(Il principio di offensività. Vincolo legislativo e

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(Il principio di offensività. Vincolo legislativo e
GIUGNO 2013
AVVOCATO GIUSEPPE GERMINARIO
IL PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ.
VINCOLO LEGISLATIVO E CANONE INTERPRETATIVO.
SOMMARIO
Introduzione. 1. Il principio di necessaria offensività del reato. 1.1. Il principio di necessaria
offensività del reato e limiti edittali. La violazione per sproporzione del principio di necessaria
offensività. 2. Il principio di necessaria offensività del fatto e le norme rilevanti nell’ordinamento.
3. Il principio di necessaria offensività del fatto. Applicazioni giurisprudenziali. A. I reati di falso.
B. La coltivazione di canapa. C. L’evasione. Il caso Sallusti (Trib. Milano 14 dicembre 2012
n.13380). D. Il peculato (Cass. pen. Sez. Un. n.19054 del 2013). E. Altre ipotesi. 4. Principio di
necessaria offensività e formule assolutorie.
INTRODUZIONE.
Il principio di necessaria offensività, nel nostro ordinamento, si manifesta su due direttrici diverse.
Esso è sia canone per il legislatore, il quale deve predisporre il reato per fatti offensivi di beni
costituzionali significativi, sia criterio ermeneutico per il Giudice il quale dovrà applicare la norma solo
quando il fatto sia effettivamente offensivo del bene giuridico che la stessa protegge.
Pertanto, senza pretese di esaustività, appare opportuna l’analisi di una materia che lungi dall’essere
mera teoria difende il consociato da un legislatore disinvolto nel disporre della libertà personale o da
un’attivazione giudiziale della norma a prescindere dal verificarsi dell’evento che la stessa, nella sua
funzione preventiva, voleva evitare.
L’analisi della questione assume anche prospettive de iure condito sotto il versante della deflazione del
carico giudiziario. Infatti, spesso si assiste alla celebrazione di tre gradi di giudizio per fatti che
potrebbero essere agevolmente risolti dal Giudice civile. Tale è l’effetto collaterale dell’obbligatorietà
dell’azione penale.
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1. IL PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ DEL REATO.
Il principio di necessaria offensività è anzitutto limite all’attività legislativa la quale non può limitare la
libertà personale per fatti che non ledano beni Costituzionalmente significativi. Il medesimo principio
impedisce la restrizione della libertà individuale in modo sproporzionato rispetto all’evento danno o
pericoloso cagionato dal soggetto agente.
In sostanza, il legislatore non può disporre della libertà personale in modo discrezionale poiché la
potestà punitiva è limitata dalla necessaria proporzione tra lesione e sanzione e dall’assoluta necessità
che la risposta penale sia inevitabile in ragione dell’importanza del bene leso e dall’assenza di
strumenti meno afflittivi sufficienti a prevenire, punire e risarcire in modo adeguato.
Pertanto, la violazione del principio di necessaria offensività, sotto il versante legislativo, può avvenire
in tre modi. Approntando una sanzione sproporzionata rispetto alla dannosità o pericolosità del fatto o
predisponendo il reato a protezione di beni non meritevoli della risposta penale ovvero per fatti
addirittura inoffensivi.
Quest’ultima situazione è stata affrontata dalla Corte Costituzionale chiamata a giudicare la
meritevolezza della sanzione penale per chi avesse eccitato l’emigrazione mediante propaganda (art. 5
Legge n.1278/1930). Il giudice delle leggi, dopo aver evidenziato la mens legis della disposizione,
introdotta dal legislatore fascista a protezione delle politiche demografiche, ha valorizzato l’articolo 35
della Costituzione evidenziando che nei lavori alla Costituente fu condivisa la necessità di riconoscere
ai cittadini il diritto di esplicare la propria personalità partecipando alla vita della comunità dei popoli.
Pertanto, attualmente, non sussiste disvalore per un fatto, da un lato, riconosciuto come diritto a
emigrare e al contrario sanzionato per propaganda veritiera della possibilità di esercitare tale soluzione.
Infatti, a differenza del vecchio reato di eccitazione all’emigrazione a fine di lucro o mediante notizie
false, previsto dal R.D. n. 2205 del 1919, la norma in discussione subordina la sanzione alla mera
eccitazione all’emigrazione mediante propaganda.
In sintesi, il potenziale emigrato non subisce alcun danno o pericolo dalla condotta di chi senza fine di
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lucro, quindi approfittando dei bisogni delle persone, o con notizie false, favorisce l’esercizio del
diritto. Il reato previsto dall’articolo 5 della legge n. 1278 del 1930 è quindi costituzionalmente
illegittimo perché, così come strutturato, non protegge alcun bene giuridico.1
La medesima sorte ha subito l’articolo 1 della legge n.1085 del 1929, dichiarato incostituzionale nella
parte in cui sanziona penalmente l’esposizione in pubblico di bandiere estere. La Corte ha osservato
che il divieto, oltre a essere, di fatto, superato dai tempi per la diffusa esposizione di bandiere nelle
strutture alberghiere, ha le sue radici in un contesto sociale ove gli stendardi rappresentavano la
sovranità nazionale e gli ordinamenti non conoscevano valori diversi da quelli di cui erano impositori.
