“IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO”

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“IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO”
“IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO” - CONVEGNO DI FIRENZE 2015
testo dell'incontro tenuto da mons. Mansueto Bianchi a Cecina il 9 febbraio 2015
Questo incontro si focalizza sulla presentazione del prossimo convegno della Chiesa italiana
nel novembre (9-13) del 2015 a Firenze. Tale convegno é ormai, se non una tradizione, almeno
un appuntamento (il quinto) significativo nel cammino del1a Chiesa italiana. Intercetta il percorso
decennale degli Orientamenti Pastorali della CEI (in questo caso “Educare alla vita buona del
Vangelo” 2010-2020) intorno alla metà del loro arco cronologico, ne coglie un aspetto originale od
un nodo vitale, e attorno ad esso raccoglie la riflessione e l'apporto dell’intera Chiesa italiana, sia in
ordine a scelte, di mentalità e di percorsi pastorali, che riguardano 1a Chiesa stessa, sia per i1 suo
collocarsi ed intrecciarsi alla vicenda del nostro paese: un momento dunque “alto” di coscienza e di
esperienza ecclesiale, e di chiesa “in uscita”, per quanto non esente da limiti o da zone d’ombra.
I1 tema su cui si raccoglierà a convegno la Chiesa italiana nel 2015 é “In Gesù Cristo, i1 nuovo
umanesimo”. Tema poderoso, di estrema attualità, ben collocato nel contesto fiorentino, eppure non
esente da rischi di genericismo e di intellettualismo. Rischi che dobbiamo accuratamente evitare già
fin da ora, fin dalla preparazione.
I1 percorso che ci condurrà al Convegno ha vissuto fino ad oggi una grande stagione di ascolto delle
chiese particolari (diocesi) presenti in Italia. È iniziato con un “invito al Convegno” ampiamente
diffuso e particolarmente attento alla comprensibilità e comunicatività del linguaggio, che voleva
presentare al1’opinione pubblica i1 senso complessivo del1’evento. Seguendo i1 metodo
dell’asco1to attuato da‘Papa Francesco per i1 Sinodo sulla famiglia, un metodo dialogico, fatto di
inclusione e di partecipazione, abbiarno poi aperto una stagione di partecipazione e di protagonismo
per le nostre Diocesi: ciascuna di esse ha presentato e descritto un percorso, un tratto della propria
vita in cui sta facendo esperienza del nuovo umanesimo in Gesù Cristo,di quel nuovo
“ progetto-uomo” che nasce dal Vangelo, del1’umanizzarsi di relazioni e di incontri che sorge dalla
fede, di una nuova tipologia di fare città, di stare insieme, come società e come Chiesa, che è
germinazione della nostra adesione al Signore.
“In Gesù Cristo, i1 nuovo umanesimo”, prima di leggerlo in un documento, più che ascoltarlo da
una relazione, ce lo siamo fatto raccontare da oltre 200 delle nostre Chiese, 1° abbiamo rintracciato,
costatato, in pagine di vita ecclesiale, prolungata, feriale. Dunque un
umanesimo già seminato in noi e tra noi, un umanesimo in germinazione, in atto, di cui
merita accorgersi, su cui vale criticamente riflettere, per riconoscerlo, assumerlo,
promuoverlo.
Quello che farò stasera con voi è cogliere alcuni tratti di questo nuovo umanesimo in atto
dentro la nostra Chiesa, 1o collocherò sul1o sfondo degli umanesimi contemporanei, che sono
quelli che respiriamo, che ci intridono, talora molto profondamente, ma a cui dobbiamo
annunciare il Vangelo e, in fine indicherò qual è 1’apporto di giudizio, di conversione, di
potenziamento che l’evento Gesù e il percorso della Chiesa qui in Italia apporta a questi
umanesimi che ci attraversano dentro e che legano o disgregano il nostro stare insieme, il
nostro fare umanità.
Cercherò di realizzare questo percorso in quattro tappe, attingendo a piene mani dal documento
preparatorio che stiamo realizzando e che sarà poi offerto alle nostre Chiese per la
preparazione e la realizzazione del Convegno. Perché molte delle cose dette stasera le
ritroverete e le rileggerete nella “Traccia” di preparazione al Convegno.
1. Percorsi di nuovo umanismo in atto tra noi
Le ben oltre duecento risposte (250 ca) pervenute dalle Diocesi e dalle realtà ecclesiali circa la
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raccolta di esperienze significative su come si sta già cercando di attuare nella pastorale
concreta il messaggio e la proposta cristiana del nuovo umanesimo in Gesù Cristo, fanno
apparire uno spaccato di Chiesa viva e vivace proprio a partire da questo tema che poteva
sembrare invece accademico e lontano dalle reali esigenze pastorali. Si tratta di veri e propri
“laboratori” dell ’umanesimo cristiano che incidono e annunciano come sia possibile e
doveroso incarnate nel vissuto storico e nelle molteplici esperienze di vita, il messaggio che
scaturisce da Gesù Cristo e dal Vangelo. Cosa significa oggi “essere umani” alla luce di quel “di
più” che è la fede, ma anche accanto e insieme a tutti quelli che hanno a cuore l'umano (laici e non
credenti): non è un tema di parte o dentro il recinto ma “un'uscita” missionaria.
