bolero - spadò - Alberto Spadolini
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Marco Travaglini BOLERO - SPADÒ Alberto Spadolini, una vita di tutti i colori Presentazione di Antonio Calenda Attraverso l’appassionata ricerca di Marco Travaglini abbiamo avuto modo di conoscere una figura veramente singolare: Alberto Spadolini. Prendendo le mosse da un capostipite delle avanguardie italiane come Anton Giulio Bragaglia, Spadolini si impone in Francia all’attenzione dei grandi artisti dell’epoca, artisti di rilievo assoluto come Max Jacob e Jean Cocteau che riconoscono in lui una versatilità innata nell’arte della danza, della coreografia, della pittura, della scenografia … Impressionare questi artisti che negli anni ’30 erano i punti di riferimento della cultura mondiale (ricordiamo che era il tempo dei Ballets Russes di Sergej Diaghilev, c’era Nijinskij a Parigi), impressionarli a tal punto da ricevere da loro giudizi di grandissima ammirazione è una cosa che ci sorprende e ci appassiona. Come ci sorprende e ci appassiona che Spadolini non abbia mai studiato danza ma solo scenografia. Per cui io ritengo che tutto quello che ha fatto Marco Travaglini, in una appassionata ricerca che è durata anni, per ricordare a tutti noi che c’è stato un italiano che si è imposto all’estero, che ha fatto conoscere un versante della nostra cultura, del nostro saper essere anche improvvisatori, è una cosa che ci commuove. E ciò testimonia di una grande passione verso l’arte che non possiamo non riconoscergli. Antonio Calenda Direttore del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia dal maggio 1995, ha iniziato la propria attività teatrale nell’ambito del Teatro Universitario di Roma. Nel 1965 ha fondato insieme a Virgilio Gazzolo e Luigi Proietti il Teatro Centouno. Successivamente ha lavorato per il Teatro di Roma e ha diretto per nove anni il Teatro Stabile dell’Aquila. Suo il discorso inaugurale nel corso della Rassegna “Bolero-Spadò”, al Castello degli Agolanti di Riccione, maggio 2005. Sopra: Nijinsky, Spadolini, Serge Lifar in figurine della danza 1933 (Coll. privata) A destra: Spadolini con una sconosciuta ballerina ne “La Ninfa e il Fauno”, foto anni ’30 (Coll. B-S n. 17) 10 La scoperta dell’archivio Sono caduto dalle nuvole quando, nell’autunno 1978, zia Giorgia, con la voce rotta dall’emozione, mi ha chiesto telefonicamente di aiutarla a traslocare dalla sua casasartoria di Fermo. Nemmeno per me è facile lasciare i luoghi in cui ho trascorso gli anni più belli della mia giovinezza. Dopo aver caricato su di un camion mobili, letti, tavoli, sedie e, con particolare cura, alcuni quadri dipinti da mio zio Alberto, domando alle zie: “In soffitta non c’è niente da portare via?” “Hai già lavorato abbastanza!”, protesta Giorgia. “Ci sono solo vecchi stracci!”, cerca di dissuadermi zia Maria. Testardo come un mulo volo fino all’ultima rampa di scale, apro la porta e scruto attentamente nella semi oscurità. Un tempo questo era il mio regno. Da piccolo qui correvo a nascondermi quando i miei genitori venivano a prendermi per ricondurmi a casa al termine delle vacanze. Da adolescente è qui che mi rifugiavo per ascoltare i primi dischi dei Beatles e dei Led Zeppelin. Conosco ogni angolo di questa soffitta: il camerino con i ritagli di stoffa; la parete dove sono ammucchiati i giornali di moda; i manichini che mi divertivo a far girare come trottole. Un cartone con la scritta ‘Alberto Spadolini’ cattura la mia attenzione. Di questo zio, morto a Parigi nel 1972, so ben poco. Anche la sua morte è avvolta nel mistero: ne siamo stati informati con due giorni di ritardo e qualcuno, nel frattempo, ha fatto sparire dal suo appartamento documenti, libri e diari … “Non c’è più posto qui dentro!”, protesta il conducente quando cerco di salire a bordo del camion con lo scatolone. “Non si preoccupi, lo tengo in braccio!”, lo tranquillizzo. Ben presto mi rendo conto di aver scoperto ‘l’archivio Spadolini’. All’interno sono stipati un centinaio di fotografie degli anni ’30, manifesti, libri, articoli, spartiti A destra: Spadolini ritratto da Roger Carlet, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 32). 12 musicali, depliant degli spettacoli di danza e delle esposizioni di pittura in Francia, in Svezia, in Belgio, in Germania, in Danimarca, in Italia, in Africa, in America, in Estremo Oriente… L’archivio Spadolini resta a lungo nello scatolone. A punzecchiarmi ci pensa l’amico Antonio Bortolotti che più volte mi esorta a studiare quegli ingialliti documenti. Nel maggio 1986, convinto di sapere tutto, scrivo un articolo su zio Alberto per la rivista “Quaderni del Centro C. G. Jung”. Nel 1999 riprendo le ricerche e, certo di aver svelato anche gli ultimi segreti, insieme ai miei studenti dell’Istituto Statale d’Arte ‘F. Fellini’ di Riccione dedico a Spadolini un capitolo del libro “Alla scuola dell’albero: crescere secondo natura”. Ho quasi dimenticato quella storia finché con la mia famiglia, nell’estate del 2004, trascorro le vacanze a Parigi. Mi reco sulla tomba di Spadolini nel cimitero parigino di Saint-Ouen e, con enorme sorpresa mi avvedo che, a distanza di trent’anni dalla sua morte, qualcuno gli porta ancora fiori freschi. Nella speranza di rintracciare lo sconosciuto amico dello zio lascio nel sottovaso un bigliettino con il mio recapito. Dopo qualche mese squilla il telefono… un accento francese… e, come per incanto, entro nel magico mondo di Spadolini. Novello ‘Indiana Jones’ rintraccio alcuni dei suoi più cari amici; entro in possesso di alcune sue lettere rimaste sepolte per 70 anni in una cantina; recupero un centinaio di preziosi documenti nelle biblioteche di Parigi e di Londra; scopro una trentina dei suoi dipinti fra cui uno nella collezione dell’ex primo Ministro Giovanni Spadolini, suo lontano parente; ricevo in regalo il costume di scena da lui indossato migliaia di volte per danzare il “Bolero” di Ravel … e mi arrendo all’evidenza: ho conosciuto solo “la punta dell’iceberg” Spadolini. Allievo di Bragaglia Alberto nasce il 19 dicembre 1907 nel quartiere Piano di San Lazzaro ad Ancona. Le sorelle ce lo descrivono come un bambino intelligente, amante dello sport e di ogni forma d’arte. Ricorda della sua infanzia la grande amica Margherita Golinelli: “Amarlo era facile: era molto buono e affettuoso. L’unico difetto, se si può chiamarlo tale, era la sua vivacità, una cosa incredibile. Egli non stava mai fermo. Scattante come una molla, voleva rendersi utile in tutto e per tutto. Amava la natura, la campagna. Dato che lo zio Luigi possedeva un orto, Alberto gli era sempre vicino per aiutarlo ma purtroppo, mancando di pratica, era più il danno che l’utile. Alberto dialogava con tutti, non faceva distinzione fra giovani e anziani, proteggeva i più deboli con tanta generosità.” “Alberto Spadolini” ‘Quaderni’ Centro Jung 1986 La sua mente è sempre in fermento: fantastica luoghi leggendari, eroiche imprese che mette in scena con i suoi amici. Con qualche asse di legno ed un telo strappato è in grado di allestire un palcoscenico dove si esibisce in piccoli spettacoli teatrali. E c’è sempre qualcuno disposto a fermarsi per ascoltare le gesta di Giulio Cesare o di Sandokan. Spadolini è ancora un bambino quando apprende dal maestro anconetano Baldinelli i primi rudimenti della pittura. All’inizio degli anni ’20 Alberto approda a Roma al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia (Frosinone 1890 - Roma 1960) di cui diventa allievo ed amico. Bragaglia accomuna l’interesse per molteplici discipline come archeologia, cinematografia, fotografia, scenografia, musica e danza moderna, grafica, pittura, scultura, senza disdegnare l’esoterismo. ‘Talpa Anton Giulio’, come scherzosamente lo chia- mano i suoi amici, scavando nel sottosuolo di palazzo Tittoni a Roma trova nuove gallerie e da esse ricava gli spazi per aprire il Teatro Sperimentale degli Indipendenti. Qui porta in scena opere di Campanile, Pirandello, George Bernard Show, Orio Vergani ed allestisce ben cinque Gallerie d’Arte. A proposito di Spadolini scrive lo storico dell’arte Stefano Papetti: “…l’amicizia con Anton Giulio Bragaglia, che lo conobbe e sostenne nei primi anni romani, si manifesta nel cinetismo delle figure che discende da una personale revisione del dinamismo caro ai futuristi. Negli anni della gioventù di Spadolini, le Marche avevano vissuto infatti una stagione artistica caratterizzata dal diffondersi fra gli artisti più giovani di un esasperato desiderio di rinnovamento: a Macerata, in particolare, pittori come Monachesi, Tulli e Pannaggi avevano raccolto il testimone di Boccioni dando vita ad una tarda stagione futurista in seno alla quale può iscriversi anche l’esordio di Spadolini.” Stefano Papetti, direttore Pinacoteca di Ascoli Piceno “Rassegna Bolero-Spadò”, Riccione 2005 A pagina 15: Spadolini in una foto Fratelli Mammoli di Ancona, anni ‘20 (Coll. B-S n. 391) Sopra: Anton Giulio Bragaglia. Immagine tratta da una cartolina postale inviata nel 1951 dal celebre regista a Spadolini per informarlo dell’avvenuta pubblicazione del volume “Danze popolari italiane” con un capitolo a lui dedicato (Coll. B-S n. 395) A destra: Spadolini, foto Cayeb Bruxelles fine anni ‘30 (Coll. B-S n. 45) 16 Prediletto da Gabriele d’Annunzio Carmelo Petix, grande amico di Spadolini, nel corso di un colloquio nel 2005 mi sorprende raccontandomi che mio zio ha conosciuto Gabriele d’Annunzio (1863 – 1938). La conferma mi giunge solo nel maggio 2007. Patrick Oger mi spedisce un pacchetto contenente alcune fotocopie del libro “D’Annunzio”, edito a Parigi nel 1971 da Arthème Fayard, scritto da Philippe Jullian, giornalista del “Figaro Littéraire” e autore d’importanti biografie, fra cui quella di Oscar Wilde e Sarah Bernardt. Nelle prime pagine del volume, insieme ai ringraziamenti a S. M. la regina Maria José, alla principessa Bibesco e ad André Malraux, Jullian così ringrazia l’artista marchigiano: «Spadolini, il celebre ballerino, mi ha raccontato il soggiorno, fatto da giovanissimo, al Vittoriale». Dopo aver perso un occhio nel corso dell’ammaraggio vicino a Grado nel 1916, ed essere sfuggito al bombardamento di Fiume nel 1920, d’Annunzio trova il suo estremo rifugio a Gardone Riviera, sul lago di Garda, nella tenuta di Cargnacco. I lavori di sistemazione di quello che diventerà il Vittoriale degli Italiani, emblema del ‘vivere inimitabile’ di d’Annunzio, cominciano nel marzo 1923 sotto la direzione dell’architetto Giancarlo Maroni e la supervisione dello stesso d’Annunzio. Il Poeta ha una grande passione per il corpo, femminile e maschile, e la sua residenza è ornata anche di disegni, bronzi e riproduzioni di giovani, donne e uomini; in una nicchia della Stanza della Cheli (sala da pranzo così chiamata dal nome greco della tartaruga che troneggia in mezzo al tavolo) si ammira, ad esempio, il busto di Antinoo, bellissimo giovane vissuto nel 130 d. C. amato dall’imperatore Adriano. Jullian scrive nel suo libro che Spadolini divenne il prediletto del Poeta alcuni mesi dopo il ‘volo dell’Arcangelo’, ossia la misteriosa caduta dalla finestra di Gabriele d’Annunzio del 13 agosto 1922 in seguito alla quale rimase dodici giorni fra la vita e la morte. Ma ecco il brano dello scrittore francese: «La testimonianza di un uomo nel quale il ricordo di una grande bellezza e di un grande successo sulla scena non è stato, come spesso accade, deformato o guastato dagli anni, precisa i sospetti che nascono anche nella mente del visitatore meno prevenuto. Venuto giovanissimo al Vittoriale nel 1924, allievo di un decoratore incaricato di metter in scena un’opera nel primo teatro all’aperto, il nostro testimone ci dice che d’Annunzio, a cui la vista si era molto abbassata, sarebbe stato all’inizio attirato dalla sua voce e si sarebbe attaccato a lui come a un paggio che lo avrebbe guidato nei giardini per dirgli tutto ciò che vedeva. Nacque così un’amicizia. In alto: Immagine scattata il 12 agosto del 1922, il giorno prima del ‘volo dell’Arcangelo’, ossia della caduta dalla finestra dalla Prioria del Vittoriale. D’annunzio, nel gioco d’ombre sulla cravatta, vide la mano della madre. Foto tratta dal libro di Attilio Mazza, “D’Annunzio e l’occulto”, Roma, Edizioni Mediterranee, 1995 e pubblicata con l’autorizzazione dell’autore A destra: Spadolini, foto Condé Nast 1933 (Coll. B-S n. 6 ) 18 E il giovane fu invitato a restare al Vittoriale e poi a trascorrervi parecchi soggiorni. D’Annunzio confidava al suo compagno tutto ciò che gli passava per la testa: ‘I visitatori sono importuni, ma, come le mosche serali, fanno parte della mia vita … Tutto ciò che è felice è per gli imbecilli, per noi la perfezione non è che nella nostra immaginazione… La maggior parte delle persone non hanno bisogno che di cacare, il resto non conta …’ Gli citò più di una volta questa frase di Nietzsche: ‘Un uomo virtuoso (si potrebbe dire normale) è un essere di specie inferiore per questa sola ragione: che non è una persona poiché il suo valore consiste nell’essere conforme ad uno schema di uomo fissato una volta per tutte’. «Comunque D’Annunzio non incoraggiava la familiarità: ‘Chiamami Poeta e non più Maestro, ma non per nome: il mio nome è come una lacrima nella mia anima …’. Infine nel corso di una passeggiata, durante la quale aveva a lungo parlato di bellezza delle statue greche, il Poeta ordinò al suo compagno di spogliarsi: ‘Ma … i giardinieri …’. ‘I giardinieri non vedranno quello che io vedo, io solo conto. Guardami in faccia. Il peccato è guardare se ci guardano, poiché in questo caso tu ti associ alla bassezza degli altri. Alza le braccia … che bellezza!!!’ «Quando il giovane decise di partire per Parigi il Poeta gli diede una mandragola, che egli stesso aveva scolpito, e tre lettere, una per Maurice Rostand e l’altra per Emilienne d’Alençon, ‘la più grande checca e la più grande puttana’, D’Annunzio era certo che se la sarebbe cavata. Del terzo plico disse: ‘Non l’aprire che quando sarai a Parigi’. Conteneva la somma, allora considerevole, di quarantamila lire in biglietti nuovi. Beninteso, questa avventura non permette affatto di dichiarare D’Annunzio pederasta; ma, come Giove, l’eroe, dopo tante Lede, tante Danae, tante Europe, ha avuto qualche Ganimede. Non era un uomo da donne era un uomo d’amore’, disse un giorno di lui Miss Barney». “D’Annunzio” di P. Jullian, Ed. Fayard, 1971 (Coll. P. Oger) Jullian non conobbe d’Annunzio e la testimonianza dell’incontro riferitagli da Spadolini contiene alcune imprecisioni, ad esempio il Poeta non fu mai scultore, pur spacciandosi per tale con Mussolini al quale scrisse il 17 marzo 1924: «Ti mando due segni che sono due amuleti di sicura virtù. Escono da quel mio botteguzzo del Vittoriale, dove lavora per me e con me [sic!] un orafo che a gioco io chiamo Mastro Paragon Coppella» Ma al Vittoriale non vi fu bottega di orefice; il Poeta chiamò Mastro Paragon Coppella alcuni gioiellieri come il milanese Mario Buccellati suo fornitore di piccoli oggetti preziosi da donare agli amici e alle donne. Le ricerche condotte a Gardone Riviera negli archivi del Vittoriale non hanno rivelato altre notizie sulla presenza del giovane Spadolini, per cui quanto scritto da Jullian non può essere arricchito da ulteriori particolari. Attilio Mazza, studioso della vita del Poeta, autore di molte pubblicazioni, soprattutto relative alla dimora gardonese e alla superstizione e alle pratiche esoteriche di Gabriele d’Annunzio, ricorda che l’11 settembre 1927 viene rappresentata in una radura del parco del Vittoriale (ancora non era stato costruito l’attuale teatro) una memorabile edizione della tragedia pastorale ‘La figlia di Iorio’ con la regia di Giovacchino Forzano che porta in scena quattrocento comparse e Maria Melato protagonista. Quando d’Annunzio incontra Spadolini forse già pensa alla rappresentazione e ciò giustificherebbe la richiesta di collaborazione artistica. All’epoca Spadolini lavora nella bottega di Duilio Cambellotti, scenografo al Teatro Reale di Roma e al Teatro Greco di Siracusa, e lo stesso vanta la messa in scena nel 1908 della tragedia “La nave” di Gabriele d’Annunzio allestita con la compagnia del Teatro Stabile di Roma. Si può ragionevolmente supporre che, proprio grazie all’aiuto di Gabriele d’Annunzio, Spadolini sia successivamente entrato nelle grazie di Maurice Rostande con cui collabora più volte, iniziando così la sua folgorante carriera nella Parigi degli anni Trenta. Spadolini mantiene indelebile il ricordo dell’incontro nel nascente Vittoriale e in un’intervista del 1933 esprime il desiderio di rendere omaggio a Gabriele d’Annunzio danzando accanto alla grande Ida Rubinstein il suo poema sacro – dedicato proprio alla Rubinstein - “Le martyre de Saint Sébastien”, musicato da Claude Debussy, pubblicato a Parigi nel marzo 1911 dall’editore Calmann-Lévy. Dopo poche settimane esordisce al Théâtre du Châtelet, grazie anche al finanziamento della stessa protagonista Rubinstein; la stampa annuncia l’evento con grande anticipo, informa delle prove alle quali partecipano gli stessi autori, d’Annunzio e Debussy, suscitando grande attesa negli ambienti più raffinati; inoltre la corte russa della Rubinstein ne racconta le meraviglie nei salotti parigini contribuendo al successo. A destra: Spadolini danza “Le martyre de Saint Sébastien”, anni ’30 (Coll. B-S n. 21) 20 Giovane pittore “Pensate che da adolescente mentre studiavo nello stesso tempo la pittura e la scenografia, ho lavorato da muratore per non morire di fame. Costretto ai peggiori bisogni, alle privazioni, io ho preso l’abitudine alla sopportazione, alla forza e al disprezzo della stupidità…” il “San Francesco d’Assisi” del 1925, di cui ci resta solo una fotografia in bianco e nero. Alberto è particolarmente legato a questo dipinto tanto che lo sistema con molta cura nella casa paterna ad Ancona. “Spadolini, ou les confidences d’un homme nu”, di Charles-Etienne, ‘Sourire’ del 27/4/1933 (Coll. B-S n. 54) “Purtroppo negli anni ’30 Angelo Spadolini, padre di Alberto, impiegato nelle Ferrovie dello Stato, è licenziato per non aver aderito al Partito Nazionale Fascista. Trovandosi in gravi ristrettezze economiche, egli è costretto a vendere il ‘San Francesco’ ad un commerciante di Venezia che, a sua volta, lo rivende al curato della Chiesa di Bradford (USA). Quando Alberto lo scopre si infuria e promette a se stesso di rintracciarlo. Dal mercante si fa rivelare il nome dell’acquirente ed attende con impazienza l’ora di varcare l’oceano. L’occasione giunge alcuni anni dopo. Spadolini sbarca in America per una tournée nel 1937. Appena si libera dagli impegni di lavoro assume a New York un fotografo e si reca nella cittadina di Bradford per avere almeno una foto di quell’opera. Opera che a distanza di anni è ancora capace di commuoverlo.” Negli anni ’20 Alberto frequenta anche l’Accademia di Belle Arti. Naturalmente ogni giorno egli torna nelle Gallerie degli Indipendenti dove oltre ad essere aiuto-scenografo, partecipa ad una mostra collettiva con due dipinti. In quella occasione gli artisti d’avanguardia lo sfottono con la peggiore delle accuse: “Sei un passatista!” Spadolini sembra non prendersela. Ma alcuni anni dopo con un intervistatore francese sfoga la sua rabbia: “Si, dall’età di 14 anni io dipingo. Ho studiato in Italia alle Belle Arti. E’ una distensione che mi fa dimenticare la fatica … Si, amo dipingere il cielo, il mare, le nuvole; amo la pittura per esprimere l’illusione dell’aria e della realtà. Non bisogna, penso, deformarla per fare un’opera psicologica. Io voglio che i miei quadri diano l’illusione del vero non dello stilizzato. Bisogna, in una tela, sentire la freschezza dell’aria, la leggerezza delle nuvole, come se si guardasse da una finestra. Un personaggio che si muove non bisogna deformarlo. Così io penso che ora non si faccia della vera pittura. Che vuole che si faccia dopo Leonardo da Vinci o Raffaello? Si è andati avanti in tutto nella nostra epoca, salvo in pittura e se io ho un odio è verso quelli che abbruttiscono la nostra generazione con una falsa estetica, un odio che mi dà voglia di picchiarli …” “Il fallait un danseur a Joséphine Baker, ce fut un peintre qu’elle choisit”, Paris Midi 18-4-1933 (BNF) Del periodo romano, insieme ad alcuni bozzetti di scena, ho rintracciato il ritratto dello zio Luigi Veronesi, a cui Alberto è molto affezionato, dipinto da Spadolini nel 1924; una Madonna con le mani congiunte ed Intervista a Giorgia, sorella dell’artista, Archivio Jung 1986 È la fine degli anni ’20. Benito Mussolini, stanco della troppa indipendenza di quel gruppo di giovinastri capeggiati da Bragaglia, organizza anche lui una beffa: ordina la chiusura definitiva del Teatro degli Indipendenti che ormai naviga in acque sempre più agitate a causa di problemi finanziari. Con una valigia di cartone Spadolini sale sul treno che lo conduce in Francia. Grande è il rimpianto nel lasciare tanti amici e soprattutto Bragaglia e Pannaggi che sta per partire per la Germania ed il Bauhaus. Nelle loro orecchie risuonano per l’ultima volta le note del ritornello di Curzio Malaparte: “E’ Bragaglia quella cosa che antongiulia i giovanotti quando poi li fa barzotti quelli scappano a Parì” A fianco: “S. Francesco d’Assisi” di Spadolini, 1925. La foto è stata scattata nel 1937 nella Chiesa di Bradford - USA (Coll. B-S n. 168). 22 In Francia da Paul Colin Alberto cerca fortuna in Francia, allora naturale approdo di tanti giovani artisti. Purtroppo anche in quel paese le restrizioni nei confronti dei nostri emigranti sono numerose e, poiché non ha un lavoro fisso, ne viene espulso. Come abbiamo visto Spadolini non si arrende: si reca al Vittoriale a trovare Gabriele d’Annunzio e ritorna in Francia con le lettere di raccomandazione. Probabilmente è grazie a Maurice Rostand che ottiene un contratto come decoratore nell’atelier di Paul Colin (1892 - 1985), a quell’epoca uno dei più apprezzati scenografi, autore fra l’altro dei manifesti pubblicitari per Joséphine Baker. I soldi sono pochi, racconta di quegli anni Spadolini, e bastano appena per pagare la mezza pensione e per mandare qualche cosa ogni mese alla madre. All’inizio del 1932 ritroviamo Alberto a Villefranchesur-mer, sporco di vernice e madido di sudore mentre dipinge insieme ad altri giovani le scenografie in una sala da ballo. Durante una pausa dell’allestimento scenico egli è come rapito dalla musica degli orchestrali che stanno provando una partitura. In un articolo si ricorda l’episodio: “L’orchestra attaccò le prime note della seconda Rapsodia di Liszt… Spadolini, in pantaloni bianchi e maglietta, si mise a ballare… presto, dal brusio si passò ad un silenzio religioso. Fu un trionfo. All’impresario che voleva immediatamente ingaggiarlo, Alberto rispose divertito: ‘Ma non ho mai appreso a ballare!’ ‘Che importa, voi farete ciò che vorrete, non dovete occuparvi d’altro!’ … Non aveva né partitura, né costume, così che debuttò vestito d’un lenzuolo. Interpretò una danza antica e tutta la poesia greca si materializzò nella sala in delirio”. Jenny Josane “Vedettes”, Parigi 1941 (Coll. B-S n. 71) Il magico momento è ricordato anche da Bragaglia: “…in una esibizione davanti ad amici danzò selvaggiamente, esprimendo al di là dei canoni scolastici, che gli erano ignoti, un lirismo coreico sgorgante primitivo e prepotente, dal suo istinto di complesso artista plastico. Per fortuna quella volta, fu visto dall’impresario lirico del Casinò. Egli lo scritturò, come un fenomeno artistico, inserendolo nei suoi spettacoli.” “Spadolini danzatore d’istinto” di A. G. Bragaglia (Coll. B-S n. 264). In una intervista Spadolini ricorda il suo debutto all’Eldorado di Nizza il 9 aprile 1932. Poco dopo danza in uno spettacolo allo Stadio di Antibes, di cui rimane una fotografia con sullo sfondo “l’antico Fort Carré”. Nel giugno 1932 il danzatore trionfa al ‘Boeuf sur le Toit’ e all’Empire di Parigi dove riceve la visita di Varna e di Joséphine Baker che lo scritturano, per l’intera stagione, al Casinò de Paris. Per rispettare alcuni contratti che ha firmato in precedenza il 5 agosto 1932 l’artista deve tornare sulla Costa Azzurra. Partecipa alla serata di gala “Les nuits olympiques” al Casinò de Montecarlo Beach. Tornato a Parigi Spadolini è il misterioso ospite notturno di una imbarazzata Joséphine Baker. Il 3 dicembre 1932 egli debutta a fianco di Joséphine al Casinò de Paris, mitico locale frequentato da divi, intellettuali, principi e re, trampolino di lancio verso il Metropolitan e lo Ziegfield’s Follies di New York. Le cronache dell’epoca narrano che Paul Colin si sorprende assai quando ritrova Alberto senza tavolozza e senza pennelli in mano fra le sue scenografie al Casinò de Paris. Alla domanda perché abbia lasciato il suo lavoro a Villefranche e soprattutto che ‘diavolo’ ci faccia a Parigi, Spadolini risponde candidamente che ha bisogno di muovere non solo le mani ma anche i piedi! A pag. 25: Spadolini “Apollo danzante”, foto Maurice Seymour, Chicago anni ’30 (Coll. B-S n. 13). A destra: Spadolini in stile futurista, foto Studio Piaz, Parigi anni ’30 (coll. B-S n. 2). 26 Intervista “È proprio un danzatore sconosciuto, è un danzatore spontaneo? O almeno non ha egli, così giovane, un passato? Da dove viene? Di colpo ha conquistato, con la virtù della sua arte, la notorietà parigina e senza alcuna diplomazia di reclame, né imbroglio preliminare… ma infine, chi è? - Non importa chi io sia - protesta modestamente Spadolini interrogato - e cosa sia stata fino ad ora la mia avventura umana. Io ballo… - Ma sentite. Lei è italiano, vero? Come dimostra il suo nome, a meno che sia uno pseudonimo! - No, è il mio vero nome. Io sono nato in Ancona. Ho passato la mia adolescenza a Roma, allievo saltuario alla Scuola di Belle Arti, volevo dipingere, un lavoro normale, per ragioni materiali che lei comprende. Io ho avuto dalla vita una educazione molto rude ma ho sempre avuto molta fiducia. Sono venuto giovanissimo in Francia. Ma questo è un romanzo. Talvolta terribilmente vissuto! Che importa? Io ballo! - Lei danza in modo diverso dagli altri. - Io ballo come sento. Ciascuno ha il suo temperamento, la sua reazione quotidiana. Io non ballo mai due volte la stessa danza, potrei dire, pur conservando la stessa coreografia, che ascolto l’emozione che mi dà la musica. E’ perché credo alla necessità della scuola, ma anche alla necessità di dimenticarla. La tecnica deve diventare in modo inconscio la seconda natu- ra del ballerino, la docile disciplina riflessa. Prima di tutto il sentimento, ma un sentimento intellettuale… E’ la musica che scatena la mia danza. L’orchestra non mi accompagna, suona, e la mia danza ne diventa l’immagine corrispondente, io esprimo la musica e esprimo me stesso sotto la sua vibrazione. Ciò vi spiegherà perché sono molto più spossato, uscendo di scena, al Casinò de Paris, dopo la mia ‘danza spagnola’ o la mia ‘danza del Sole’, che dopo le mie acrobazie, di cui voi tutti conoscete le difficoltà tecniche, soprattutto perché non sono un acrobata. - E tuttavia, Spadolini, lei ci mette tutto il suo spirito e tutto il suo corpo. Non è mai, e me ne felicito con lei, un semplice fardello umano leggero. Sempre il suo viso sfuma i riflessi della passione materiale e morale che il suo personaggio incarna. E sembra a me, profano, che ciò dipende da un bell’equilibrio interiore che non si lascia andare né alla mimica né all’atto fisico in queste circostanze. Ci vuole la forza del genio. - Oh, oh! Lei esagera … - Si rassicuri, Spadolini, intendo dire soltanto che avete un talento naturale, il talento della sua natura. La sua arte è l’espressione diretta di lei stesso, disciplinata e coltivata, ma sempre zampillante. Se fossi un poeta, io la paragonerei a getti d’acqua danzante!” Sopra: Spadolini nel “Bolero” di Ravel, foto J. Cadoux, Genève anni ’30 (Coll. B-S n. 28) A destra: Spadolini in una danza “Jazz”, foto Studio Piaz, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 18) 28 Legrand-Chabrier, L’Intransigeant, 29.12 1932 (BNF) Crea le sue danze in poltrona “… Non ha mai ballato ma si lancia improvvisamente colpito da non si sa che cosa, per eseguire una scena meglio di chiunque altro. Crea composizioni pittoriche strane e sontuose dopo lunghe meditazioni in una poltrona e allo stesso tempo la sua mente viaggia verso le sue coreografie … tutto sembra conferirgli un’aurea magica.” Tratto dal manoscritto “Alberto Spadolini” di Jean-François Crance, 2007 Spadolini crea non solo nuove scenografie, ma anche nuove coreografie, sedendosi su di una poltrona. In un articolo leggiamo: “Per preparare il suo prossimo recital, Alberto non è mai uscito di casa per delle settimane. I suoi attrezzi da lavoro sono una poltrona o un divano, un grammofono, dei dischi e delle partiture. Instancabilmente, egli ascolta la ‘Fuga in re minore di Bach’, la ‘Danza del fuoco’ di Manuel de Falla o il ‘Minuetto’ di Lulli. E sulla partitura musicale che egli studia a fondo, poco a poco disegna la sua futura interpretazione coreografica. Non fa un gesto finché non è completamente impregnato dell’opera. Spadolini si rifiuta d’essere un ballerino. E’ anzitutto un eccellente musicista, un appassionato della musica. Quando prepara il suo repertorio non ripete la danza, non ascolta la partitura; egli la studia, la decompone, l’analizza nota per nota delle ore intere. Quando la ‘possiede’ infine, è pronto a ballare.” “La Semaine”, Parigi 4.11.43 (Archivio BNF) Alex Wolfson ricorda che Spadolini ha appreso alcune tecniche d’autoipnosi quando era aiuto scenografo al Teatro degli Indipendenti di Roma. E’ infatti documentato che alla fine degli anni ’20 Bragaglia organizza la conferenza del prof. Gabrielli che delizia il pubblico con una serie di esperimenti d’ipnosi e di lettura del pensiero a distanza. Spadolini si allena quotidianamente, ad occhi chiusi in poltrona, a far affiorare dal proprio inconscio particolari visioni che dipingerà sulla tela, versi poetici