Al contrario, con l’avvento della Costituzione, il significato della bandiera è cambiato poiché uno stato
democratico non può temere il confronto con le idee degli altri popoli. Anzi, lo Stato vive all’interno
del dibattito e del confronto internazionale ed ha persino interesse che i consociati siano attenti allo
sviluppo comparato dei valori all’interno della comunità internazionale. In tal senso, depone l’articolo
10 della Costituzione nella parte in cui conforma l’ordinamento italiano alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciuto. Pertanto, non essendo la commissione del fatto – reato
capace di creare pericolo o danno, non derivando dall’esposizione delle bandiere estere problemi di
ordine pubblico o di relazioni internazionali, la disposizione è incostituzionale perché limitativa,
inutilmente, della libertà personale.2
La soluzione non è cambiata con la sentenza n.519 del 1995.
La Corte Costituzionale è stata chiamata a giudicare la conformità con la Carta Fondamentale
dell’articolo 670 c.p. nella parte in cui punisce sia la semplice mendicità in luogo pubblico sia chi
mendica in modo ripugnante, vessatorio o adoperando mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.
La Corte ha ricordato che il fatto punito dall’articolo 670 c.p., già sanzionato dal codice Zanardelli ma
aggravato nella sanzione dal legislatore fascista, ha avuto come ratio introduttiva la necessità di evitare
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Corte Cost. n.269 del 1986
Corte Cost. n.189 del 1987
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che la mendacità segnalasse la povertà diffusa e quindi rivelasse l’inefficienza statale. Al contrario, la
società moderna è matura e consapevole del divario economico che può instaurarsi tra i consociati e lo
Stato non ha necessità o possibilità di ingannare i propri cittadini. Pertanto, la norma non ha più ragione
di esistere anche perché la consapevole disparità economica non compromette neppure l’ordine
pubblico. Allo stesso modo non è pregiudicata la pubblica tranquillità giacché la mera mendacità non
arreca disturbo ma è al contrario stimolo passivo all’esercizio del dovere di solidarietà sociale. In
conclusione, la rilettura storica e Costituzionalmente orientata della norma determina la perdita del
bene giuridico oggetto di protezione con conseguente declaratoria di incostituzionalità. La medesima
scelta non è stata possibile per la mendacità invasiva o fraudolenta.3
Una soluzione parzialmente diversa è stata presa per l’articolo 708 c.p. (possesso ingiustificato di
valori), dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 370 del 1996. Infatti, la norma è stata ritenuta
illegittima perché sanziona fatti la cui pericolosità è scemata nel tempo e la cui repressione già avviene
con strumenti meno afflittivi rispetto alla restrizione della libertà personale.
L’articolo 708 c.p. puniva alcune categorie di soggetti (condannati per motivi di lucro, mendicanti,
ammoniti, sottoposti alla misura di sicurezza della cauzione di buona condotta) colti,
ingiustificatamente, in possesso di valori non confacenti al loro stato. La disposizione, qualificata dalla
dottrina come reato di sospetto, era stata introdotta dal codice Napoleonico e poi mutuata nelle altre
legislazioni europee per colpire i soggetti ritenuti pericolosi o comunque dediti a delinquere ma di cui
non fosse dimostrabile la commissione dei reati.4 La Corte Costituzionale ha osservato che tale sistema
sanzionatorio è anacronistico rispetto ai moderni modi di accumulare ricchezza, basati
sull’esportazione di capitali, sulla protezione degli stessi con lo schermo societario o mediante
l’interposizione fittizia di persona.
Pertanto, la norma, attualmente, perde ogni funzione essendo tra l’altro superata dal legislatore con
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La disposizione è stata depenalizzata dalla legge n.205 del 1999.
In sostanza, il reato di possesso ingiustificato di valori è l’antesignano delle odierne misure di prevenzione.
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l’introduzione delle misure di prevenzione patrimoniale e dalle confische c.d. per sproporzione. In
definitiva, l’articolo 708 c.p. risulta norma irragionevole, discriminatoria e quindi non più in linea con
l’attuale sistema Costituzionale poiché risponde con la sanzione penale a situazioni non più pericolose
come in passato e rimediabili con strumenti che seppure di natura penale sono meno afflittivi della
limitazione della libertà personale.
Un esplicito richiamo al principio di necessaria offensività del reato è contenuto nella sentenza della
Corte Costituzionale n. 354 del 2002 la quale si è occupata della legittimità dell’articolo 688 c.p.
