bolero - spadò - Alberto Spadolini

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bolero - spadò - Alberto Spadolini
Marco Travaglini
BOLERO - SPADÒ
Alberto Spadolini, una vita di tutti i colori
Presentazione
di Antonio Calenda
Attraverso l’appassionata ricerca di Marco Travaglini
abbiamo avuto modo di conoscere una figura veramente singolare: Alberto Spadolini.
Prendendo le mosse da un capostipite delle avanguardie italiane come Anton Giulio Bragaglia, Spadolini si
impone in Francia all’attenzione dei grandi artisti dell’epoca, artisti di rilievo assoluto come Max Jacob e Jean
Cocteau che riconoscono in lui una versatilità innata
nell’arte della danza, della coreografia, della pittura, della scenografia …
Impressionare questi artisti che negli anni ’30 erano i
punti di riferimento della cultura mondiale (ricordiamo
che era il tempo dei Ballets Russes di Sergej Diaghilev,
c’era Nijinskij a Parigi), impressionarli a tal punto da
ricevere da loro giudizi di grandissima ammirazione è
una cosa che ci sorprende e ci appassiona.
Come ci sorprende e ci appassiona che Spadolini non
abbia mai studiato danza ma solo scenografia.
Per cui io ritengo che tutto quello che ha fatto Marco Travaglini, in una appassionata ricerca che è durata
anni, per ricordare a tutti noi che c’è stato un italiano
che si è imposto all’estero, che ha fatto conoscere un
versante della nostra cultura, del nostro saper essere anche improvvisatori, è una cosa che ci commuove.
E ciò testimonia di una grande passione verso l’arte che
non possiamo non riconoscergli.
Antonio Calenda
Direttore del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia dal maggio 1995, ha iniziato la propria attività teatrale nell’ambito del
Teatro Universitario di Roma. Nel 1965 ha fondato insieme a
Virgilio Gazzolo e Luigi Proietti il Teatro Centouno. Successivamente ha lavorato per il Teatro di Roma e ha diretto per nove
anni il Teatro Stabile dell’Aquila. Suo il discorso inaugurale nel
corso della Rassegna “Bolero-Spadò”, al Castello degli Agolanti
di Riccione, maggio 2005.
Sopra: Nijinsky, Spadolini, Serge Lifar in figurine della danza 1933 (Coll. privata)
A destra: Spadolini con una sconosciuta ballerina ne “La Ninfa e il Fauno”, foto anni ’30 (Coll. B-S n. 17)
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La scoperta dell’archivio
Sono caduto dalle nuvole quando, nell’autunno 1978,
zia Giorgia, con la voce rotta dall’emozione, mi ha chiesto telefonicamente di aiutarla a traslocare dalla sua casasartoria di Fermo. Nemmeno per me è facile lasciare i
luoghi in cui ho trascorso gli anni più belli della mia
giovinezza.
Dopo aver caricato su di un camion mobili, letti, tavoli,
sedie e, con particolare cura, alcuni quadri dipinti da
mio zio Alberto, domando alle zie: “In soffitta non c’è
niente da portare via?”
“Hai già lavorato abbastanza!”, protesta Giorgia.
“Ci sono solo vecchi stracci!”, cerca di dissuadermi zia Maria.
Testardo come un mulo volo fino all’ultima rampa di
scale, apro la porta e scruto attentamente nella semi oscurità. Un tempo questo era il mio regno. Da piccolo
qui correvo a nascondermi quando i miei genitori venivano a prendermi per ricondurmi a casa al termine
delle vacanze. Da adolescente è qui che mi rifugiavo per
ascoltare i primi dischi dei Beatles e dei Led Zeppelin.
Conosco ogni angolo di questa soffitta: il camerino
con i ritagli di stoffa; la parete dove sono ammucchiati
i giornali di moda; i manichini che mi divertivo a far
girare come trottole.
Un cartone con la scritta ‘Alberto Spadolini’ cattura la mia
attenzione. Di questo zio, morto a Parigi nel 1972, so
ben poco. Anche la sua morte è avvolta nel mistero: ne
siamo stati informati con due giorni di ritardo e qualcuno, nel frattempo, ha fatto sparire dal suo appartamento
documenti, libri e diari …
“Non c’è più posto qui dentro!”, protesta il conducente
quando cerco di salire a bordo del camion con lo scatolone.
“Non si preoccupi, lo tengo in braccio!”, lo tranquillizzo.
Ben presto mi rendo conto di aver scoperto ‘l’archivio
Spadolini’. All’interno sono stipati un centinaio di fotografie degli anni ’30, manifesti, libri, articoli, spartiti
A destra: Spadolini ritratto da Roger Carlet, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 32).
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musicali, depliant degli spettacoli di danza e delle esposizioni di pittura in Francia, in Svezia, in Belgio, in Germania, in Danimarca, in Italia, in Africa, in America, in
Estremo Oriente…
L’archivio Spadolini resta a lungo nello scatolone. A punzecchiarmi ci pensa l’amico Antonio Bortolotti che più
volte mi esorta a studiare quegli ingialliti documenti.
Nel maggio 1986, convinto di sapere tutto, scrivo un
articolo su zio Alberto per la rivista “Quaderni del Centro
C. G. Jung”.
Nel 1999 riprendo le ricerche e, certo di aver svelato
anche gli ultimi segreti, insieme ai miei studenti dell’Istituto Statale d’Arte ‘F. Fellini’ di Riccione dedico a
Spadolini un capitolo del libro “Alla scuola dell’albero:
crescere secondo natura”.
Ho quasi dimenticato quella storia finché con la mia famiglia, nell’estate del 2004, trascorro le vacanze a Parigi.
Mi reco sulla tomba di Spadolini nel cimitero parigino
di Saint-Ouen e, con enorme sorpresa mi avvedo che, a
distanza di trent’anni dalla sua morte, qualcuno gli porta
ancora fiori freschi.
Nella speranza di rintracciare lo sconosciuto amico
dello zio lascio nel sottovaso un bigliettino con il mio
recapito. Dopo qualche mese squilla il telefono… un
accento francese… e, come per incanto, entro nel magico mondo di Spadolini.
Novello ‘Indiana Jones’ rintraccio alcuni dei suoi più
cari amici; entro in possesso di alcune sue lettere rimaste sepolte per 70 anni in una cantina; recupero un centinaio di preziosi documenti nelle biblioteche di Parigi
e di Londra; scopro una trentina dei suoi dipinti fra cui
uno nella collezione dell’ex primo Ministro Giovanni
Spadolini, suo lontano parente; ricevo in regalo il costume di scena da lui indossato migliaia di volte per danzare il “Bolero” di Ravel … e mi arrendo all’evidenza: ho
conosciuto solo “la punta dell’iceberg” Spadolini.
Allievo di
Bragaglia
Alberto nasce il 19 dicembre 1907 nel quartiere Piano
di San Lazzaro ad Ancona. Le sorelle ce lo descrivono
come un bambino intelligente, amante dello sport e di
ogni forma d’arte. Ricorda della sua infanzia la grande
amica Margherita Golinelli:
“Amarlo era facile: era molto buono e affettuoso. L’unico difetto,
se si può chiamarlo tale, era la sua vivacità, una cosa incredibile.
Egli non stava mai fermo. Scattante come una molla, voleva
rendersi utile in tutto e per tutto. Amava la natura, la campagna.
Dato che lo zio Luigi possedeva un orto, Alberto gli era sempre
vicino per aiutarlo ma purtroppo, mancando di pratica, era più
il danno che l’utile. Alberto dialogava con tutti, non faceva distinzione fra giovani e anziani, proteggeva i più deboli con tanta
generosità.”
“Alberto Spadolini” ‘Quaderni’ Centro Jung 1986
La sua mente è sempre in fermento: fantastica luoghi
leggendari, eroiche imprese che mette in scena con i
suoi amici. Con qualche asse di legno ed un telo strappato è in grado di allestire un palcoscenico dove si esibisce in piccoli spettacoli teatrali. E c’è sempre qualcuno
disposto a fermarsi per ascoltare le gesta di Giulio Cesare o di Sandokan.
Spadolini è ancora un bambino quando apprende dal
maestro anconetano Baldinelli i primi rudimenti della
pittura.
All’inizio degli anni ’20 Alberto approda a Roma al
Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia
(Frosinone 1890 - Roma 1960) di cui diventa allievo ed
amico.
Bragaglia accomuna l’interesse per molteplici discipline
come archeologia, cinematografia, fotografia, scenografia, musica e danza moderna, grafica, pittura, scultura,
senza disdegnare l’esoterismo.
‘Talpa Anton Giulio’, come scherzosamente lo chia-
mano i suoi amici, scavando nel sottosuolo di palazzo
Tittoni a Roma trova nuove gallerie e da esse ricava gli
spazi per aprire il Teatro Sperimentale degli Indipendenti. Qui porta in scena opere di Campanile, Pirandello, George Bernard Show, Orio Vergani ed allestisce
ben cinque Gallerie d’Arte.
A proposito di Spadolini scrive lo storico dell’arte Stefano Papetti:
“…l’amicizia con Anton Giulio Bragaglia, che lo conobbe e
sostenne nei primi anni romani, si manifesta nel cinetismo delle
figure che discende da una personale revisione del dinamismo
caro ai futuristi. Negli anni della gioventù di Spadolini, le Marche avevano vissuto infatti una stagione artistica caratterizzata
dal diffondersi fra gli artisti più giovani di un esasperato desiderio di rinnovamento: a Macerata, in particolare, pittori come
Monachesi, Tulli e Pannaggi avevano raccolto il testimone di
Boccioni dando vita ad una tarda stagione futurista in seno alla
quale può iscriversi anche l’esordio di Spadolini.”
Stefano Papetti, direttore Pinacoteca di Ascoli Piceno
“Rassegna Bolero-Spadò”, Riccione 2005
A pagina 15: Spadolini in una foto Fratelli Mammoli di Ancona, anni ‘20 (Coll. B-S n. 391)
Sopra: Anton Giulio Bragaglia. Immagine tratta da una cartolina postale inviata nel 1951 dal celebre regista a Spadolini per informarlo dell’avvenuta
pubblicazione del volume “Danze popolari italiane” con un capitolo a lui dedicato (Coll. B-S n. 395)
A destra: Spadolini, foto Cayeb Bruxelles fine anni ‘30 (Coll. B-S n. 45)
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Prediletto da
Gabriele
d’Annunzio
Carmelo Petix, grande amico di Spadolini, nel corso
di un colloquio nel 2005 mi sorprende raccontandomi
che mio zio ha conosciuto Gabriele d’Annunzio (1863
– 1938).
La conferma mi giunge solo nel maggio 2007.
Patrick Oger mi spedisce un pacchetto contenente alcune
fotocopie del libro “D’Annunzio”, edito a Parigi nel 1971
da Arthème Fayard, scritto da Philippe Jullian, giornalista
del “Figaro Littéraire” e autore d’importanti biografie, fra
cui quella di Oscar Wilde e Sarah Bernardt.
Nelle prime pagine del volume, insieme ai ringraziamenti a S. M. la regina Maria José, alla principessa Bibesco e ad André Malraux, Jullian così ringrazia l’artista
marchigiano:
«Spadolini, il celebre ballerino, mi ha raccontato il soggiorno,
fatto da giovanissimo, al Vittoriale».
Dopo aver perso un occhio nel corso dell’ammaraggio
vicino a Grado nel 1916, ed essere sfuggito al bombardamento di Fiume nel 1920, d’Annunzio trova il suo
estremo rifugio a Gardone Riviera, sul lago di Garda,
nella tenuta di Cargnacco.
I lavori di sistemazione di quello che diventerà il Vittoriale degli Italiani, emblema del ‘vivere inimitabile’ di
d’Annunzio, cominciano nel marzo 1923 sotto la direzione dell’architetto Giancarlo Maroni e la supervisione
dello stesso d’Annunzio.
Il Poeta ha una grande passione per il corpo, femminile
e maschile, e la sua residenza è ornata anche di disegni,
bronzi e riproduzioni di giovani, donne e uomini; in
una nicchia della Stanza della Cheli (sala da pranzo così
chiamata dal nome greco della tartaruga che troneggia
in mezzo al tavolo) si ammira, ad esempio, il busto di
Antinoo, bellissimo giovane vissuto nel 130 d. C. amato
dall’imperatore Adriano.
Jullian scrive nel suo libro che Spadolini divenne il prediletto del Poeta alcuni mesi dopo il ‘volo dell’Arcangelo’, ossia la misteriosa caduta dalla finestra di Gabriele
d’Annunzio del 13 agosto 1922 in seguito alla quale rimase dodici giorni fra la vita e la morte.
Ma ecco il brano dello scrittore francese:
«La testimonianza di un uomo nel quale il ricordo di una grande bellezza e di un grande successo sulla scena non è stato, come
spesso accade, deformato o guastato dagli anni, precisa i sospetti
che nascono anche nella mente del visitatore meno prevenuto.
Venuto giovanissimo al Vittoriale nel 1924, allievo di un decoratore incaricato di metter in scena un’opera nel primo teatro all’aperto, il nostro testimone ci dice che d’Annunzio, a cui la vista
si era molto abbassata, sarebbe stato all’inizio attirato dalla sua
voce e si sarebbe attaccato a lui come a un paggio che lo avrebbe
guidato nei giardini per dirgli tutto ciò che vedeva. Nacque così
un’amicizia.
In alto: Immagine scattata il 12 agosto del 1922, il giorno prima del ‘volo dell’Arcangelo’, ossia della caduta dalla finestra dalla Prioria del Vittoriale.
D’annunzio, nel gioco d’ombre sulla cravatta, vide la mano della madre. Foto tratta dal libro di Attilio Mazza, “D’Annunzio e l’occulto”, Roma,
Edizioni Mediterranee, 1995 e pubblicata con l’autorizzazione dell’autore
A destra: Spadolini, foto Condé Nast 1933 (Coll. B-S n. 6 )
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E il giovane fu invitato a restare al Vittoriale e poi a trascorrervi parecchi soggiorni. D’Annunzio confidava al suo compagno
tutto ciò che gli passava per la testa: ‘I visitatori sono importuni,
ma, come le mosche serali, fanno parte della mia vita … Tutto
ciò che è felice è per gli imbecilli, per noi la perfezione non è che
nella nostra immaginazione…
La maggior parte delle persone non hanno bisogno che di cacare,
il resto non conta …’ Gli citò più di una volta questa frase di
Nietzsche: ‘Un uomo virtuoso (si potrebbe dire normale) è un
essere di specie inferiore per questa sola ragione: che non è una
persona poiché il suo valore consiste nell’essere conforme ad uno
schema di uomo fissato una volta per tutte’.
«Comunque D’Annunzio non incoraggiava la familiarità:
‘Chiamami Poeta e non più Maestro, ma non per nome: il mio
nome è come una lacrima nella mia anima …’.
Infine nel corso di una passeggiata, durante la quale aveva a
lungo parlato di bellezza delle statue greche, il Poeta ordinò al
suo compagno di spogliarsi: ‘Ma … i giardinieri …’. ‘I giardinieri non vedranno quello che io vedo, io solo conto.
Guardami in faccia. Il peccato è guardare se ci guardano, poiché
in questo caso tu ti associ alla bassezza degli altri. Alza le braccia
… che bellezza!!!’
«Quando il giovane decise di partire per Parigi il Poeta gli diede
una mandragola, che egli stesso aveva scolpito, e tre lettere, una
per Maurice Rostand e l’altra per Emilienne d’Alençon, ‘la più
grande checca e la più grande puttana’, D’Annunzio era certo
che se la sarebbe cavata.