che scriverà su di un foglio di carta, nuove coreografie che rappresenterà nel corso dei suoi spettacoli. Sopra: Spadolini si prepara alla “Danse grecque”, foto Joe Pasen, Palais de Chaillot Parigi anni ’40 (Coll. B-S n. 36) A destra: Spadolini indossa i panni del “Casanova” , anni ’30 (Coll. B-S n. 23) 30 Cagliostro della danza… o fenomeno d’incarnazione? “Mentre egli danza il suo viso diventa furioso come posseduto da un demone, ch’egli teme; e lo si vede dai passaggi mimici che esprimono, appunto, il terrore della propria furia.” “Spadolini danzatore d’istinto” di A. G. Bragaglia (Coll. B-S n. 264) Alcuni dei maggiori intellettuali francesi degli anni ’30 sono fra i primi ad intuire le straordinarie attitudini dell’artista. Il celebre poeta Paul Valery rimane incantato: “Mitologico, mistico, faunesco! Visione di Spadolini”. Il regista e fondatore del ‘Théatre de l’Oeuvre’ Lugue Poé è certo: “Spadolini sopravanza il nostro secolo”. Il critico della danza Fernand Divoire resta assai turbato quando scopre Spadolini: “Non so bene perché Spadolini mi faccia pensare a qualche Ca- gliostro della danza. E’ a causa delle sue apparizioni in parrucca e dei suoi costumi che hanno talvolta il valore di travestimenti? O forse perché per danzare egli si affida a qualche fenomeno d’incarnazione? Non lo so. La danza di Spadolini è qualche cosa di unico. Si vede bene che il suo corpo è curato in modo possente, con forza. Si vede bene che il suo scopo è quello che Lifar chiama espressionismo. Come vi giunge? Semplicemente con i suoi sensi. Egli non ha come Torrès, il supporto di una tecnica nazionale, né come altri la tranquilla sicurezza ed i limiti sapienti di una tecnica accademica. Egli deve inventare tutto per non cadere nella monotonia sia che balli una danza spagnola, ungherese, un ‘Chiar di luna’ di Beethoven o una ‘Toccata’ di Bach. Il rinnovarsi dei passi lo porta all’eclettismo.” “Spadolini”, F. Divoire, Paris Midi 13/12/ 43 (Coll. B-S n.78) Sopra: Spadolini “Apollo danzante”, foto Maurice Seymour, Chicago anni ’30 (Coll. B-S n. 14). A destra: Spadolini in “Exotische Vision di Lecuona”, foto S. Enkelmann, Berlino 1941 (Coll. B-S n. 41) 32 La cultura fisica Verso la metà degli anni ’30 il giornalista Fernand Mercier intervista i grandi ballerini dell’epoca sulla preparazione fisica. Serge Lifar (1905 - 1986), danzatore fra i più celebri del suo tempo, collabora nel 1932 ai Ballets Russes di Monte-Carlo, proprio quando uno sconosciuto decoratore di nome Spadolini s’inventa ballerino. Lifar e Spadolini partecipano con le loro danze allo spettacolo che si svolge a Parigi il 14 luglio 1935. Mona Paiva, ancora oggi celebre per le fotografie che la ritraggono mentre balla nuda insieme a Nikolska sull’Acropoli di Atene. Joséphine Baker (1906 – 1975), cantante e ballerina, domina per mezzo secolo le scene mondiali. Fra il 1932 e il 1935 Joséphine e Spadolini si esibiscono in Francia e all’estero. Anche Spadolini giudica l’educazione fisica fondamentale: “ Spadolini è una statua degna dell’ antichità. Egli dice che la cultura fisica calma i nervi che sono sempre sotto pressione. ‘La cultura fisica è indispensabile non solamente per la nostra arte, ma anche per l’equilibrio del corpo.’ Nel suo studio presso piazza Clichy noi ritroviamo Spadolini: solo davanti ad un immenso specchio esegue movimenti che gli permettono di presentare le sue danze acrobatiche in modo impeccabile. Dice: ‘Mi sorprendete in palestra perché fuori piove. Ma non dovete pensare che io non faccia altri esercizi all’infuori della danza. La cultura fisica? Che cosa ammirevole! Essa è indispensabile! Potremmo restare in forma senza mai praticarla? Io la pratico sei ore alla settimana, particolarmente all’aria aperta, allo stadio. Comunque non supero mai i sessanta minuti per seduta. Per non annoiarmi alterno la corsa al tennis … Per me l’esercizio fisico è un piacere magnifico, poiché ho orrore dello sport passivo”. Fernand Mercier, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n.53) Sopra: Spadolini, foto Roger Carlet (Coll. B-S n. 34) A destra: Spadolini, foto Condé Nast (Coll. B-S n. 6) 34 Prime prove della Televisione Francese Negli anni ’30 Spadolini scandalizza i bigotti presentandosi con addosso una ‘conchiglia’. “E’ uno spettacolo veramente magnifico quando entra in scena, completamente nudo, con l’aureola di porpora, bello come un dio. La sua figura, degna del cesello di Prassitele, il suo corpo abbronzato fanno di lui una visione nello stesso tempo impressionante e mistica…” Jenny Josane, “Vedettes” 1941 (Coll. B-S n. 71) “Il nudo di Spadolini è statuario, puramente plastico: il suo impeto è temperamento scevro da sottintesi banali. Danza da maschio e non da ‘femello’ come tanti suoi colleghi; e la sua acrobatica, nella estrema aspirazione del volo, è diversa da quella che conosciamo dei russi, appunto perché è virile… Quando Spadolini parte in volo il suo viso si abbuia e gli occhi gli si accendono di febbre: così egli inizia la sua confessione fisica e spirituale…” “Spadolini Danzatore d’istinto”, Bragaglia (Coll. B-S n. 264) Sopra: Spadolini, foto Enkelmann 1941 (Coll. B-S n. 42) A destra: Spadolini, foto Studio Piaz 1933 (Coll. B-S n. 389) 36 Fra le tante incredibili avventure di Spadolini, Alex Wolfson ricorda un episodio accaduto nella metà degli anni ’30, quando essi dividevano lo stesso appartamento. Un giorno egli riceve una ben strana telefonata: “Sono Georges Mandel, c’è Alberto?” Mandel è l’allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni francese. Nell’udire ciò Alex pensa ad uno scherzo dei soliti buontemponi e riattacca. Poco dopo, nuovo squillo del telefono: “Forse non ha capito, sono Mandel!” Questa volta Alex infuriato non trattiene la sua ira, prorompe con pesanti parole nei confronti dell’interlocutore e riattacca. Più tardi gli sorge un piccolo dubbio e telefona al Ministero: era proprio Georges Mandel furibondo, non solo con Wolfson, ma anche e soprattutto con Alberto. Questi è infatti, a suo dire, responsabile di uno scandalo di Stato: nel corso delle prime prove della televisione francese ha ballato completamente nudo. In seguito essi si riappacificano e Mandel avrà parole di elogio nei confronti del danzatore. L’homme et la machine “… Io sono testardo, impulsivo. Mai, quando sono solo sulla scena, io ballo due volte allo stesso modo. Nello scatenamento orchestrale, Tersicore mi solleva. Io mi getto nelle onde musicali come il nuotatore intrepido si butta nelle onde. Per ballare bene, non basta una buona musica? Se io mimo, se io ne traduco il dolore fisico come ne ‘L’homme et la machine’, è semplicemente perché io ho molto sofferto. Io prendo questo in me. Non amo copiare, ma creare. La velocità mi domina. Io faccio tutto molto in fretta …” “Spadolini, ou les confidences d’un homme nu”, intervista di Charles-Etienne, “Sourire”, 27/4/1933 (BNF) Gli articoli ritrovati presso la Bibliothèque Nationale de France concordano nel giudicare la danza “L’uomo e la macchina”, in cui Spadolini si esibisce in una scenografia ideata da Paul Colin, la più bella in assoluto. “E’ il più bel quadro che sia stato realizzato nel music-hall. E’ un tema molto alla moda. Ahimè ci si accorge, e forse troppo tardi, che l’uomo ha creato la macchina per rendere la civiltà più confortevole, ma che la macchina è un’invenzione che va al di là dell’uomo e che rischia di annichilirlo. Da Wells a George Duhamal è una cosa ricorrente in certa letteratura, e commovente ed anche terrificante. Questa fabbrica simbolica di Paul Colin è la nuova cattedrale. I suoi ingranaggi e i suoi meccanismi si sono fusi con l’uomo e lo si vede dai movimenti delle ballerine e dei ballerini che sono diventati appendice dei tubi d’acciaio. Ogni operaio che entra non deve lasciare ogni speranza? Eccone uno! Ed è l’ammirabile e sublime poema della passione di ogni individuo umano in preda alla macchina che mima, danza, volteggia, uno dei più bei danzatori di quest’epoca fino ad oggi quasi sconosciuto: Alberto Spadolini. Guardatelo in viso quand’è il ‘giocattolo’ acrobatico degli atleti, elementi della macchina che lo lamina e tuttavia che il corpo salti, giri e volteggi, guardate le smorfie della tortura diventare evidenti i soprassalti della rivolta incresparsi. Poi il rilassamento muscolare, l’appagarsi nell’abbandonarsi alla fatalità. Tutto il dramma fisico e morale si riflette sui suoi lineamenti e lo sguardo filtra sotto le palpebre, bagliore di coscienza, luce di un Dio fatto a immagine dell’Uomo e che lotta contro la sua decadenza. Ecco cosa caratterizza il grande artista … ” “La Joie de Paris au Casinò de Paris” di Legrand – Chabrier, 1932 (BNF) Sopra: Spadolini viene sollevato nella danza “L’homme et la machine”, scenografia di Paul Colin, Casinò de Paris 1933 (Coll. B-S n. 8) A destra: Spadolini, foto Condé Nast (Coll. B-S n. 7) 38 Fa ingelosire Pablo Picasso Grazie alla lettera di presentazione di Gabriele d’Annunzio alcuni dei momenti salienti nella carriera di Spadolini si realizzano con Maurice Rostand (Paris 1891 - Ville d’Avray 1968), poeta e romanziere, figlio del celebre Edmond. Rostand sceglie il danzatore marchigiano per lo spettacolo teatrale tratto dalla sua opera “Catherine empereur” che si tiene al Théatre National de l’Odéon a Parigi il 27 ottobre 1937. Nel 4° atto fa la sua apparizione Spadolini, sotto forma di ‘dono danzante’ del Ministro Potemkine all’Imperatrice Caterina di Russia. Nel ruolo dell’Imperatrice è l’attrice francese Yvonne de Bray. Ad assistere alla commedia “Catherine empereur” ci sono due spettatori d’eccezione: Jean Cocteau e Jean Marais. Quest’ultimo ricorderà nelle sue memorie proprio quell’interpretazione di Yvonne de Bray che fra il 1943 e il 1948 verrà scelta per la straordinaria trilogia: “Les parents terribles”, “L’aigle à deux tetes”, “L’éternel retour”. Catherine empereur “Dove sono i regali annunciati ?” Potemkine “Il primo è per vostra Maestà Imperiale. Portatori, avvicinate il regalo vivente che ho portato a Sua Maestà l’Imperatrice!” (Entrano 4 paggi che portano una specie di treppiede incartato che scartano e da dove emergerà un piedistallo su cui balla un danzatore nudo di una bellezza eccezionale.) Tutti “Quant’è bello!” Potemkine “Una notte, Maestà, l’ho visto danzare sulle rive del Danubio. La luna tremolante metteva in risalto le sue spalle. Veniva dal mare un soffio di primavera e l’ho fatto cogliere immediatamente con la sabbia d’oro che gli bagnava i piedi per portarlo così a vostra Maestà affinché avesse il piacere di vederlo danzare … Balla come ballavi sulle rive del Danubio, una sera in cui i roseti di Costantinopoli sembravano venire sulle ali del mare! Balla davanti alla tua imperatrice!” (Tutti si sono messi in cerchio intorno al danzatore. L’orchestra suona! Lui balla! Caterina lo guarda con immensa melanconia, misto di tristezza e languore) Catherine empereur “Potemkine, Potemkine, nessuno mi ha mai fatto regali come te!” Potemkine “Vedi non è più bello di qualsiasi cosa al mondo! La luce fa scivolare i suoi raggi sui suoi fianchi e il suo collo è simile a colonne d’avorio per reggere quel capolavoro che è il suo viso!” Catherine empereur “Non vedo più la bellezza sugli altri da quando conosco Zoubov!” Potemkine (Indicandole il ballerino) “Pensa ai baci che darebbero queste labbra, pensa all’abbraccio di questo corpo senza precedenti, pensa alle carezze di queste mani di bronzo …” Spadolini è uno dei soggetti preferiti dai fotografi degli anni ’30. Recentemente ho scoperto che una bellissima fotografia, in cui l’artista marchigiano appare nudo, bello come un dio, con una misteriosa sfera in mano, è opera di Dora Maar (1907 - 1997), assistente di Man Ray, e per molti anni compagna di Pablo Picasso. Dora Maar fotografa Spadolini per la brochure dello spettacolo teatrale “Catherine empereur” di Maurice Rostand. Questo è anche uno dei suoi ultimi servizi fotografici. Infatti dal 1937 Dora Maar abbandona la macchina fotografica per darsi alla pittura, ‘plagiata’ da Picasso che sembra non abbia mai digerito quel servizio fotografico! All’epoca Picasso termina 100 litografie, molte delle quali mitologiche, per la collezione “Suite Vollard” utilizzando spesso Dora Maar come modella. Alla collezione Bolero-Spadò fanno parte anche 6 litografie “Suite Vollard” di Picasso, riedizione Hatje, 1956. A destra: Spadolini fotografato da Dora Maar per la brochure dello spettacolo teatrale “Catherine empereur” di Maurice Rostand, 1937 (Collezione M. Spadellini) 40 Agli Archivi Internazionali della Danza di Rolf de Maré Per molti anni Spadolini domina le scene della danza internazionale. Il suo repertorio è ampio, spazia dalla musica classica alla moderna. Ciò, unito alla sua bravura, cattura enormi platee. Nel gennaio 1938 Maurice Rostand e Spadolini sono chiamati dagli Archivi Internazionali della Danza di Parigi, fondati da Rolf de Maré, mecenate dei Ballets Suédois, a tenere la conferenza “La poesia e la danza” . In un articolo inviatomi dalla Bibliothèque Nationale de France leggiamo: “…Non c’è da meravigliarsi che il Poeta abbia spesso cantato la danza, come hanno fatto il Pittore, lo Scultore e il Musicista – poiché tutto per il poeta può essere materia poetica – si può notare al contrario come il Danzatore coreografo (choréauteur, direbbe Serge Lifar) possa assorbire l’ispirazione poetica al punto da essere lui stesso Poeta… Se è vero che la poesia è veramente un soffio che emana dall’anima, un sentimento di armonia tra tutte le cose della natura, un prodotto dell’immaginazione e della sensibilità, i poeti devono riconoscere come loro fratelli, nel servizio della Bellezza e della Poesia, alcuni ballerini di genio. Mercoledì sera, agli Archivi Internazionali della Danza, ho lodato soltanto i poeti e soprattutto lui. Il danzatore Spadolini ha ballato in un crescendo di esaltazione. Ha ballato ‘L’adagio in Do minore’ nel modo migliore in cui possa essere ballato. Poi il poeta, con alcuni versi, e il ballerino, hanno reso un commovente omaggio a Maurice Ravel. Il Bolero, effettivamente, può essere ballato, deve esserlo, e se Spadolini non crea sulla musica una nuova opera, ne esprime almeno, con perfetta sintonia, la grazia e la forza dei gesti, la grande bellezza selvaggia. Il danzatore ha fatto infine apprezzare la sua agilità e il suo spirito nel Tabou (Lecuona), Jazz (Duke Ellington) e Tempo 38 (Kurt Leval). Così ancora una volta gli Archivi Internazionali della Danza hanno riunito molti amici di Tersicore per commentare la sua Arte. Gli siamo grati per i loro sforzi.” J. Buissot “L’Epoque” 28 gennaio 1938 (Coll. BNF) Sopra: Spadolini nel “Menuet” di Lulli, foto Roger Carlet, anni ’30 (Coll. B-S n. 26) A destra: Spadolini nel “Bolero” di Ravel. Foto Harry Meerson, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 24) 42 Fugge con Catherine Hessling, moglie di Jean Renoir Negli anni ’30 Spadolini è considerato uno degli uomini più affascinanti di Francia. Al termine di ogni spettacolo