(ubriachezza) nella parte in cui punisce i soggetti condannati per delitti non colposi, contro la vita o
l’incolumità individuale, colti in stato di manifesta ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Il Giudice delle leggi ha osservato come la qualità personale di alcuni soggetti non può determinare la
punibilità per fatti che se commessi da altri non costituirebbero reato. Inoltre, la norma è anomala
anche nella parte in cui non stabilisce alcun legame tra il reato precedentemente commesso e lo stato di
ubriachezza. Pertanto, la disposizione, oltre a risolversi in un inammissibile forma di diritto penale
d’autore, risulta in violazione del principio di necessaria offensività che nella sua accezione astratta
costituisce un limite alla discrezionalità legislativa. Infatti, la mera ubriachezza non lede alcun bene
giuridico e quindi non autorizza il legislatore a limitare la libertà personale.
1.1. IL PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ DEL REATO E LIMITI
EDITTALI. LA VIOLAZIONE PER SPROPORZIONE DEL PRINCIPIO DI
NECESSARIA OFFENSIVITÀ.
Come ricordato, il legislatore può violare il principio di necessaria offensività sia predisponendo la
sanzione penale per fatti inoffensivi di alcun bene giuridico sia per episodi la cui prevenzione repressione può avvenire con misure meno afflittive rispetto alla limitazione della libertà personale.
La lesione del principio di necessaria offensività può avvenire anche per sproporzione, ossia
predisponendo un limite edittale della pena irragionevole rispetto al danno o al pericolo cagionabile dal
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fatto.5 Infatti, può accadere che la condotta prevista dalla norma sia effettivamente offensiva di beni
costituzionalmente protetti e la cui tutela può ragionevolmente essere attuata sacrificando la libertà
individuale, ma il legislatore reagisca in modo sproporzionato rispetto al danno o al pericolo
cagionabile. In sintesi, è possibile affermare che la libertà personale può essere limitata quando il fatto
leda beni costituzionalmente significativi e altri rimedi, meno gravosi, non siano sufficienti a tutelarli,
sempre che il sacrificio imposto al reo sia proporzionale al danno o al pericolo procurato. La
ragionevolezza della pena impone altresì che la risposta sanzionatoria sia coerente e proporzionale al
generale sistema sanzionatorio soprattutto con riguardo a reati che tutelano i medesimi beni giuridici.
In caso contrario, risulterebbe violato il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.).
In tema di violazione per sproporzione, giova richiamare una sola pronuncia della Corte Costituzionale
la quale è sufficiente a comprendere la problematica.
Con la sentenza n.341 del 1994, il Giudice delle leggi ha giudicato la costituzionalità dell’articolo 341
c.p. nella parte in cui sanziona l’oltraggio a pubblico ufficiale con la reclusione da sei mesi a due anni.6
Il Giudice a quo riteneva la pena minima dell’articolo 341 c.p. eccessiva anche in rapporto con
l’omologa figura dell’ingiuria semplice (art. 594 c.p.), punita alternativamente con la reclusione fino a
6 mesi o con la multa fino a € 516. In sostanza, secondo il remittente, l’impianto normativo contestato
violava il principio di eguaglianza e comprometteva la rieducazione del condannato il quale avvertiva
la sanzione come ingiusta.
La questione, così come prospettata, fu ritenuta fondata dalla Corte. Secondo il Giudice delle leggi,
l’entità della sanzione è rimessa alla discrezionalità del legislatore con l’unico limite della
ragionevolezza. Infatti, l’intero sistema penale deve essere coerente nel sanzionare in modo adeguato e
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In sostanza, anche quando i beni giuridici offesi dal fatto sono meritevoli di protezione penalistica, la discrezionalità del
legislatore è comunque limitata alla ragionevolezza. Quest’ultima deve essere valutata in ragione sia del danno o del
pericolo che può cagionare il reato sia delle generali sanzioni previste dalla normativa criminale soprattutto con riguardo a
casi simili.
6
La norma è stata abrogata dalla legge n.205 del 1999 e successivamente riformulata nell’articolo 341 bis c.p., introdotto
dalla legge n. 94 del 2009.
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proporzionale le diverse fattispecie giacché deve prendersi carico della prevenzione dei delitti, della
rieducazione del condannato ma anche della tutela del reo i cui diritti fondamentali non possono essere
compressi oltre il necessario. Pertanto, entrando il gioco, ad avviso dello scrivente, il principio di
necessaria offensività del reato, la sanzione penale non può comportare ai diritti fondamentali del reo e
alla società, la quale ha interesse al recupero del deviante, danni sproporzionati rispetto ai vantaggi o ai
danni che il reato ha o poteva determinare. Infatti, la finalità rieducativa della pena, la quale non si
limita alla sola fase dell’esecuzione ma costituisce una delle qualità essenziali che la caratterizzano
dalla sua formazione fino alla sua esecuzione, implica la costante proporzione tra la qualità e quantità
della sanzione e l’offesa cagionata.7 In sostanza, la pena, quando è esagerata rispetto al fatto, lede, per
sproporzione, l’inviolabilità della libertà personale e compromette la rieducazione del condannato il cui
raggiungimento è un obiettivo anche di pubblico interesse.