Riassumere una ricchezza simile sarebbe impossibile. Voglio invece individuare ed
evidenziare alcuni tratti di fondo che emergono come paradigmi e vie di una pastorale in atto
che proprio sull’umanesimo lavora e si impegna, con grande coraggio e apertura. Le risposte
pervenute dalle Diocesi convergono dunque su alcuni tratti dell’ umanesimo cristiano che si sta
attuando nelle nostre Chiese locali.
Vediamo questi tratti in rapida sintesi.
a) Un umanesimo in ascolto del vissuto della persona, un ascolto profondo non solo di
ciò che appare, ma della profondità delle situazioni, e che mette sempre al centro la
persona in tutta la pienezza delle sue necessità e bisogni umani, spirituali e culturali.
I percorsi di nuovo umanesimo in atto nelle nostre chiese si caratterizzano per non essere astratti né
prescrittivi, ma per sorgere dall'incontro e dall'ascolto della vita, del vissuto concreto di tanta gente,
soprattutto fragili e poveri. Umanesimi non aprioristici o ideologici.
b) Un umanesimo concreto non ossessionato del risultato ma preoccupato di sostenere ogni persona a compiere il suo cammino verso il Signore, a partire dalla vita reale. Sono itinerari
in atto che dialogano operativamente con la vita, hanno la capacità di non sclerotizzarsi ma di
riformularsi, strada facendo, con il mutare delle situazioni e delle attese.
c) Un umanesimo plurale e integrale che tende a riconoscere e ricomporre il volto di Cristo nei
molti volti degli uomini e donne, bambini, adulti, anziani del nostro tempo, per ritrovare unità e
comunione, differenze che uniscono nel riconoscersi figli e fratelli in Cristo; integrale perchè non
frammentato come si è portati oggi a considerare l'umano, una integrazione che interpella anche la
pastorale, le realtà istituzionali della comunità, gli stessi ruoli delle varie persone che la
compongono, i vari servizi alla persona che esigono unità di indirizzo e di mutua collaborazione.
Sopratutto si evidenzia il superamento di ogni contrapposizione tra dimensione veritativa e
dimensione caritativa.
d) Infine un umanesimo di interiorità e trascendenza. Qui sta la peculiare consapevolezza
dell'umanesimo cristiano che porta a non separare culto e vita concreta, preghiera e
azione, ma che conduce a quell'incontro di comunione con Dio, che solo nella preghiera e
nel silenzio della caverna di Elia è possibile raggiungere pienamente.
Il nuovo umanesimo in atto nelle nostre comunità cristiane chiama e rimanda a questa dimensione
fondante che è l'incontro e il dialogo con Dio, con variate modalità.
2. Il contesto dell'annuncio e della presenza cristiana:
lo scenario dell'Annuncio del Vangelo.
Attraverso le esperienze raccontate dalle diocesi è possibile leggere, come in filigrana, la
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complessa realtà di vita in cui siamo immersi, il contesto in cui l'annuncio di un umanesimo
rinnovato in Cristo Gesù può e deve essere lievito: il contesto degli “umanesimi” vigenti e delle
diverse antropologie.
Indico alcune “ferite” degli umanesimi abitati dalle nostre generazioni, dalle nostre
vicende, di persone e di credenti, di singoli e di comunità, che possono però divenire porte,
valichi per un nuovo umanesimo. (nota dello scrivente: nel parlato ha detto anche: come si suol
dire, “le ferite che diventano feritoie”. Si riporta questo perché l'analogia ferite/feritoie è citata
in un passaggio successivo ).
a. Il rischio di smarrire il senso dell’umano
Se guardiamo al vissuto di questo tempo e al senso dell’umano che ne emerge, possiamo
dire che assistiamo non semplicemente al confrontarsi, e a volte al confondersi di molte
prospettive, quanto al frammentarsi dello sguardo.
Si vive l'esistenza e sé stessi non come progetti organici, a senso compiuto, ma come spezzoni,
frammenti, che rispondono a logiche diverse ciascuno, e differenti nelle svariate stagioni della vita.
