ebbe Virginia, Vanessa (con la quale
molto stretto fu il legame di Virginia), Thoby e Adrian. Leslie Stephen, suo padre, storiografo e
critico, pure vedovo, dal primo matrimonio aveva avuto una figlia mentalmente ritardata,
Laura.
Virginia, insieme a sua sorella Vanessa, secondo la tradizione vittoriana fu educata in casa dai
genitori, apprendendo dal padre (al quale non perdonò mai di averla privata dell’educazione
scolastica!) la matematica e l’inglese, dalla madre il latino, il francese e la storia; pur non
potendo accedere all’Università, preclusa allora alle donne, tuttavia ugualmente crebbe colta e
ricca di stimoli, entrando in contatti con gli intellettuali del tempo tramite il fratello Thoby, che
frequentava il Trinity College di Cambridge.
I primi grandi dolori della sua vita furono la morte della madre, centro della vita, fulcro della
casa, nel 1895 e, successivamente, della sorellastra Stella, che le provocarono profondi
attacchi d’insicurezza. E proprio dopo la morte della madre Virginia fu colpita dal primo
violento attacco della malattia che, più volte, si sarebbe riaffacciata nella sua vita: un crollo
nervoso con conseguente crisi maniaco-depressiva e tendenze suicide.
Scrisse Virginia:
[…] la morte di mia madre, la morte di Stella. Non sto pensando ad esse: sto pensando al
danno insensato che queste morti hanno causato.5
In questi lutti il padre, che, dopo la morte della moglie, molto si era appoggiato a Stella, non
riuscì ad essere di alcun conforto, né a Virginia, né agli altri figli e figliastri, e lei, sola, indifesa,
cominciò a soffrire dell’indifferenza del mondo degli uomini, ma ne aveva già conosciuto anche
la violenza subendo, a soli sei anni, un’aggressione sessuale da parte del fratellastro Gerald e,
dopo la morte della madre, pure l’altro fratellastro, George, cominciò a molestare sia lei che
Vanessa, (George Duckworth non fu soltanto padre e madre, fratello e sorella delle povere
ragazze Stephen, ma anche il loro amante);6 ciò causò in lei un grave collasso nervoso,
peggiorando i disturbi psichici nei mesi in cui Stella, alla quale era molto legata, cominciava a
star male, avviandosi alla fine.
Alla morte del padre, nel 1904, Virginia ebbe il secondo serio attacco della sua malattia,
aggravata la sua depressione dal senso di colpa per non avergli espresso pienamente il suo
affetto, e tentò per la prima volta il suicidio; la salvarono le cure mediche e, soprattutto, il
grande conforto di Violet Dickinson, amica della defunta sorellastra Stella, che la ospitò nella
sua casa, la curò e poi la introdusse al “Guardian”, il settimanale clericale londinese. Virginia
riuscì, poi, comunque, a vivere una vita normale, ad essere attiva e impegnata, a scrivere e a
viaggiare.
Nell'autunno del 1904, insieme alla sorella Vanessa e ai fratelli Thoby e Adrian, si trasferì a
Gordon Square, nel quartiere londinese di Bloomsbury, dove prese vita il gruppo“Bloomsbury
Set”, un circolo intellettuale di scrittori e artisti che credevano fermamente nell’amicizia e nella
libertà di tutti, dalle donne agli omosessuali, dalle razze sottomesse ai poveri, che fino agli
anni Trenta animò la scena culturale inglese, riunendosi settimanalmente in casa dell'editore
Leonard Woolf per discutere di arte, letteratura e politica. Anche Virginia fu tra gli animatori
del circolo, insieme ad altri nomi eccellenti come il romanziere Edward Forster, lo storico e
biografo Lytton Strachey e l’economista John Keynes, poi ispiratore della politica economica di
Roosevelt.
Libera, finalmente, dalla presenza dei fratellastri che molestavano sia lei che Vanessa,
stimolata dal nuovo ambiente in cui era inserita, con rinnovati entusiasmi iniziò a dare
ripetizioni serali alle operaie di un collegio della periferia, ad essere attiva nel movimento delle
suffragette e a pubblicare sul “Times Literary Supplement” le prime critiche letterarie.