Pertanto, la sproporzionalità manifesta della sanzione minima prevista dall’articolo 341 c.p., rispetto
alle altre legislazioni europee, in cui la norma o non esiste o non prevede punizioni così severe, al
codice penale del 1889, ove la reclusione era fino a sei mesi nonché al reato di ingiuria, rispetto al
quale l’articolo 341 c.p. pone una sanzione più elevata nel minimo di dodici volte, determina
l’incostituzionalità della norma per violazione, in sproporzione, del principio di necessaria offensività,
la quale si risolve nella lesione degli articoli 3 (eguaglianza), 13 (inviolabilità della libertà personale) e
27 (funzione rieducativa della pena) della Costituzione.
2. IL PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ DEL FATTO E LE NORME
RILEVANTI NELL’ORDINAMENTO.
Nel paragrafo precedente è stato accertato che il principio di necessaria offensività protegge la libertà
personale da compressioni ingiustificate e sproporzionate perpetrabili dal legislatore. La fonte del
principio è stata rinvenuta negli articoli 3, 13, e 27 della Costituzione.
Tuttavia, l’inviolabilità della libertà personale non riceve protezione solo a livello legislativo. Infatti, il
7
Per approfondire giova la lettura delle sentenze della Corte Costituzionale n. 313/1990, n.343/1993, n.422/1993.
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principio di necessaria offensività è anche regola di giudizio rivolta al Giudice del merito il quale non
può disporre la punizione per fatti che non siano realmente lesivi dei beni costituzionalmente
significativi che la norma penale protegge. Un assunto contrario significherebbe consentire la risposta
punitiva Statale per reprimere la mera disobbedienza alla norma.
Anticipando le conclusioni, in adesione alla c.d. concezione realistica del reato, è possibile affermare
che il principio di necessaria offensività opera sia in astratto, per il legislatore (c.d. principio di
necessaria offensività del reato), sia in concreto come regola di giudizio rivolta al Giudice (principio di
necessaria offensività del fatto). Tra l’altro, senza richiamare la Costituzione, l’assunto secondo cui il
reato non è solo condotta è confermato dall’articolo 40 del codice penale nella parte in cui dichiara che
nessuno può essere punito se l’evento dannoso o pericoloso non è conseguenza della sua condotta.
Pertanto, affinché il reato sia integrato, non è sufficiente che l’agente abbia commesso la condotta
oggettiva, assistita dall’elemento psicologico, ma è necessario che il fatto abbia determinato l’evento
che la noma, minacciando sanzione, intendeva evitare.
La conclusione esposta merita l’individuazione delle norme che nel nostro ordinamento fondano il
principio del nullum crimen sine iniuria.
Come anticipato, l’articolo 40 c.p. subordina la punibilità alla circostanza che dall’azione o
dall’omissione sia derivato l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato. 8 La
disposizione deve essere coordinata con l’articolo 49 c.p. il quale esclude la punibilità quando per
inidoneità dell’azione o inesistenza dell’oggetto è impossibile l’evento. In tal caso il Giudice può
applicare una misura di sicurezza.9
La distinzione tra pene e misura di sicurezza, le prime riservate a fatti oggettivamente lesivi del bene
protetto e le seconde da applicare nei casi di mera pericolosità del soggetto, dispone di un referente
8
Pertanto, la dizione letterale della norma rivela che il reato esiste solo quando si verifica l’evento che la stessa, mediante la
minaccia sanzionatoria, voleva evitare.
9
Giova ricordare che la presente trattazione riguarda solo il reato impossibile per inidoneità dell’azione.
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normativo anche a livello Costituzionale. Infatti, l’articolo 25 (Cost.), riproponendo la distinzione
dell’articolo 49 c.p., consente e obbliga il legislatore a distinguere tra fatti punibili e altri meritevoli di
mere cautele idonee a prevenirli. Anche l’articolo 27 della Costituzione svolge un ruolo importante
nella costruzione del principio di necessaria offensività in concreto. Infatti, la punizione della mera
disobbedienza inoffensiva sarebbe avvertita come ingiusta ed eccessiva, compromettendo la
rieducazione del condannato.