Nel modo di vivere, prima ancora che a livello teorico, è diffusa la convinzione, che non
si possa neppure dire che cosa significhi essere uomo e donna. Non c'è una misura
dell’umano da proporre, da far valere come criterio per orientare le scelte. Ci sono
piuttosto situazioni, bisogni ed esperienze nelle quali siamo implicati: frammenti di tempo
e di vita, spezzoni di relazioni da gestire, da provare a tenere insieme unicamente con la
Volontà o con la capacità organizzativa del singolo. Gli eventi e le relazioni cosi rischiano
di diventare frammenti isolati di un’esistenza che si accomuna a quella altrui per caso, per
necessità o per convenienza, ma raramente riconoscendo un senso condiviso da tutti.
L’individualismo esasperato che ha dominato, nella civiltà occidentale, il tempo dell’espansione
economica fino a portare alla crisi attuale, crisi antropologica ed etica prima ancora che economica,
ha prodotto non solo il drammatico allentarsi dei legami che tengono insieme una collettività,
facendone un popolo con le sue istituzioni, ma anche l’affievolirsi dei nessi che disegnano i1 volto
dell’uomo. Come sarà possibile aprire varchi, percorsi, progetti che diano respiro e realizzazione al
desiderio di unità, di armonia che c'è dentro ogni vita e dentro la famiglia umana?
b. L uomo come prodotto e come funzione
La fatica a ricostruire questi nessi porta talvolta a negare una peculiarità dell’umano, e a
concepire l’uomo come una costruzione infinita, affidata alle proprie mani o alle leggi del
sistema. Più timore si ha del futuro, più incerto si fa l'orizzonte, più spasmodica diviene la
ricerca di punti di appoggio artificiali, quali garanzie che riducano i rischi del vivere. In
ogni caso il rischio è che si faccia centro su se stessi mentre viene a mancare, o si fa fatica
a collocare, l’altro: l’altro con le sue domande, le sue esigenze, il suo interpellarci...
Questa difficoltà a riconoscere il volto dell’altro rimanda al dissolversi del nostro volto
perché solo nella relazione si delineano i volti. Se la relazione è negata o soffocata, siamo
solo un fascio di bisogni e un insieme di accadimenti. Difficilmente comprendiamo che
cosa significhi essere umani.
c. Lo scoglio dell'autoreferenzialità
In effetti il male del quale il nostro tempo sembra soffrire, il grande male che investe in
particolare gli ambiti della vita comune spezzandone i fili e rendendo quanto mai fragile la
loro architettura, è l'autoreferenzialità. Se pensiamo di poterci costruire e ricostruire, ogni
volta di nuovo, e in maniera sostanzialmente illimitata, è perché pensiamo di poter essere
riferiti unicamente a noi stessi. Tutto ci spinge a ritenere che possiamo bastare a noi stessi,
e che in questo poggiare unicamente su noi stessi stia la nostra forza, la leva del vivere. il
principio della vera libertà. L`autoreferenzialità è una malattia sottile che può insinuarsi
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nella vita dei singoli come in quella delle comunità, nella vita del Paese e in quella della
Chiesa. L'approdo è sempre lo stesso e cosi pure la sostanza dell`atteggiamento. La pretesa
di bastare a se stessi elimina I'altro dal nostro orizzonte, ne fa semplicemente un elemento
di supporto oppure una possibile minaccia da cui guardarsi; sicuramente lo esclude come
colui dalle cui mani riceversi, colui senza di cui non siamo.
Questa pretesa chiude gli occhi e il cuore, rende asfittica la nostra vita, la consuma
dal|'interno proprio nel momento in cui pretende di rafforzarla e di garantirne l'espansione.
Sinteticamente (punti a, b, c) un umanesimo di assoluto individualismo, che non accetta limiti (etici)
alla possibilità della propria espansione, rischiando di diventare distruttivo delle relazioni vere (non
solo funzionali) con gli altri e con Dio.
d. Aspetti positivi su cui investire: il bisogno di relazione
Sbaglieremo però se ci fermassimo a considerare unicamente questi aspetti. I1 tempo che
viviamo è un tempo complesso ed è un tempo che registra un enorme bisogno di relazione.
La ricerca della relazione attraversa, come un filo rosso, le contraddizioni del presente: si
coglie nella comunicazione permanente e globale della rete, si avverte nella frenesia della
trasmissione immediata degli eventi e nel diffondersi contagioso delle emozioni. prende
corpo in tante esperienze di impegno che, proprio attraverso il costruirsi di relazioni
significative, testimoniano il valore e la dignità dell`umano.
Il senso dell`umano riemerge nella solidarietà tra generazioni all`interno delle famiglie.
nella capacità delle generazioni adulte di non appiattirsi sul loro benessere, di fare sacrifici.
per costruire il bene di chi viene dopo. Riemerge nelle tante esperienze in cui le famiglie si
educano a percepire se stesse come soggetto sociale che estende i confini della propria
capacità di cura.