Del terzo plico disse: ‘Non l’aprire che quando sarai a Parigi’.
Conteneva la somma, allora considerevole, di quarantamila lire
in biglietti nuovi.
Beninteso, questa avventura non permette affatto di dichiarare D’Annunzio pederasta; ma, come Giove, l’eroe, dopo tante
Lede, tante Danae, tante Europe, ha avuto qualche Ganimede.
Non era un uomo da donne era un uomo d’amore’, disse un
giorno di lui Miss Barney».
“D’Annunzio” di P. Jullian, Ed. Fayard, 1971 (Coll. P. Oger)
Jullian non conobbe d’Annunzio e la testimonianza dell’incontro riferitagli da Spadolini contiene alcune imprecisioni, ad esempio il Poeta non fu mai scultore, pur
spacciandosi per tale con Mussolini al quale scrisse il 17
marzo 1924:
«Ti mando due segni che sono due amuleti di sicura virtù. Escono
da quel mio botteguzzo del Vittoriale, dove lavora per me e con me
[sic!] un orafo che a gioco io chiamo Mastro Paragon Coppella»
Ma al Vittoriale non vi fu bottega di orefice; il Poeta
chiamò Mastro Paragon Coppella alcuni gioiellieri
come il milanese Mario Buccellati suo fornitore di piccoli oggetti preziosi da donare agli amici e alle donne.
Le ricerche condotte a Gardone Riviera negli archivi del
Vittoriale non hanno rivelato altre notizie sulla presenza
del giovane Spadolini, per cui quanto scritto da Jullian
non può essere arricchito da ulteriori particolari.
Attilio Mazza, studioso della vita del Poeta, autore di
molte pubblicazioni, soprattutto relative alla dimora
gardonese e alla superstizione e alle pratiche esoteriche
di Gabriele d’Annunzio, ricorda che l’11 settembre 1927
viene rappresentata in una radura del parco del Vittoriale (ancora non era stato costruito l’attuale teatro) una
memorabile edizione della tragedia pastorale ‘La figlia di
Iorio’ con la regia di Giovacchino Forzano che porta in
scena quattrocento comparse e Maria Melato protagonista.
Quando d’Annunzio incontra Spadolini forse già pensa
alla rappresentazione e ciò giustificherebbe la richiesta
di collaborazione artistica. All’epoca Spadolini lavora
nella bottega di Duilio Cambellotti, scenografo al Teatro Reale di Roma e al Teatro Greco di Siracusa, e lo
stesso vanta la messa in scena nel 1908 della tragedia “La
nave” di Gabriele d’Annunzio allestita con la compagnia
del Teatro Stabile di Roma. Si può ragionevolmente
supporre che, proprio grazie all’aiuto di Gabriele d’Annunzio, Spadolini sia successivamente entrato nelle
grazie di Maurice Rostande con cui collabora più volte,
iniziando così la sua folgorante carriera nella Parigi degli
anni Trenta.
Spadolini mantiene indelebile il ricordo dell’incontro
nel nascente Vittoriale e in un’intervista del 1933 esprime il desiderio di rendere omaggio a Gabriele d’Annunzio danzando accanto alla grande Ida Rubinstein il suo
poema sacro – dedicato proprio alla Rubinstein - “Le
martyre de Saint Sébastien”, musicato da Claude Debussy, pubblicato a Parigi nel marzo 1911 dall’editore Calmann-Lévy. Dopo poche settimane esordisce al Théâtre
du Châtelet, grazie anche al finanziamento della stessa
protagonista Rubinstein; la stampa annuncia l’evento
con grande anticipo, informa delle prove alle quali partecipano gli stessi autori, d’Annunzio e Debussy, suscitando grande attesa negli ambienti più raffinati; inoltre
la corte russa della Rubinstein ne racconta le meraviglie
nei salotti parigini contribuendo al successo.
A destra: Spadolini danza “Le martyre de Saint Sébastien”, anni ’30 (Coll. B-S n. 21)
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Giovane pittore
“Pensate che da adolescente mentre studiavo nello stesso tempo la
pittura e la scenografia, ho lavorato da muratore per non morire
di fame. Costretto ai peggiori bisogni, alle privazioni, io ho preso
l’abitudine alla sopportazione, alla forza e al disprezzo della
stupidità…”
il “San Francesco d’Assisi” del 1925, di cui ci resta solo
una fotografia in bianco e nero. Alberto è particolarmente legato a questo dipinto tanto che lo sistema con
molta cura nella casa paterna ad Ancona.
“Spadolini, ou les confidences d’un homme nu”,
di Charles-Etienne, ‘Sourire’ del 27/4/1933 (Coll. B-S n. 54)
“Purtroppo negli anni ’30 Angelo Spadolini, padre di Alberto,
impiegato nelle Ferrovie dello Stato, è licenziato per non aver
aderito al Partito Nazionale Fascista. Trovandosi in gravi ristrettezze economiche, egli è costretto a vendere il ‘San Francesco’ ad un commerciante di Venezia che, a sua volta, lo rivende
al curato della Chiesa di Bradford (USA). Quando Alberto
lo scopre si infuria e promette a se stesso di rintracciarlo. Dal
mercante si fa rivelare il nome dell’acquirente ed attende con impazienza l’ora di varcare l’oceano.
L’occasione giunge alcuni anni dopo. Spadolini sbarca in America per una tournée nel 1937. Appena si libera dagli impegni di
lavoro assume a New York un fotografo e si reca nella cittadina
di Bradford per avere almeno una foto di quell’opera. Opera che
a distanza di anni è ancora capace di commuoverlo.”
Negli anni ’20 Alberto frequenta anche l’Accademia di
Belle Arti.
Naturalmente ogni giorno egli torna nelle Gallerie degli
Indipendenti dove oltre ad essere aiuto-scenografo, partecipa ad una mostra collettiva con due dipinti.
In quella occasione gli artisti d’avanguardia lo sfottono
con la peggiore delle accuse: “Sei un passatista!”
Spadolini sembra non prendersela.
Ma alcuni anni dopo con un intervistatore francese sfoga la sua rabbia:
“Si, dall’età di 14 anni io dipingo. Ho studiato in Italia alle
Belle Arti. E’ una distensione che mi fa dimenticare la fatica …
Si, amo dipingere il cielo, il mare, le nuvole; amo la pittura per
esprimere l’illusione dell’aria e della realtà. Non bisogna, penso, deformarla per fare un’opera psicologica. Io voglio che i miei
quadri diano l’illusione del vero non dello stilizzato. Bisogna,
in una tela, sentire la freschezza dell’aria, la leggerezza delle
nuvole, come se si guardasse da una finestra. Un personaggio che
si muove non bisogna deformarlo. Così io penso che ora non si
faccia della vera pittura. Che vuole che si faccia dopo Leonardo
da Vinci o Raffaello? Si è andati avanti in tutto nella nostra
epoca, salvo in pittura e se io ho un odio è verso quelli che abbruttiscono la nostra generazione con una falsa estetica, un odio
che mi dà voglia di picchiarli …”
“Il fallait un danseur a Joséphine Baker,
ce fut un peintre qu’elle choisit”, Paris Midi 18-4-1933 (BNF)
Del periodo romano, insieme ad alcuni bozzetti di scena, ho rintracciato il ritratto dello zio Luigi Veronesi,
a cui Alberto è molto affezionato, dipinto da Spadolini nel 1924; una Madonna con le mani congiunte ed
Intervista a Giorgia, sorella dell’artista,
Archivio Jung 1986
È la fine degli anni ’20. Benito Mussolini, stanco della
troppa indipendenza di quel gruppo di giovinastri capeggiati da Bragaglia, organizza anche lui una beffa: ordina la chiusura definitiva del Teatro degli Indipendenti
che ormai naviga in acque sempre più agitate a causa di
problemi finanziari.
Con una valigia di cartone Spadolini sale sul treno che
lo conduce in Francia.
Grande è il rimpianto nel lasciare tanti amici e soprattutto Bragaglia e Pannaggi che sta per partire per la Germania ed il Bauhaus.
Nelle loro orecchie risuonano per l’ultima volta le note
del ritornello di Curzio Malaparte:
“E’ Bragaglia quella cosa
che antongiulia i giovanotti
quando poi li fa barzotti
quelli scappano a Parì”
A fianco: “S. Francesco d’Assisi” di Spadolini, 1925. La foto è stata scattata nel 1937 nella Chiesa di Bradford - USA (Coll. B-S n. 168).
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In Francia da Paul Colin
Alberto cerca fortuna in Francia, allora naturale approdo
di tanti giovani artisti. Purtroppo anche in quel paese
le restrizioni nei confronti dei nostri emigranti sono
numerose e, poiché non ha un lavoro fisso, ne viene
espulso.
Come abbiamo visto Spadolini non si arrende: si reca
al Vittoriale a trovare Gabriele d’Annunzio e ritorna in
Francia con le lettere di raccomandazione. Probabilmente è grazie a Maurice Rostand che ottiene un contratto come decoratore nell’atelier di Paul Colin (1892
- 1985), a quell’epoca uno dei più apprezzati scenografi,
autore fra l’altro dei manifesti pubblicitari per Joséphine
Baker.
I soldi sono pochi, racconta di quegli anni Spadolini, e
bastano appena per pagare la mezza pensione e per mandare qualche cosa ogni mese alla madre.
All’inizio del 1932 ritroviamo Alberto a Villefranchesur-mer, sporco di vernice e madido di sudore mentre
dipinge insieme ad altri giovani le scenografie in una
sala da ballo.
Durante una pausa dell’allestimento scenico egli è come
rapito dalla musica degli orchestrali che stanno provando una partitura.
In un articolo si ricorda l’episodio:
“L’orchestra attaccò le prime note della seconda Rapsodia di
Liszt… Spadolini, in pantaloni bianchi e maglietta, si mise
a ballare… presto, dal brusio si passò ad un silenzio religioso.
Fu un trionfo. All’impresario che voleva immediatamente ingaggiarlo, Alberto rispose divertito: ‘Ma non ho mai appreso a
ballare!’
‘Che importa, voi farete ciò che vorrete, non dovete occuparvi
d’altro!’ … Non aveva né partitura, né costume, così che debuttò
vestito d’un lenzuolo. Interpretò una danza antica e tutta la
poesia greca si materializzò nella sala in delirio”.
Jenny Josane “Vedettes”, Parigi 1941 (Coll. B-S n. 71)
Il magico momento è ricordato anche da Bragaglia:
“…in una esibizione davanti ad amici danzò selvaggiamente,
esprimendo al di là dei canoni scolastici, che gli erano ignoti, un
lirismo coreico sgorgante primitivo e prepotente, dal suo istinto
di complesso artista plastico. Per fortuna quella volta, fu visto
dall’impresario lirico del Casinò. Egli lo scritturò, come un fenomeno artistico, inserendolo nei suoi spettacoli.”
“Spadolini danzatore d’istinto”
di A. G. Bragaglia (Coll. B-S n. 264).
In una intervista Spadolini ricorda il suo debutto all’Eldorado di Nizza il 9 aprile 1932.
Poco dopo danza in uno spettacolo allo Stadio di Antibes, di cui rimane una fotografia con sullo sfondo “l’antico Fort Carré”. Nel giugno 1932 il danzatore trionfa
al ‘Boeuf sur le Toit’ e all’Empire di Parigi dove riceve
la visita di Varna e di Joséphine Baker che lo scritturano,
per l’intera stagione, al Casinò de Paris.
Per rispettare alcuni contratti che ha firmato in precedenza il 5 agosto 1932 l’artista deve tornare sulla Costa
Azzurra. Partecipa alla serata di gala “Les nuits olympiques” al Casinò de Montecarlo Beach.
Tornato a Parigi Spadolini è il misterioso ospite notturno di una imbarazzata Joséphine Baker.
Il 3 dicembre 1932 egli debutta a fianco di Joséphine al
Casinò de Paris, mitico locale frequentato da divi, intellettuali, principi e re, trampolino di lancio verso il
Metropolitan e lo Ziegfield’s Follies di New York.
Le cronache dell’epoca narrano che Paul Colin si sorprende assai quando ritrova Alberto senza tavolozza e
senza pennelli in mano fra le sue scenografie al Casinò
de Paris. Alla domanda perché abbia lasciato il suo lavoro a Villefranche e soprattutto che ‘diavolo’ ci faccia a
Parigi, Spadolini risponde candidamente che ha bisogno
di muovere non solo le mani ma anche i piedi!
A pag. 25: Spadolini “Apollo danzante”, foto Maurice Seymour, Chicago anni ’30 (Coll. B-S n. 13).
A destra: Spadolini in stile futurista, foto Studio Piaz, Parigi anni ’30 (coll. B-S n. 2).
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Intervista
“È proprio un danzatore sconosciuto, è un danzatore spontaneo?
O almeno non ha egli, così giovane, un passato? Da dove viene?
Di colpo ha conquistato, con la virtù della sua arte, la notorietà
parigina e senza alcuna diplomazia di reclame, né imbroglio
preliminare… ma infine, chi è?
- Non importa chi io sia - protesta modestamente Spadolini
interrogato - e cosa sia stata fino ad ora la mia avventura
umana. Io ballo…
- Ma sentite. Lei è italiano, vero? Come dimostra il suo nome,
a meno che sia uno pseudonimo!
- No, è il mio vero nome. Io sono nato in Ancona. Ho passato la
mia adolescenza a Roma, allievo saltuario alla Scuola di Belle
Arti, volevo dipingere, un lavoro normale, per ragioni materiali che lei comprende. Io ho avuto dalla vita una educazione
molto rude ma ho sempre avuto molta fiducia. Sono venuto
giovanissimo in Francia. Ma questo è un romanzo. Talvolta
terribilmente vissuto! Che importa? Io ballo!
- Lei danza in modo diverso dagli altri.
- Io ballo come sento. Ciascuno ha il suo temperamento, la
sua reazione quotidiana. Io non ballo mai due volte la stessa
danza, potrei dire, pur conservando la stessa coreografia, che
ascolto l’emozione che mi dà la musica. E’ perché credo alla
necessità della scuola, ma anche alla necessità di dimenticarla.
La tecnica deve diventare in modo inconscio la seconda natu-
ra del ballerino, la docile disciplina riflessa. Prima di tutto il
sentimento, ma un sentimento intellettuale… E’ la musica
che scatena la mia danza. L’orchestra non mi accompagna,
suona, e la mia danza ne diventa l’immagine corrispondente,
io esprimo la musica e esprimo me stesso sotto la sua vibrazione. Ciò vi spiegherà perché sono molto più spossato, uscendo
di scena, al Casinò de Paris, dopo la mia ‘danza spagnola’
o la mia ‘danza del Sole’, che dopo le mie acrobazie, di cui
voi tutti conoscete le difficoltà tecniche, soprattutto perché non
sono un acrobata.
- E tuttavia, Spadolini, lei ci mette tutto il suo spirito e tutto
il suo corpo. Non è mai, e me ne felicito con lei, un semplice
fardello umano leggero. Sempre il suo viso sfuma i riflessi della
passione materiale e morale che il suo personaggio incarna. E
sembra a me, profano, che ciò dipende da un bell’equilibrio
interiore che non si lascia andare né alla mimica né all’atto
fisico in queste circostanze. Ci vuole la forza del genio.
- Oh, oh! Lei esagera …
- Si rassicuri, Spadolini, intendo dire soltanto che avete un
talento naturale, il talento della sua natura. La sua arte è
l’espressione diretta di lei stesso, disciplinata e coltivata, ma
sempre zampillante. Se fossi un poeta, io la paragonerei a getti
d’acqua danzante!”