Il principio di necessaria offensività è anche rinvenibile nei sistemi processuali paralleli a quello
ordinario. All’uopo, giova richiamare l’articolo 34 del D.Lgs. n. 274 del 2004 il quale consente al
Giudice di Pace di archiviare nella fase delle indagini se non risulta un interesse della parte offesa alla
prosecuzione e il fatto è di particolare tenuità. Quando l’azione penale è stata esercitata, la particolare
tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si
oppongono. La particolare tenuità ricorre quando rispetto all’interesse tutelato l’esiguità del danno o
del pericolo nonché l’occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione
penale.
Il principio di necessaria offensività si rinviene anche nel D.P.R. n. 488 del 1988 (processo minorile) il
cui articolo 27 consente al Giudice, durante le indagini preliminari e previa richiesta del P.M., di
emettere sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, se risulta la tenuità dell’episodio e
l’occasionalità del comportamento, quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze
rieducative del minore.
La stessa possibilità è concessa anche d’ufficio al Giudice nell’udienza preliminare, nel giudizio
direttissimo e in quello immediato.
Infine, occorre segnalare il tentativo legislativo di contenere la punizione, ai soli casi di concreta offesa
al bene protetto, introducendo specifiche clausole di necessaria offensività all’interno delle singole
fattispecie. In proposito, giova richiamare il nuovo articolo 727 bis c.p. il quale punisce chiunque,
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uccide, cattura o detiene esemplari di specie animale selvatica protetta o distrugge, preleva o detiene
esemplari appartenenti a una specie vegetale protetta. In entrambi i casi, la norma esclude la punibilità
quando l’azione ha a oggetto un numero di esemplari e un impatto sullo stato di conservazione della
specie trascurabile.
3. IL PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ DEL FATTO. APPLICAZIONI
GIURISPRUDENZIALI.
Esaurito l’argomento della necessaria offensività del fatto sotto il versante dottrinale si impone l’analisi
di alcuni casi giurisprudenziali. L’esigenza si dimostra utile sia per comprendere il concreto
funzionamento del principio sia per capire come articolare la difesa in quei casi ove per conformità del
fatto alla fattispecie oggettiva e per presenza dell’elemento psicologico richiesto, l’assoluzione sembra
una chimera.
A. I REATI DI FALSO.
I reati di falso sono il terreno su cui il principio di necessaria offensività ha trovato maggiore sviluppo.
Infatti, la condotta sanzionata in tali delitti richiede, per definizione, la creazione di qualcosa d’irreale
che sovente determina una immutatio veri incapace di ingannare il soggetto cui la norma penale
fornisce protezione.
Il codice Zanardelli subordinava la punibilità della falsità in atti pubblici o privati al possibile
nocumento. La formula, sebbene non riprodotta nella normativa vigente, può dirsi ancora valida alla
stregua della costante elaborazione giurisprudenziale e dottrinale oltre che in base alla relazione
Ministeriale al codice penale ove è statuito che l’omissione “non può assolutamente apparire in
contrasto con le fonti e resta perfettamente vero che falsitas non punitur quae non solum non nocuit,
sed non erat apta nocere”.
La dottrina distingue i falsi inoffensivi in tre categorie: falsi innocui, grossolani e inutili.
Il falso è grossolano quando la difformità rispetto al vero può essere percepita ictu oculi dalla generalità
10
dei destinatari dell’oggetto protetto da falsificazione. All’uopo, si ritiene di dissentire da chi sostiene
che la grossolanità deve essere tale per la totalità dei consociati giacché il principio di necessaria
offensività del reato impone di valutare la lesione del bene giuridico dal punto di vista dei titolari del
medesimo.10
Il falso è innocuo quando l’alterazione, pur non grossolana, non determina la lesione dell’interesse
tutelato dalla genuinità del documento poiché lo stesso non viene considerato o non altera la funzione
probatoria ovvero non lede gli interessi di nessuno.11 In tema la Cassazione ha dichiarato non punibile,
per inidoneità dell’azione, la falsa attestazione sui registri universitari dell’esame collegiale dei
candidati avvenuto, in realtà, per opera di un solo commissario. Secondo la Suprema Corte, la falsità
non poneva in discussione lo svolgimento della prova e il suo esito.12 La punibilità è stata altresì
esclusa quando l’alterazione o la contraffazione del documento sia irrilevante per il significato o il
valore probatorio che l’atto acquista. In tal senso è stato dichiarata irrilevante la firma su una denuncia
da parte di un medico sia per se stesso sia per il collega da cui aveva ottenuto esplicito consenso.13
Pertanto, il falso è altresì innocuo quando non incide sul significato dell’atto e non altera la funzione
documentale e di veridicità che lo stesso rappresenta.14
Il falso è inutile, quando, sebbene idoneo a rappresentare fatti o situazioni in modo mendace rispetto
alla realtà, la situazione giuridica che persegue può essere ottenuta a prescindere dall’atto stesso. In tali
casi il falso non è punibile per inesistenza dell’oggetto giacché il bene giuridico è ottenibile senza
10
Sarebbe inutile punire per un falso grossolano, destinato alla p.a., quando la falsificazione sia riconoscibile ictu oculi solo
dai funzionari comunali ma non dal normale cittadino. Infatti, l’atto falso, non avrebbe comunque capacità offensiva sia nei
confronti del consociato, non destinatario dell’atto, sia nei confronti della p.a. Pertanto, il punto di vista da cui valutare la
grossolanità è quello del funzionario comunale, destinatario dell’atto e possibile soggetto offeso dal mendacio.