Un più profondo senso dell’umano emerge anche nel diverso approccio ai consumi che la
crisi economica ha contribuito a sollecitare. L'usa e getta vorticoso dei beni non é più un
dovere sociale e culturale come qualche anno fa. C'è una rinnovata attenzione a stili di vita
più sobri e più sostenibili. Si fa strada l'idea di un'economia a valore contestuale che tenga
conto dell'ambiente e tratti le relazioni sociali, e i valori che le reggono, come un capitale
da contribuire a far crescere. Aumenta la sensibilità nei confronti della difesa dei beni
ambientali.
Nello stesso tempo, e nonostante i livelli ancora troppo alti della corruzione e della
illegalità presente nel Paese, cresce e si esplicita la percezione della legalità come bene
comune.
L”impegno educativo, soprattutto della scuola, continua poi a rappresentare una delle
migliori risorse per il nostro Paese ed è via privilegiata della difesa e della promozione
della dignità dell'umano. Accanto alle negatività fin troppo denunciate, sono tante le
esperienze di dedizione e di impegno competente, soprattutto dei docenti, che sostengono,
in maniera impagabile, la crescita dei più giovani. E insieme alla scuola, 1'impegno
formativo di associazioni, di esperienze oratoriali e sportive, che contribuiscono a creare
un contesto di relazioni sane in cui la famiglia può trovare un valido supporto per il
proprio compito educativo.
Il volontariato, come dono di tempo e di talenti, non cessa di essere un'altra grande risorsa
per il Paese, nonché concreta attestazione del valore impareggiabile di ogni essere umano.
Alla “generosità” verso gli ultimi e i penultimi, notevolmente cresciuta con il dilagare dei
tragici effetti della crisi economica, oggi tende ad aggiungersi sempre di più anche lo
sforzo per la competenza. Sono tante le persone comuni che si preoccupano di rendere
sempre più qualificato il proprio servizio. E reti di professionisti avvertono il bisogno di
offrire al territorio prestazioni gratuite o a prezzi popolari.
Non va inoltre taciuto lo splendido esempio di una umanità accogliente offerto dalle
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popolazioni direttamente interessate allo sbarco degli immigrati.
Queste esperienze di relazione sono segni, talvolta forse contraddittori, ma concretissimi, presenti
nella vita delle nostre chiese, tracce che aprono cammini e che fanno sperare, varchi per l'annuncio
di un Vangelo che è pienezza di umanità.
e. Riconoscersi figli
Occorre allora imparare ad ascoltare la vita delle persone per poter scorgere i segni di
un'umanità nuova che fiorisce. La vita con le sue fatiche e le sue contraddizioni, se
ascoltata fino in fondo, lascia emergere un'istanza di unificazione che è istanza di
relazione e di unità, istanza di comunione, È come se la vita stessa, spingendoci a
riconoscere la reale interdipendenza tra noi, ci ponesse dinanzi all’urgenza di imparare a
pensarci non come frammenti isolati ma come nodi di relazione, non come un insieme di
pezzi slegati ma come un tutto unitario.
C 'è una tensione all’incontro, un desiderio di unità al fondo di tutto ciò che siamo e che
facciamo, anche quando la direzione che imbocchiamo è opposta.
La relazione non si aggiunge dall'esterno a ciò che siamo, non è il risultato di una scelta
dagli esiti incerti. Noi siamo di fatto relazione. Lo siamo prima ancora di sceglierlo o di
rigettarlo consapevolmente. Siamo relazione perché non veniamo da noi stessi, ma ci
riceviamo da altri, non solo all’origine della nostra vita ma in tutto ciò che siamo e
abbiamo. Siamo relazione perché non bastiamo a noi stessi e il nostro esistere è un
“esistere con” e un “esistere da”: impensabile, impossibile senza l'altro. C'è un essere
generati che è al fondo di ogni nostra possibile e necessaria autonomia. Non c'è
autonomia, non c'è responsabilità autentica, senza riconoscere questa dimensione
relazionale, vera matrice della nostra libertà.
La difficoltà a vivere le relazioni è determinata in fondo proprio dalla difficoltà a
riconoscersi donati a se stessi. Ma non c'è possibilità di vera relazione senza questo
riconoscersi generati, senza il riconoscersi figli che è la cifra più propria della nostra
umanità, il fondamento di ogni nostra fraternità. Riconoscersi figli e perciò “donati”, un evento di
amore è il cuore dell'umano.
3 Le ragioni della nostra speranza:
l'umanità di Cristo e il servizio della Chiesa
È il terzo punto, incentrato sulla figura di Gesù Cristo, il Verbo che si è fatto carne. Caro
cardo salutis (=Carne il cardine della salvezza), diceva Tertulliano. E Agostino affermava: “Ambula
per hominem et pervenies ad Deum” (=Passeggiata dall'uomo e raggiungere a Dio).