Sopra: Spadolini nel “Bolero” di Ravel, foto J. Cadoux, Genève anni ’30 (Coll. B-S n. 28)
A destra: Spadolini in una danza “Jazz”, foto Studio Piaz, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 18)
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Legrand-Chabrier, L’Intransigeant, 29.12 1932 (BNF)
Crea le sue danze in poltrona
“… Non ha mai ballato ma si lancia improvvisamente colpito
da non si sa che cosa, per eseguire una scena meglio di chiunque altro. Crea composizioni pittoriche strane e sontuose dopo
lunghe meditazioni in una poltrona e allo stesso tempo la sua
mente viaggia verso le sue coreografie … tutto sembra conferirgli
un’aurea magica.”
Tratto dal manoscritto “Alberto Spadolini”
di Jean-François Crance, 2007
Spadolini crea non solo nuove scenografie, ma anche
nuove coreografie, sedendosi su di una poltrona. In un
articolo leggiamo:
“Per preparare il suo prossimo recital, Alberto non è mai uscito
di casa per delle settimane. I suoi attrezzi da lavoro sono una
poltrona o un divano, un grammofono, dei dischi e delle partiture. Instancabilmente, egli ascolta la ‘Fuga in re minore di
Bach’, la ‘Danza del fuoco’ di Manuel de Falla o il ‘Minuetto’
di Lulli. E sulla partitura musicale che egli studia a fondo, poco
a poco disegna la sua futura interpretazione coreografica. Non
fa un gesto finché non è completamente impregnato dell’opera.
Spadolini si rifiuta d’essere un ballerino. E’ anzitutto un eccellente musicista, un appassionato della musica. Quando prepara
il suo repertorio non ripete la danza, non ascolta la partitura;
egli la studia, la decompone, l’analizza nota per nota delle ore
intere. Quando la ‘possiede’ infine, è pronto a ballare.”
“La Semaine”, Parigi 4.11.43 (Archivio BNF)
Alex Wolfson ricorda che Spadolini ha appreso alcune
tecniche d’autoipnosi quando era aiuto scenografo al
Teatro degli Indipendenti di Roma. E’ infatti documentato che alla fine degli anni ’20 Bragaglia organizza la
conferenza del prof. Gabrielli che delizia il pubblico con
una serie di esperimenti d’ipnosi e di lettura del pensiero a distanza.
Spadolini si allena quotidianamente, ad occhi chiusi in
poltrona, a far affiorare dal proprio inconscio particolari
visioni che dipingerà sulla tela, versi poetici che scriverà
su di un foglio di carta, nuove coreografie che rappresenterà nel corso dei suoi spettacoli.
Sopra: Spadolini si prepara alla “Danse grecque”, foto Joe Pasen, Palais de Chaillot Parigi anni ’40 (Coll. B-S n. 36)
A destra: Spadolini indossa i panni del “Casanova” , anni ’30 (Coll. B-S n. 23)
30
Cagliostro della danza…
o fenomeno d’incarnazione?
“Mentre egli danza il suo viso diventa furioso come posseduto
da un demone, ch’egli teme; e lo si vede dai passaggi mimici che
esprimono, appunto, il terrore della propria furia.”
“Spadolini danzatore d’istinto” di A. G. Bragaglia (Coll. B-S n. 264)
Alcuni dei maggiori intellettuali francesi degli anni ’30
sono fra i primi ad intuire le straordinarie attitudini dell’artista.
Il celebre poeta Paul Valery rimane incantato: “Mitologico, mistico, faunesco! Visione di Spadolini”.
Il regista e fondatore del ‘Théatre de l’Oeuvre’ Lugue
Poé è certo: “Spadolini sopravanza il nostro secolo”.
Il critico della danza Fernand Divoire resta assai turbato
quando scopre Spadolini:
“Non so bene perché Spadolini mi faccia pensare a qualche Ca-
gliostro della danza. E’ a causa delle sue apparizioni in parrucca
e dei suoi costumi che hanno talvolta il valore di travestimenti?
O forse perché per danzare egli si affida a qualche fenomeno
d’incarnazione? Non lo so. La danza di Spadolini è qualche
cosa di unico. Si vede bene che il suo corpo è curato in modo
possente, con forza. Si vede bene che il suo scopo è quello che
Lifar chiama espressionismo.
Come vi giunge? Semplicemente con i suoi sensi.
Egli non ha come Torrès, il supporto di una tecnica nazionale,
né come altri la tranquilla sicurezza ed i limiti sapienti di una
tecnica accademica.
Egli deve inventare tutto per non cadere nella monotonia sia
che balli una danza spagnola, ungherese, un ‘Chiar di luna’
di Beethoven o una ‘Toccata’ di Bach. Il rinnovarsi dei passi lo
porta all’eclettismo.”
“Spadolini”, F. Divoire, Paris Midi 13/12/ 43 (Coll. B-S n.78)
Sopra: Spadolini “Apollo danzante”, foto Maurice Seymour, Chicago anni ’30 (Coll. B-S n. 14).
A destra: Spadolini in “Exotische Vision di Lecuona”, foto S. Enkelmann, Berlino 1941 (Coll. B-S n. 41)
32
La cultura fisica
Verso la metà degli anni ’30 il giornalista Fernand Mercier intervista i grandi ballerini dell’epoca sulla preparazione fisica.
Serge Lifar (1905 - 1986), danzatore fra i più celebri
del suo tempo, collabora nel 1932 ai Ballets Russes di
Monte-Carlo, proprio quando uno sconosciuto decoratore di nome Spadolini s’inventa ballerino.
Lifar e Spadolini partecipano con le loro danze allo spettacolo che si svolge a Parigi il 14 luglio 1935.
Mona Paiva, ancora oggi celebre per le fotografie che
la ritraggono mentre balla nuda insieme a Nikolska sull’Acropoli di Atene.
Joséphine Baker (1906 – 1975), cantante e ballerina,
domina per mezzo secolo le scene mondiali. Fra il 1932
e il 1935 Joséphine e Spadolini si esibiscono in Francia
e all’estero.
Anche Spadolini giudica l’educazione fisica fondamentale:
“ Spadolini è una statua degna dell’ antichità. Egli dice che la
cultura fisica calma i nervi che sono sempre sotto pressione.
‘La cultura fisica è indispensabile non solamente per la nostra
arte, ma anche per l’equilibrio del corpo.’
Nel suo studio presso piazza Clichy noi ritroviamo Spadolini:
solo davanti ad un immenso specchio esegue movimenti che gli
permettono di presentare le sue danze acrobatiche in modo impeccabile.
Dice: ‘Mi sorprendete in palestra perché fuori piove. Ma non
dovete pensare che io non faccia altri esercizi all’infuori della
danza. La cultura fisica? Che cosa ammirevole! Essa è indispensabile! Potremmo restare in forma senza mai praticarla? Io
la pratico sei ore alla settimana, particolarmente all’aria aperta,
allo stadio. Comunque non supero mai i sessanta minuti per
seduta. Per non annoiarmi alterno la corsa al tennis … Per me
l’esercizio fisico è un piacere magnifico, poiché ho orrore dello
sport passivo”.
Fernand Mercier, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n.53)
Sopra: Spadolini, foto Roger Carlet (Coll. B-S n. 34)
A destra: Spadolini, foto Condé Nast (Coll. B-S n. 6)
34
Prime prove
della Televisione Francese
Negli anni ’30 Spadolini scandalizza i bigotti presentandosi con addosso una ‘conchiglia’.
“E’ uno spettacolo veramente magnifico quando entra in scena,
completamente nudo, con l’aureola di porpora, bello come un
dio. La sua figura, degna del cesello di Prassitele, il suo corpo
abbronzato fanno di lui una visione nello stesso tempo impressionante e mistica…”
Jenny Josane, “Vedettes” 1941 (Coll. B-S n. 71)
“Il nudo di Spadolini è statuario, puramente plastico: il suo
impeto è temperamento scevro da sottintesi banali. Danza da
maschio e non da ‘femello’ come tanti suoi colleghi; e la sua acrobatica, nella estrema aspirazione del volo, è diversa da quella che
conosciamo dei russi, appunto perché è virile… Quando Spadolini parte in volo il suo viso si abbuia e gli occhi gli si accendono
di febbre: così egli inizia la sua confessione fisica e spirituale…”
“Spadolini Danzatore d’istinto”, Bragaglia (Coll. B-S n. 264)
Sopra: Spadolini, foto Enkelmann 1941 (Coll. B-S n. 42)
A destra: Spadolini, foto Studio Piaz 1933 (Coll. B-S n. 389)
36
Fra le tante incredibili avventure di Spadolini, Alex Wolfson ricorda un episodio accaduto nella metà degli anni
’30, quando essi dividevano lo stesso appartamento.
Un giorno egli riceve una ben strana telefonata: “Sono
Georges Mandel, c’è Alberto?”
Mandel è l’allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni francese.
Nell’udire ciò Alex pensa ad uno scherzo dei soliti
buontemponi e riattacca.
Poco dopo, nuovo squillo del telefono: “Forse non ha capito, sono Mandel!”
Questa volta Alex infuriato non trattiene la sua ira, prorompe con pesanti parole nei confronti dell’interlocutore e riattacca.
Più tardi gli sorge un piccolo dubbio e telefona al Ministero: era proprio Georges Mandel furibondo, non
solo con Wolfson, ma anche e soprattutto con Alberto.
Questi è infatti, a suo dire, responsabile di uno scandalo
di Stato: nel corso delle prime prove della televisione
francese ha ballato completamente nudo.
In seguito essi si riappacificano e Mandel avrà parole di
elogio nei confronti del danzatore.
L’homme et la machine
“… Io sono testardo, impulsivo. Mai, quando sono solo sulla
scena, io ballo due volte allo stesso modo. Nello scatenamento
orchestrale, Tersicore mi solleva. Io mi getto nelle onde musicali
come il nuotatore intrepido si butta nelle onde. Per ballare bene,
non basta una buona musica? Se io mimo, se io ne traduco il
dolore fisico come ne ‘L’homme et la machine’, è semplicemente
perché io ho molto sofferto. Io prendo questo in me. Non amo
copiare, ma creare. La velocità mi domina. Io faccio tutto molto
in fretta …”
“Spadolini, ou les confidences d’un homme nu”,
intervista di Charles-Etienne, “Sourire”, 27/4/1933 (BNF)
Gli articoli ritrovati presso la Bibliothèque Nationale de
France concordano nel giudicare la danza “L’uomo e la
macchina”, in cui Spadolini si esibisce in una scenografia
ideata da Paul Colin, la più bella in assoluto.
“E’ il più bel quadro che sia stato realizzato nel music-hall. E’
un tema molto alla moda. Ahimè ci si accorge, e forse troppo
tardi, che l’uomo ha creato la macchina per rendere la civiltà più
confortevole, ma che la macchina è un’invenzione che va al di
là dell’uomo e che rischia di annichilirlo. Da Wells a George
Duhamal è una cosa ricorrente in certa letteratura, e commovente ed anche terrificante. Questa fabbrica simbolica di Paul Colin
è la nuova cattedrale. I suoi ingranaggi e i suoi meccanismi si
sono fusi con l’uomo e lo si vede dai movimenti delle ballerine e
dei ballerini che sono diventati appendice dei tubi d’acciaio.
Ogni operaio che entra non deve lasciare ogni speranza? Eccone uno! Ed è l’ammirabile e sublime poema della passione
di ogni individuo umano in preda alla macchina che mima,
danza, volteggia, uno dei più bei danzatori di quest’epoca fino
ad oggi quasi sconosciuto: Alberto Spadolini. Guardatelo in viso
quand’è il ‘giocattolo’ acrobatico degli atleti, elementi della macchina che lo lamina e tuttavia che il corpo salti, giri e volteggi,
guardate le smorfie della tortura diventare evidenti i soprassalti
della rivolta incresparsi. Poi il rilassamento muscolare, l’appagarsi nell’abbandonarsi alla fatalità. Tutto il dramma fisico e
morale si riflette sui suoi lineamenti e lo sguardo filtra sotto le
palpebre, bagliore di coscienza, luce di un Dio fatto a immagine
dell’Uomo e che lotta contro la sua decadenza. Ecco cosa caratterizza il grande artista … ”
“La Joie de Paris au Casinò de Paris” di Legrand – Chabrier, 1932 (BNF)
Sopra: Spadolini viene sollevato nella danza “L’homme et la machine”, scenografia di Paul Colin, Casinò de Paris 1933 (Coll. B-S n. 8)
A destra: Spadolini, foto Condé Nast (Coll. B-S n. 7)
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Fa ingelosire Pablo Picasso
Grazie alla lettera di presentazione di Gabriele d’Annunzio alcuni dei momenti salienti nella carriera di
Spadolini si realizzano con Maurice Rostand (Paris
1891 - Ville d’Avray 1968), poeta e romanziere, figlio
del celebre Edmond.
Rostand sceglie il danzatore marchigiano per lo spettacolo teatrale tratto dalla sua opera “Catherine empereur”
che si tiene al Théatre National de l’Odéon a Parigi il 27
ottobre 1937. Nel 4° atto fa la sua apparizione Spadolini,
sotto forma di ‘dono danzante’ del Ministro Potemkine
all’Imperatrice Caterina di Russia. Nel ruolo dell’Imperatrice è l’attrice francese Yvonne de Bray. Ad assistere
alla commedia “Catherine empereur” ci sono due spettatori d’eccezione: Jean Cocteau e Jean Marais. Quest’ultimo ricorderà nelle sue memorie proprio quell’interpretazione di Yvonne de Bray che fra il 1943 e il 1948 verrà
scelta per la straordinaria trilogia: “Les parents terribles”,
“L’aigle à deux tetes”, “L’éternel retour”.
Catherine empereur
“Dove sono i regali annunciati ?”
Potemkine
“Il primo è per vostra Maestà Imperiale. Portatori, avvicinate il
regalo vivente che ho portato a Sua Maestà l’Imperatrice!”
(Entrano 4 paggi che portano una specie di treppiede
incartato che scartano e da dove emergerà un piedistallo
su cui balla un danzatore nudo di una bellezza eccezionale.)
Tutti
“Quant’è bello!”
Potemkine
“Una notte, Maestà, l’ho visto danzare sulle rive del Danubio.
La luna tremolante metteva in risalto le sue spalle. Veniva dal
mare un soffio di primavera e l’ho fatto cogliere immediatamente
con la sabbia d’oro che gli bagnava i piedi per portarlo così a
vostra Maestà affinché avesse il piacere di vederlo danzare …
Balla come ballavi sulle rive del Danubio, una sera in cui i
roseti di Costantinopoli sembravano venire sulle ali del mare!
Balla davanti alla tua imperatrice!”
(Tutti si sono messi in cerchio intorno al danzatore.
L’orchestra suona! Lui balla! Caterina lo guarda con immensa melanconia, misto di tristezza e languore)
Catherine empereur
“Potemkine, Potemkine, nessuno mi ha mai fatto regali come
te!”
Potemkine
“Vedi non è più bello di qualsiasi cosa al mondo! La luce fa scivolare i suoi raggi sui suoi fianchi e il suo collo è simile a colonne
d’avorio per reggere quel capolavoro che è il suo viso!”
Catherine empereur
“Non vedo più la bellezza sugli altri da quando conosco Zoubov!”