11
Cass. pen. Sez. Un. n.46982 del 2007. La Suprema Corte ha affermato che i delitti contro la fede pubblica ledono
direttamente il generale affidamento dei consociati e di riflesso anche gli interessi dei singoli adeguatisi alla situazione
mendace rappresentata dall’atto. Pertanto, i singoli danneggiati assumono la qualifica di persone offese con i conseguenti
diritti ivi compreso di ricevere l’avviso della richiesta di archiviazione e di opporsi alla medesima.
12
Cass. pen., 13 novembre 1997, n.3134. La Corte osserva, anche, che la norma sulla composizione collegiale era di
carattere regolamentare e non prevista a pena di nullità.
13
Cass. pen., 13 maggio 1987, n.7875.
14
Cass. pen., 21 aprile 2010, n.35076.
11
dichiarare qualità o stati che l’oggetto del reato voleva falsamente attestare.15
Pertanto, mentre nel falso innocuo l’ottenimento del diritto perseguito può prescindere dal mendacio,
nel falso inutile l’utilità finale può essere ottenuta a prescindere da attestazioni di fatti o qualità.
B. LA COLTIVAZIONE DI CANAPA.
Il principio di necessaria offensività del fatto è stato applicato anche nei giudizi sulla violazione della
normativa sugli stupefacenti. In tale contesto, particolare interesse hanno le pronunce riguardanti la
coltivazione della canapa.
Il tema aveva originariamente alimentato il dibattito sul presunto trattamento discriminatorio tra il
soggetto mero detentore di stupefacente, il quale soggiace solo alla sanzione amministrativa prevista
dall’articolo 75 del D.P.R. n.309 del 1990 e l’agente che al medesimo fine produce la sostanza.
Le Sezioni unite, intervenute a dirimere il contrasto, hanno respinto la presunta irragionevolezza della
distinzione osservando che i beni giuridici protetti dalla normativa sugli stupefacenti sono sia la salute
sia l’ordine pubblico. In particolare, quest’ultimo è posto in pericolo dal lucro conseguito dal crimine
organizzato e dalla commissione di reati che statisticamente aumenta nei soggetti assuntori.
Alla luce dei beni giuridici protetti, il Supremo Collegio ha evidenziato che a differenza della condotta
di mera detenzione, lesiva della salute del solo assuntore, quella di coltivazione offende anche l’ordine
pubblico giacché idonea ad ampliare la quantità di stupefacente a disposizione anche in ragione della
potenzialità riproduttiva dei vegetali.16
Tuttavia, sempre ponendo al centro del ragionamento i beni protetti dal D.P.R. n. 309 del 1990, la
Cassazione ha affermato che il Giudice di merito deve comunque accertare la necessaria offensività del
reato la quale non sussiste quando il prodotto del fatto penalmente sanzionato non sia in grado di
determinare un risultato stupefacente in concreto rilevabile.17
15
Si pensi a un soggetto che espone un contrassegno falso per parcheggiare in una zona completamente libera.
Cass. pen. Sez. Un. n. 28605 del 2008.
17
Cass. pen. Sez. Un. n. 28605 del 2008.
16
12
C. L’EVASIONE. IL CASO SALLUSTI (Trib. Milano 14 dicembre 2012 n.13380).
La necessaria offensività del fatto entra spesso in considerazione nei giudizi di evasione i quali hanno
sovente a oggetto, soprattutto con riguardo ai sottoposti agli arresti domiciliari, condotte al limite della
rilevanza penale.
In materia giova analizzare, a titolo esemplificativo, un famoso caso di cronaca che ha interessato un
noto giornalista assolto dall’imputazione di evasione per l’inoffensività del fatto contestatogli.
Dopo il passaggio in giudicato di una sentenza per diffamazione a mezzo stampa, all’ormai condannato
era comunicato l’avviso di sospensione dell’esecuzione. Il giornalista, in segno di protesta contro una
condanna ritenuta ingiusta, decideva di non proporre istanza per una misura alternativa alla detenzione.
Tuttavia, il Tribunale di sorveglianza, come per legge, concedeva al condannato il beneficio della
detenzione domiciliare.