. 1) Verità approfondita con ampiezza nella Costituzione conciliare Gaudium et spes dove si
afferma: “in realtà proprio nel mistero del Verbo incarnato viene chiarito il mistero del 'uomo”:
"Cristo, che è l 'Adamo definitivo e pienamente riuscito, mentre rivela il mistero del Padre e del suo
amore, pure manifesta compiutamente l' uomo all’'uomo e gli rende nota la sua altissima
vocazione ” (n. 22).
Il Figlio Unigenito che si è fatto carne, ci salva dentro e non fuori della “carne “ e quindi
di tutto ciò che è umano e corporale. Per questo l'umanesimo cristiano non attinge il suo
senso a partire dalle idee o dal filosofare sull'uomo ma bensì in Gesù Cristo Figlio di Dio e
nel suo concreto essere uomo. È il concreto vissuto umano di Gesù dunque a rivelare Dio e
l'uomo nella sua verità e pienezza. Il Nuovo Testamento offre un percorso di riferimenti
dove appare con evidenza il superamento, nella esistenza concreta di Gesù, della
contrapposizione tra secolare (mondano, storico, naturale) e trascendente (religioso,
spirituale, soprannaturale), tra il culturale e il cultuale. In Gesù Cristo l'uomo ci appare come il “di
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più” di Dio, nel senso che Dio trascende la propria trascendenza fino a rendersi uomo.
Ma in Gesù Cristo Dio appare anche il “di più” dell'uomo, che esce da se stesso, dalle proprie
solitudini ed egoismi per andare verso il “di più” di Dio ed il “di più” dei fratelli.
2) In Gesù Cristo l 'uomo si fa lui pure più uomo (Gaudíum et spes n. 41): l'affermazione del
Concilio rappresenta non uno slogan, ma la realtà dell'umanesimo cristiano annunciato e
testimoniato nella fede e nella carità dei credenti.
In Gesù Cristo Dio si mostra per l”uomo, si mette al servizio dell'uomo, esce incontro
all'uomo, lo raggiunge là dove si trova persino nella lontananza del suo peccato, nella
precarietà della sua esistenza minata dalla morte. L 'uomo è la periferia presso la quale Dio
prende la sua dimora in Gesù Cristo. Per questo possiamo affermare con i Padri della Chiesa
che “l'uomo vivente è la gloria di Dio” (Sant'Ireneo).
3) Attraverso il Nuovo Testamento si vedono poi emergere nell”esistenza concreta di Cristo
le due direttrici principali di un nuovo umanesimo: la cura e la preghiera.
Esse sono le due modalità in cui Gesù stesso vive la relazione con gli uomini e con il
Padre suo. E se la cura traduce la figliolanza dal Padre nella fraternità con gli uomini, la
preghiera costituisce il fondamento e la sorgente della possibilità di realizzare una radicale
condivisione di tutto con tutti. Cura nel senso di prendersi cura di se stesso nella tensione continua
alla santità, degli altri e della comunità; e la preghiera, esercizio costante di ascolto, di
discernimento e di contemplazione che traduce ogni grido di aiuto, ogni rivendicazione, ogni
fatica e sconfitta in invocazione al Padre.
Il dono che Dio ci ha fatto nel Figlio suo apre, dunque, un”esperienza di umanizzazione
senza precedenti e senza paragoni. Grazie a Gesù, Dio rivela le profondità di se stesso
svelando nello stesso tempo all’uomo chi egli sia veramente.
La Chiesa italiana ha cercato di custodire fedelmente questo tesoro prezioso, assumendolo
quale luce che dà forma all'azione pastorale. In più di un'occasione negli ultimi decenni
abbiamo rinnovato l'impegno a rimanere fedeli all'umanità dentro la sua storia, per rimanere
fedeli al Dio di Gesù Cristo.
Ma la ricerca, il riconoscimento, l'impegno per una umanità nuova che cresce anche nel nostro
tempo richiede oggi, alla Chiesa che è in Italia, di dare maggiore energia all'attitudine del
discernimento. Esso accompagna la vita cristiana, come insegnano gli Orientamenti pastorali per il
decennio 2010-20 (cf. nn. 7- 8). Il discernimento è il nostro sguardo su un mondo che Dio non
smette di amare, di curare e di attrarre verso il Regno. Non a caso già l'Invito parlava del Convegno
come di un'occasione di «discernimento comunitario››, condotto accanto e, per certi versi, insieme a
tutti gli uomini, lasciandoci guidare dallo Spirito di Cristo.
“Discernimento comunitario” è un termine ricco di significato per la Chiesa italiana.
Rimanda al percorso di aggiornamento avviato dopo il Concilio e indica la volontà di
costruirsi come corpo non clericale e ancor meno sacrale, dove ogni battezzato è soggetto
responsabile e tutti insieme siamo docili all'azione dello Spirito.