Potemkine (Indicandole il ballerino)
“Pensa ai baci che darebbero queste labbra, pensa all’abbraccio
di questo corpo senza precedenti, pensa alle carezze di queste
mani di bronzo …”
Spadolini è uno dei soggetti preferiti dai fotografi degli
anni ’30. Recentemente ho scoperto che una bellissima fotografia, in cui l’artista marchigiano appare nudo,
bello come un dio, con una misteriosa sfera in mano,
è opera di Dora Maar (1907 - 1997), assistente di Man
Ray, e per molti anni compagna di Pablo Picasso.
Dora Maar fotografa Spadolini per la brochure dello
spettacolo teatrale “Catherine empereur” di Maurice
Rostand. Questo è anche uno dei suoi ultimi servizi
fotografici. Infatti dal 1937 Dora Maar abbandona la
macchina fotografica per darsi alla pittura, ‘plagiata’ da
Picasso che sembra non abbia mai digerito quel servizio
fotografico!
All’epoca Picasso termina 100 litografie, molte delle
quali mitologiche, per la collezione “Suite Vollard” utilizzando spesso Dora Maar come modella. Alla collezione Bolero-Spadò fanno parte anche 6 litografie “Suite
Vollard” di Picasso, riedizione Hatje, 1956.
A destra: Spadolini fotografato da Dora Maar per la brochure dello spettacolo teatrale “Catherine empereur” di Maurice Rostand, 1937
(Collezione M. Spadellini)
40
Agli Archivi Internazionali
della Danza di Rolf de Maré
Per molti anni Spadolini domina le scene della danza
internazionale.
Il suo repertorio è ampio, spazia dalla musica classica
alla moderna. Ciò, unito alla sua bravura, cattura enormi platee.
Nel gennaio 1938 Maurice Rostand e Spadolini sono
chiamati dagli Archivi Internazionali della Danza di
Parigi, fondati da Rolf de Maré, mecenate dei Ballets
Suédois, a tenere la conferenza “La poesia e la danza” .
In un articolo inviatomi dalla Bibliothèque Nationale
de France leggiamo:
“…Non c’è da meravigliarsi che il Poeta abbia spesso cantato
la danza, come hanno fatto il Pittore, lo Scultore e il Musicista
– poiché tutto per il poeta può essere materia poetica – si può
notare al contrario come il Danzatore coreografo (choréauteur,
direbbe Serge Lifar) possa assorbire l’ispirazione poetica al punto da essere lui stesso Poeta…
Se è vero che la poesia è veramente un soffio che emana dall’anima, un sentimento di armonia tra tutte le cose della natura, un
prodotto dell’immaginazione e della sensibilità, i poeti devono
riconoscere come loro fratelli, nel servizio della Bellezza e della
Poesia, alcuni ballerini di genio. Mercoledì sera, agli Archivi
Internazionali della Danza, ho lodato soltanto i poeti e soprattutto lui. Il danzatore Spadolini ha ballato in un crescendo di
esaltazione. Ha ballato ‘L’adagio in Do minore’ nel modo migliore in cui possa essere ballato. Poi il poeta, con alcuni versi,
e il ballerino, hanno reso un commovente omaggio a Maurice
Ravel. Il Bolero, effettivamente, può essere ballato, deve esserlo, e se Spadolini non crea sulla musica una nuova opera, ne
esprime almeno, con perfetta sintonia, la grazia e la forza dei
gesti, la grande bellezza selvaggia. Il danzatore ha fatto infine
apprezzare la sua agilità e il suo spirito nel Tabou (Lecuona),
Jazz (Duke Ellington) e Tempo 38 (Kurt Leval). Così ancora
una volta gli Archivi Internazionali della Danza hanno riunito
molti amici di Tersicore per commentare la sua Arte. Gli siamo
grati per i loro sforzi.”
J. Buissot “L’Epoque” 28 gennaio 1938 (Coll. BNF)
Sopra: Spadolini nel “Menuet” di Lulli, foto Roger Carlet, anni ’30 (Coll. B-S n. 26)
A destra: Spadolini nel “Bolero” di Ravel. Foto Harry Meerson, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 24)
42
Fugge con Catherine Hessling,
moglie di Jean Renoir
Negli anni ’30 Spadolini è considerato uno degli uomini
più affascinanti di Francia.
Al termine di ogni spettacolo il suo camerino diventa
una serra piena di mazzi di fiori con a volte un biglietto
d’invito per un appuntamento più o meno galante.
Sono molte le ‘fidanzate’ di Alberto legate al mondo
dello spettacolo. Una delle più famose è Catherine
Hessling, (1900 - 1979), modella del celebre pittore
Pierre Auguste Renoir, da lui immortalata nei suoi ultimi straordinari dipinti, oltre che protagonista dei primi
film del regista Jean Renoir, di cui era sposa.
All’inizio degli anni ’30 i rapporti fra il regista Renoir e
la moglie si raffreddano.
È scandalo quando nell’estate 1933 Spadolini e Catherine fuggono insieme da Parigi .
In quel periodo la Hessling matura anche la decisione di
diventare ballerina.
Infatti Alberto e Catherine tornano a Parigi il 9 dicembre 1933 per uno spettacolo di danza.
Pierre Philippe, al termine di una intervista rilasciata
dalla Hessling nel 1961, racconta ai lettori:
“… Dopo aver abbandonato il cinema, Catherine si era dedicata alla danza. Un giorno, i muri si coprono di manifesti che annunciano un recital Catherine Hessling - Spadolini, al Théatre
des Champs-Elysèes. Alla prima la sala è piena degli amici di
Catherine, e sono numerosi… Ma ecco che entra in scena il
celebre danzatore ‘plastico’. Egli salta, gira, la sua muscolatura
è cangiante sotto i proiettori… Bravo, grazioso. Secondo numero: Spadolini entra, salta, gira… Terzo numero: entra ancora
e solo… Dopo diverse entrate dello stesso genere, gli amici di
Catherine cominciano ad interrogarsi… Ma ecco che comincia il
‘Prélude à l’Après-Midi d’un Faune’. Il sipario si apre ancora
sul fauno-Spadolini, ma ecco apparire infine Catherine, dritta
sulle punte dei piedi, botticelliana nei suoi inamidati veli rosa,
una corona di fiori posati ben dritti sui suoi famosi lunghi capelli
… Uno scroscio d’applausi. Lei va, sempre sulle punte dei piedi, fino a Spadolini. Breve abbozzo d’un ‘pas de deux’, poi, a
generale sorpresa, uscita, dignitosa e sulle punte, di Catherine…
E non la si rivede più. Finiti i sollazzi del danzatore, alcuni
amici si precipitano dietro le quinte per chiedere dei chiarimenti
a Catherine.
Essi la trovano in lacrime, sola nel suo camerino… ‘Se voi sapeste… Quando io sono arrivata accanto a lui, egli era talmente
furioso dei vostri applausi … Mi ha detto: Specie di vecchia
baldracca! Allora, io sono fuggita…’.”
Intervista a Catherine Hessling , ‘Cinéma 61’ Fédération Française des
Ciné-Clubs, giugno 1961(Coll. B-S n.283)
Recentemente presso la Bibliothèque Nationale de
France ho ritrovato il programma di quella serata e due
articoli. Questi documenti raccontano un’altra verità:
contrariamente a quanto sostenuto da Catherine nella sua intervista, lo spettacolo al Théatre de Champs
Elysées prevede le danze di Spadolini e della ballerina
gitana Nati Morales. La Hessling partecipa insieme a
Spadolini solo alla danza ‘Prélude à l’Après-Midi d’un
Faune’.
L’insuccesso è clamoroso, non solo per colpa di Spadolini:
“Non farei un favore a Spadolini scrivendo che ha avuto ragione
a dare un recital al Teatro degli Champs Elysées e che era bene
che si lasciasse andare a improvvisazioni personali che nessun
altro grande artista aveva mai osato presentare al pubblico. Se
fossi stato suo amico gli avrei impedito di presentarsi solo sulla
scena che vide i trionfi di Nyinski e della Pavlova. Dopo la danza d’entrata, l’Hymne au soleil’, che Spadolini interpretava al
Casinò de Paris, egli non ha cessato di deludere fino al ‘Prélude
à Après-Midi d’un Faune’, del quale attendevamo le improvvisazioni come una rivelazione e che fu, bisogna dirlo, una cosa
spiacevole. Non tutto per colpa di Spadolini. L’entrata della
sua partner, signora Catherine Hessling, aveva già cominciato a
mettere la sala in ilarità per quella apparizione in cui ornata di
veli rosa e coronata di fiori, era di una comicità irresistibile…”
Jean Laurent , 12 dicembre 1933 (Coll. BNF)
A destra: Depliant dello spettacolo di Spadolini e Nati Morales al Théatre des Champs-Elysées, Parigi 1933.
Chaterine Hessling partecipa solo al “Prélude à l’Après-midi d’un Faune” (Coll. B-S n. 120).
44
Un marchigiano alla corte
di Joséphine Baker
“Una notte a casa di Joséphine Baker: …A tavola, davanti a
bicchieri di cristallo riempiti di champagne si parla ancora di
lavoro, questa volta con gravità, quasi con rispetto; una risata
riparte subito. Joséphine ha immaginato qualche scherzo. Nella
polvere d’oro luminoso che sfugge dal giardino d’inverno, da un
boschetto di palme è apparso un uomo: egli danza, atletico, sportivo. E i suoi muscoli disegnano, prolungandoli, dei movimenti
che fanno evocare la vita degli stadi, i giochi degli antichi.
‘Era un pittore-decoratore’ lei dice. ‘Abitava a Nizza. I tempi
sono difficili e lui si è dato alla danza. Debutterà al Casinò …’
E Joséphine lo applaude con frenesia. ‘Bravo Spadolini!
Bis!’…”
“Matrimonio Segreto” di Cimarosa, nella scenografa di stile cinese uscì, sembrò da una tela del XVIII° secolo, Spadolini con
Joséphine Baker vestita da marchesa creola. Visione meravigliosa
che provocò l’entusiasmo di Parigi.”
“Una notte a casa di Joséphine Baker”
“Joséphine è sempre stata così: metteva nel dimenticatoio ciò che
non costituiva per lei o su di lei stessa una vittoria.”
André Rivollet, l’Intransigeant, 13.11.1932 (Coll. BNF)
Articolo pubblicato a Parigi negli anni ’30
(Coll. B-S n. 192)
Eppure per 70 anni il nome di Spadolini non viene mai
citato negli innumerevoli volumi scritti sulla Baker.
Come afferma Jo Bouillon, ultimo marito della Baker e
curatore delle memorie ufficiali pubblicate postume:
“Memorie di J. Baker” a cura di J. Bouillon, 1975
“La Vigilia di Natale, fui invitato nel Vésinet, per il Cenone
…Tutto era bianco a casa di Joséphine. Un tappeto d’ovatta ai
piedi di un abete imbiancato mi accolse all’ingresso. Sotto i rami
ricoperti di fili d’argento, un grammofono riversava l’ultimo ritornello di ‘Zouzou’ ( film della Baker). C’era un gruppo di
amici: i compagni del Casinò de Paris, il danzatore nudo Spadolini, per la circostanza vestito!”
“Une vie de toutes les couleurs : memorie di J. Baker
raccolte da A. Rivollet”, Ed. Arthaud, 1935 (Coll. B-S n. 277)
Non è un caso se nel corso delle sue visite a casa di Joséphine Baker nel novembre 1932, e nel dicembre 1934,
lo scrittore André Rivollet trovi sempre Spadolini. I due
ballerini sono insieme nel lavoro come nella vita, nello
spettacolo ‘La joie de Paris’ al Casinò de Paris, come nelle tournée in Europa e in America.
Anche in una serie di articoli dell’epoca è possibile ammirare le immagini dei due artisti avvinghiati in una
danza al Casinò de Paris e, ancora insieme, all’aeroporto
di Parigi.
“Parigi si ricorda ancora di quella notte in cui ha scoperto Spadolini. Era in una rivista di Joséphine Baker. Sulla musica del
(Coll. B-S n. 483)
Alcuni documenti ritrovati recentemente avvalorano
l’ipotesi che fra il 1932 e il 1935 i due artisti abbiano vissuto una grande amicizia e poi una segreta storia amore.
Il giornale fiammingo ‘De Dag’ in un lungo articolo ricostruisce il primo incontro di Alberto e Joséphine avvenuto nell’estate del 1932.
Il cameriere giunge trafelato nel camerino del danzatore
per informarlo: “In mezzo al pubblico c’è Henry Varna, il direttore del Casino de Paris. Sembra sia venuto apposta per te!”
Spadò sale sul palcoscenico avvolto in un lenzuolo, non
senza un certo nervosismo.
“Mi dicevo: ‘Mio Dio, adesso o mai più! Questa è la grande
occasione della mia vita!”
Il cuore dell’artista batte all’impazzata preso dall’emozione e dall’incedere della musica che egli danza ancor
più selvaggiamente. Solo al termine dello spettacolo
Spadolini scopre che ad applaudirlo con Varna c’è anche
Joséphine Baker, la regina dei music-hall parigini.
Conclude Spadolini: “Era incredibile: pur non avendo studiato danza, tutti e due ebbero grande considerazione per il mio
spettacolo. Fui assunto al Casinò de Paris!”
A destra: Spadolini e Joséphine Baker in un disegno di Pierre Payen, Casinò de Paris, 1933 (Coll. B-S n. 52)
46
Il 3 dicembre 1932 viene inaugurato a Parigi il nuovo
spettacolo con due novità: il danzatore Spadolini e Joséphine Baker che balla sulla punta dei piedi! Assai superstizioso Henry Varna inventa anche per questa rivista
un titolo di tredici lettere: “La joie de Paris”.
“Per molti fu una rivelazione quando, come nuovo partner di
Joséphine, apparve Spadolini.
Partner? La parola non è esatta. E questo ancor più perché le
sue danze, le migliori, sono quelle dove, ebbro di questa specie di
genio che possiede, danza da solo…
« Il fallait un danseur a Joséphine Baker, ce fut un peintre qu’elle choisit », J. Barois, Paris Midi 18.4.1933 (Coll. BNF)
Le testimonianze di amici e parenti dell’artista italiano
sostengono che l’amore fra Alberto e Joséphine sia stato
messo in crisi da gelosie professionali.
Donna straordinariamente generosa (durante la guerra
lavorò nella Resistenza francese contro il nazismo, ed in
seguito adottò bambini di ogni razza e religione dando
esempio di fraternità universale), la Baker ha un tremendo carattere quando è in gioco la sua carriera artistica.
Fra il 1932 ed il 1935 vengono pubblicati articoli in cui si
parla sempre più di Spadolini e meno di lei. A Spadolini viene persino dedicata la musica “Bolero-Spadò”, che
diventa il grande successo del Casinò de Paris.
“Ballerino del Mondo e di se stesso. Ogni sera Spadolini ottiene,
al Casinò de Paris un successo significativo. Si chiama Alberto
Spadolini, che ne ‘Le Carnet de la Semaine’ io ho qualificato il
‘Rodin vivente’.
Senza che nulla abbia potuto farlo prevedere, ballerino completamente sconosciuto e senza alcuna propaganda preliminare che
fanno diffidare gli amatori senza servire i veri artisti, un ballerino
danza al Casinò di Parigi che continua ad essere giustamente
chiamato ‘La Gioia di Parigi’. La gloria di Joséphine Baker non
l’offusca affatto, come la sua non potrebbe essere offuscata…”
Legrand-Chabrier ‘L’Intransigeant’, 1933 (Coll. B-S n. 51)
Il felice sodalizio precipita dopo uno spettacolo presentato da Joséphine e da Alberto al ‘Prince Edward Theatre’ di Londra. Lei è fischiata mentre il danzatore italiano
è a lungo acclamato. Di questo avvenimento ci resta un
articolo apparso su un quotidiano francese dal titolo “Jalousie”, nel quale si narra anche la scenata fatta dalla cantante di “J’ai deux amours” ad un impresario americano
reo di volerla in uno spettacolo insieme a Spadolini. Lei
minaccia asserendo che piuttosto che esibirsi con Alberto … preferisce andare a giocare al Casinò!