Il 10 agosto del 1912, dopo aver rifiutato altre proposte di matrimonio, non volendo restare
nubile (A ventinove anni non sono ancora sposata-sono una fallita- non ho figli-e sono anche
pazza, oltre che scrittrice:
7
così aveva precedentemente asserito) sposò Leonard Woolf,
accomunata a lui anche da sogni di gloria letteraria, ma durante il viaggio di nozze compiuto in
Francia, Spagna e Italia non seppe corrispondere alla passione amorosa del marito e ben lo
capì Vanessa se così commentò: Virginia secondo me non ha mai compreso né apprezzato la
passione sessuale degli uomini .8
Ben presto Virginia ricominciò a dare segni di squilibrio mentale e nel 1913 tentò il suicidio per
la seconda volta, ingerendo una dose massiccia di veronal. Nel 1915 fu nuovamente ricoverata
in clinica, rifiutando di vedere Leonard verso il quale si mostrava particolarmente aggressiva,
convinta che lui fosse d’accordo con i medici che la curavano privandola dei suoi amati libri e
costringendola ad un’alimentazione forzata e a dormire.
Si riprese, poi, anche grazie al marito che, per farle ritrovare fiducia ed equilibrio, le propose di
fondare una casa editrice; acquistarono una piccola macchina da stampa vista durante una
passeggiata a Clerkenwell in un negozio (davanti al quale si erano fermati come due bambini
affamati di fronte alla vetrina del pasticciere),9 impararono subito ad usarla e nacque, così, la
“Hogarth Press” che pubblicò opere sperimentali e innovative di scrittori emergenti di grande
talento, tra cui la Mansfield ed Eliot.
Nel 1922 le sue fragili condizioni mentali subirono un nuovo colpo, allorché dei critici illustri,
tra cui proprio la Mansfield, mal giudicarono il suo romanzo “Night and Day” (Notte e giorno).
Risale a quel tempo la sua amicizia con Vita Sackville-West, scrittrice e poetessa, donna
passionale ed eccentrica, dalle non nascoste tendenze lesbiche (ma anche la Woolf in gioventù
era stata attratta da altre donne), sposata con Harold Nicolson, un diplomatico omosessuale
dal quale aveva avuto due figli. Con Vita Virginia intrecciò una profonda relazione che non
intaccò il suo rapporto con Leonard e divenne fonte d’ispirazione: fu a lei, infatti, che pensò
nella creazione di Orlando, il protagonista androgino del suo romanzo (la storia di una
nobildonna affascinante che vive attraverso i secoli cambiando sesso molte volte) definito da
Nigel Nicolson, il figlio di Vita, La più lunga ed affascinante lettera d'amore della letteratura.10
Virginia e Vita s’incontrarono per la prima volta ad una cena da amici e da quel momento
cominciarono a frequentarsi, fra alti e bassi, e a scriversi fino alla fine dei giorni di Virginia,
producendo un epistolario tra i più belli della letteratura, tenero, fantasioso, gioioso, giocoso.
L’amicizia fra le due donne dalle complesse personalità, simili eppure diverse (Vita navigava a
gonfie vele sulle alte maree,11 Virginia costeggiava in acque chete12) si sviluppò lentamente, e
fu solo nel dicembre del ’25 che mutò in appassionata vicenda sentimentale. Il 17 dicembre
Virginia fu ospite per tre notti a casa di Vita a Long Barn, e qui ebbe inizio la loro relazione
amorosa, scoprendo, finalmente, Virginia, la passione.
Virginia cercava in Vita, forte, ardente, virile, dominatrice, insofferente della vita borghese,
amante dei viaggi, cacciatrice come un uomo di donne dalle quali si faceva amare come un
uomo, che possedeva esercitando un potere assoluto e che poi abbandonava, sempre pronta
a nuove conquiste, quella protezione materna che tanto aveva desiderato nella sua vita:
Mi fai sentire - le scriveva - come un bebè che ha bevuto latte zuccherato.13
Vita, che tante donne aveva “cacciato”, era attratta dalla bellezza e fragilità del corpo di
Virginia, dalla sua “spiritualità”:
Ho visto Virginia oggi, incredibilmente deliziosa e fragile, semiadagiata su due seggiole, sotto
un manto d'oro; con la voce esile e le mani affusolate; Virginia, così bella e dorata, sdraiata
su due sedie, irresistibile più che mai, sparito il brillio, rimasta la bambina.