Il giorno prima dell’esecuzione della pena, in una conferenza stampa, il giornalista aveva dichiarato di
non volersi sottrarre al carcere perché non riteneva giusto un trattamento di beneficio rispetto agli altri
detenuti.
In ottemperanza al provvedimento del Tribunale di sorveglianza, gli agenti notificatori
accompagnavano il condannato presso il suo domicilio ove avrebbe dovuto espiare la pena e lo
avvertivano delle sanzioni concernenti la violazione della misura restrittiva. Il condannato, rispettando
quanto aveva dichiarato nella conferenza stampa, decideva di abbandonare il domicilio unitamente agli
agenti di p.g. Una volta varcata la soglia di casa il Sallusti fu dichiarato in arresto.
Nonostante il fatto integri tutti gli elementi oggettivi (abbandono del domicilio) e soggettivi (violazione
cosciente e volontaria) del delitto di evasione, il Sallusti è stato assolto perché il Giudice ha considerato
il bene giuridico protetto dalla norma non leso dalla condotta dell’agente.18 A titolo di esempio, il
18
L’imputato è stato assolto con la formula perché il fatto non sussiste. Le considerazioni concernenti l’esatta formula da
utilizzare in questi casi saranno svolte nell’ultimo paragrafo.
13
Giudicante richiama preliminarmente due precedenti giurisprudenziali.
Nel primo caso l’imputato agli arresti domiciliari era stato assolto per essersi allontanato dal domicilio
per recarsi dai Carabinieri ed essere tradotto in carcere a causa dei motivi di contrasto con la figlia.19
Nel secondo precedente, “l’aspirante evasore” aveva preteso l’intervento dei Carabinieri presso il
domicilio, attendendoli oltre la porta, per comunicargli l’impossibilità di continuare la convivenza con i
suoi famigliari.20 In entrambi i casi, la Corte di Cassazione aveva evidenziato la mancata offesa del
bene giuridico protetto dalla norma.
Allo stesso modo, nel caso Sallusti, il giornalista non si era mai sottratto dalla sfera di vigilanza degli
organi di polizia. Pertanto, non si era verificata una soluzione di continuità dello status di ristretto. Il
Giudice ha evidenziato che la soluzione sarebbe stata diversa nel caso in cui gli agenti si fossero
allontanati e il condannato avesse persistito nel suo comportamento.
D. IL PECULATO (Cass. pen. Sez. Un. n.19054 del 2013).
Il principio di necessaria offensività del fatto è particolarmente vagliato nei reati dei pubblici ufficiali
contro la pubblica amministrazione. Con particolare riguardo al delitto di peculato, l’analisi della
concreta offensività della condotta è sempre oggetto di approfondimento onde evitare le sanzioni
draconiane, previste dall’articolo 314 c.p., a fatti che ledono i beni giuridici protetti dalla norma in
modo irrisorio.
L’importanza che il principio di necessaria offensività del fatto assume nell’analisi delle condotte
appropriative all’articolo 314 c.p. è stata recentemente ribadita dalla Corte di Cassazione a Sezioni
Unite.21
In via preliminare giova ricordare che il peculato è considerato un delitto plurioffensivo poiché posto a
protezione sia del patrimonio della p.a. sia del corretto andamento della stessa.
19
Cass. pen., sez. VI, n.32668 del 2010.
Cass. pen. n.16673 del 2010
21
Cass. pen. Sez. Un. n.19054 del 2013.
20
14
Il Supremo Consesso di legittimità è stata chiamato a pronunciarsi sull’annosa questione della
fattispecie penale integrata dal comportamento del pubblico ufficiale che utilizzi il telefono d’ufficio
per fini privati. La Corte ha stabilito il principio di diritto secondo cui integra il delitto di peculato
d’uso (art. 314 comma 2 c.p.) la condotta del pubblico ufficiale che per fini privati usi il telefono di cui
ha disponibilità per ragione del suo ufficio.
Tuttavia, secondo la Corte, non occorre mai trascurare l’analisi dell’offensività in concreto. All’uopo,
occorre distinguere tra il caso in cui la p.a. abbia stipulato con il gestore telefonico un contratto a
consumo da quello in cui le tariffe siano flat (c.d. tutto incluso). In quest’ultima situazione, non
potendo mai avvenire il danno patrimoniale, il reato sarà consumato solo alla lesione dell’altro bene
giuridico protetto dalla norma, ossia nel momento in cui la distrazione materiale del telefono dai fini
istituzionali sia avvenuta per un tempo tale da cagionare una concreta lesione alla funzionalità
dell’ufficio.22
Nel caso in cui la tariffa telefonica dell’ufficio sia a consumo, la concreta offensività del reato deve
valutarsi in rapporto alla lesione significativa del patrimonio della p.a.23
E. ALTRE IPOTESI.
I principi estratti, prima dall’analisi generale del principio di necessaria offensività e poi osservati nella
concreta applicazione giurisprudenziale, possono essere applicati a tutti i reati previsti dal nostro
ordinamento.