Racconta Alex Wolfson:
“Ricordo molto bene quella notte del 1935. Alberto rientrò a casa
come una furia e si rinchiuse nel suo studio. Preoccupato udii
rumori di vetri infranti e di oggetti scaraventati contro la parete.
Quando riuscii ad entrare nella stanza questa pareva un campo
di battaglia: dischi fracassati, libri strappati, portafotografie in
frantumi. Il dipinto di Spadò, raffigurante ‘La Venere nera’ con
la preziosa cornice dorata, era distrutto!
In mezzo a quel cataclisma Spadolini sedeva intento a tagliuzzare un pacco di fotografie… Riuscii a salvare una sola immagine, quella in cui Alberto e Joséphine danzano ‘Hawai’ al Casinò
de Paris. Dopo aver sforbiciato la testa della Baker lui me la
diede in ricordo …”
Intervista ad Alex Wolfson, Archivio C. G. Jung, 1986
Al termine dell’intervista il signor Wolfson mi ha fatto
dono della fotografia ‘ghigliottinata’ da Spadolini in quella
terribile notte.
Solo spaghetti per Joséphine!
“Alla fine del 1932 mio figlio Alberto mi chiede di andarlo a
trovare a Parigi per farmi conoscere una persona molto speciale.
Dopo mille acrobazie per ottenere il passaporto, ed un estenuante
viaggio in treno, giungo a Parigi. Alberto lavora al Casinò de
Paris con Joséphine Baker che presto incontro in casa sua. Io mi
meraviglio nel vedere quella giovane di colore che sembra più un
ragazzo che una donna. I capelli scuri e cortissimi, il corpo di una
adolescente, una voce dolcissima ed un sorriso pieno di simpatia
ed affetto. Mi racconta, chiamandomi subito chère maman, che
la sua vita è iniziata come quella di mio figlio Alberto. Partita
giovanissima da un paese dell’America è venuta a Parigi con
la speranza di raggiungere il successo che non ha avuto nel suo
paese. Dopo i primi momenti di incertezza e timore, si è fatta
notare per la novità che porta nel modo di presentarsi al pubblico
parigino, un modo nuovo di fare spettacolo, come ha fatto anche
mio figlio Alberto. Oltre a parlare con voce dolcissima, canta in
maniera da mandare in visibilio il teatro…
Ciò che Joséphine apprezza più di ogni altra cosa sono gli spaghetti. E così, per tutto il tempo che mi fermo a Parigi, cucino
‘spaghetti alla bolognese’!”
Dal racconto della mamma Ida Romagnoli alle figlie Bice, Giorgia e
Maria (Archivio C. G. Jung)
A pag. 48: Spadolini e Joséphine Baker danzano “Hawaii” al Casinò de Paris nel 1933. Foto ‘ghigliottinata’ da Spadolini nel 1935 (Coll. B-S n. 9)
A pag. 49: Spartito “Bolero-Spadò”, Editions Smyth, 1933 (Coll. B-S n. 412)
A destra: Brochure « La Joie de Paris » con Joséphine Baker e Spadolini, disegno Paul Colin 1932 (Coll. B-S n. 119)
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Cécile Sorel, Mistinguett,
Suzy Solidor, Marianne Oswald,
Marléne Dietrich
Finita la stagione che ha visto il trionfo di Joséphine
Baker e di Spadolini, il Casinò de Paris mette in scena un nuovo spettacolo « Vive Paris ! » a cui partecipa
Cécile Sorel (1873 – 1966), la regina della Comédie
française.
Anche Joséphine Baker si reca a vedere quello spettacolo in compagnia dell’inseparabile Spadolini.
“Tra Londra e Copenaghen Joséphine ha fatto un breve scalo a
Parigi. Arrivata in mattinata all’aeroporto Bourget con Spadolini alla sera si reca con lui ad applaudire Cécile Sorel nei panni
di Célimène … E la sera Joséphine guardò dal suo palco Cécile
Sorel scendere la grande scala dorata. L’intera sala guardava, si
pensa, Joséphine che guardava Célimène …
‘Che aria da regina!’ mormora la piccola figlia del sole. Io vorrei
andarglielo a dire …”
Jean Barois, Paris-Midi 1934 (Coll. B-S n. 56)
Cécile Sorel apprezza le danze di Spadolini tanto da definirlo: “L’aristocratico della danza!”
In un articolo pubblicato nell’agosto 1939, alla vigilia
della 2° Guerra Mondiale, si legge che Spadolini e Sorel
si sono esibiti insieme all’Alhambra di Parigi. Il titolo
del music-hall non poteva che essere “Gloire de Paris”.
“Cécile Sorel è la vedette di un programma dove, seguendo l’augusto esempio di Sarah Bernhardt, la grande attrice non disdegna
di apparire, tra i numeri di varietà, in brevi brani abbastanza
inattesi tratti da ‘La bisbetica domata’ di Shakespeare… ‘Gloire
de Paris’ ci permette di ritrovare un artista che da qualche mese,
troppo raramente, abbiamo l’occasione di applaudire al musichall: Spadolini. Questo giovane danzatore, bello come un marmo antico, aereo come una silfide, di cui ogni gesto è improntato
ad una grazia ineguagliabile, danza d’istinto, si direbbe, senza
averci mai pensato. Così cantano anche gli uccelli. E c’è nella
danza di Spadolini, come nel canto degli uccelli, una sorta di
tumultuosa ebbrezza, qualche cosa di fervente e soleggiato che gli
restituisce, all’improvviso, il suo autentico carattere sacro.”
Pierre Barlat, Parigi agosto 1939 (Coll. B-S n. 91)
Nata nel 1875, Jeanne-Marie Bourgeois debutta giovanissima nel music-hall prima con lo pseudonimo di
Miss Tinguette ed in seguito con quello di Mistinguett
con cui è celebrata in tutto il mondo per oltre mezzo
secolo. In un disegno pubblicato da un giornale parigino
degli anni ’30 Spadolini è accanto a Mistinguett in una
serata di gala.
I due artisti sono insieme anche in una fotografia apparsa su di un quotidiano alla fine degli anni ’40.
Si tratta dell’inaugurazione di una esposizione di dipinti
di Spadolini:
“Gioco di gambe … e gioco di mani: Al ritorno da Londra Mistinguett ha inaugurato, l’altra sera, alla Galleria
Elysée-Palace (rue de Marignan) a Parigi l’esposizione delle opere del suo amico ed ex partner il danzatore Spadolini
che si scopre un rimarchevole talento di pittore e di disegnatore. E cosa incredibile Mistinguett ha comprato un quadro.”
Articolo fine anni ’40 (Coll. B-S n. 196)
Suzy Solidor (1906 – 1983) partecipa con le sue canzoni al documentario “Rivage de Paris” del 1950, sotto
la regia di Alberto Spadolini. Suzy, chiacchierata indossatrice da Lanvin, modella preferita da Van Dongen e
Picabia, cantante conosciuta per la sua interpretazione
di ‘Lily Marlene’ e per la sua storia d’amore con Tamara de Lempicka che la ritrae nei suoi dipinti, appare sui
quotidiani degli anni ’30 in compagnia di Spadolini.
Negli anni ’30 Spadolini frequenta anche Marianne
Oswald, cantante di cabaret di origine tedesca fuggita
dalla Germania con l’ascesa al potere di Hitler, celebre per aver portato sul palcoscenico i testi di Bertold
Brecht, Jean Cocteau e Jacques Prévert. Marléne Dietrich, partecipa con Maurice Chevalier, Serge Lifar e
Spadolini ad un grande spettacolo svoltosi a Parigi il
14 luglio 1935. Il commento di Marléne sul danzatore
marchigiano, scritto a caratteri cubitali su un quotidiano
francese, è “Spadolini, se ero una ballerina è voi che avrei
scelto come partner!”
Sopra: Spadolini , Suzy Solidor, Marianne Oswald al Galà Pré Catelan. Disegno di Siss, anni ’30 (Coll. B-S n. 66).
Sotto: nel disegno pubblicato su di un giornale francese Spadolini, Mistinguett e Suzy Solidor partecipano ad una festa a Parigi negli anni ’30 (Coll. B-S n. 65).
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Contro ogni dittatura
della “Vedova allegra”, per la regia di Georg Jacoby, a cui
partecipa con le sue danze e le sue coreografie anche
Spadolini.
Grazie al materiale ritrovato nell’archivio Bolero-Spadò
e ad un articolo inviatomi dalla Deutsches Tanzarchiv
di Colonia, scritto il 30 aprile 1940 da Carl Weichardt,
sappiamo che in quell’occasione Lehar riceve gli auguri
dei massimi gerarchi nazisti.
L’artista italiano deve tornare in Germania l’anno seguente per uno spettacolo al Dessauer Theater del 5
febbraio 1941. Ad uno degli spettacoli è presente Siegfried Enkelmann, considerato il più importante fotografo della danza tedesco; sono sue alcune delle stupende
fotografie ritrovate nell’archivio di Spadolini.
Allo spettacolo di Berlino è presente un giornalista italiano che pubblica sulla rivista ‘Tempo’ un lungo articolo con il chiaro intento di dimostrare la superiorità della
razza italiana.
Bice, sorella dell’artista, sostiene:
Nel 1940, come accade ad altri artisti francesi, Spadolini
è costretto dalle truppe d’occupazione naziste ad esibirsi
in Germania.
L’occasione è data dal settantesimo compleanno di
Franz Lehar, che viene osannato con la messa in scena
“Alberto non si è mai sentito un campione dell’italica razza.
Egli è figlio di un ferroviere licenziato dal regime per non aver
aderito al partito fascista; odia ogni totalitarismo tanto da aver
abbandonato l’Italia alla fine degli anni ’20; nel corso dell’occupazione nazista di Parigi nasconde nella sua casa amici di
origine ebraica; torna a frequentare Joséphine Baker ben nota
per la sua attività di spionaggio per conto degli Alleati. Inoltre se
mio fratello Alberto fosse tornato in Italia sarebbe stato arrestato
e processato per diserzione!”
Sopra: Spadolini nella brochure dell’operetta “Die lustige Witwe”, Franz Lehar 1940 (Coll. B-S n. 134).
A destra: Spadolini danza “Exotische Vision” di Lecuona, foto di S. Enkelmann, 1941 (Coll. B-S n. 43).
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Archivio Centro C. G. Jung, 1986
Hanno scritto del danzatore
e coreografo Spadolini
Maurice Ravel
“La sua coreografia è in armonia
con la partitura della musica del Bolero!”
Spadolini danza per la prima volta il Bolero alla presenza del suo compositore Ravel.
Max Jacob
“Spadolini concretizza la visione del poeta!”
M. Jacob, romanziere e poeta.
Cécile Sorel
“L’aristocratico della danza!”
Attrice della Comédie Française, ha lavorato nel 1939
con Spadolini in “Gloire de Paris”.
Maurice Rostand
“Un poeta della danza e allo stesso tempo un atleta!”
Poeta e romanziere, Rostand sceglie Spadolini per la
commedia “Chaterine empereur”. L’anno seguente partecipa con Spadò alla conferenza agli Archivi Internazionali della Danza.
Gérard d’Houville (Le Figaro)
“Spadolini, lo stupefacente ballerino che anima la rivista con la
duttile forza dei suoi ritmici balzi.”
G. d’Houville pseudonimo di Marie de Régnier, scrittrice famosa per aver avuto una lunga relazione amorosa con Gabriele d’Annunzio.
Paul Valery
“Mitologico, mistico e faunesco! Visione di Spadolini”.
Valery è uno dei grandi poeti francesi
Georges Mandel
“Bravo Spadolini per gli istanti dedicati
alla nostra televisione!”
Mandel è Ministro delle Poste dal 1934 al 1936, periodo in
cui Spadolini partecipa alle prime prove della televisione
Lugue Poé
“Spadolini sopravanza il nostro secolo!”
Poé, pseudonimo di Aurelien François Marie,
attore e fondatore del “Théatre de l’Oeuvre”.
A destra: Spadolini, Foto Cayeb anni ’30 (Coll. B-S n. 48)
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Marlène Dietrich
“Se ero una ballerina è voi che avrei scelto come partner!”
Con Spadolini, Maurice Chevalier, Serge Lifar, partecipa ai festeggiamenti del 14 luglio 1935.
André Levinson
“I suoi atteggiamenti ed i suoi gesti sono armoniosi, duttili, e
sanno raggiungere, quando necessario, eloquente nobiltà…”
Levinson autore di saggi sulla danza.
Henry Varna
“Spadolini il Magnifico!”
Varna, direttore del Casino de Paris.
‘Le Figaro’ (Parigi)
“Nel regno di Tersicore il suo satellite Spadolini occupa un posto
privilegiato in questo basso mondo.
Egli attira in tutti i casi la folla.”
Fernand Divoire (La Revue de France)
“Spadolini dipende talmente dal ritmo,
che si crede che il ritmo dipenda da lui.”
Divoire è autore di saggi sulla danza.
‘Vedettes’ (Parigi)
“Se Spadolini è un ballerino nato, un creatore, se in ciascuna
delle sue danze appare come un giovane dio ardente e appassionato, lo deve alla sua ‘formazione corporea’, ma anche alla sua
cultura; è artista nel senso più completo della parola.”
‘Vogue’ (Londra)
“Spadolini ha una tecnica brillante e una grande bellezza di
movimenti e di atteggiamenti.”
‘The Era’ (Londra)
“Nella danza internazionale Spadolini
primeggia con grande prestigio.”
‘Variety’ (New-York)
“Spadolini che combina un corpo eccezionale
con una straordinaria capacità di ballare!”
‘Swenska Tagbladet’ (Stoccolma)
“Spadolini, l’incredibile visione!”
Pittore francese
“Io ho contratto con la Francia un debito di gratitudine. Se io
scrivo la sua lingua meglio di come la parlo e se danzo meglio
di come scrivo, lo devo solo a lei. E’ sul suo suolo che ho lasciato
i miei pennelli sulla tavolozza per consacrarmi alla coreografia.
E’ ancora lei che mi ha maternamente consolato, incoraggiato e
mai io ho compreso meglio la profondità commovente di questi
versi: ‘Ogni uomo ha due patrie, la sua e poi la Francia!”
Articolo di Alberto Spadolini, « Sourire » 1935 (BNF)
Spadò fa di Parigi la sua seconda patria. Qui regna la
gioia di vivere, c’è in tutti il desiderio di conoscere, di
amare, di superare ogni limite.
Spadolini è stato l’artista che forse più di ogni altro ha
illuminato la ‘Ville Lumière’ con danze, coreografie, dipinti, scenografie, decorazioni, restauri, canzoni, film,
documentari, poesie…
Nel dopoguerra egli espone a Parigi alla Galleria dell’Elysée Palace (partecipa all’inaugurazione la celebre
Mistinguett), al Cercle de l’Union Française, alla Galleria Pozzallo, alla Galleria La Pergola, alla Galleria dell’Odeon, e per tanti anni alla Galleria Alex Cazelles, accanto al Moulin Rouge.