Radicamento orante nella Parola di Dio, letta dentro la Chiesa alla luce della Tradizione;
ricerca dei semi di verità sparsi dentro la storia degli uomini; interpretazione della società e
della cultura alla luce della verità che l'evento di Cristo è per noi: sono gli ingredienti di un
discernimento comunitario, già invocato durante il Convegno ecclesiale di Palermo.
Ma con quali criteri, su quali criteri fare discernimento come Chiesa, per riconoscere i germi ed i
percorsi appena avviati di un nuovo umanesimo, presenti nel nostro tempo? Quali dimensioni
privilegiare, su cosa porre attenzione, in quei gesti, in quei servizi di nuovo umanesimo che già
fioriscono nelle nostre chiese?
Fare del discernimento il nostro stile ecclesiale è veramente impegnativo. E' necessario mettersi alla
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scuola di Gesù Cristo, rivisitando i tratti del suo ministero per le vie della Palestina: Lì troviamo
l'alfabeto, il codice per discernere.
Come raccontano i vangeli sinottici, il ministero quotidiano di Gesù si compone di pochi
ma essenziali ingredienti, che lo vedono concentrato sull'unica cosa necessaria, come egli
stesso afferma (“Mio cibo è fare la volontà del Padre”: cf. Gv 4,34). La sua tipica giornata,
come ad esempio a Cafarnao, si struttura su poche essenziali operazioni: dedicarsi al legame
intimo con il Padre nella preghiera; non disperdere il primato dell’annuncio del Regno;
confermare con autorità questo annuncio, grazie alla cura delle persone (il perdono, la
guarigione, la rivelazione del volto misericordioso del Padre); non lasciarsi imprigionare
dall' ordinarietà, ma avere il coraggio di ripartire, spinto dall'urgenza della missione.
Implicitamente un simile stile disegna un percorso di umanità nuova, un modo buono e bello
di essere uomini e donne oggi, che ha e dà sapore. Sono le strade da percorrere, i criteri da seguire
per costruire, in Cristo, un nuovo umanesimo per il nostro tempo.
Le operazioni della vita quotidiana di Gesù sono state richiamate da papa Francesco nella
Evangelii gaudium. Sull'esempio di Gesù, e nella convinzione di riattualizzarne lo stile, il
pontefice immagina una Chiesa in uscita, capace di abitare il quotidiano delle persone e,
grazie allo stile povero e solidale, di rinnovare la storia di ciascuno, di ridare speranza, di
riaprire le nostre vite morte alla gioia della resurrezione e della vita nuova; in altre parole,
pronta a fare della vita quotidiana il luogo dell'incontro e dell'esperienza della misericordia
di Dio.
Nella stessa linea, al Convegno di Verona, la Chiesa italiana decise di mettere al centro
della sua missione - a tutti i livelli in cui questa è esercitata, dalla dimensione più ampia e
universale sino alla più piccola cellula comunitaria - la persona umana. ln questi anni si è
cercato di pensare a ciò che la configura, in senso attivo e passivo, toccando gli ambiti della
cittadinanza, della fragilità, degli affetti, del lavoro, della festa, del1'educazione e della
trasmissione della fede.
Dentro queste frontiere, dentro questi ambiti, ci sentiamo chiamati a declinare con il convegno di
Firenze, cinque operazioni utili perché la Chiesa contribuisca a quel nuovo modo di essere uomini e
donne dentro la complessità della nostra epoca: esse riprendono molti dei verbi che strutturano
l'Evangelii gaudíum.
4) La persona al centro della vita ecclesiale
E' una parte più pastorale e si chiede con quali modalità e strade discernere Cristo presente nel
nostro tempo, per riconoscere e promuovere l'umano.
Le cinque operazioni sono: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare; esse non
sostituiscono, ma visitano, attraversano ed inabitano i cinque ambiti del convegno di Verona.
Sono cinque vie di umanizzazione, per aiutare i germi di umanità, le attese, le ferite/feritoie a
crescere verso la pienezza di Gesù Cristo.
a. Uscire
L'insistenza con cui papa Francesco invoca una Chiesa «in uscita›› s'intreccia con il
cammino compiuto in Italia sulla strada della “conversione pastorale” e di una prassi più
missionaria. Una chiesa in uscita non è quella che fa qualcosa per chi è lontano, ma che si guarda e
comprende con gli occhi dei lontani e su loro si riprogetta (grande fatica per clero e Consigli
Pastorali)
Sorge da qui la domanda: come mai, nonostante un'insistenza così prolungata sulla
missione, le nostre comunità faticano ad assumere una simile prospettiva? Il rischio di
un'inerzia strutturale è sempre in agguato; si devono aiutare le nostre comunità a far si che
le motivazioni che spingono e fanno sorgere le azioni pastorali non vengano predeterminate dalle
tante istituzioni create al servizio della pastorale stessa, una pastorale che si automotiva e si
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autosostiene, quanto piuttosto da un attento ascolto e discernimento dei desideri dell’ uomo (che
giacciono anche dentro di noi credenti) e dalla voglia di farli germinare, per godere insieme della
gioia del Vangelo. Forse è meglio uscire da tanti progetti, frutto dei frammenti in cui si è
disarticolata la nostra pastorale, per assumere un obiettivo più unitario e aderente al vissuto.