il suo camerino diventa una serra piena di mazzi di fiori con a volte un biglietto d’invito per un appuntamento più o meno galante. Sono molte le ‘fidanzate’ di Alberto legate al mondo dello spettacolo. Una delle più famose è Catherine Hessling, (1900 - 1979), modella del celebre pittore Pierre Auguste Renoir, da lui immortalata nei suoi ultimi straordinari dipinti, oltre che protagonista dei primi film del regista Jean Renoir, di cui era sposa. All’inizio degli anni ’30 i rapporti fra il regista Renoir e la moglie si raffreddano. È scandalo quando nell’estate 1933 Spadolini e Catherine fuggono insieme da Parigi . In quel periodo la Hessling matura anche la decisione di diventare ballerina. Infatti Alberto e Catherine tornano a Parigi il 9 dicembre 1933 per uno spettacolo di danza. Pierre Philippe, al termine di una intervista rilasciata dalla Hessling nel 1961, racconta ai lettori: “… Dopo aver abbandonato il cinema, Catherine si era dedicata alla danza. Un giorno, i muri si coprono di manifesti che annunciano un recital Catherine Hessling - Spadolini, al Théatre des Champs-Elysèes. Alla prima la sala è piena degli amici di Catherine, e sono numerosi… Ma ecco che entra in scena il celebre danzatore ‘plastico’. Egli salta, gira, la sua muscolatura è cangiante sotto i proiettori… Bravo, grazioso. Secondo numero: Spadolini entra, salta, gira… Terzo numero: entra ancora e solo… Dopo diverse entrate dello stesso genere, gli amici di Catherine cominciano ad interrogarsi… Ma ecco che comincia il ‘Prélude à l’Après-Midi d’un Faune’. Il sipario si apre ancora sul fauno-Spadolini, ma ecco apparire infine Catherine, dritta sulle punte dei piedi, botticelliana nei suoi inamidati veli rosa, una corona di fiori posati ben dritti sui suoi famosi lunghi capelli … Uno scroscio d’applausi. Lei va, sempre sulle punte dei piedi, fino a Spadolini. Breve abbozzo d’un ‘pas de deux’, poi, a generale sorpresa, uscita, dignitosa e sulle punte, di Catherine… E non la si rivede più. Finiti i sollazzi del danzatore, alcuni amici si precipitano dietro le quinte per chiedere dei chiarimenti a Catherine. Essi la trovano in lacrime, sola nel suo camerino… ‘Se voi sapeste… Quando io sono arrivata accanto a lui, egli era talmente furioso dei vostri applausi … Mi ha detto: Specie di vecchia baldracca! Allora, io sono fuggita…’.” Intervista a Catherine Hessling , ‘Cinéma 61’ Fédération Française des Ciné-Clubs, giugno 1961(Coll. B-S n.283) Recentemente presso la Bibliothèque Nationale de France ho ritrovato il programma di quella serata e due articoli. Questi documenti raccontano un’altra verità: contrariamente a quanto sostenuto da Catherine nella sua intervista, lo spettacolo al Théatre de Champs Elysées prevede le danze di Spadolini e della ballerina gitana Nati Morales. La Hessling partecipa insieme a Spadolini solo alla danza ‘Prélude à l’Après-Midi d’un Faune’. L’insuccesso è clamoroso, non solo per colpa di Spadolini: “Non farei un favore a Spadolini scrivendo che ha avuto ragione a dare un recital al Teatro degli Champs Elysées e che era bene che si lasciasse andare a improvvisazioni personali che nessun altro grande artista aveva mai osato presentare al pubblico. Se fossi stato suo amico gli avrei impedito di presentarsi solo sulla scena che vide i trionfi di Nyinski e della Pavlova. Dopo la danza d’entrata, l’Hymne au soleil’, che Spadolini interpretava al Casinò de Paris, egli non ha cessato di deludere fino al ‘Prélude à Après-Midi d’un Faune’, del quale attendevamo le improvvisazioni come una rivelazione e che fu, bisogna dirlo, una cosa spiacevole. Non tutto per colpa di Spadolini. L’entrata della sua partner, signora Catherine Hessling, aveva già cominciato a mettere la sala in ilarità per quella apparizione in cui ornata di veli rosa e coronata di fiori, era di una comicità irresistibile…” Jean Laurent , 12 dicembre 1933 (Coll. BNF) A destra: Depliant dello spettacolo di Spadolini e Nati Morales al Théatre des Champs-Elysées, Parigi 1933. Chaterine Hessling partecipa solo al “Prélude à l’Après-midi d’un Faune” (Coll. B-S n. 120). 44 Un marchigiano alla corte di Joséphine Baker “Una notte a casa di Joséphine Baker: …A tavola, davanti a bicchieri di cristallo riempiti di champagne si parla ancora di lavoro, questa volta con gravità, quasi con rispetto; una risata riparte subito. Joséphine ha immaginato qualche scherzo. Nella polvere d’oro luminoso che sfugge dal giardino d’inverno, da un boschetto di palme è apparso un uomo: egli danza, atletico, sportivo. E i suoi muscoli disegnano, prolungandoli, dei movimenti che fanno evocare la vita degli stadi, i giochi degli antichi. ‘Era un pittore-decoratore’ lei dice. ‘Abitava a Nizza. I tempi sono difficili e lui si è dato alla danza. Debutterà al Casinò …’ E Joséphine lo applaude con frenesia. ‘Bravo Spadolini! Bis!’…” “Matrimonio Segreto” di Cimarosa, nella scenografa di stile cinese uscì, sembrò da una tela del XVIII° secolo, Spadolini con Joséphine Baker vestita da marchesa creola. Visione meravigliosa che provocò l’entusiasmo di Parigi.” “Una notte a casa di Joséphine Baker” “Joséphine è sempre stata così: metteva nel dimenticatoio ciò che non costituiva per lei o su di lei stessa una vittoria.” André Rivollet, l’Intransigeant, 13.11.1932 (Coll. BNF) Articolo pubblicato a Parigi negli anni ’30 (Coll. B-S n. 192) Eppure per 70 anni il nome di Spadolini non viene mai citato negli innumerevoli volumi scritti sulla Baker. Come afferma Jo Bouillon, ultimo marito della Baker e curatore delle memorie ufficiali pubblicate postume: “Memorie di J. Baker” a cura di J. Bouillon, 1975 “La Vigilia di Natale, fui invitato nel Vésinet, per il Cenone …Tutto era bianco a casa di Joséphine. Un tappeto d’ovatta ai piedi di un abete imbiancato mi accolse all’ingresso. Sotto i rami ricoperti di fili d’argento, un grammofono riversava l’ultimo ritornello di ‘Zouzou’ ( film della Baker). C’era un gruppo di amici: i compagni del Casinò de Paris, il danzatore nudo Spadolini, per la circostanza vestito!” “Une vie de toutes les couleurs : memorie di J. Baker raccolte da A. Rivollet”, Ed. Arthaud, 1935 (Coll. B-S n. 277) Non è un caso se nel corso delle sue visite a casa di Joséphine Baker nel novembre 1932, e nel dicembre 1934, lo scrittore André Rivollet trovi sempre Spadolini. I due ballerini sono insieme nel lavoro come nella vita, nello spettacolo ‘La joie de Paris’ al Casinò de Paris, come nelle tournée in Europa e in America. Anche in una serie di articoli dell’epoca è possibile ammirare le immagini dei due artisti avvinghiati in una danza al Casinò de Paris e, ancora insieme, all’aeroporto di Parigi. “Parigi si ricorda ancora di quella notte in cui ha scoperto Spadolini. Era in una rivista di Joséphine Baker. Sulla musica del (Coll. B-S n. 483) Alcuni documenti ritrovati recentemente avvalorano l’ipotesi che fra il 1932 e il 1935 i due artisti abbiano vissuto una grande amicizia e poi una segreta storia amore. Il giornale fiammingo ‘De Dag’ in un lungo articolo ricostruisce il primo incontro di Alberto e Joséphine avvenuto nell’estate del 1932. Il cameriere giunge trafelato nel camerino del danzatore per informarlo: “In mezzo al pubblico c’è Henry Varna, il direttore del Casino de Paris. Sembra sia venuto apposta per te!” Spadò sale sul palcoscenico avvolto in un lenzuolo, non senza un certo nervosismo. “Mi dicevo: ‘Mio Dio, adesso o mai più! Questa è la grande occasione della mia vita!” Il cuore dell’artista batte all’impazzata preso dall’emozione e dall’incedere della musica che egli danza ancor più selvaggiamente. Solo al termine dello spettacolo Spadolini scopre che ad applaudirlo con Varna c’è anche Joséphine Baker, la regina dei music-hall parigini. Conclude Spadolini: “Era incredibile: pur non avendo studiato danza, tutti e due ebbero grande considerazione per il mio spettacolo. Fui assunto al Casinò de Paris!” A destra: Spadolini e Joséphine Baker in un disegno di Pierre Payen, Casinò de Paris, 1933 (Coll. B-S n. 52) 46 Il 3 dicembre 1932 viene inaugurato a Parigi il nuovo spettacolo con due novità: il danzatore Spadolini e Joséphine Baker che balla sulla punta dei piedi! Assai superstizioso Henry Varna inventa anche per questa rivista un titolo di tredici lettere: “La joie de Paris”. “Per molti fu una rivelazione quando, come nuovo partner di Joséphine, apparve Spadolini. Partner? La parola non è esatta. E questo ancor più perché le sue danze, le migliori, sono quelle dove, ebbro di questa specie di genio che possiede, danza da solo… « Il fallait un danseur a Joséphine Baker, ce fut un peintre qu’elle choisit », J. Barois, Paris Midi 18.4.1933 (Coll. BNF) Le testimonianze di amici e parenti dell’artista italiano sostengono che l’amore fra Alberto e Joséphine sia stato messo in crisi da gelosie professionali. Donna straordinariamente generosa (durante la guerra lavorò nella Resistenza francese contro il nazismo, ed in seguito adottò bambini di ogni razza e religione dando esempio di fraternità universale), la Baker ha un tremendo carattere quando è in gioco la sua carriera artistica. Fra il 1932 ed il 1935 vengono pubblicati articoli in cui si parla sempre più di Spadolini e meno di lei. A Spadolini viene persino dedicata la musica “Bolero-Spadò”, che diventa il grande successo del Casinò de Paris. “Ballerino del Mondo e di se stesso. Ogni sera Spadolini ottiene, al Casinò de Paris un successo significativo. Si chiama Alberto Spadolini, che ne ‘Le Carnet de la Semaine’ io ho qualificato il ‘Rodin vivente’. Senza che nulla abbia potuto farlo prevedere, ballerino completamente sconosciuto e senza alcuna propaganda preliminare che fanno diffidare gli amatori senza servire i veri artisti, un ballerino danza al Casinò di Parigi che continua ad essere giustamente chiamato ‘La Gioia di Parigi’. La gloria di Joséphine Baker non l’offusca affatto, come la sua non potrebbe essere offuscata…” Legrand-Chabrier ‘L’Intransigeant’, 1933 (Coll. B-S n. 51) Il felice sodalizio precipita dopo uno spettacolo presentato da Joséphine e da Alberto al ‘Prince Edward Theatre’ di Londra. Lei è fischiata mentre il danzatore italiano è a lungo acclamato. Di questo avvenimento ci resta un articolo apparso su un quotidiano francese dal titolo “Jalousie”, nel quale si narra anche la scenata fatta dalla cantante di “J’ai deux amours” ad un impresario americano reo di volerla in uno spettacolo insieme a Spadolini. Lei minaccia asserendo che piuttosto che esibirsi con Alberto … preferisce andare a giocare al Casinò! Racconta Alex Wolfson: “Ricordo molto bene quella notte del 1935. Alberto rientrò a casa come una furia e si rinchiuse nel suo studio. Preoccupato udii rumori di vetri infranti e di oggetti scaraventati contro la parete. Quando riuscii ad entrare nella stanza questa pareva un campo di battaglia: dischi fracassati, libri strappati, portafotografie in frantumi. Il dipinto di Spadò, raffigurante ‘La Venere nera’ con la preziosa cornice dorata, era distrutto! In mezzo a quel cataclisma Spadolini sedeva intento a tagliuzzare un pacco di fotografie… Riuscii a salvare una sola immagine, quella in cui Alberto e Joséphine danzano ‘Hawai’ al Casinò de Paris. Dopo aver sforbiciato la testa della Baker lui me la diede in ricordo …” Intervista ad Alex Wolfson, Archivio C. G. Jung, 1986 Al termine dell’intervista il signor Wolfson mi ha fatto dono della fotografia ‘ghigliottinata’ da Spadolini in quella terribile notte. Solo spaghetti per Joséphine! “Alla fine del 1932 mio figlio Alberto mi chiede di andarlo a trovare a Parigi per farmi conoscere una persona molto speciale. Dopo mille acrobazie per ottenere il passaporto, ed un estenuante viaggio in treno, giungo a Parigi. Alberto lavora al Casinò de Paris con Joséphine Baker che presto incontro in casa sua. Io mi meraviglio nel vedere quella giovane di colore che sembra più un ragazzo che una donna. I capelli scuri e cortissimi, il corpo di una adolescente, una voce dolcissima ed un sorriso pieno di simpatia ed affetto. Mi racconta, chiamandomi subito chère maman, che la sua vita è iniziata come quella di mio figlio Alberto. Partita giovanissima da un paese dell’America è venuta a Parigi con la speranza di raggiungere il successo che non ha avuto nel suo paese. Dopo i primi momenti di incertezza e timore, si è fatta notare per la novità che porta nel modo di presentarsi al pubblico parigino, un modo nuovo di fare spettacolo, come ha fatto anche mio figlio Alberto. Oltre a parlare con voce dolcissima, canta in maniera da mandare in visibilio il teatro… Ciò che Joséphine apprezza più di ogni altra cosa sono gli spaghetti. E così, per tutto il tempo che mi fermo a Parigi, cucino ‘spaghetti alla bolognese’!” Dal racconto della mamma Ida Romagnoli alle figlie Bice, Giorgia e Maria (Archivio C. G. Jung) A pag. 48: Spadolini e Joséphine Baker danzano “Hawaii” al Casinò de Paris nel 1933. Foto ‘ghigliottinata’ da Spadolini nel 1935 (Coll. B-S n. 9) A pag. 49: Spartito “Bolero-Spadò”, Editions Smyth, 1933 (Coll. B-S n. 412) A destra: Brochure « La Joie de Paris » con Joséphine Baker e Spadolini, disegno Paul Colin 1932 (Coll. B-S n. 119) 50 Cécile Sorel, Mistinguett, Suzy Solidor, Marianne Oswald, Marléne Dietrich Finita la stagione che ha visto il trionfo di Joséphine Baker e di Spadolini, il Casinò de Paris mette in scena un nuovo spettacolo « Vive Paris ! » a cui partecipa Cécile Sorel (1873 – 1966), la regina della Comédie française. Anche Joséphine Baker si reca a vedere quello spettacolo in compagnia dell’inseparabile Spadolini. “Tra Londra e Copenaghen Joséphine ha fatto un breve scalo a Parigi. Arrivata in mattinata all’aeroporto Bourget con Spadolini alla sera si reca con lui ad applaudire Cécile Sorel nei panni di Célimène … E la sera Joséphine guardò dal suo palco Cécile Sorel scendere la grande scala dorata. L’intera sala guardava, si pensa, Joséphine che guardava Célimène … ‘Che aria da regina!’ mormora la piccola figlia del sole. Io vorrei andarglielo a dire …” Jean Barois, Paris-Midi 1934 (Coll. B-S n. 56) Cécile Sorel apprezza le danze di Spadolini tanto da definirlo: “L’aristocratico della danza!” In un articolo pubblicato nell’agosto 1939, alla vigilia della 2° Guerra Mondiale, si legge che Spadolini e Sorel si sono esibiti insieme all’Alhambra di Parigi. Il titolo del music-hall non poteva che essere “Gloire de Paris”. “Cécile Sorel è la vedette di un programma dove, seguendo l’augusto esempio di Sarah Bernhardt, la grande attrice non disdegna di apparire, tra i numeri di varietà, in brevi brani abbastanza inattesi tratti da ‘La bisbetica domata’ di Shakespeare… ‘Gloire de Paris’ ci permette di ritrovare un artista che da qualche mese, troppo raramente, abbiamo l’occasione di applaudire al musichall: Spadolini. Questo giovane danzatore, bello come un marmo antico, aereo come una silfide, di cui ogni gesto è improntato ad una grazia ineguagliabile, danza d’istinto, si direbbe, senza averci mai pensato. Così cantano anche gli uccelli. E c’è nella danza di Spadolini, come nel canto degli uccelli, una sorta di tumultuosa ebbrezza, qualche cosa di fervente e soleggiato che gli restituisce, all’improvviso, il suo autentico carattere sacro.” Pierre Barlat, Parigi agosto 1939 (Coll. B-S n. 91) Nata nel 1875, Jeanne-Marie Bourgeois debutta giovanissima nel music-hall prima con lo pseudonimo di Miss Tinguette ed in seguito con quello di Mistinguett con cui è celebrata in tutto il mondo per oltre mezzo secolo. In un disegno pubblicato da un giornale parigino degli anni ’30 Spadolini è accanto a Mistinguett in una serata di gala. I due artisti sono insieme anche in una fotografia apparsa su di un quotidiano alla fine degli anni ’40. Si tratta dell’inaugurazione di una esposizione di dipinti di Spadolini: “Gioco di gambe … e gioco di mani: Al ritorno da Londra Mistinguett ha inaugurato, l’altra sera, alla Galleria Elysée-Palace (rue de Marignan) a Parigi l’esposizione delle opere del suo amico ed ex partner il danzatore Spadolini che si scopre un rimarchevole talento di pittore e di disegnatore. E cosa incredibile Mistinguett ha comprato un quadro.” Articolo fine anni ’40 (Coll. B-S n. 196) Suzy Solidor (1906 – 1983) partecipa con le sue canzoni al documentario “Rivage de Paris” del 1950, sotto la regia di Alberto Spadolini. Suzy, chiacchierata indossatrice da Lanvin, modella preferita da Van Dongen e Picabia, cantante conosciuta per la sua interpretazione di ‘Lily Marlene’ e per la sua storia d’amore con Tamara de Lempicka che la ritrae nei suoi dipinti, appare sui quotidiani degli anni ’30 in compagnia di Spadolini. Negli anni ’30 Spadolini frequenta anche Marianne Oswald, cantante di cabaret di origine tedesca fuggita dalla Germania con l’ascesa al potere di Hitler, celebre per aver portato sul palcoscenico i testi di Bertold Brecht, Jean Cocteau e Jacques Prévert. Marléne Dietrich, partecipa con Maurice Chevalier, Serge Lifar e Spadolini ad un grande spettacolo svoltosi a Parigi il 14 luglio 1935. Il commento di Marléne sul danzatore marchigiano, scritto a caratteri cubitali su un quotidiano francese, è “Spadolini, se ero una ballerina è voi che avrei scelto come partner!” Sopra: Spadolini , Suzy Solidor, Marianne Oswald al Galà Pré Catelan. Disegno di Siss, anni ’30 (Coll. B-S n. 66). Sotto: nel disegno pubblicato su di un giornale francese Spadolini, Mistinguett e Suzy Solidor partecipano ad una festa a Parigi negli anni ’30 (Coll. B-S n. 65). 52 Contro ogni dittatura della “Vedova allegra”, per la regia di Georg Jacoby, a cui partecipa con le sue danze e le sue coreografie anche Spadolini. Grazie al materiale ritrovato nell’archivio Bolero-Spadò e ad un articolo inviatomi dalla Deutsches Tanzarchiv di Colonia, scritto il 30 aprile 1940 da Carl Weichardt, sappiamo che in quell’occasione Lehar riceve gli auguri dei massimi gerarchi nazisti. L’artista italiano deve tornare in Germania l’anno seguente per uno spettacolo al Dessauer Theater del 5 febbraio 1941. Ad uno degli spettacoli è presente Siegfried Enkelmann, considerato il più importante fotografo della danza tedesco; sono sue alcune delle stupende fotografie ritrovate nell’archivio di Spadolini. Allo spettacolo di Berlino è presente un giornalista italiano che pubblica sulla rivista ‘Tempo’ un lungo articolo con il chiaro intento di dimostrare la superiorità della razza italiana. Bice, sorella dell’artista, sostiene: Nel 1940, come accade ad altri artisti francesi, Spadolini è costretto dalle truppe d’occupazione naziste ad esibirsi in Germania. L’occasione è data dal settantesimo compleanno di Franz Lehar, che viene osannato con la messa in scena “Alberto non si è mai sentito un campione dell’italica razza. Egli è figlio di un ferroviere licenziato dal regime per non aver aderito al partito fascista; odia ogni totalitarismo tanto da aver abbandonato l’Italia alla fine degli anni ’20; nel corso dell’occupazione nazista di Parigi nasconde nella sua casa amici di origine ebraica; torna a frequentare Joséphine Baker ben nota per la sua attività di spionaggio per conto degli Alleati. Inoltre se mio fratello Alberto fosse tornato in Italia sarebbe stato arrestato e processato per diserzione!” Sopra: Spadolini nella brochure dell’operetta “Die lustige Witwe”, Franz Lehar 1940 (Coll. B-S n. 134). A destra: Spadolini danza “Exotische Vision” di Lecuona, foto di S. Enkelmann, 1941 (Coll. B-S n. 43). 54 Archivio Centro C. G. Jung, 1986 Hanno scritto del danzatore e coreografo Spadolini Maurice Ravel “La sua coreografia è in armonia con la partitura della musica del Bolero!” Spadolini danza per la prima volta il Bolero alla presenza del suo compositore Ravel. Max Jacob “Spadolini concretizza la visione del poeta!” M. Jacob, romanziere e poeta. Cécile Sorel “L’aristocratico della danza!” Attrice della Comédie Française, ha lavorato nel 1939 con Spadolini in “Gloire de Paris”. Maurice Rostand “Un poeta della danza e allo stesso tempo un atleta!” Poeta e romanziere, Rostand sceglie Spadolini per la commedia “Chaterine empereur”. L’anno seguente partecipa con Spadò alla conferenza agli Archivi Internazionali della Danza. Gérard d’Houville (Le Figaro) “Spadolini, lo stupefacente ballerino che anima la rivista con la duttile forza dei suoi ritmici balzi.” G. d’Houville pseudonimo di Marie de Régnier, scrittrice famosa per aver avuto una lunga relazione amorosa con Gabriele d’Annunzio. Paul Valery “Mitologico, mistico e faunesco! Visione di Spadolini”. Valery è uno dei grandi poeti francesi Georges Mandel “Bravo Spadolini per gli istanti dedicati alla nostra televisione!” Mandel è Ministro delle Poste dal 1934 al 1936, periodo in cui Spadolini partecipa alle prime prove della televisione Lugue Poé “Spadolini sopravanza il nostro secolo!” Poé, pseudonimo di Aurelien François Marie, attore e fondatore del “Théatre de l’Oeuvre”. A destra: Spadolini, Foto Cayeb anni ’30 (Coll. B-S n. 48) 56 Marlène Dietrich “Se ero una ballerina è voi che avrei scelto come partner!” Con Spadolini, Maurice Chevalier, Serge Lifar, partecipa ai festeggiamenti del 14 luglio 1935. André Levinson “I suoi atteggiamenti ed i suoi gesti sono armoniosi, duttili, e sanno raggiungere, quando necessario, eloquente nobiltà…” Levinson autore di saggi sulla danza. Henry Varna “Spadolini il Magnifico!” Varna, direttore del Casino de Paris. ‘Le Figaro’ (Parigi) “Nel regno di Tersicore il suo satellite Spadolini occupa un posto privilegiato in questo basso mondo. Egli attira in tutti i casi la folla.” Fernand Divoire (La Revue de France) “Spadolini dipende talmente dal ritmo, che si crede che il ritmo dipenda da lui.” Divoire è autore di saggi sulla danza. ‘Vedettes’ (Parigi) “Se Spadolini è un ballerino nato, un creatore, se in ciascuna delle sue danze appare come un giovane dio ardente e appassionato, lo deve alla sua ‘formazione corporea’, ma anche alla sua cultura; è artista nel senso più completo della parola.” ‘Vogue’ (Londra) “Spadolini ha una tecnica brillante e una grande bellezza di movimenti e di atteggiamenti.” ‘The Era’ (Londra) “Nella danza internazionale Spadolini primeggia con grande prestigio.” ‘Variety’ (New-York) “Spadolini che combina un corpo eccezionale con una straordinaria capacità di ballare!” ‘Swenska Tagbladet’ (Stoccolma) “Spadolini, l’incredibile visione!” Pittore francese “Io ho contratto con la Francia un debito di gratitudine. Se io scrivo la sua lingua meglio di come la parlo e se danzo meglio di come scrivo, lo devo solo a lei. E’ sul suo suolo che ho lasciato i miei pennelli sulla tavolozza per consacrarmi alla coreografia. E’ ancora lei che mi ha maternamente consolato, incoraggiato e mai io ho compreso meglio la profondità commovente di questi versi: ‘Ogni uomo ha due patrie, la sua e poi la Francia!” Articolo di Alberto Spadolini, « Sourire » 1935 (BNF) Spadò fa di Parigi la sua seconda patria. Qui regna la gioia di vivere, c’è in tutti il desiderio di conoscere, di amare, di superare ogni limite. Spadolini è stato l’artista che forse più di ogni altro ha illuminato la ‘Ville Lumière’ con danze, coreografie, dipinti, scenografie, decorazioni, restauri, canzoni, film, documentari, poesie… Nel dopoguerra egli espone a Parigi alla Galleria dell’Elysée Palace (partecipa all’inaugurazione la celebre Mistinguett), al Cercle de l’Union Française, alla Galleria Pozzallo, alla Galleria La Pergola, alla Galleria dell’Odeon, e per tanti anni alla Galleria Alex Cazelles, accanto al Moulin Rouge. Nei suoi dipinti Spadolini racconta la bellezza architettonica di Parigi, i suoi monumenti, le chiese, i giardini, le luci, i colori degli alberi che si affacciano sulla Senna… Uno dei luoghi più amati da Spadolini è il mercato delle pulci (Le Marché aux Puces) a Porte de Clignancourt, poco distante dal cimitero dove oggi riposa. Accanto agli antiquari qui espongono i loro ‘tesori’ venditori di cose usate, ed è qui che Spadolini viene ad incontrare amici e a cercare vecchie cornici. A pag. 59: “Autoritratto”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 55 x 65 (Coll. N. Ghassoul) Sopra: Brochure della esposizione Spadolini a Le Cercle de l’Union Française, Parigi 1948 (Coll. B-S n. 174) A destra: “Il menestrello”, Spadolini anni ’40, olio su compensato cm. 23 x 62 (Coll. B-S n. 142) A pag. 62: “Il giocoliere”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 22 x 27 (Coll. B-S n. 146) A pag. 63: “Vue de Montmartre”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 33 x 41 (Coll. P. Oger) 60 Pittore della danza “Non essendo più sulla scena, nell’esprimermi con figure e colori ho sempre avuto in me l’inesauribile desiderio di raffigurare ciò che potevo immaginarvi, ciò che avrei voluto fosse esistito… L’immagine reale dell’oggetto, in quel momento, in quel solo momento, perché basta un soffio, il volgersi di una testa, l’inclinazione più accentuata del corpo, uno scatto… per cambiare tutto. La bellezza è nel momento in cui si coglie. Un attimo e l’immagine si disfa, non ‘trasmette’ più quella emotività-bellezza che hanno prima colpito la sensibilità dello spettatore.” Intervista Spadolini “Il Messaggero”, 1967 (Coll. B-S n. 214) Ricordo mio zio Alberto passare intere ore nel suo studio a Fermo di fronte alla tela. A volte dipinge di getto e sembrano una catarsi quelle linee che modellano meravigliose ballerine librate in aria. Con poche pennellate riesce a rendere viva la materia. I suoi personaggi sono improvvisamente animati, si muovono ora con la grazia di autentici principi rinascimentali, ora con la sensualità di due amanti. Poi, ad un certo movimento, un braccio alzato, un collo volto in una certa direzione, dedica una particolare attenzione, rimane concentrato, sembra lontano in un’altra epoca fra le note di dolci melodie. “La pittura di Spadolini, singolare per taglio compositivo e soluzione luministica, si attesta come esigenza espressiva di un racconto autobiografico, in cui ogni forma creativa rappresenta un elemento dell’infinito universo esistenziale. Intrisi di istintività e di poesia, di cromie dense e oniriche, i dipinti ubbidiscono a una ricerca estetica fondata, come sottolineava Cocteau, sulla trasfigurazione dell’anima nella danza”. Sopra: “Chateau de Brignac au clair de lune”, cm. 60 x 50 (Coll. P. Oger) A destra: “Ballerini spagnoli”, Spadolini 1954, olio su tela cm. 65 x 81 (Coll. M. Spadellini) 64 Prof. Enzo Dall’Ara, critico d’arte, Bolero-Spadò 2005 Spadolini e Liane Daydé “Spadolini continua ad occuparsi della danza, ma come pittore, fissando sulla tela quel mondo in cui aveva avuto un ruolo di protagonista. Posano per lui le ‘stelle’ dell’Opera, seguendo l’esempio della famosa Liane Daydé, e interi corpi di ballo in piena azione sono i soggetti preferiti della sua pittura elegantemente stilizzata, nella quale non vibra uno spirito romantico alla Degas ma sono colti nella loro immediatezza gli effetti della luce e del movimento”. “Un anconetano a Parigi è il pittore della danza”, intervista a Spadolini,‘Il Resto del Carlino’ 13/8/ 1957 (Coll. B-S n. 210) All’inizio degli anni ’50 Spadolini appare in una serie di servizi giornalistici accanto a Liane Daydé, Stella dell’Opera de Paris. Nella sua lunga carriera Daydé avrà partner prestigiosi come Cyril Atanassof, Serge Lifar, Serge Golovine, Rudolf Nureyev. Per la sua bravura Balanchine la sceglie per ballare le sue danze, mentre Jean Cocteau scrive per lei il balletto “La Dame la Licorne”. Da me interpellata Liane Daydé ha raccontato che le foto che la ritraggono con Alberto Spadolini furono scattate nello studio del maestro Volinine a Parigi (132, avenue de Villiers) e che lo stupendo ritratto sullo sfondo, opera di Spadolini, è quello di Anna Pavlova. Sopra: Alberto Spadolini e Liane Daydé nell’atelier del maestro Volinine a Parigi (Coll. B-S n. 220) A destra: Spadolini e Liane Daydé (Coll. B-S n. 224) 74 Pittore svedese La Bibliothèque Nationale de France mi ha fatto pervenire copia di due cataloghi nei quali Spadolini è annoverato fra i pittori scandinavi: “Svenskt konstnärslexikon…” RedaktionGösta Lilja, Bror Olsson, Knut Andersson, S. Artur Svensson. - Malmö: Allhems förlag, 1952-1967. “Svenska konstnärer : biografisk handbok”. [Ny reviderad och utökad upplaga]. - Stockholm Nybloms förlag, 1982. Spadolini, amico di Rolf de Maré, fondatore dei Ballet Suedois, alla fine degli anni ’40 apre un atelier anche nel cuore di Stoccolma. Egli espone la prima volta all’Oscarteaterns il 3 maggio 1948. Seguono una lunga serie di mostre alla Galleria Latina e alla Bohmans Konstgalleri; l’ultima mostra risale all’estate 1972, pochi mesi prima della morte dell’artista. L’attività di Spadolini in Svezia è in realtà iniziata nel 1941 con alcuni spettacoli di danza al China Theater di Stoccolma. Qui conosce Betty Bjurstrom, una ballerina tanto affascinante da essere eletta prima Miss China e poi scelta per partecipare all’elezione di miss Europa 1948 in rappresentanza della Svezia. Il futuro di Betty è segnato da una pallottola che le spezza la spina dorsale e che la immobilizza su una sedia a rotelle. Nel 1964 Spadolini rincontra la ragazza a Stoccolma e la invita all’inaugurazione della sua mostra alla Galleria Latina promettendole aiuto. “Quando Betty Bjurstrom era miss China nel 1941 ballava con un giovane italiano di nome Alberto Spadolini. Oggi lei spera di essere da lui aiutata finanziariamente. Quello che Betty non sapeva nel 1941 è che Spadolini è un pittore molto bravo che inaugurerà un ‘vernissage’ dei suoi quadri alla Galleria Latina di Stoccolma. Grazie all’aiuto di Spadolini Betty spera di trovare i soldi necessari alle spese di riabilitazione e così forse un giorno alzarsi dalla sedia a rotelle.” “Dagens Nyheter” Stoccolma, 15/12/ 1964 (Coll. B-S n.203) Sopra: “Il Mare del nord”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 48 x 60 (Coll. M. Spadellini) A destra: “Il volto dell’amore”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 53 x 64 (Coll. B-S n. 136) 76 Pittore delle Marche “Non so quanti anconetani sappiano di Spadolini, anzi di ‘Spadò’, come lo chiamano ancora i parigini. Ma è un fatto che questo nome marchigiano anzi pianarolo ha portato in giro per il mondo e con bel lustro da circa vent’anni il nome d’Italia e di Ancona… Nato in Ancona in un quartiere popolarissimo ma ricco di umori, Spadolini cominciò come pittore. Gli fu maestro e compagno Baldinelli, altro anconetano prestato all’estero, e frequentò quei piccoli e polemici cenacoli artistici - tutti di giovani - che le piccole città di provincia sono solite formare e disperare… In una delle sue rapide sfrecciate per l’Italia è passato ad Ancona. Aveva con sé dei quadri li ha lasciati qua in mostra ai suoi amici di un tempo e per testimonianza affettuosa di quel che un antico cittadino ha fatto e sa fare in arte ‘extra muros’ , cioè tra stranieri.” Voce Adriatica, aprile 1956 (Coll. B-S n. 216) Molti dei dipinti di Spadolini sono dedicati alla sua terra, tanto da essere considerato l’ambasciatore delle Marche nel mondo. Nelle sue mostre all’estero egli espone anche i paesaggi più amati, la sua Ancona, il Conero, i Monti Sibillini, la città di Fermo, il mare di Porto San Giorgio. “I paesaggi marchigiani sono la nota più intima di Spadolini. ‘Splendore del mare’, il dipinto con la veduta del Conero recentemente riportato alla luce è davvero delicato nei toni. Questo è il vero volto di Spadolini!” prof. Riccardo Gresta, storico dell’arte, “Bolero-Spadò” 2005 Negli anni ’50 Spadolini è un assiduo frequentatore di Porto San Giorgio dove vive la sorella Bice, sposata ad Andrea Travaglini e trascorre le sue giornate nuotando e dipingendo. Per festeggiare la nascita del nipote Stefano egli dipinge la Santa Teresa di Lisieux che dona alla Chiesetta di Porto Sant’Elpidio. A Fermo Spadolini apre un atelier presso la casa della sorella Giorgia in via Medaglie d’Oro, e restaura la Villa dei Conti Vitali, oggi Museo Comunale, e Villa Papetti. Sopra: “Fermo”, Spadolini anni ’50, olio su tela cm. 51 x 61 (Coll. S. Travaglini) Sotto: “Campagna marchigiana”, Spadolini 1954, olio su tela cm. 64 x 80 (Coll. B-S n. 148) A destra: “Arco di Traiano e sullo sfondo S. Ciriaco”, Spadolini 1956, olio su tela cm 45 x 56 (Coll. B-S n. 139) 78 Pittore esoterico Nel settembre 1972, mi reco per la prima volta in vacanza a Parigi e naturalmente vado a trovare mio zio Alberto Spadolini nel suo appartamento sugli Champs-Elisées. All’epoca sono un ragazzo che pensa solo al divertimento e così lui mi fa una lunga ramanzina: “Devi visitare i musei, studiare i classici greci e latini, e soprattutto non perdere tempo in sciocchezze!” Alla sera mi insegna alcune frasi in ‘argot’, il dialetto parigino, fra cui un sibillino: “Fulcan tempiofiess” di cui non mi vuole spiegare il significato. Torno a Parigi nel 1974 con l’inseparabile compagno di viaggi Tony Aiuto. Insieme ci rechiamo a trovare Alex Wolfson, per tanti anni grande amico di Spadolini da poco scomparso. Egli ci racconta diverse avventure di Spadolini, di cui è stato testimone, fra cui la feroce telefonata del ministro Mandel, la distruzione delle fotografie di Joséphine Baker, il suo lavoro nello studio di un certo Jules Boucher… È solo nel 1978, a seguito della scoperta del suo archivio, che inizio ad interessarmi di arte, letteratura, danza, pittura, cinema, filosofia, e più tardi di simbolismo junghiano. E così, quando recentemente è giunta dalla Norvegia l’immagine fotografica del dipinto “Tau”, mi rendo conto immediatamente che l’eclettico artista è stato anche pittore esoterico. Approfondisco lo studio su Jules Boucher (1902 – 1955), uno dei massimi studiosi di simbologia esoterica, discepolo del celebre alchimista Fulcanelli. La lettura del volume “Il Mistero delle Cattedrali” di Fulcanelli, insieme all’insostituibile aiuto di Tony Bortolotti, mi permette di svelare il segreto di quella frase in argot, una specie di ‘koan’, come dicono gli orientali. “Fulcan tempiofiess” in realtà significa: “Fulcanelli fece (costruisce) il tempio”. “I dizionari definiscono la parola argot come ‘linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intor- no’. È quindi, una vera e propria cabala parlata. Gli argotieri, quelli che si servono d’un tale linguaggio, sono i discendenti ermetici degli argonauti, i quali andavano sulla nave Argo, parlavano la lingua argotica - la nostra lingua verde - navigando verso le fortunate rive della Colchide per conquistare il famoso Vello d’Oro… Tutti gl’Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della Corte dei Miracoli, - col poeta Villon alla loro testa, - ed anche i Frimasons, o frammassoni del medioevo, ‘che costruivano la casa di Dio’, ed edificavano i capolavori argotiques ancor oggi ammirati.” “Il Mistero delle cattedrali”, di Fulcanelli, Ed. Mediterranee, 2001 Seguendo l’insegnamento di Jules Boucher e del suo maestro Fulcanelli, Spadolini ha nascosto il suo mondo più segreto in una serie di dipinti e disegni esoterici. Molti confondono il termine esoterico (dal greco ‘esoterikos’ ossia interiore, nascosto) che esprime il desiderio di conoscenza e l’ampliamento della percezione del Sacro, con l’occultismo spesso ricercato dai soggetti che vogliono dominare gli uomini e l’intero universo attraverso la magia. L’esoterismo è un insegnamento riservato a pochi eletti e necessita di continuo apprendimento, forte volontà e desiderio di crescita interiore. Nella trilogia “Arco di Traiano con in lontananza San Ciriaco” (a pag. 79), “Fontana di Piazza San Pietro” (a pag. 89) e “Notre-Dame de Paris”, Spadolini ripercorre i momenti più importanti della sua esistenza: l’infanzia anconetana, la giovinezza romana, la maturità parigina. A legare le Cattedrali ci sono loro, i Fratelli di Heliopolis, raffigurati in procinto di varcare l’Arco di Traiano diretti alla Cattedrale di San Ciriaco, assetati di verità mentre si dirigono verso la Fontana di Piazza San Pietro, intenti ad ammirare quel meraviglioso tempio gotico che è Notre Dame de Paris. “Con l’abbondante fioritura della sua decorazione, con la varietà dei soggetti e delle scene che l’adornano, la cattedrale si presenta A destra: “Notre-Dame de Paris”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 37 x 45 (Coll. B-S n. 138). 82 come un’enciclopedia di tutto il sapere medioevale, perfettamente completa ed assai variata, talvolta ingenua, talvolta nobile, ma sempre vivente. Queste sfingi di pietra sono così degli educatori, degli iniziatori di prim’ordine … Notre-Dame de Paris, chiesa filosofale, è, senza possibilità di smentita, uno dei più perfetti prototipi del genere, come ha scritto Victor Hugo, ‘ il più soddisfacente compendio di scienza ermetica’… E qui, nello splendore delle ogive dipinte e decorate, dei costoloni delle volte, dei timpani dalle figure multicolori, ognuno illustrava il risultato dei suoi lavori, spiegava l’indirizzo delle sue ricerche. Si esprimevano delle probabilità; si discutevano le possibilità, si studiavano sul posto le allegorie del bel libro e la parte più animata di queste riunioni era certo l’astrusa esegesi dei simboli misteriosi.” “Il Mistero delle Cattedrali”, di Fulcanelli, Ed. Mediterranee 2001 Ricco di simbolismi appare il dipinto ‘Tau’, recentemente ritrovato in Norvegia. Ho tentato una mia personale interpretazione di questo dipinto anche se, probabilmente, non sapremo mai il vero significato attribuitogli dall’artista. In questo antico tempio in rovina appaiono cinque personaggi: 1) a destra c’è un uomo nudo con la chitarra in mano che attende nell’ombra fuori dal tempio (non dimentichiamo che Spadolini in gioventù è soprannominato le ‘danseur nu’). Egli è nello stadio del bruco, in attesa di entrare nel bozzolo; 2) a sinistra è in posa una donna completamente ricoperta d’oro, anche lei nell’ombra, simbolo della vita materiale. Su una mano è appoggiato un pappagallo, che rappresenta il pavoneggiarsi, l’apparire. All’interno di quell’involucro dorato, c’è un’anima che attende di liberarsi dal bozzolo; 3) Un uomo di spalle si dirige a passo di danza verso il centro del Tempio, e verso la luce. Egli si è tolto la maschera che ha indossato per troppo tempo per essere finalmente se stesso; 4) Nel libro di Fulcanelli leggiamo che le cattedrali sono orientate da ovest verso est. Spadolini, interessato anche alle pratiche orientali, raffigura un uomo proveniente da Oriente che solleva la sfera, simbolo della perfezione, della completa trasmutazione dell’anima. 5) Anche una donna, al centro del Tempio, solleva una sfera. I suoi capelli si muovono al vento a simbolizzare la completa libertà raggiunta. Dall’ombra il bruco è resuscitato sotto forma di una splendida farfalla. Tutti questi personaggi sono sovrastati dalla grande colonna del Tempio che forma la lettera ‘Tau’. Di origine biblica questa lettera prefigura la croce ed è stata utilizzata nel Medioevo dai seguaci di Antonio Abate e dallo stesso San Francesco. “… e in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per il segno del Tau, lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente a Cristo”. “Vita di San Francesco – Legenda Maior”, Bonaventura da Bagnoregio Spadolini, affronta in diverse opere il tema religioso perché è terziario francescano: “Francesco mi ha insegnato a dare per la gioia di dare, a sentirmi felice di quanto possiedo, a considerare i ricchi come i veri poveri perché spesso sono poveri nello spirito e nell’anima. A credere che il dolore è un dono perché con il dolore si acquista la felicità e la comprensione della felicità; a capire che la felicità non può scaturire che da noi stessi, dal profondo del nostro essere e che il mondo esterno non può turbare l’equilibrio e la serenità della nostra anima. Non mi creda un poseur, sento veramente ciò che dico e sento veramente l’esempio di San Francesco. Certo debbo vivere nel mondo e mostrarmi superficiale, ma questo è il volto che presento agli estranei, a coloro che non possono comprendermi, come una difesa ed una barriera sul segreto mondo della mia vita più intima. Crede lei che tutti potrebbero capirmi quando dico che i miei sentimenti li so esprimere solo danzando e che molte volte mi vergogno di ricevere del denaro come compenso delle mie danze, perché queste sono un mio modo di pensare, naturale per me come il respiro? Con la danza voglio esprimere il mio amore per il sole, la bellezza, la vita in tutti i suoi aspetti ed anche un senso religioso che sento come guida e come sostegno.” A destra: “Tau”, Spadolini anni ’60, olio su tela cm. 65 x 80 (Coll. N. Ghassoul) 84 “Spadolini francescano e ballerino”, Intervista di Mila Contini a Spadolini, 1946 (Coll. B-S n. 115) Decoratore e scenografo “… Molto lavoro? Pensate che ballo ogni sera, e talvolta al pomeriggio nella nuova rivista dell’Alcazar, nella quale ho preparato una scenografia. Henri Varna m’ha chiesto di prepararne una seconda per la nuova versione che avrà luogo a febbraio. Questa scenografia si chiamerà senza dubbio ‘Il sogno fantastico’…” “L’Intransigeant” anni ’30 (Coll. B-S n. 217) Spadolini negli anni ’20 è aiuto-scenografo al Teatro degli Indipendenti e aiuto-decoratore al Vittoriale; alla fine degli anni ’20 decora la Villa dei marchesi Della Conca a Cap d’Ail; all’inizio degli anni ’30 è decoratore con Paul Colin; negli anni ’50 decora gli interni di splendide residenze come Villa dei Conti Vitali (oggi Museo Comunale) e Villa Papetti di Fermo di cui purtroppo non restano tracce. Ugualmente sono andati perduti gli interni della discoteca del Grand-Hotel di Rimini. L’attuale proprietario, il signor Emanuel Duval, mi ha fatto pervenire alcune riproduzioni degli interni del Castello di Brignac in Francia, completamente affrescato da Spadolini negli anni ’50. Una ventina di bozzetti di scena, alcuni mobili, una cassapanca in stile orientale, due mani in gesso che impugnano degli utensili e una serie di immagini fotografiche testimoniano la poliedrica e pluriennale attività di Spadolini come decoratore e scenografo. Il giornalista Christian Megret racconta come nel 1948 Spadolini diventa, grazie a queste sue doti artistiche, proprietario de “L’Amiral” in rue Arsène-Houssaye, Paris 8°, il cabaret reso famoso da Edith Piaf. “Spadolini parlava il mese scorso, con uno dei suoi amici, il principe Ruspoli. L’argomento era la danza, naturalmente! Viene fatto nella conversazione il nome di Fred Astaire in quel periodo animatore d’un cabaret a New York… Ecco che il principe Ruspoli dichiara che Spadolini non sarebbe stato capace di fare altrettanto. Provocato, il ballerino risponde: ‘Scommettiamo!’ Accettata la sfida, il principe senza pietà dice: ‘In otto giorni!’ Il ballerino risponde ancora: ‘Scommettiamo!’ Ma ci vuole una posta. Ci si accorda su 100.000 franchi. Ed ecco che il 13 marzo, avendo preso i 100.000 franchi della scommessa (sborsati per le spese d’istallazione), Spadolini convoca a l’Amiral il ’tout-Paris’ per l’inaugurazione (Jacques Fath, Madaleine Sologne, Mistinguett, Baker e seguito). Spadolini s’è insediato a l’Amiral. In otto giorni ha rinnovato l’arredamento di questo vascello sotterraneo, mettendo lui stesso mano al pennello. Perché egli è pittore e non sa neppure lui, che cosa è per lui il primo mestiere: la danza o la pittura? In modo che, in otto giorni, gli oblò de l’Amiral aprono su una piccola scena dove suona un’eccellente orchestra del genere sud-americano …” Articolo dello scrittore e giornalista Christian Megret, 1948 Sopra: pubblicità del cabaret Chez Spadolini – l’Amiral, 1948 (Coll. P. Oger) A destra: “Paesaggio fantastico”, bozzetto di scena di Spadolini anni ’50, cm. 101 x 115 (Coll. B-S n. 152) A pag. 92: mani in gesso, Spadolini anni ’50 (Coll. B-S n. 244 – 245) A pag. 93: “Venezia”, bozzetto di scena, Spadolini anni ’40, cm. 60 x 90 (Coll. B-S n. 151) 90 (Coll. B-S n. 249) Illustratore “…Spadolini è stato un grande cultore dell’arte antica. A casa nostra egli è venuto a dipingere ma è venuto anche a studiare dipinti antichi. Più volte si soffermava davanti a tele di Luca Giordano, di altri maestri del ‘600 e del ‘700, facendo schizzi, con il suo disegno molto sintetico…” Stefano Papetti, presentazione Bolero-Spado 2005 Con i suoi disegni Spadolini illustra due opere del poeta francese André-Marie Klénovski. “Récital” Presentato dallo scrittore André De Fouquières e pubblicato a Parigi da Les Editions Nationales nel 1952, questo volume vuole cantare la bellezza e la nobiltà della vita. Le sette illustrazioni sono tutte di Spadolini: Les jeunes filles de seize ans, Impressions St Palaisoises, Fin de saison (depart), Ode au Brésil, Noel 1951, Les Sources de l’Orgueil, Ultima Necat. Di grande interesse l’illustrazione per Libre arbitre: “Le cœur …et ma raison” Edito a Parigi da Les Editions J. Foret nel 1957, questo libro di poesie, con prefazione di Marc-George Mallet, contiene anche l’Essai dramatique Prélude au Bucher e sei disegni di Spadolini: Ta main, Aux gentes pucelles, Prière au Père Noel, Si tu étais vraiment Signeur homme de bien, Libre arbitre, Un jour a Buda. “Un uomo in equilibrio instabile