Nei suoi dipinti Spadolini racconta la bellezza architettonica di Parigi, i suoi monumenti, le chiese, i giardini,
le luci, i colori degli alberi che si affacciano sulla Senna…
Uno dei luoghi più amati da Spadolini è il mercato delle
pulci (Le Marché aux Puces) a Porte de Clignancourt,
poco distante dal cimitero dove oggi riposa. Accanto agli
antiquari qui espongono i loro ‘tesori’ venditori di cose
usate, ed è qui che Spadolini viene ad incontrare amici e
a cercare vecchie cornici.
A pag. 59: “Autoritratto”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 55 x 65 (Coll. N. Ghassoul)
Sopra: Brochure della esposizione Spadolini a Le Cercle de l’Union Française, Parigi 1948 (Coll. B-S n. 174)
A destra: “Il menestrello”, Spadolini anni ’40, olio su compensato cm. 23 x 62 (Coll. B-S n. 142)
A pag. 62: “Il giocoliere”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 22 x 27 (Coll. B-S n. 146)
A pag. 63: “Vue de Montmartre”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 33 x 41 (Coll. P. Oger)
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Pittore della danza
“Non essendo più sulla scena, nell’esprimermi con figure e colori
ho sempre avuto in me l’inesauribile desiderio di raffigurare ciò
che potevo immaginarvi, ciò che avrei voluto fosse esistito…
L’immagine reale dell’oggetto, in quel momento, in quel solo
momento, perché basta un soffio, il volgersi di una testa, l’inclinazione più accentuata del corpo, uno scatto… per cambiare
tutto. La bellezza è nel momento in cui si coglie. Un attimo e
l’immagine si disfa, non ‘trasmette’ più quella emotività-bellezza che hanno prima colpito la sensibilità dello spettatore.”
Intervista Spadolini “Il Messaggero”, 1967 (Coll. B-S n. 214)
Ricordo mio zio Alberto passare intere ore nel suo studio a Fermo di fronte alla tela. A volte dipinge di getto
e sembrano una catarsi quelle linee che modellano meravigliose ballerine librate in aria. Con poche pennellate
riesce a rendere viva la materia. I suoi personaggi sono
improvvisamente animati, si muovono ora con la grazia
di autentici principi rinascimentali, ora con la sensualità
di due amanti.
Poi, ad un certo movimento, un braccio alzato, un collo
volto in una certa direzione, dedica una particolare attenzione, rimane concentrato, sembra lontano in un’altra epoca fra le note di dolci melodie.
“La pittura di Spadolini, singolare per taglio compositivo e soluzione luministica, si attesta come esigenza espressiva di un
racconto autobiografico, in cui ogni forma creativa rappresenta
un elemento dell’infinito universo esistenziale. Intrisi di istintività e di poesia, di cromie dense e oniriche, i dipinti ubbidiscono
a una ricerca estetica fondata, come sottolineava Cocteau, sulla
trasfigurazione dell’anima nella danza”.
Sopra: “Chateau de Brignac au clair de lune”, cm. 60 x 50 (Coll. P. Oger)
A destra: “Ballerini spagnoli”, Spadolini 1954, olio su tela cm. 65 x 81 (Coll. M. Spadellini)
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Prof. Enzo Dall’Ara, critico d’arte, Bolero-Spadò 2005
Spadolini e Liane Daydé
“Spadolini continua ad occuparsi della danza, ma come pittore, fissando sulla tela quel mondo in cui aveva avuto un ruolo
di protagonista. Posano per lui le ‘stelle’ dell’Opera, seguendo
l’esempio della famosa Liane Daydé, e interi corpi di ballo in
piena azione sono i soggetti preferiti della sua pittura elegantemente stilizzata, nella quale non vibra uno spirito romantico
alla Degas ma sono colti nella loro immediatezza gli effetti della
luce e del movimento”.
“Un anconetano a Parigi è il pittore della danza”,
intervista a Spadolini,‘Il Resto del Carlino’ 13/8/ 1957
(Coll. B-S n. 210)
All’inizio degli anni ’50 Spadolini appare in una serie di
servizi giornalistici accanto a Liane Daydé, Stella dell’Opera de Paris.
Nella sua lunga carriera Daydé avrà partner prestigiosi
come Cyril Atanassof, Serge Lifar, Serge Golovine, Rudolf Nureyev.
Per la sua bravura Balanchine la sceglie per ballare le sue
danze, mentre Jean Cocteau scrive per lei il balletto “La
Dame la Licorne”.
Da me interpellata Liane Daydé ha raccontato che le foto
che la ritraggono con Alberto Spadolini furono scattate
nello studio del maestro Volinine a Parigi (132, avenue
de Villiers) e che lo stupendo ritratto sullo sfondo, opera
di Spadolini, è quello di Anna Pavlova.
Sopra: Alberto Spadolini e Liane Daydé nell’atelier del maestro Volinine a Parigi (Coll. B-S n. 220)
A destra: Spadolini e Liane Daydé (Coll. B-S n. 224)
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Pittore svedese
La Bibliothèque Nationale de France mi ha fatto pervenire copia di due cataloghi nei quali Spadolini è annoverato fra i pittori scandinavi:
“Svenskt konstnärslexikon…”
RedaktionGösta Lilja, Bror Olsson, Knut Andersson, S. Artur
Svensson. - Malmö: Allhems förlag, 1952-1967.
“Svenska konstnärer : biografisk handbok”.
[Ny reviderad och utökad upplaga]. - Stockholm Nybloms förlag, 1982.
Spadolini, amico di Rolf de Maré, fondatore dei Ballet
Suedois, alla fine degli anni ’40 apre un atelier anche nel
cuore di Stoccolma.
Egli espone la prima volta all’Oscarteaterns il 3 maggio 1948.
Seguono una lunga serie di mostre alla Galleria Latina
e alla Bohmans Konstgalleri; l’ultima mostra risale all’estate 1972, pochi mesi prima della morte dell’artista.
L’attività di Spadolini in Svezia è in realtà iniziata nel
1941 con alcuni spettacoli di danza al China Theater di
Stoccolma. Qui conosce Betty Bjurstrom, una ballerina tanto affascinante da essere eletta prima Miss China
e poi scelta per partecipare all’elezione di miss Europa
1948 in rappresentanza della Svezia.
Il futuro di Betty è segnato da una pallottola che le spezza la spina dorsale e che la immobilizza su una sedia a
rotelle. Nel 1964 Spadolini rincontra la ragazza a Stoccolma e la invita all’inaugurazione della sua mostra alla
Galleria Latina promettendole aiuto.
“Quando Betty Bjurstrom era miss China nel 1941 ballava con
un giovane italiano di nome Alberto Spadolini. Oggi lei spera di
essere da lui aiutata finanziariamente.
Quello che Betty non sapeva nel 1941 è che Spadolini è un pittore molto bravo che inaugurerà un ‘vernissage’ dei suoi quadri
alla Galleria Latina di Stoccolma.
Grazie all’aiuto di Spadolini Betty spera di trovare i soldi
necessari alle spese di riabilitazione e così forse un giorno alzarsi
dalla sedia a rotelle.”
“Dagens Nyheter” Stoccolma, 15/12/ 1964 (Coll. B-S n.203)
Sopra: “Il Mare del nord”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 48 x 60 (Coll. M. Spadellini)
A destra: “Il volto dell’amore”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 53 x 64 (Coll. B-S n. 136)
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Pittore delle Marche
“Non so quanti anconetani sappiano di Spadolini, anzi di
‘Spadò’, come lo chiamano ancora i parigini. Ma è un fatto che
questo nome marchigiano anzi pianarolo ha portato in giro per
il mondo e con bel lustro da circa vent’anni il nome d’Italia e di
Ancona… Nato in Ancona in un quartiere popolarissimo ma
ricco di umori, Spadolini cominciò come pittore. Gli fu maestro
e compagno Baldinelli, altro anconetano prestato all’estero, e frequentò quei piccoli e polemici cenacoli artistici - tutti di giovani
- che le piccole città di provincia sono solite formare e disperare…
In una delle sue rapide sfrecciate per l’Italia è passato ad Ancona. Aveva con sé dei quadri li ha lasciati qua in mostra ai suoi
amici di un tempo e per testimonianza affettuosa di quel che un
antico cittadino ha fatto e sa fare in arte ‘extra muros’ , cioè tra
stranieri.”
Voce Adriatica, aprile 1956 (Coll. B-S n. 216)
Molti dei dipinti di Spadolini sono dedicati alla sua terra, tanto da essere considerato l’ambasciatore delle Marche nel mondo.
Nelle sue mostre all’estero egli espone anche i paesaggi
più amati, la sua Ancona, il Conero, i Monti Sibillini, la
città di Fermo, il mare di Porto San Giorgio.
“I paesaggi marchigiani sono la nota più intima di Spadolini.
‘Splendore del mare’, il dipinto con la veduta del Conero recentemente riportato alla luce è davvero delicato nei toni. Questo è
il vero volto di Spadolini!”
prof. Riccardo Gresta, storico dell’arte, “Bolero-Spadò” 2005
Negli anni ’50 Spadolini è un assiduo frequentatore di
Porto San Giorgio dove vive la sorella Bice, sposata ad
Andrea Travaglini e trascorre le sue giornate nuotando
e dipingendo. Per festeggiare la nascita del nipote Stefano egli dipinge la Santa Teresa di Lisieux che dona alla
Chiesetta di Porto Sant’Elpidio.
A Fermo Spadolini apre un atelier presso la casa della
sorella Giorgia in via Medaglie d’Oro, e restaura la Villa
dei Conti Vitali, oggi Museo Comunale, e Villa Papetti.
Sopra: “Fermo”, Spadolini anni ’50, olio su tela cm. 51 x 61 (Coll. S. Travaglini)
Sotto: “Campagna marchigiana”, Spadolini 1954, olio su tela cm. 64 x 80 (Coll. B-S n. 148)
A destra: “Arco di Traiano e sullo sfondo S. Ciriaco”, Spadolini 1956, olio su tela cm 45 x 56 (Coll. B-S n. 139)
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Pittore esoterico
Nel settembre 1972, mi reco per la prima volta in vacanza a Parigi e naturalmente vado a trovare mio zio Alberto
Spadolini nel suo appartamento sugli Champs-Elisées.
All’epoca sono un ragazzo che pensa solo al divertimento e così lui mi fa una lunga ramanzina: “Devi visitare i
musei, studiare i classici greci e latini, e soprattutto non perdere
tempo in sciocchezze!”
Alla sera mi insegna alcune frasi in ‘argot’, il dialetto parigino, fra cui un sibillino: “Fulcan tempiofiess” di cui non
mi vuole spiegare il significato.
Torno a Parigi nel 1974 con l’inseparabile compagno di
viaggi Tony Aiuto. Insieme ci rechiamo a trovare Alex
Wolfson, per tanti anni grande amico di Spadolini da
poco scomparso.
Egli ci racconta diverse avventure di Spadolini, di cui
è stato testimone, fra cui la feroce telefonata del ministro Mandel, la distruzione delle fotografie di Joséphine
Baker, il suo lavoro nello studio di un certo Jules Boucher…
È solo nel 1978, a seguito della scoperta del suo archivio, che inizio ad interessarmi di arte, letteratura, danza, pittura, cinema, filosofia, e più tardi di simbolismo
junghiano. E così, quando recentemente è giunta dalla
Norvegia l’immagine fotografica del dipinto “Tau”, mi
rendo conto immediatamente che l’eclettico artista è
stato anche pittore esoterico.
Approfondisco lo studio su Jules Boucher (1902 – 1955),
uno dei massimi studiosi di simbologia esoterica, discepolo del celebre alchimista Fulcanelli.
La lettura del volume “Il Mistero delle Cattedrali” di
Fulcanelli, insieme all’insostituibile aiuto di Tony Bortolotti, mi permette di svelare il segreto di quella frase in
argot, una specie di ‘koan’, come dicono gli orientali.
“Fulcan tempiofiess” in realtà significa: “Fulcanelli fece
(costruisce) il tempio”.
“I dizionari definiscono la parola argot come ‘linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le
proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intor-
no’. È quindi, una vera e propria cabala parlata. Gli argotieri,
quelli che si servono d’un tale linguaggio, sono i discendenti ermetici degli argonauti, i quali andavano sulla nave Argo, parlavano la lingua argotica - la nostra lingua verde - navigando
verso le fortunate rive della Colchide per conquistare il famoso
Vello d’Oro…
Tutti gl’Iniziati si esprimevano in argot, anche i vagabondi della
Corte dei Miracoli, - col poeta Villon alla loro testa, - ed anche
i Frimasons, o frammassoni del medioevo, ‘che costruivano la
casa di Dio’, ed edificavano i capolavori argotiques ancor oggi
ammirati.”
“Il Mistero delle cattedrali”, di Fulcanelli, Ed. Mediterranee, 2001
Seguendo l’insegnamento di Jules Boucher e del suo
maestro Fulcanelli, Spadolini ha nascosto il suo mondo
più segreto in una serie di dipinti e disegni esoterici.
Molti confondono il termine esoterico (dal greco ‘esoterikos’ ossia interiore, nascosto) che esprime il desiderio di conoscenza e l’ampliamento della percezione del
Sacro, con l’occultismo spesso ricercato dai soggetti che
vogliono dominare gli uomini e l’intero universo attraverso la magia.
L’esoterismo è un insegnamento riservato a pochi eletti
e necessita di continuo apprendimento, forte volontà e
desiderio di crescita interiore.
Nella trilogia “Arco di Traiano con in lontananza San Ciriaco” (a pag. 79), “Fontana di Piazza San Pietro” (a pag. 89)
e “Notre-Dame de Paris”, Spadolini ripercorre i momenti
più importanti della sua esistenza: l’infanzia anconetana, la giovinezza romana, la maturità parigina.
A legare le Cattedrali ci sono loro, i Fratelli di Heliopolis, raffigurati in procinto di varcare l’Arco di Traiano
diretti alla Cattedrale di San Ciriaco, assetati di verità
mentre si dirigono verso la Fontana di Piazza San Pietro, intenti ad ammirare quel meraviglioso tempio gotico che è Notre Dame de Paris.
“Con l’abbondante fioritura della sua decorazione, con la varietà
dei soggetti e delle scene che l’adornano, la cattedrale si presenta
A destra: “Notre-Dame de Paris”, Spadolini anni ’40, olio su tela cm. 37 x 45 (Coll. B-S n. 138).
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come un’enciclopedia di tutto il sapere medioevale, perfettamente
completa ed assai variata, talvolta ingenua, talvolta nobile, ma
sempre vivente. Queste sfingi di pietra sono così degli educatori,
degli iniziatori di prim’ordine … Notre-Dame de Paris, chiesa
filosofale, è, senza possibilità di smentita, uno dei più perfetti
prototipi del genere, come ha scritto Victor Hugo, ‘ il più soddisfacente compendio di scienza ermetica’… E qui, nello splendore
delle ogive dipinte e decorate, dei costoloni delle volte, dei timpani dalle figure multicolori, ognuno illustrava il risultato dei suoi
lavori, spiegava l’indirizzo delle sue ricerche. Si esprimevano
delle probabilità; si discutevano le possibilità, si studiavano sul
posto le allegorie del bel libro e la parte più animata di queste
riunioni era certo l’astrusa esegesi dei simboli misteriosi.”