b. Annunciare
Le tante povertà, antiche e nuove, che la crisi evidenzia ancor di più, si condensano in una
povertà che Gesù constatava con preoccupazione: la difficoltà ad ascoltare il Vangelo della
misericordia.
La gente necessita di parole che partendo da noi, dal semplice quotidiano, indirizzino lo
sguardo e i desideri a Dio. Occorre imparare a vivere la fede come testimonianza
argomentata non meno che come testimonianza vissuta. Una vita che parla! Con il suo personale
tratto, i suoi gesti e le sue parole papa Francesco mostra la forza e l'agilità di questa forma e di
questo stile testimoniali: quante immagini e metafore provenienti dal Vangelo egli riesce a
comunicare, soddisfacendo la ricerca di senso, accendendo la riflessione e l'autocritica che
apre alla conversione, animando una denuncia che non produce violenza ma permette di
comprendere la verità delle cose.
Le nostre Chiese sono impegnate da decenni in un processo di riforma dei percorsi di
iniziazione e di educazione alla fede cristiana. Il Convegno di Firenze è il luogo in cui
verificare quanto siamo stati capaci di rinnovare l'annuncio: di configurare forme di nuova
evangelizzazione e di primo annuncio; capacità di sviluppare una proposta della fede
cristiana in un contesto pluriculturale e plurireligioso come l'attuale; intuizioni e idee per
prendere la parola in una cultura mediatica e digitale che spesso si fa così artificiale da
svuotare di senso anche le parole più dense di significato, come lo stesso termine “Dio”.
c. Abitare
Il nostro cattolicesimo italiano non ha mai faticato a vivere l'immersione nel territorio
attraverso una presenza solidale gomito a gomito con la propria gente. Addirittura, esso è
conosciuto nel mondo per questa sua peculiare “via popolare”. Il passato recente ci
consegna un numero considerevole di istituzioni, strutture, enti, opere assistenziali ed
educative, che hanno dato concretezza all'annuncio.
Nelle veloci trasformazioni sociali e culturali, e in qualche caso a seguito di scandali,
corriamo il rischio di perdere questa presenza capillare, capace di una forte presa simbolica
e comunicativa. Occorre un tenace impegno per continuare a essere una Chiesa di popolo
nelle trasformazioni che il nostro Paese attraversa.
L'impegno, dunque, non consiste principalmente nel moltiplicare azioni o programmi di
promozione e assistenza; lo Spirito non mette in moto un eccesso di attivismo, ma
un'attenzione rivolta all'altro, considerandolo come un'unica cosa con se stesso. Quando è
amato, il povero è considerato di grande valore. Soltanto questo renderà possibile che i
poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”. Non sarebbe, questo
stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?. Senza
l'opzione preferenziale per i più poveri, «l'annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità,
rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l'odierna società
della comunicazione quotidianamente ci espone» (Evangelii gaudium 199).
In questo quadro, l'invito di papa Francesco a essere una Chiesa povera tra i poveri
assurge al ruolo di indicazione programmatica. Questo richiamo, infatti, non è un optional.
L'invito del pontefice, radicandosi nella predicazione esplicita di Gesù ai piccoli e ai
poveri, fino alla Croce, connota la Chiesa nel suo intimo essere e nel suo agire.
Il Convegno di Firenze è 1'occasione per rileggere una storia di incarnazione e di
condivisione e per disegnarne il futuro, tenendo conto delle sfide che i mutamenti in atto ci
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pongono innanzi.
d. Educare
In questo decennio la Chiesa italiana ha impegnato le comunità cristiane ad aggiornare
l'azione pastorale, assumendo come punto prospettico l'educazione, divenuta una vera e
propria emergenza.
Rimane utile e significativa una pagina degli orientamenti pastorali della CEI per il
decennio in corso, che citiamo in un passaggio saliente: “In una società caratterizzata dalla
molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente
diventa, dunque, educare a scelte responsabili. Di fronte agli educatori cristiani, come pure
a tutti gli uomini di buona volontà, si presenta, pertanto, la sfida di contrastare
l'assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne l'inconsistenza,
promuovendo la capacità di pensare e l'esercizio critico della ragione” (Educare alla vita
buona del Vangelo n.10).