14
E ancora:
Sono ridotta a una cosa che desidera Virginia. Avevo composto per te una bellissima lettera,
nelle ore da incubo della mia notte insonne, ed è sfuggita: mi manchi e basta, in un modo
molto semplice, disperato e umano. Tu, con tutte le tue lettere non mute, non scriveresti mai
una frase elementare come questa; forse non la sentiresti nemmeno. Tuttavia credo che ti
accorgerai di un piccolo vuoto. Ma lo rivestiresti di una frase tanto squisita che perderebbe
un po’ della sua realtà. Mentre per me è una cosa fortissima: mi manchi ancor più di quanto
credessi: ed ero pronta, a sentire la tua mancanza, e molto. Così, in realtà, questa lettera è
solo uno strillo di dolore. (21 gennaio 1926) 15
La loro storia d’amore e d’amicizia, sia pure con interruzioni, fra allontanamenti, fughe,
tradimenti dell’infedele Vita che sempre con furore nuove donne amava addolorando Virginia,
durò quindici anni, incontrandosi ovunque, in case, castelli, salotti mondani, fino alle soglie
della morte, che colse Virginia lontana da Vita.
Vita è spiritosa e capace di un affetto profondo, voglio dire maldestro e silenzioso. Sono
felice che il nostro amore abbia resistito così bene.16
In Virginia, con il passare degli anni, pur continuando l’attività letteraria, sempre più frequenti
diventarono le crisi depressive, peggiorate dalle fobie, comuni un po’ a tutti all’epoca, acuite
dalla seconda guerra mondiale. Nel gennaio del 1941, esattamente il 25, giorno del suo
compleanno, si ripresentarono i segni della sua malattia, che ben riconobbe, forti emicranie,
attacchi di angoscia acuta, depressione crescente con idee suicide accompagnata dal senso
d’inutilità e di vuoto che le impediva di scrivere costringendola all’inattività e che sempre
seguiva al termine di un lavoro creativo, quando doveva sottoporlo al giudizio di tutti. Dopo il
momento “maniaco” dell’euforia, quando, come trasportata in alto da un’onda, si sentiva forte
e potente, e riusciva a creare dando corpo e vita ad emozioni e forme, tornava l’abbattimento.
Sono certa che sto di nuovo impazzendo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei
terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi.
Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore
felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che chiunque avrebbe mai potuto essere. Non
penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile
malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti
andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non
riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato
completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se
qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n'è andato da me tranne la certezza
della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano
essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V. (Lettera del 28 marzo 1941)17
Annichilita dal terrore che la depressione potesse riassalirla, furiosa contro chi avrebbe voluta
curarla col cibo privandola dei libri, rabbiosa perché non avrebbe potuto più scrivere, presa da
una cupa ossessione di morte, dopo aver scritto dei biglietti d’addio alla sorella Vanessa e al
devoto marito, la cui presenza sempre confortante era stata nei momenti di disagio mentale,
Virginia uscì di casa, attraversò i campi, si diresse verso il fiume Ouse, che scorreva vicino alla
sua casa di campagna a Rodmeil, raccolse sulle sponde due pietre pesanti, se le cacciò nelle
tasche e andò ad annegarsi.
In una lettera del 1912 a Violet Dickinson la Woolf aveva scritto
che, se si fosse sentita fallita come scrittrice e come donna, sarebbe andata ad affogarsi:18e
così fece!
Il cadavere, trascinato in mare, fu ritrovato tre settimane dopo, e le sue ceneri furono
seppellite sotto un olmo nel giardino della Monk’s House, a Rodmell.
Quando Vita apprese la tragica notizia non riuscì a comprendere, ma qualche anno dopo
scrisse a Leonard che se avesse saputo dello stato mentale in cui stava affondando e si fosse
trovata sul posto sarebbe riuscita a salvare Virginia dalla depressione e dai demoni della sua
follia.