“Il Mistero delle Cattedrali”, di Fulcanelli, Ed. Mediterranee 2001
Ricco di simbolismi appare il dipinto ‘Tau’, recentemente ritrovato in Norvegia. Ho tentato una mia personale
interpretazione di questo dipinto anche se, probabilmente, non sapremo mai il vero significato attribuitogli
dall’artista. In questo antico tempio in rovina appaiono
cinque personaggi:
1) a destra c’è un uomo nudo con la chitarra in mano
che attende nell’ombra fuori dal tempio (non dimentichiamo che Spadolini in gioventù è soprannominato le ‘danseur nu’). Egli è nello stadio del bruco, in
attesa di entrare nel bozzolo;
2) a sinistra è in posa una donna completamente ricoperta d’oro, anche lei nell’ombra, simbolo della vita
materiale. Su una mano è appoggiato un pappagallo,
che rappresenta il pavoneggiarsi, l’apparire. All’interno di quell’involucro dorato, c’è un’anima che attende di liberarsi dal bozzolo;
3) Un uomo di spalle si dirige a passo di danza verso
il centro del Tempio, e verso la luce. Egli si è tolto
la maschera che ha indossato per troppo tempo per
essere finalmente se stesso;
4) Nel libro di Fulcanelli leggiamo che le cattedrali sono
orientate da ovest verso est. Spadolini, interessato anche alle pratiche orientali, raffigura un uomo proveniente da Oriente che solleva la sfera, simbolo della
perfezione, della completa trasmutazione dell’anima.
5) Anche una donna, al centro del Tempio, solleva una
sfera. I suoi capelli si muovono al vento a simbolizzare la completa libertà raggiunta. Dall’ombra il bruco è resuscitato sotto forma di una splendida farfalla.
Tutti questi personaggi sono sovrastati dalla grande
colonna del Tempio che forma la lettera ‘Tau’.
Di origine biblica questa lettera prefigura la croce ed
è stata utilizzata nel Medioevo dai seguaci di Antonio
Abate e dallo stesso San Francesco.
“… e in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per
il segno del Tau, lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva
di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau
sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi
sinceramente a Cristo”.
“Vita di San Francesco – Legenda Maior”, Bonaventura da Bagnoregio
Spadolini, affronta in diverse opere il tema religioso
perché è terziario francescano:
“Francesco mi ha insegnato a dare per la gioia di dare, a sentirmi
felice di quanto possiedo, a considerare i ricchi come i veri poveri
perché spesso sono poveri nello spirito e nell’anima. A credere
che il dolore è un dono perché con il dolore si acquista la felicità
e la comprensione della felicità; a capire che la felicità non può
scaturire che da noi stessi, dal profondo del nostro essere e che il
mondo esterno non può turbare l’equilibrio e la serenità della
nostra anima.
Non mi creda un poseur, sento veramente ciò che dico e sento
veramente l’esempio di San Francesco.
Certo debbo vivere nel mondo e mostrarmi superficiale, ma questo è il volto che presento agli estranei, a coloro che non possono comprendermi, come una difesa ed una barriera sul segreto
mondo della mia vita più intima. Crede lei che tutti potrebbero
capirmi quando dico che i miei sentimenti li so esprimere solo
danzando e che molte volte mi vergogno di ricevere del denaro come compenso delle mie danze, perché queste sono un mio
modo di pensare, naturale per me come il respiro? Con la danza
voglio esprimere il mio amore per il sole, la bellezza, la vita in
tutti i suoi aspetti ed anche un senso religioso che sento come
guida e come sostegno.”
A destra: “Tau”, Spadolini anni ’60, olio su tela cm. 65 x 80 (Coll. N. Ghassoul)
84
“Spadolini francescano e ballerino”, Intervista di Mila Contini a
Spadolini, 1946 (Coll. B-S n. 115)
Decoratore e scenografo
“… Molto lavoro?
Pensate che ballo ogni sera, e talvolta al pomeriggio nella nuova
rivista dell’Alcazar, nella quale ho preparato una scenografia.
Henri Varna m’ha chiesto di prepararne una seconda per la
nuova versione che avrà luogo a febbraio. Questa scenografia si
chiamerà senza dubbio ‘Il sogno fantastico’…”
“L’Intransigeant” anni ’30 (Coll. B-S n. 217)
Spadolini negli anni ’20 è aiuto-scenografo al Teatro degli Indipendenti e aiuto-decoratore al Vittoriale; alla fine
degli anni ’20 decora la Villa dei marchesi Della Conca
a Cap d’Ail; all’inizio degli anni ’30 è decoratore con
Paul Colin; negli anni ’50 decora gli interni di splendide residenze come Villa dei Conti Vitali (oggi Museo
Comunale) e Villa Papetti di Fermo di cui purtroppo
non restano tracce. Ugualmente sono andati perduti gli
interni della discoteca del Grand-Hotel di Rimini.
L’attuale proprietario, il signor Emanuel Duval, mi ha
fatto pervenire alcune riproduzioni degli interni del Castello di Brignac in Francia, completamente affrescato
da Spadolini negli anni ’50.
Una ventina di bozzetti di scena, alcuni mobili, una
cassapanca in stile orientale, due mani in gesso che impugnano degli utensili e una serie di immagini fotografiche testimoniano la poliedrica e pluriennale attività di
Spadolini come decoratore e scenografo.
Il giornalista Christian Megret racconta come nel 1948
Spadolini diventa, grazie a queste sue doti artistiche,
proprietario de “L’Amiral” in rue Arsène-Houssaye, Paris 8°, il cabaret reso famoso da Edith Piaf.
“Spadolini parlava il mese scorso, con uno dei suoi amici, il
principe Ruspoli. L’argomento era la danza, naturalmente!
Viene fatto nella conversazione il nome di Fred Astaire in quel
periodo animatore d’un cabaret a New York… Ecco che il principe Ruspoli dichiara che Spadolini non sarebbe stato capace di
fare altrettanto. Provocato, il ballerino risponde:
‘Scommettiamo!’
Accettata la sfida, il principe senza pietà dice: ‘In otto giorni!’
Il ballerino risponde ancora: ‘Scommettiamo!’
Ma ci vuole una posta. Ci si accorda su 100.000 franchi. Ed
ecco che il 13 marzo, avendo preso i 100.000 franchi della scommessa (sborsati per le spese d’istallazione), Spadolini convoca a
l’Amiral il ’tout-Paris’ per l’inaugurazione (Jacques Fath, Madaleine Sologne, Mistinguett, Baker e seguito).
Spadolini s’è insediato a l’Amiral. In otto giorni ha rinnovato
l’arredamento di questo vascello sotterraneo, mettendo lui stesso
mano al pennello. Perché egli è pittore e non sa neppure lui, che
cosa è per lui il primo mestiere: la danza o la pittura? In modo
che, in otto giorni, gli oblò de l’Amiral aprono su una piccola
scena dove suona un’eccellente orchestra del genere sud-americano …”
Articolo dello scrittore e giornalista Christian Megret, 1948
Sopra: pubblicità del cabaret Chez Spadolini – l’Amiral, 1948 (Coll. P. Oger)
A destra: “Paesaggio fantastico”, bozzetto di scena di Spadolini anni ’50, cm. 101 x 115 (Coll. B-S n. 152)
A pag. 92: mani in gesso, Spadolini anni ’50 (Coll. B-S n. 244 – 245)
A pag. 93: “Venezia”, bozzetto di scena, Spadolini anni ’40, cm. 60 x 90 (Coll. B-S n. 151)
90
(Coll. B-S n. 249)
Illustratore
“…Spadolini è stato un grande cultore dell’arte antica. A casa
nostra egli è venuto a dipingere ma è venuto anche a studiare
dipinti antichi. Più volte si soffermava davanti a tele di Luca
Giordano, di altri maestri del ‘600 e del ‘700, facendo schizzi,
con il suo disegno molto sintetico…”
Stefano Papetti, presentazione Bolero-Spado 2005
Con i suoi disegni Spadolini illustra due opere del poeta
francese André-Marie Klénovski.
“Récital”
Presentato dallo scrittore André De Fouquières e pubblicato a Parigi da Les Editions Nationales nel 1952,
questo volume vuole cantare la bellezza e la nobiltà della vita. Le sette illustrazioni sono tutte di Spadolini: Les
jeunes filles de seize ans, Impressions St Palaisoises, Fin
de saison (depart), Ode au Brésil, Noel 1951, Les Sources de l’Orgueil, Ultima Necat.
Di grande interesse l’illustrazione per Libre arbitre:
“Le cœur …et ma raison”
Edito a Parigi da Les Editions J. Foret nel 1957, questo
libro di poesie, con prefazione di Marc-George Mallet,
contiene anche l’Essai dramatique Prélude au Bucher e
sei disegni di Spadolini: Ta main, Aux gentes pucelles,
Prière au Père Noel, Si tu étais vraiment Signeur homme de bien, Libre arbitre, Un jour a Buda.
“Un uomo in equilibrio instabile su di una bilancia tiene sollevato l’intero pianeta. Riuscirà il pianeta Terra a sopravvivere?
La risposta non può che essere: dipende solo dall’equilibrio interiore raggiunto da ogni singolo uomo.”
Sopra a sinistra: “Les jeunes filles de seize ans”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251)
Sopra a destra: “Studio per il dipinto del signor Marguerie” disegno di Spadolini anni ’50 (Coll. P. Oger)
A destra: “Libre arbitre”, illustrazione di Spadolini 1957 (Coll. B-S n. 250)
A pag. 96: “Ultima Necat”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251)
A pag. 97 : “Les Sources de l’Orgueil”, illustrazione di Spadolini 1952 (Coll. B-S n. 251)
94
Restauratore
gurata, prima della sua conversione, come una donna
riccamente abbigliata con guanti e gioielli, simbolo dell’amore profano; oppure, dopo la sua conversione, accanto ad un teschio, come prototipo della penitente.
La tela a tramatura larga tipica del ‘600 presenta un lungo taglio nella parte inferiore. L’opera è stata restaurata
negli anni ’40 da Spadolini con alcuni ritocchi pittorici
ed un supporto di cartone.
“… I suoi restauri di antichi dipinti lo segnalano all’attenzione
degli iniziati…”
Jacopo della Serra, Parigi 1946 (Coll. B-S n. 167)
Spadolini collabora a restaurare antichi dipinti nello
studio di Jules Boucher (1902 - 1955), apprezzato autore di volumi sulla simbologia e discepolo del celebre
alchimista Fulcanelli. Dell’attività di Spadolini restauratore restano quattro dipinti al cui studio ha collaborato la restauratrice Federica Bozzarelli.
“Particolare di un dipinto di Maria Maddalena,
con teschio e gioielli”
Nell’arte cristiana Maria Maddalena è di solito raffi-
“Dipinto fiammingo del ‘700”
Il dipinto che presentava in origine uno squarcio a ‘L’ è
stato rintelato e ritoccato da Spadolini negli anni ’40.
Tipico della pittura fiamminga è la rappresentazione
minuziosa dei dettagli abilmente dipinti e raffigurati anche in questa tela ad olio.
“Sant’Antonio da Padova con Bambino Gesù”
Definito dai romantici ‘il Raffaello spagnolo’, Bartolomé
Esteban Murillo (1618 - 1682) è pittore capace di avvicinare il Cielo alla terra. Celebri le sue tele raffiguranti
storie di miracoli monastici e le vite dei Santi.
Il Sant’Antonio restaurato da Spadolini è di pregevole
fattura, forse opera dello stesso Murillo o di un suo abilissimo allievo.
Sopra a sinistra: “Particolare del dipinto Maria Maddalena” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 241)
Sopra a destra: “Dipinto fiammingo” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 242)
A destra: “Sant’Antonio da Padova” restaurato da Spadolini anni ’40 (Coll. B-S n. 240)
98
Nel cinema
Spadolini è attore con Jean Gabin e Jean Marais; adattatore dei dialoghi per la London Film; regista e sceneggiatore di documentari con il jazzista Jango Reinhardt,
la cantante Suzy Solidor e la ballerina Carmen Amaya.
“L’épervier” (1933)
A pochi mesi dal suo debutto al Casinò de Paris, Spadolini danza nel film “L’épervier”, con Charles Boyer, regia
di Marcel L’Herbier.
Accanto a Spadolini c’è un giovanissimo Jean Marais
alla sua prima apparizione sullo schermo e la principessa
Natalie Paley, cugina dello zar Nicola II°, che era stata
legata sentimentalmente a Jean Cocteau.
L’evento è fissato in una fotografia (pag. 102) con Spadolini al centro a torso nudo; a sinistra, con giacca nera,
c’è Charles Boyer; a destra, con giacca bianca, c’è Jean
Marais. La fotografia è stata riprodotta grazie alla cortese
collaborazione della Bibliothèque du Film de Paris.
“Marinella” (1936)
Il cantante ed attore di origine corsa Tino Rossi (1907
- 1983), dalla voce ‘magica’ e dal fisico mediterraneo,
vuole una danza di Spadolini nel film “Marinella”, una
commedia sentimentale diretta da Pierre Caron.
Spadò si scatena in un ballo primitivo su di un enorme
tamburo (in seguito questa scena sarà copiata in un film
americano).
Pochi sono a conoscenza del fatto che il personaggio interpretato da Tino Rossi riprende, in parte, la storia di
Alberto: egli è un giovane decoratore che lavora con altri
garzoni alla scenografia di un music-hall; in una pausa
dell’allestimento scenico si mette a cantare, l’impresario
per caso lo sente e lo lancia nel mondo dello spettacolo.
“Le monsieur de cinq heures” (1938)
In questo film Spadolini danza con l’affascinante Mila
Pareli. Il regista è ancora Pierre Caron.
“Le jour se léve” (1939)
Spadolini ha fatto parte del cast di “Le jour se léve”, distribuito in Italia con il titolo “Alba tragica”, scritto da Jacques Prévert, con Jean Gabin e la regia di Marcel Carné.
All’uscita il film viene bloccato dalla censura militare
100
perché ‘demoralizzante’ e, solo alla fine della guerra, è
riproposto al pubblico con alcuni tagli fra i quali anche
la scena in cui Spadolini interpreta un piccolo gangster
italiano. Della sua partecipazione non ci resta che un
articolo di giornale ed una foto di scena.
“Le pavillon brule” (1941)
A fianco di Jean Marais, ormai diventato una stella del
cinema, e con la regia di Jaques de Baroncelli, Spadolini
recita la parte di un minatore in una scena di ‘bagarre’
e liti.
“La danse à travers les ages” (1946)
In questo lungometraggio Spadolini presenta una serie
di danze antiche e moderne. La regia è di Berard, il commento ed i costumi sono di Cocteau. Del filmato resta
una esile traccia in un articolo di giornale del 1946.
“Rivage de Paris” (1950)
Spadolini è regista e sceneggiatore del documentario
‘Rivage de Paris’ a cui partecipa Jango Reinhardt con i
brani ‘Belleville’, ‘Nuages’ e la inedita composizione ‘La
Messe’; la cantante Suzy Solidor interpreta la canzone
‘La Seine’.
Gli “Archives Français du Film” ne prevedono il restauro.
“Nous, les gitans …” (1951)
Questo documentario della Société Courts Métrages
sulle origini della musica gitana vede la partecipazione
di Spadolini nelle vesti di scenografo, realizzatore dei
testi, regista e danzatore.
La “Cinématheque Française” ne possiede una copia assai
fragile (apparentemente in nitrato).
In un depliant ritrovato nel castello di Brignac c’è la trama del documentario:
“Ecco una pagina della vita e delle passioni dei gitani ‘Figli del
vento e del sole’ il cui motto è: ‘Noi arriviamo e partiamo a un
segnale che nessuno dà e al quale obbediamo tutti’.
Autentici gitani, e artisti di fama della stessa origine, hanno partecipato alla realizzazione di questo film.
La sera cade sulla campagna già grigia, mentre una carovana
s’incammina, al suono della chitarra.