In ogni caso, per mera completezza espositiva giova svolgere qualche esempio ulteriore.
La Suprema Corte ha escluso il delitto di calunnia quando l’assoluta inverosimiglianza del racconto
non determina l’inizio delle indagini.24
Nel delitto di autocalunnia la ritrattazione dell’incolpazione, avvenuta senza soluzione di continuità
22
Cass. pen. Sez. Un. n.19054 del 2013.
Cass. pen. Sez. Un. n.19054 del 2013 ritiene che il danno di € 10 cagionato dall’imputato, sebbene lieve, sia comunque
significativo.
24
Cass. pen., 26 giugno 2009, n.28018.
23
15
rispetto alla dichiarazione auto calunniante, non determina uno sviamento dell’amministrazione della
giustizia e quindi la capacità dell’azione di offendere il bene giuridico protetto dalla norma.25
Nei delitti contro il patrimonio, l’offensività in concreto del danno ha natura oggettiva e deve essere
desunta dal livello economico medio della comunità sociale nel momento storico in cui è commesso il
reato, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato.26
4. PRINCIPIO DI NECESSARIA OFFENSIVITÀ E FORMULE ASSOLUTORIE.
L’accertata immanenza nel nostro ordinamento del principio di necessaria offensività del fatto non ha
un riconoscimento parallelo nelle formule assolutorie previste nell’articolo 530 c.p.p. La norma impone
al Giudice di assolvere quando l’imputato non ha commesso il fatto, quando il fatto non sussiste, non
costituisce reato o non è previsto come tale dalla legge penale. L’assoluzione deve essere altresì
pronunciata quando il fatto è stato commesso alla presenza di una causa di giustificazione o di una
causa personale di non punibilità.
Quest’ultima formula non sembra applicabile ai casi di inoffensività del fatto i quali sono caratterizzati
da una situazione oggettiva di mancata lesione del bene protetto. Al contrario, l’articolo 530 c.p.p.
sembra riferirsi alle situazioni personali di non punibilità che riguardano il reo. A titolo di esempio può
richiamarsi l’articolo 649 c.p. che per alcuni delitti contro il patrimonio, commessi da soggetti in
rapporto di parentela o affinità con la persona offesa, prevede la non punibilità o la procedibilità a
querela.
L’evidenziata assenza di una formula assolutoria per i casi di inoffensività in concreto determina nella
prassi giurisprudenziale il rinvenimento delle soluzioni più disparate.
In via preliminare occorre ricordare che il fatto non punibile per mancata lesione del bene giuridico è
un episodio completamente conforme alla fattispecie oggettiva descritta dalla norma. Pertanto, la
formula assolutoria perché il fatto non sussiste non è utilizzabile. Infatti, il fatto esiste, si è verificato ed
25
26
Cass. pen., 14 maggio 2003, n.37016.
Cass. pen., 3 novembre 2010, n. 41686.
16
è stato commesso dall’imputato. Tra l’altro, l’utilizzo di tale formula determinerebbe il paradosso per
cui il soggetto spossessato di una cosa insignificante non potrebbe adire il giudice civile per la
restituzione poiché lo stesso sarebbe costretto ad adeguarsi al giudicato sull’insussistenza del fatto (art.
652 c.p.p.).27
Anche la formula assolutoria perché il fatto non costituisce reato non sembra utilizzabile poiché
l’episodio inoffensivo è commesso con coscienza e volontà. Al contrario è risaputo che la formula in
discussione prevede l’assenza dell’elemento soggettivo previsto dalla norma incriminatrice.28
L’inadeguatezza delle formule esposte sembra lasciare il campo all’unico appiglio normativo valido,
ossia all’articolo 49 c.p. il quale, espressamente, prevede l’esclusione della punibilità per inidoneità
dell’azione. Pertanto, nel caso in cui il fatto sia inoffensivo dei beni giuridici protetti dalla norma
violata, il Giudice dovrà assolvere l’imputato per il combinato disposto dell’articolo 49 c.p. e 530
c.p.p.29
27
Si pensi a un soggetto cui è stato sottratto un chiodo. L’assoluzione per insussistenza del fatto costringerebbe il Giudice
civile a non disporre la restituzione della res perché dovrebbe attenersi a quanto stabilito nel giudizio penale, ossia che il
fatto, contestato come furto, tale non era.
28
Tuttavia, tale formula è sicuramente preferibile a quella perché il fatto non sussiste giacché non preclude che la parte
offesa possa ottenere giustizia in sede civile.
29
In tal caso il richiamo dell’articolo 530 c.p.p. sebbene formale è necessario poiché è l’unica norma di diritto processuale
che consente al Giudice di emettere sentenza di assoluzione.
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