Qualche tempo dopo, poi, si recò a trovarlo a Rodmell; Leonard l’accompagnò nel salottino di
Virginia, dove tutto di lei era rimasto intatto: sul tavolo le sue lane, i lavori di cucito, il ditale,
un quaderno di appunti, riempito dalla sua scrittura. Vita disse a Leonard: Leonard, non mi va
che tu te ne stia qui da solo in questo modo. Leonard guardò Vita con i suoi limpidi occhi
azzurri e le rispose: E’ l’unica cosa che possa fare.19
Leonard seguì Virginia 28 anni dopo; tra le sue carte fu trovato questo scritto:
So che Virginia non verrà attraverso il giardino dal suo studio, eppure guardo in quella
direzione cercandola. So che è affogata eppure mi aspetto sempre di sentirla entrare. So che il
libro è finito, ma io ancora giro pagina. La stupidità e l’egoismo non hanno limiti.20
Virginia aveva scritto di Leonard:
La sensazione che il proprio essere riecheggi nello spazio, quando lui non è qui a racchiuderne
tutte le vibrazioni, non è espresso in modo molto chiaro, ma è la sensazione stessa che è
strana. Come se il matrimonio fosse lì a completare lo strumento, e se suona uno solo penetra
come un violino derubato della sua orchestra e del suo pianoforte. 21
Vasta fu la produzione di Virginia Woolf, opere in prosa, romanzi e racconti, come “The Voyage
Out” (La crociera), 1915, “Two Stories” (Due storie) 1917, “Night and Day” (Notte e giorno),
1919; “Monday or Tuesday” (Lunedì o martedì), 1921; “Jacob's Room” (La stanza di
Giacobbe), 1922; “Mrs Dalloway” (La signora Dalloway), 1925; “Tho the Lighthouse” (Una gita
al faro), 1927, “Orlando: a Biography” (Orlando, una biografia), 1928; “A Room of One's Own”
(Una stanza tutta per sé), 1929; “The Waves” (Le onde), 1931; “Flush: a Biography” (Flush,
una biografia), 1931; ”The Years” (Gli anni), 1937: “Between the Acts” (Tra un'atto e l'altro),
1941, “A Haunted House and Other Short Stories” (Una casa infestata e altre storie).
Soprattutto importanti per il carattere sperimentale i romanzi, in opposizione alla corrente
naturalistica di molti romanzieri del tempo (che si soffermavano sulla descrizione esteriore dei
personaggi) caratterizzati da un’innovativa struttura narrativa volta a polverizzare la trama a
favore degli eventi psichici, a descrivere l’individuo nella sua interiorità, i vari momenti
dell’essere nel fluire dell’esistenza, non in ordinata successione temporale degli eventi, ma
(con) fondendo passato, presente e futuro, descrivendo le infinite sfaccettature dell’io
(pensieri, emozioni, sogni, idee, impressioni), utilizzando il “monologo interiore” e il “flusso di
coscienza” (stream of consciousness) per scandagliare ed offrire al lettore la più profonda
interiorità del soggetto, le protagoniste eroine sempre tese alla “verità”, alla “realizzazione”,
sovente raggiunta.
Rilevante anche la saggistica a cui autorevolmente la Woolf si dedicò, con erudizione e
competenza, occupandosi di storia letteraria inglese, ma anche di argomenti di costume, in
particolare la condizione della donna nella società del suo tempo. Di grande rilevanza il lungo
saggio/denuncia/protesta “Una stanza tutta per sé “, rielaborazione di due conferenze tenute
nel 1928 ad Oxford e Cambridge sulla donna e il romanzo (Women and Fiction).