su di una bilancia tiene sollevato l’intero pianeta. Riuscirà il pianeta Terra a sopravvivere? La risposta non può che essere: dipende solo dall’equilibrio interiore raggiunto da ogni singolo uomo.” Sopra a sinistra: “Les jeunes filles de seize ans”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251) Sopra a destra: “Studio per il dipinto del signor Marguerie” disegno di Spadolini anni ’50 (Coll. P. Oger) A destra: “Libre arbitre”, illustrazione di Spadolini 1957 (Coll. B-S n. 250) A pag. 96: “Ultima Necat”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251) A pag. 97 : “Les Sources de l’Orgueil”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251) 94 Restauratore gurata, prima della sua conversione, come una donna riccamente abbigliata con guanti e gioielli, simbolo dell’amore profano; oppure, dopo la sua conversione, accanto ad un teschio, come prototipo della penitente. La tela a tramatura larga tipica del ‘600 presenta un lungo taglio nella parte inferiore. L’opera è stata restaurata negli anni ’40 da Spadolini con alcuni ritocchi pittorici ed un supporto di cartone. “… I suoi restauri di antichi dipinti lo segnalano all’attenzione degli iniziati…” Jacopo della Serra, Parigi 1946 (Coll. B-S n. 167) Spadolini collabora a restaurare antichi dipinti nello studio di Jules Boucher (1902 - 1955), apprezzato autore di volumi sulla simbologia e discepolo del celebre alchimista Fulcanelli. Dell’attività di Spadolini restauratore restano quattro dipinti al cui studio ha collaborato la restauratrice Federica Bozzarelli. “Particolare di un dipinto di Maria Maddalena, con teschio e gioielli” Nell’arte cristiana Maria Maddalena è di solito raffi- “Dipinto fiammingo del ‘700” Il dipinto che presentava in origine uno squarcio a ‘L’ è stato rintelato e ritoccato da Spadolini negli anni ’40. Tipico della pittura fiamminga è la rappresentazione minuziosa dei dettagli abilmente dipinti e raffigurati anche in questa tela ad olio. “Sant’Antonio da Padova con Bambino Gesù” Definito dai romantici ‘il Raffaello spagnolo’, Bartolomé Esteban Murillo (1618 - 1682) è pittore capace di avvicinare il Cielo alla terra. Celebri le sue tele raffiguranti storie di miracoli monastici e le vite dei Santi. Il Sant’Antonio restaurato da Spadolini è di pregevole fattura, forse opera dello stesso Murillo o di un suo abilissimo allievo. Sopra a sinistra: “Particolare del dipinto Maria Maddalena” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 241) Sopra a destra: “Dipinto fiammingo” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 242) A destra: “Sant’Antonio da Padova” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 240) 98 Nel cinema Spadolini è attore con Jean Gabin e Jean Marais; adattatore dei dialoghi per la London Film; regista e sceneggiatore di documentari con il jazzista Jango Reinhardt, la cantante Suzy Solidor e la ballerina Carmen Amaya. “L’épervier” (1933) A pochi mesi dal suo debutto al Casinò de Paris, Spadolini danza nel film “L’épervier”, con Charles Boyer, regia di Marcel L’Herbier. Accanto a Spadolini c’è un giovanissimo Jean Marais alla sua prima apparizione sullo schermo e la principessa Natalie Paley, cugina dello zar Nicola II°, che era stata legata sentimentalmente a Jean Cocteau. L’evento è fissato in una fotografia (pag. 102) con Spadolini al centro a torso nudo; a sinistra, con giacca nera, c’è Charles Boyer; a destra, con giacca bianca, c’è Jean Marais. La fotografia è stata riprodotta grazie alla cortese collaborazione della Bibliothèque du Film de Paris. “Marinella” (1936) Il cantante ed attore di origine corsa Tino Rossi (1907 - 1983), dalla voce ‘magica’ e dal fisico mediterraneo, vuole una danza di Spadolini nel film “Marinella”, una commedia sentimentale diretta da Pierre Caron. Spadò si scatena in un ballo primitivo su di un enorme tamburo (in seguito questa scena sarà copiata in un film americano). Pochi sono a conoscenza del fatto che il personaggio interpretato da Tino Rossi riprende, in parte, la storia di Alberto: egli è un giovane decoratore che lavora con altri garzoni alla scenografia di un music-hall; in una pausa dell’allestimento scenico si mette a cantare, l’impresario per caso lo sente e lo lancia nel mondo dello spettacolo. “Le monsieur de cinq heures” (1938) In questo film Spadolini danza con l’affascinante Mila Pareli. Il regista è ancora Pierre Caron. “Le jour se léve” (1939) Spadolini ha fatto parte del cast di “Le jour se léve”, distribuito in Italia con il titolo “Alba tragica”, scritto da Jacques Prévert, con Jean Gabin e la regia di Marcel Carné. All’uscita il film viene bloccato dalla censura militare 100 perché ‘demoralizzante’ e, solo alla fine della guerra, è riproposto al pubblico con alcuni tagli fra i quali anche la scena in cui Spadolini interpreta un piccolo gangster italiano. Della sua partecipazione non ci resta che un articolo di giornale ed una foto di scena. “Le pavillon brule” (1941) A fianco di Jean Marais, ormai diventato una stella del cinema, e con la regia di Jaques de Baroncelli, Spadolini recita la parte di un minatore in una scena di ‘bagarre’ e liti. “La danse à travers les ages” (1946) In questo lungometraggio Spadolini presenta una serie di danze antiche e moderne. La regia è di Berard, il commento ed i costumi sono di Cocteau. Del filmato resta una esile traccia in un articolo di giornale del 1946. “Rivage de Paris” (1950) Spadolini è regista e sceneggiatore del documentario ‘Rivage de Paris’ a cui partecipa Jango Reinhardt con i brani ‘Belleville’, ‘Nuages’ e la inedita composizione ‘La Messe’; la cantante Suzy Solidor interpreta la canzone ‘La Seine’. Gli “Archives Français du Film” ne prevedono il restauro. “Nous, les gitans …” (1951) Questo documentario della Société Courts Métrages sulle origini della musica gitana vede la partecipazione di Spadolini nelle vesti di scenografo, realizzatore dei testi, regista e danzatore. La “Cinématheque Française” ne possiede una copia assai fragile (apparentemente in nitrato). In un depliant ritrovato nel castello di Brignac c’è la trama del documentario: “Ecco una pagina della vita e delle passioni dei gitani ‘Figli del vento e del sole’ il cui motto è: ‘Noi arriviamo e partiamo a un segnale che nessuno dà e al quale obbediamo tutti’. Autentici gitani, e artisti di fama della stessa origine, hanno partecipato alla realizzazione di questo film. La sera cade sulla campagna già grigia, mentre una carovana s’incammina, al suono della chitarra. Ed è la sosta misteriosa che lancia verso il cielo i suoi mille fuochi. Bruscamente, nella calma perfetta, si scatenano accordi violenti ed allegri. Inizia la festa. Canti e grida si fondono in un solo accordo. Ecco arrivare, al ritmo dei loro ‘tacchi’, fra i canti, ballerini e ballerine, che interpretano il flamenco con l’ardore della loro razza. Poi tutti riprendono il cammino … al ritmo della canzone originale ‘caravane’.” Depliant “Nous les gitans”, 1951 (Coll. P. Oger) “Souvenirs d’Espagne” (1952) Questo documentario completamente restaurato appartiene alla “Cinematheque Française”. In un depliant fra i protagonisti è citata la ballerina Carmen Amaya. “Chasing a Rainbow: the life of Josephine Baker” (1986) In questo documentario del regista Christopher Ralling, la voce del narratore Olivier Todd ci accompagna lungo la vita di Joséphine Baker. In un breve filmato della Gaumont-Pathé dal titolo “Bal des Petits Lits Blancs”, serata di beneficenza degli anni ’30, Joséphine danza proprio con Alberto Spadolini. La scoperta del filmato è opera della prof.ssa Andrea Harris del Department of Ballet & Modern Dance TCU. Alberto Spadolini è assunto personalmente da Sir Alexander Korda, fondatore della London Film, come adattatore dei dialoghi per le versioni francesi di alcuni film fra i quali “I racconti di Hoffman”, Premio Miglior Produzione al Festival di Cannes (1951) e “Outcast of the Island” regia di Carol Reed (1951). A pag. 101: Spadolini nel film “Le jour se léve”, di Marcel Carné, 1939 (Coll. B-S n. 254) Sopra: “L’épervier”: in primo piano a sinistra Natalie Paley; in completo scuro Charles Boyer; al centro della foto a torso nudo Spadolini; a destra in giacca bianca Jean Marais. Particolare di una foto di M. Pecqueux - Imperial Film (per gentile concessione della BIFI) Sotto: Spadolini nel documentario “Nous les gitans”, 1951 (Coll. B-S n. 260) A destra: Spadolini danza “Obsession” nel film “Marinella”, regia di P. Caron, 1936 (Coll. B-S n. 257) 102 Cantante “Lasciato per un istante l’Alcazar dove egli canta e danza, Spadolini era venuto nella nostra redazione nella Avenue de Champs-Elysées …” “A l’Intran-Studio avec Spadolini” L’Intransigeant, anni ’30 (Coll. B-S n. 217) Alberto Spadolini, apprezzato cantante di music-hall, negli anni ’30 lavora a fianco dei grandi miti della canzone francese: Mistinguett, Joséphine Baker, Suzy Solidor, Maurice Chevalier, Charles Trenet, Tino Rossi, ecc. In un articolo inviatomi dalla Bibliothèque Nationale de France l’artista marchigiano racconta come a New York, per difendere l’artista di colore Alma Smith, sia diventato cantante: “… Avendo incontrato Miss Alma Smith, artista di talento, che ha cantato e ballato agli ‘Ambassadeurs’, io ho creduto bene d’invitarla a cena in un posto chic. Io fui a malapena salutato da gente che, fino a quel momento, m’aveva letteralmente colmato di gentilezze! Io non avevo, pregando spontaneamente Miss Smits, riflettuto ch’ella era ‘di colore’!! L’indomani, siccome chiedevo spiegazioni a quelli che la sera prima mi avevano trattato freddamente, una cortese giornalista mi domanda, imitando la vostra Lucienne Boyer: - Non potreste parlarci d’altro? E se non parlate, cantate dunque! Quando si domanda, anche scherzando, a un italiano di cantare una canzonetta, è raro ch’egli rifiuti! Fino ad allora, io non mi ero mai curato della mia voce. Cantai due melodie del mio paese: ‘Avanti Savoia’ , unico repertorio! Risultato: bis, ancora!!! Già l’indomani ero convocato alla Radio. Il giorno dopo registrai dei dischi. Come vi dicevo: non si perde tempo in USA! Strana bizzarria del Destino! Ho dovuto venire in Francia per diventare ballerino. Dovrò venire in America per diventare cantante? Se una volta, io ritornerò in questa vibrante e così cordiale America, per fare piacere a ‘zio Sam’ io interpreterò solo “La dama Bianca”. Coloro che hanno conosciuto Spadolini ricordano il timbro della sua voce, una voce calda, capace di trasmettere i sentimenti più profondi come la tenerezza e l’amore, proprio perché esprimeva la bellezza di un animo nobile. “Spadolini è un danzatore nato con un accento, un lirismo, un potenziale ritmico realmente notevole. Inoltre possiede una voce piacevole.” Louis-Léon Martin, Paris-Midi anni ‘30 (Coll. B-S n. 95) “Spadolini è un ballerino dallo stile netto, incisivo, nervoso senza sbavature. Egli ha questo senso del moderno così raro nelle scene e tuttavia così ricco di possibilità. Peraltro canta con una voce gradevole e intonata e possiede la diversità di doni richiesti per il Music-Hall.” Petit Parisien, anni ’30 (Coll. B-S n. 95) Purtroppo nessuno dei dischi incisi negli anni ’30 da Spadolini è stato ritrovato. Alcuni spartiti musicali di Mistinguett, Edith Piaf, Maurice Chevalier, Joséphine Baker, Fernandel e Tino Rossi sono oggi custoditi nell’archivio Bolero-Spadò e in quello di Patrick Oger. Concludo con un ricordo di Stefano Travaglini, nipote di Spadolini, oggi affermato jazzista: “… Se potessi fare una considerazione un po’ azzardata direi che in tutte le produzioni artistiche di Spadolini risuona una musica di sottofondo che ritma e dà movimento, ora aggraziato ora vigoroso, alla sua pittura, alla sua scultura ed anche al suo modo di approcciarsi alla vita. Quando, adolescente, iniziai a strimpellare la chitarra, lui mi guardò con simpatica circospezione e mi disse le fatidiche parole: ‘Bene, fammi sentire qualcosa!’ E prima che tentassi qualche impacciato accordo mi tolse dall’imbarazzo raccontandomi di un fantastico gruppo di Parigi e di Jacques Brel che, solo davanti allo schermo, improvvisava con la chitarra e con la voce la colonna sonora di un film …” «Impressions d’Amérique » di Alberto Spadolini “Il ricordo di Alberto Spadolini” di S. Travaglini, ‘Sourire de France’ 1935 (BNF) maggio 2007 A destra: Il cantante Spadolini in una foto Hartcourt, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 393) 104 Come un principe del Rinascimento “Ho conosciuto Alberto nel 1958 sulla terrazza del bar ‘Français’, proprio accanto al Lido quando era al n. 78 di Champs Elysées. Stavo conversando con l’amica Edda e con il signor Sacareau quando un uomo estremamente elegante, con un’andatura principesca si avvicina a noi. Egli saluta il signor Sacareau che ci presenta. Sono soggiogato dalla classe di quest’uomo, una miscela di manifesta virilità e delicata raffinatezza. Mi viene in mente che i principi del Rinascimento dovevano presentarsi allo stesso modo. Si chiama Spadolini… Abbiamo continuato a conversare sulla terrazza del ‘Français’, poi Alberto ci propone di prendere un bicchiere da lui. Abita proprio lì accanto… Abbiamo attraversato un largo corridoio e siamo entrati in un vasto salone mirabilmente decorato, bei mobili antichi si sposavano armoniosamente con delle confortevoli e moderne poltrone in stile inglese. Il soffitto rappresenta un cielo blu luminoso spezzato da qualche piccola nuvola bianca come quelle che si vedono nel cielo d’estate. Questa casa sembra un piccolo paradiso… Abbiamo passato una serata molto piacevole, Alberto è avvincente e la sua simpatia comunicativa. Non si può che amare un tale uomo. È affascinante, intelligente, colto; la sua conversazione è brillante, senza alcuna pretesa né quella sufficienza che ho sovente incontrato presso altri… E’ se stesso con semplicità, e questo basta per farlo divenire il centro d’interesse in tutti gli incontri…” “Memorie”, manoscritto di Carmelo Petix, 2005 All’inizio degli anni ’60 un giornalista presente all’inaugurazione di una mostra di Spadolini alla Galleria d’Arte ‘A. Cazelles’ rivela che: “Spadolini restava in disparte con un leggero sorriso e dalle sue labbra traspariva amarezza. Aveva uno sguardo profondo che manifestava dolore. Sì era il dolore che esprimevano i suoi occhi e il suo bel viso tagliato in rilievo da medaglia d’imperatore romano o da semidio dell’Antica Grecia. Questo artista originario della città di Ancona che i Dori avevano fondato sul più bel luogo della costa adriatica, era anche un uomo. Un uomo che aveva posto i suoi ideali sotto il doppio segno della civiltà greca e latina e che modestamente non domandava che poche cose alla vita, donando tutto in cambio con generosità. E, come per ironia… se la vita ha colmato di doni l’artista, al contrario non ha esitato a colpire crudelmente l’uomo. … Da più di due anni, dopo aver ricevuto una ferita che non perdona, Spadolini ha lottato con una volontà sovrumana, disperatamente, cercando di ritrovare fede nella vita. Cercando