Vista l'entità del mutamento innescatosi, un tale scenario chiede la ricostruzione dalle
fondamenta delle grammatiche educative. In questo preciso senso l'educazione occupa uno
spazio centrale nella nostra riflessione sull'umano e sul nuovo umanesimo. Il prossimo
Convegno ci impegna non soltanto nella comprensione attenta e analitica delle ricadute di
queste trasformazioni sulla nostra figura e sulla nostra identità ecclesiali (il concetto stesso
di vita umana, la configurazione della famiglia e il senso del generare, il rapporto tra le
generazioni e il senso della tradizione, il rapporto con l'ambiente e l'utilizzo delle risorse
d'ogni tipo, il bene comune, l'economia e la finanza, il lavoro e la produzione, la politica e
il diritto, ma anche sulle loro intercomessioni.
Il Convegno è l'occasione perché le nostre comunità si radichino in uno stile che esprima il
nuovo umanesimo: essere capaci, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali
ed esposte al veloce consumo, di costruire spazi in cui tali relazioni scoprano la gioia della
gratuità, solida e duratura, cementate dall'accoglienza e dal perdono reciproco; abitare
quelle frontiere in cui la sterilità della solitudine e dell'individualismo imperanti fiorisce in
nuova vita e in una cultura della generatività.
e. Trasfigurare
La via dell'umano inaugurata e scoperta in Cristo Gesù intende non soltanto imitare le sue
gesta e celebrare la sua vittoria, quasi a mantenere la memoria di un eroe, pur sempre
relegato in un'epoca, ormai lontana. La Chiesa prosegue la sua stessa opera, nella
convinzione che lo Spirito che lo guidò è in azione ancora nella nostra storia, per aiutarci
ad essere, già qui, uomini e donne come il Padre ci ha immaginato e voluto nella
creazione.
Papa Francesco, in alcune pagine di Evangelii gaudium (n. 180), richiama questo disegno
cosmico, ricordando che il nostro compito principale consiste nel conservare e diffondere
senza fine la gioia di Cristo agli uomini. Come il vino alle nozze di Cana, questa gioia è il
frutto della nostra fedeltà a Dio e al Regno che Lui stesso costruisce.
Il Convegno è una tappa per verificare la qualità della presenza cristiana nella società, la
peculiarità dei suoi tratti, la custodia della sua specificità. A noi, popolo delle beatitudini
che si radica nell'orazione di Gesù, è chiesto di operare nel mondo, sotto lo sguardo del
Padre, di proiettarci nel futuro mentre viviamo il presente con le sue sfide e le sue
promesse, con il carico di peccato e con la spinta alla conversione, che esso porta con se'
dal passato. A noi è posta la domanda: quanto l'attitudine filiale di Gesù col Padre suo
espressa nella preghiera, quanto il “prendersi cura” con misericordia del Maestro di
Nazareth è diventato l'ingrediente principale del nostro essere uomini e donne, del nostro
essere Chiesa nel mondo?
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Ecco, ritornano i due tratti caratteristici, mutuati dal Signore, con cui la Chiesa agisce nel
mondo e costruisce un nuovo umanesimo: la preghiera ed il prendersi cura.
4 Conclusione
Il tenore interrogativo, o almeno aperto, con cui questa riflessione si conclude non è casuale: vorrei,
infatti, stimolare - in vista del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze - una nostra comune presa
di coscienza riguardo al senso dell umano. Perciò mettiamoci in questione in prima persona,
verifichiamo la nostra coerenza con l'esser-uomo di Cristo Gesù, facciamo i conti con la
nostra distanza da lui, apriamo gli occhi sulle nostre lentezze nel prenderci cura di tutti e in
particolare dei «più piccoli» di cui ci parla il Vangelo (cf. Mt 25,40.45), ridestiamoci dal
torpore spirituale che allenta il ritmo del nostro dialogo con Dio Padre attraverso la nostra preghiera
precludendoci così una fondamentale esperienza filiale che sola ci abilita a vivere una nuova
fraternità con gli uomini e le donne di ogni angolo della terra.
Veramente riconoscere il volto di Dio manifestatosi umanamente in Cristo Gesù ci
permette di capire a fondo il nostro stesso esser-uomini, con le nostre potenzialità e
responsabilità. È in tal senso che occorre interpretare la promessa fatta dal Maestro a Pietro e,
in lui, alla comunità dei suoi discepoli: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli,
e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli››. Non significa dover fare i censori
dell'umanità. Al contrario, significa tentare sempre tutto il possibile per risolvere qualsiasi
nodo, impegnare al massimo grado la nostra creatività per districare ogni matassa, non trovar
requie prima d'aver tagliato tutti i legacci che frenano l'uomo e d'aver spezzato le catene che
gli impediscono di raggiungere la sua più alta misura: quella che gli è data in Cristo Gesù.
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