In quest’opera la Woolf si chiede che effetto abbia prodotto sulla creatività femminile la
privazione di una stanza (uno spazio personale) tutta per sé e di risorse economiche. In analisi
lucida, garbata ma impietosa, ripercorre la storia culturale della donna, discriminata, vessata
dalla presunzione maschile, per secoli considerata inferiore all’uomo, esclusa dalle professioni,
dai luoghi di potere, dai processi creativi, dagli affari, dalla politica, relegata nel domestico
ruolo prestabilito di angelo del focolare, impossibilitata a realizzarsi intellettualmente perché
priva di un luogo della casa in cui potersi concentrare in un progetto artistico-culturale e
d’indipendenza economica (tema sul quale giustamente insiste anche nell’altro importante
saggio, “Le tre ghinee”, sottolineando come gli uomini ne abbiano sempre goduto, a scapito
delle donne, che alle loro figlie null’altro hanno avuto da lasciare in eredità se non la loro
povertà, insieme alla subordinazione al maschio). Esorta, dunque, le donne ad uscire di casa,
ad istruirsi, a limitare il numero delle nascite perché far nascere dei figli comporta sempre la
limitazione della realizzazione femminile, a ritagliarsi spazi propri e a rendersi economicamente
indipendenti, perché per poter scrivere romanzi o poesia servono cinquecento sterline l’anno e
una stanza con una serratura alla porta,22 laddove simbolicamente le cinquecento sterline
significano la possibilità di contemplare e la serratura alla porta la possibilità di pensare senza
l’aiuto di nessuno.
23
Concludendo che La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla
libertà intellettuale,
24
la Woolf auspica che le donne un giorno abbiano sufficiente denaro per
viaggiare o per oziare, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare davanti ai
libri e vagare per le strade e lasciare che la lenza del pensiero scenda sempre più in fondo al
fiume.
25
Con tutti gli ovvi limiti e contraddizioni, per gli ormai acquisiti diritti e le sempre più numerose
e pari opportunità offerte alle donne, fortunatamente non più vite infinitamente oscure,26 il
saggio, scritto nel consueto stile scorrevole ed elegante, propone numerose riflessioni tuttora
illuminanti sul maschile e sul femminile e dimostra l’acutezza, la vivacità intellettuale e la
straordinaria modernità del pensiero di Virginia Woolf che, in Italia già molto famosa negli anni
’30, riscosse un’incredibile successo negli anni ’60, ponendosi come modello da seguire per la
scrittura femminile.
NOTE
1) P. Brenot, Geni da legare.
2) V. Woolf, Una stanza tutta per sé.
3) V. Woolf, Romanzi.
4) Op. cit.
5) V. Woolf, Momenti di essere. Scritti autobiografici, p.216.
6) op. cit. pag. 226.
7) Woolf, Romanzi.
8) op. cit.
9) op. cit.
10)Adorata creatura. Le lettere di Vita Sackville-West a Virginia Woolf, pag.28.
11)op. cit. pag.22.
12)op. cit. pag.22
13)op. cit. pag.22.
14)op. cit. pag.214.
15)op..cit. pag.87.
16)op. cit. pag.451.
17)Lettere in morte di Virginia Woold, S. Oldfield.
18)The letters of Virginia Woolf, a cura di N. Nicolson e J. Trautman, Harcourt Brace
Jovanovich, New York, vol.I p.449.
19)Op.cit.
20)L. Woolf , The Journey Not The Arrival Matters.
21)V. Woolf, A Writher’s Diary (Diario di una scrittrice), 1953, postumo.
22)Una stanza tutta per sé, pag.132.
23)op. cit., 134.
24)op. cit., pag.136.
25)op. cit., pag.137.
26)op. cit., pag.113.
FONTI
M. Merlini, Invito alla lettura di Virginia Woolf, Mursia, Milano 1991.
Adorata creatura. Le lettere di Vita Sackville-West a Virginia Woolf, La Tartaruga edizioni,
Milano 1985.
V. Woolf, Saggi, prose, racconti, I Meridiani, Mondadori edizioni, Milano 1998.
V. Woolf, I romanzi, I Meridiani, Mondadori edizioni, Milano 1998.
S. Oldfield, Lettere in morte di Virginia Woolf, Dalai Editore, Milano 2006.
V. Woolf, Una stanza tutta per sé, La Biblioteca di Repubblica, Ariccia (Roma) 2011.
V. Woolf, Le donne e la scrittura, La Tartaruga, Milano 2003.
V. Woolf, Momenti di essere. Scritti autobiografici, La Tartaruga, Milano 2003.
The letters of Virginia Woolf, a cura di N. Nicolson e J. Trautman, Harcourt Brace Jovanovich,
New York 1976.
L. Woolf , The Journey Not The Arrival Matters, Harcourt, Brace & World , New York 1970.