di convincersi che la vita valeva la pena di essere vissuta, malgrado la scomparsa dell’essere che gli fu più caro. Ed è nell’apogeo di questo lutto infinito, che egli ha scoperto il mondo fantastico e irreale dei danzatori che volteggiano sempre gli stessi valzer melanconici, sulle sue tele, come un esploratore perduto nella più terribile tempesta dell’Himalaia scoprirebbe all’improvviso la ‘valle dell’eterna felicità’. Le figure graziose dei danzatori prese nei loro atteggiamenti più belli ed armoniosi, sotto un raggio di luce che filtra attraverso il prisma di un chiaro di luna fiabesco, e fermati per sempre come per incanto sulla tela, rappresentano oggi per Spadolini l’unica ragione d’essere, la sua sola felicità.” Articolo edito a Parigi, primi anni ’60 (Coll. B-S n.206) Legata e parallela a questo periodo è la drammatica storia del carissimo Duilio Cicchi, misteriosamente morto a Parigi nel 1961 e descritto da Anton Giulio Bragaglia come “… la copia di Spadolini a diciotto anni e che, oltre al suo fisico statuario, ha da lui ereditato l’amore per la musica”. È la scomparsa di Duilio a gettare Spadolini nello sconforto tanto da indurlo a nascondere una serie di dipinti, fra cui “Splendore del mare”, dipingendoci sopra altri soggetti. Duilio, un giovane italiano con il padre alcolizzato e la madre povera sarta, emigra in Francia in cerca di lavoro con la speranza di una vita felice. Quando Spadolini lo conosce è denutrito e gravemente ammalato; sopravvive raccogliendo palle da tennis in un circolo sportivo nei sobborghi di Parigi. Alberto lo aiuta, lo sostiene e gli insegna, nel giro di pochi anni, l’arte del ballo e della pittura. Sembra che per Duilio sia iniziata una meravigliosa avventura: si sposa con una ragazza francese appartenente ad una ricchissima famiglia e diventa padre di tre splendide bambine. Comincia ad avere successo lavorando nel 1946 in Italia con la compagnia di Marisa Maresca, insieme a Walter Chiari e allo stesso Spadolini e nel 1955, in Francia, nel film capolavoro di Melville “Bob le flambeur”. Ha poco più di trent’anni quando si compie il suo tragico destino. A pag. 107: Alberto Spadolini e Yvette Marguerie danzano felici al Puerta del Sol di Parigi (Coll. P. Oger) A destra : « Duilio, la première leçon de danse », Spadolini 1947, olio su tela cm. 28 x 35 (Coll. P. Oger) 108 Felix Yussupov Nell’archivio Bolero-Spadò sono stati ritrovati diversi documenti inerenti Felix Yussupov (Pietroburgo 1887 - Parigi 1967), il principe russo che deve la sua notorietà all’uccisione di Rasputin, il terribile monaco che ha soggiogato con i suoi poteri la famiglia dello Zar. La notte del 29 dicembre 1916, nel corso di un banchetto in casa Yussupov, un gruppo di congiurati versa nel bicchiere di Rasputin una tale dose di veleno da uccidere un elefante. Il monaco non ne vuole sapere di morire e allora Yussupov gli spara al cuore. Nemmeno la pallottola lo uccide. Dopo averlo crivellato di colpi i congiurati gettano il corpo di Rasputin nel fiume ghiacciato. Solo quando non lo vedono più riemergere sono certi di averlo eliminato. Fra i documenti ritrovati nell’archivio c’è una preziosa cartolina con un disegno fatto a mano del ‘Gatto Felix’. La cartolina, inviata da Yussupov a Spadolini in data 24 febbraio 1957, è un caloroso invito a recarsi ad Auteuil, sobborgo parigino dove il principe soggiorna. “Auteuil senza di voi è triste!”, dice il Gatto Felix. E sul retro: “Io condivido il parere del gatto. Ti abbraccio e spero di vederti presto. Felix (Yussupov)” I signori Jacques Puisset e Carmelo Petix ricordano che negli anni ’50 hanno frequentato insieme ad Alberto la famiglia Yussupov. In queste occasioni Spadolini rallegra gli amici russi scatenandosi nelle sue danze. L’arte è l’argomento di conversazione in casa Yussupov. Il principe, appassionato di pittura, fa un’ottima recensione alle opere di Spadolini e patrocina nel 1955 la mostra alla Galerie Charles Brandtke di Luxembourg. Inoltre, come ricorda il signor Petix, avendo aiutato il Principe Yussupov a risolvere una importante questione legale, Spadolini riceve in dono una sedia istoriata, due sculture e un letto antico. Ed ancora oggi mi chiedo se la sedia, in seguito regalata da Alberto alle sorelle, sia proprio quella su cui fu fatto sedere Rasputin la notte in cui fu avvelenato! Sopra: Il principe Felix Yussupov in una cartolina degli anni ’30 (Coll. B-S n. 397) Sotto: Rasputin, illustrazione anni ’30 (Coll. B-S n. 296) A destra: Invito del principe Yussupov (Coll. B-S n. 396) 110 Jean Cocteau « … Spadolini sbarca a Parigi, incontra il pianista Clément Doucet e firma un contratto al ‘Bœuf sur le toit’ dove solleva l’entusiasmo… » di forze e cose meravigliose, uno di quei saloon dove si riunivano i cercatori d’oro. L’oro di cui parlo era l’oro dello spirito, un oro leggero, incalcolabile …” “A proposito d’un danzatore” «Memoire de Jean Cocteau », 30 aprile 1942 articolo edito a Bruxelles negli anni ’30 (Coll. B-S n. 73) Giunto a Parigi nella primavera del 1932, Spadolini è colto da una crisi artistica. In lui c’è la paura di fallire in quello che all’epoca è considerato il tempio della danza. E così finisce per stravolgere le sue interpretazioni coreografiche per tentare di imitare quelle più raffinate, ed allora in gran voga, dei Balletti Russi. “A Montecarlo io ballavo Ravel, Stravinski e c’era aria e sole fuori. Quando ho preso il treno per Parigi, io avevo l’impressione di trovarmi su una scena senza sfondo. Ho rischiato di non debuttare mai. Ero l’elemento selvaggio, e come dire anarchico della danza. Le prove sono state disastrose. Si pensava ad un fiasco… E poi un giorno ho trovato una sala. Ho ballato come sentivo, improvvisando come ogni volta che ballo …” “Il fallait un danseur a J. Baker”, intervista a Spadolini di Jean Barois, Paris Midi, 18 – 4 –1933 (Coll. BNF) La sala in questione è quella del “Le boeuf sur le toit”, il locale più esclusivo di Parigi, ideato e frequentato da Jean Cocteau, oltre che da Picasso, dai dadaisti e dagli artisti di Montparnasse. Jean Cocteau (1889 - 1963) poeta, scrittore, disegnatore, regista, attore è universalmente conosciuto per il balletto “Parade” (1917) creato con Picasso e Satie; per il romanzo “Les enfants terribles” (1929), per il film “La bella e la bestia” (1946), ed anche per la sua lunga storia d’amore con l’attore Jean Marais. Nei suoi diari egli ci rivela quanto “Le boeuf sur le toit” sia stato importante per la cultura francese: “… il Boeuf non è stato né un bar, né un ristorante, né un cabaret, bensì la nostra giovinezza, una pausa, un’unione prestigiosa Pochi mesi dopo il suo debutto a Parigi Spadolini è chiamato a danzare nel film “L’Epervier”. Fra i protagonisti la principessa Nathalie Paley, la bellissima sorella del granduca Romanov, nipote dello zar di Russia, con cui Cocteau è stato legato sentimentalmente e da cui è in attesa di un figlio. A spingerla ad abortire sembra sia intervenuta MarieLaure de Noalles che in gioventù aveva molto amato Cocteau e che era contraria ad una loro unione. Sempre nel film “L’Epervier” appare per la prima volta sullo schermo un giovanissimo Jean Marais che in giacca bianca è accanto a Spadolini in una foto di scena. Cocteau, amico di Gabriele d’Annunzio e di tanti ex-frequentatori del Teatro degli Indipendenti come Marinetti, Balla, Depero, Severini, Carrà, Prampolini, ha una predilezione per le scene di danza dipinte da Spadolini. E Spadolini, per ringraziare l’amico francese, inserisce nei depliant delle sue mostre di pittura una sua appassionata recensione. Inoltre, da un articolo pubblicato in Italia nel 1946, sappiamo che Spadolini ha registrato un documentario dal titolo “La danse à travers les ages”, commento e costumi di Cocteau, regia di Berard. Del filmato non si sono trovate tracce se non un disegno di Cocteau per la copertina del depliant “La danse à travers les ages”, serata di danze al Théatre Nationale de l’Opéra a favore dei sinistrati della Normandia. Infine, nell’archivio da me ritrovato a Fermo, c’è il frammento di un depliant in cui Cocteau e Spadolini, insieme ad altri grandi protagonisti delle arti e dello spettacolo partecipano ad una manifestazione culturale svoltasi a Parigi negli anni ‘50. A destra in alto: “Spadolini exhibition of ballets paintings”, Brochure della Bohmans Konstgalleri, Stoccolma marzo 1966 (Coll. B-S n. 178) A destra in basso: Frammento di un depliant di una manifestazione artistica svoltasi a Parigi negli anni ’50 (Coll. B-S n. 165) 112 Un amore lungo venti anni: Alberto Spadolini e Yvette Marguerie “Mia cara Yvette, sono restato veramente commosso da tutte le tue espressioni di gentilezza, dalla tua tenerezza e dalla tua ‘feroce’ volontà nel mantenere vivo il sentimento fra noi. E’ così adesso e lo sarà per sempre. Non posso liberare la mia anima da ciò che l’ha forgiata. Tutto è estremamente intenso in me e lego al mio destino tutti quelli che amo …” Lettera di Spadolini a Yvette Marguerie ( Coll. P. Oger) Yvette Marguerie (1913 - 1999), ballerina e attrice nel cinema muto, è stata per oltre un ventennio il grande amore di Alberto. Proprietaria del Castello di Brignac (Chapelle Saint-Laud Seiches M.et L.), ha prodotto con Spadolini alcuni cortometraggi sulla danza fra cui “Rivage de Paris” (1950), “Nous les gitans” (1951), “Souvenirs d’Espagne” (1952). Il signor Patrick Oger, assistente di Yvette Marguerie la ricorda come “… una signora bella, elegante, intraprendente, calorosa, generosa, che amava rendere felici tutti quelli che le erano intorno” . Facendo parte della famiglia Spadolini ha spesso soggiornato al Castello di Brignac dipingendo alcuni dei suoi capolavori e decorando l’intero Castello in stile ‘rinascimentale’. Fra gli ospiti del castello il Principe Yussupov, la principessa Irina, il duca e la duchessa di Windsor, il ministro André Malraux, gli artisti Lino Ventura e Giovanni Spadolini, ex Primo Ministro e lontano parente di Alberto Spadolini. Negli anni ’50 e ’60 zia Yvette, come io la chiamavo, passava le sue vacanze a Fermo nella casa delle sorelle di Alberto. Lei amava in particolare Porto San Giorgio, la sua spiaggia accogliente, i suoi ristoranti dal pesce sempre fresco, il suo dancing ‘Riva Fiorita’ dove danzava con Spadolini fino a tarda notte. Sopra: Alberto e Yvette davanti ad un bicchiere di buon vino (Coll. P. Oger) A destra: Yvette Marguerie in un dipinto di Spadolini, Castello di Brignac, Foto Coupel Seiches sur le Loir, anni ’50 (Coll. B-S n. 484) 114 Commiato “Quando, nel lontano dopoguerra, Alberto Spadolini veniva in Italia era un avvenimento per tutta la famiglia e una festa per noi bambini. Ricordo che la prima volta venne da étoile di una grande rivista con Walter Chiari, poi da protagonista e regista di film sulla danza. Quando parenti e amici lo complimentavano, lui si schermiva: con loro voleva solo ricordare le sue tante esperienze di bambino e adolescente fra il porto di Ancona, i caffè e i teatri di Roma. Così usciva dall’aura dell’artista (per noi bambini, e anche per qualche adulto, incomprensibile) per rivelare la sua grande umanità. Ancora oggi, mentre ammiriamo i dipinti che ce lo ricordano, è proprio il suo valore di uomo che ce lo rende presente.” Alberto Spadellini, maggio 2007 Alberto Spadolini si sente, si crede, è un sensibile artista e la naturale, incontenibile, dirompente espressione del suo intimo essere è, a mio avviso, il segreto dello straordinario successo raccolto in ogni arte interpretata da questo eclettico talento naturale. L’archivio di Spadolini, punto di partenza di lunghe e fruttuose ricerche, ci permette di incontrare gli intellettuali e gli artisti del ‘900 in quel palcoscenico straordinario che è Parigi. Una vita tessuta da intense relazioni nelle quali Alberto è, di volta in volta, allievo, maestro, collaboratore, protagonista, ispiratore, amante, amico … I riflettori lo accompagnano per mezzo secolo nei teatri, nei cabaret, nelle gallerie d’arte, nei bistrot, nella vita privata. Eppure, di tutto questo, racconta ben poco alla madre, al fratello e alle sorelle che nel dopo-guerra visita regolarmente ogni anno. Anch’io, bambino e ragazzo, ero affascinato dalla sua persona, dalla sua vita Oltralpe, dal saperlo pittore ma solo ora scopro il suo talento ed il suo ruolo di protagonista in quel crogiolo di artisti, faro e riferimento di tutta l’Europa, che è la Ville Lumiere. Le luci, le amicizie elette non lo hanno corrotto e posso dire che l’amore profondo, l’onestà e la generosità sono i suoi più importanti valori. Come abbiamo visto sono numerose le testimonianze di coloro che nei momenti di maggiore bisogno sono stati aiutati da Spadolini. Come Alex, ebreo di origine russa da lui nascosto durante l’occupazione nazista; o come Duilio, il ragazzo povero ed ammalato da lui cresciuto come un figlio; o come Betty, la ballerina svedese finita su di una sedia a rotelle da lui aiutata; o come Alì, giovane musulmano a cui ha insegnato l’arte della pittura; o come Carmelo, prezioso testimone dei suoi ultimi anni di vita. Inoltre per anni egli presta il proprio aiuto come volontario all’Hopital de Dieu de Paris. “ … il ricordo che vorrei cancellare: qualcuno che avvisa mia madre della morte dello zio Alberto Spadolini, l’attesa del rientro di mio padre, la mamma che cerca di trovare il coraggio per comunicargli la morte del fratello, poi la sua partenza per il funerale a Parigi, i giorni seguenti al suo ritorno tristi e taciturni. In seguito mio padre comincerà a dipingere e a costruire cornici abbellendole con conchiglie che andava a recuperare sulle spiagge dell’Adriatico. Non so quale collegamento possa esserci tra la sequenza degli eventi, purtroppo non ho fatto in tempo a domandarglielo, o non ho trovato il coraggio, mio padre è morto dopo alcuni anni. La ‘morte’ , l’ho sempre pensata come il capolinea della nostra vita, immaginare che qualcosa potesse resistere dopo di lei era per me inconcepibile. Ma il dubbio si è insinuato, e una delle cause è sicuramente la tenacia di mio cugino Marco nel sollevare tutto questo ‘polverone’ sullo zio, e non solo sulla figura dell’artista eclettico, non ho dubbi che le opere accompagnino l’artista oltre la morte, ma sull’uomo, sul suo coraggio per le scelte fatte in gioventù, per le decisioni poi prese in una situazione storica che ha attraversato i decenni precedenti e seguenti la Seconda Guerra mondiale. E’ stata soprattutto questa ricerca che mi ha trasmesso la sensazione di averlo per un attimo seguito in qualche istante/frammento della sua vita e mi ha indotto a coltivare la speranza che abbia trasmesso anche a noi qualche gene, non artistico nel mio caso, ma, mi auguro, nella capacità di comprendere e interpretare la vita senza pregiudizi e preconcetti.” Mario Spadellini, maggio 2007 Si, possiamo ben dire che Spadò ha fatto della propria vita un’opera d’arte! A destra: Spadolini e la compagnia del Bolero-Spadò ci salutano. Foto France-Presse anni ’30 (Coll. B-S n. 10) 116