Ed è la sosta misteriosa che lancia verso il cielo i suoi mille fuochi. Bruscamente, nella calma perfetta, si scatenano accordi violenti ed allegri. Inizia la festa. Canti e grida si fondono in un
solo accordo. Ecco arrivare, al ritmo dei loro ‘tacchi’, fra i canti,
ballerini e ballerine, che interpretano il flamenco con l’ardore
della loro razza. Poi tutti riprendono il cammino … al ritmo
della canzone originale ‘caravane’.”
Depliant “Nous les gitans”, 1951 (Coll. P. Oger)
“Souvenirs d’Espagne” (1952)
Questo documentario completamente restaurato appartiene alla “Cinematheque Française”. In un depliant fra i
protagonisti è citata la ballerina Carmen Amaya.
“Chasing a Rainbow: the life of Josephine Baker” (1986)
In questo documentario del regista Christopher Ralling, la voce del narratore Olivier Todd ci accompagna
lungo la vita di Joséphine Baker. In un breve filmato
della Gaumont-Pathé dal titolo “Bal des Petits Lits Blancs”, serata di beneficenza degli anni ’30, Joséphine danza
proprio con Alberto Spadolini. La scoperta del filmato
è opera della prof.ssa Andrea Harris del Department of
Ballet & Modern Dance TCU.
Alberto Spadolini è assunto personalmente da Sir
Alexander Korda, fondatore della London Film, come
adattatore dei dialoghi per le versioni francesi di alcuni
film fra i quali “I racconti di Hoffman”, Premio Miglior
Produzione al Festival di Cannes (1951) e “Outcast of the
Island” regia di Carol Reed (1951).
A pag. 101: Spadolini nel film “Le jour se léve”, di Marcel Carné, 1939 (Coll. B-S n. 254)
Sopra: “L’épervier”: in primo piano a sinistra Natalie Paley; in completo scuro Charles Boyer; al centro della foto a torso nudo Spadolini; a destra in
giacca bianca Jean Marais. Particolare di una foto di M. Pecqueux - Imperial Film (per gentile concessione della BIFI)
Sotto: Spadolini nel documentario “Nous les gitans”, 1951 (Coll. B-S n. 260)
A destra: Spadolini danza “Obsession” nel film “Marinella”, regia di P. Caron, 1936 (Coll. B-S n. 257)
102
Cantante
“Lasciato per un istante l’Alcazar dove egli canta e danza,
Spadolini era venuto nella nostra redazione nella Avenue de
Champs-Elysées …”
“A l’Intran-Studio avec Spadolini” L’Intransigeant,
anni ’30 (Coll. B-S n. 217)
Alberto Spadolini, apprezzato cantante di music-hall,
negli anni ’30 lavora a fianco dei grandi miti della canzone francese: Mistinguett, Joséphine Baker, Suzy Solidor,
Maurice Chevalier, Charles Trenet, Tino Rossi, ecc.
In un articolo inviatomi dalla Bibliothèque Nationale
de France l’artista marchigiano racconta come a New
York, per difendere l’artista di colore Alma Smith, sia
diventato cantante:
“… Avendo incontrato Miss Alma Smith, artista di talento,
che ha cantato e ballato agli ‘Ambassadeurs’, io ho creduto bene
d’invitarla a cena in un posto chic.
Io fui a malapena salutato da gente che, fino a quel momento, m’aveva letteralmente colmato di gentilezze! Io non avevo,
pregando spontaneamente Miss Smits, riflettuto ch’ella era ‘di
colore’!!
L’indomani, siccome chiedevo spiegazioni a quelli che la sera
prima mi avevano trattato freddamente, una cortese giornalista
mi domanda, imitando la vostra Lucienne Boyer:
- Non potreste parlarci d’altro? E se non parlate, cantate dunque!
Quando si domanda, anche scherzando, a un italiano di cantare
una canzonetta, è raro ch’egli rifiuti!
Fino ad allora, io non mi ero mai curato della mia voce. Cantai
due melodie del mio paese: ‘Avanti Savoia’ , unico repertorio!
Risultato: bis, ancora!!! Già l’indomani ero convocato alla Radio. Il giorno dopo registrai dei dischi.
Come vi dicevo: non si perde tempo in USA!
Strana bizzarria del Destino! Ho dovuto venire in Francia per
diventare ballerino. Dovrò venire in America per diventare cantante? Se una volta, io ritornerò in questa vibrante e così cordiale
America, per fare piacere a ‘zio Sam’ io interpreterò solo “La
dama Bianca”.
Coloro che hanno conosciuto Spadolini ricordano il
timbro della sua voce, una voce calda, capace di trasmettere i sentimenti più profondi come la tenerezza
e l’amore, proprio perché esprimeva la bellezza di un
animo nobile.
“Spadolini è un danzatore nato con un accento, un lirismo, un
potenziale ritmico realmente notevole. Inoltre possiede una voce
piacevole.”
Louis-Léon Martin, Paris-Midi anni ‘30 (Coll. B-S n. 95)
“Spadolini è un ballerino dallo stile netto, incisivo, nervoso senza sbavature. Egli ha questo senso del moderno così raro nelle
scene e tuttavia così ricco di possibilità. Peraltro canta con una
voce gradevole e intonata e possiede la diversità di doni richiesti
per il Music-Hall.”
Petit Parisien, anni ’30 (Coll. B-S n. 95)
Purtroppo nessuno dei dischi incisi negli anni ’30 da
Spadolini è stato ritrovato.
Alcuni spartiti musicali di Mistinguett, Edith Piaf,
Maurice Chevalier, Joséphine Baker, Fernandel e Tino
Rossi sono oggi custoditi nell’archivio Bolero-Spadò e
in quello di Patrick Oger.
Concludo con un ricordo di Stefano Travaglini, nipote
di Spadolini, oggi affermato jazzista:
“… Se potessi fare una considerazione un po’ azzardata direi
che in tutte le produzioni artistiche di Spadolini risuona una
musica di sottofondo che ritma e dà movimento, ora aggraziato
ora vigoroso, alla sua pittura, alla sua scultura ed anche al suo
modo di approcciarsi alla vita. Quando, adolescente, iniziai a
strimpellare la chitarra, lui mi guardò con simpatica circospezione e mi disse le fatidiche parole: ‘Bene, fammi sentire qualcosa!’
E prima che tentassi qualche impacciato accordo mi tolse dall’imbarazzo raccontandomi di un fantastico gruppo di Parigi e
di Jacques Brel che, solo davanti allo schermo, improvvisava con
la chitarra e con la voce la colonna sonora di un film …”
«Impressions d’Amérique » di Alberto Spadolini
“Il ricordo di Alberto Spadolini” di S. Travaglini,
‘Sourire de France’ 1935 (BNF)
maggio 2007
A destra: Il cantante Spadolini in una foto Hartcourt, Parigi anni ’30 (Coll. B-S n. 393)
104
Come un principe del Rinascimento
“Ho conosciuto Alberto nel 1958 sulla terrazza del bar ‘Français’,
proprio accanto al Lido quando era al n. 78 di Champs Elysées.
Stavo conversando con l’amica Edda e con il signor Sacareau
quando un uomo estremamente elegante, con un’andatura principesca si avvicina a noi. Egli saluta il signor Sacareau che ci
presenta. Sono soggiogato dalla classe di quest’uomo, una miscela di manifesta virilità e delicata raffinatezza. Mi viene in
mente che i principi del Rinascimento dovevano presentarsi allo
stesso modo. Si chiama Spadolini… Abbiamo continuato a
conversare sulla terrazza del ‘Français’, poi Alberto ci propone
di prendere un bicchiere da lui. Abita proprio lì accanto… Abbiamo attraversato un largo corridoio e siamo entrati in un vasto
salone mirabilmente decorato, bei mobili antichi si sposavano
armoniosamente con delle confortevoli e moderne poltrone in stile
inglese. Il soffitto rappresenta un cielo blu luminoso spezzato da
qualche piccola nuvola bianca come quelle che si vedono nel cielo
d’estate. Questa casa sembra un piccolo paradiso… Abbiamo
passato una serata molto piacevole, Alberto è avvincente e la sua
simpatia comunicativa. Non si può che amare un tale uomo. È
affascinante, intelligente, colto; la sua conversazione è brillante,
senza alcuna pretesa né quella sufficienza che ho sovente incontrato presso altri… E’ se stesso con semplicità, e questo basta per
farlo divenire il centro d’interesse in tutti gli incontri…”
“Memorie”, manoscritto di Carmelo Petix, 2005
All’inizio degli anni ’60 un giornalista presente all’inaugurazione di una mostra di Spadolini alla Galleria d’Arte
‘A. Cazelles’ rivela che:
“Spadolini restava in disparte con un leggero sorriso e dalle sue
labbra traspariva amarezza. Aveva uno sguardo profondo che
manifestava dolore. Sì era il dolore che esprimevano i suoi occhi e
il suo bel viso tagliato in rilievo da medaglia d’imperatore romano
o da semidio dell’Antica Grecia. Questo artista originario della
città di Ancona che i Dori avevano fondato sul più bel luogo della
costa adriatica, era anche un uomo. Un uomo che aveva posto i
suoi ideali sotto il doppio segno della civiltà greca e latina e che
modestamente non domandava che poche cose alla vita, donando
tutto in cambio con generosità. E, come per ironia… se la vita
ha colmato di doni l’artista, al contrario non ha esitato a colpire
crudelmente l’uomo. … Da più di due anni, dopo aver ricevuto
una ferita che non perdona, Spadolini ha lottato con una volontà
sovrumana, disperatamente, cercando di ritrovare fede nella vita.
Cercando di convincersi che la vita valeva la pena di essere vissuta, malgrado la scomparsa dell’essere che gli fu più caro. Ed è
nell’apogeo di questo lutto infinito, che egli ha scoperto il mondo
fantastico e irreale dei danzatori che volteggiano sempre gli stessi
valzer melanconici, sulle sue tele, come un esploratore perduto
nella più terribile tempesta dell’Himalaia scoprirebbe all’improvviso la ‘valle dell’eterna felicità’. Le figure graziose dei danzatori
prese nei loro atteggiamenti più belli ed armoniosi, sotto un raggio
di luce che filtra attraverso il prisma di un chiaro di luna fiabesco,
e fermati per sempre come per incanto sulla tela, rappresentano
oggi per Spadolini l’unica ragione d’essere, la sua sola felicità.”
Articolo edito a Parigi, primi anni ’60 (Coll. B-S n.206)
Legata e parallela a questo periodo è la drammatica storia del carissimo Duilio Cicchi, misteriosamente morto
a Parigi nel 1961 e descritto da Anton Giulio Bragaglia
come “… la copia di Spadolini a diciotto anni e che, oltre al
suo fisico statuario, ha da lui ereditato l’amore per la musica”.
È la scomparsa di Duilio a gettare Spadolini nello sconforto tanto da indurlo a nascondere una serie di dipinti,
fra cui “Splendore del mare”, dipingendoci sopra altri
soggetti. Duilio, un giovane italiano con il padre alcolizzato e la madre povera sarta, emigra in Francia in cerca
di lavoro con la speranza di una vita felice.
Quando Spadolini lo conosce è denutrito e gravemente ammalato; sopravvive raccogliendo palle da tennis in
un circolo sportivo nei sobborghi di Parigi. Alberto lo
aiuta, lo sostiene e gli insegna, nel giro di pochi anni,
l’arte del ballo e della pittura. Sembra che per Duilio
sia iniziata una meravigliosa avventura: si sposa con una
ragazza francese appartenente ad una ricchissima famiglia e diventa padre di tre splendide bambine. Comincia
ad avere successo lavorando nel 1946 in Italia con la
compagnia di Marisa Maresca, insieme a Walter Chiari
e allo stesso Spadolini e nel 1955, in Francia, nel film
capolavoro di Melville “Bob le flambeur”. Ha poco più
di trent’anni quando si compie il suo tragico destino.
A pag. 107: Alberto Spadolini e Yvette Marguerie danzano felici al Puerta del Sol di Parigi (Coll. P. Oger)
A destra : « Duilio, la première leçon de danse », Spadolini 1947, olio su tela cm. 28 x 35 (Coll. P. Oger)
108
Felix Yussupov
Nell’archivio Bolero-Spadò sono stati ritrovati diversi
documenti inerenti Felix Yussupov (Pietroburgo 1887
- Parigi 1967), il principe russo che deve la sua notorietà
all’uccisione di Rasputin, il terribile monaco che ha soggiogato con i suoi poteri la famiglia dello Zar.
La notte del 29 dicembre 1916, nel corso di un banchetto in casa Yussupov, un gruppo di congiurati versa nel
bicchiere di Rasputin una tale dose di veleno da uccidere un elefante. Il monaco non ne vuole sapere di morire
e allora Yussupov gli spara al cuore. Nemmeno la pallottola lo uccide. Dopo averlo crivellato di colpi i congiurati gettano il corpo di Rasputin nel fiume ghiacciato.
Solo quando non lo vedono più riemergere sono certi di
averlo eliminato.
Fra i documenti ritrovati nell’archivio c’è una preziosa
cartolina con un disegno fatto a mano del ‘Gatto Felix’.
La cartolina, inviata da Yussupov a Spadolini in data 24
febbraio 1957, è un caloroso invito a recarsi ad Auteuil,
sobborgo parigino dove il principe soggiorna.
“Auteuil senza di voi è triste!”, dice il Gatto Felix. E sul
retro: “Io condivido il parere del gatto. Ti abbraccio e spero di
vederti presto. Felix (Yussupov)”
I signori Jacques Puisset e Carmelo Petix ricordano che
negli anni ’50 hanno frequentato insieme ad Alberto la
famiglia Yussupov. In queste occasioni Spadolini rallegra gli amici russi scatenandosi nelle sue danze.
L’arte è l’argomento di conversazione in casa Yussupov.
Il principe, appassionato di pittura, fa un’ottima recensione alle opere di Spadolini e patrocina nel 1955 la mostra alla Galerie Charles Brandtke di Luxembourg.
Inoltre, come ricorda il signor Petix, avendo aiutato il
Principe Yussupov a risolvere una importante questione
legale, Spadolini riceve in dono una sedia istoriata, due
sculture e un letto antico. Ed ancora oggi mi chiedo se
la sedia, in seguito regalata da Alberto alle sorelle, sia
proprio quella su cui fu fatto sedere Rasputin la notte in
cui fu avvelenato!
Sopra: Il principe Felix Yussupov in una cartolina degli anni ’30 (Coll. B-S n. 397)
Sotto: Rasputin, illustrazione anni ’30 (Coll. B-S n. 296)
A destra: Invito del principe Yussupov (Coll. B-S n. 396)
110
Jean Cocteau
« … Spadolini sbarca a Parigi, incontra il pianista Clément
Doucet e firma un contratto al ‘Bœuf sur le toit’ dove solleva
l’entusiasmo… »
di forze e cose meravigliose, uno di quei saloon dove si riunivano
i cercatori d’oro. L’oro di cui parlo era l’oro dello spirito, un oro
leggero, incalcolabile …”
“A proposito d’un danzatore”
«Memoire de Jean Cocteau », 30 aprile 1942
articolo edito a Bruxelles negli anni ’30 (Coll. B-S n. 73)
Giunto a Parigi nella primavera del 1932, Spadolini è
colto da una crisi artistica. In lui c’è la paura di fallire in
quello che all’epoca è considerato il tempio della danza.
E così finisce per stravolgere le sue interpretazioni coreografiche per tentare di imitare quelle più raffinate, ed
allora in gran voga, dei Balletti Russi.
“A Montecarlo io ballavo Ravel, Stravinski e c’era aria e sole
fuori. Quando ho preso il treno per Parigi, io avevo l’impressione di trovarmi su una scena senza sfondo. Ho rischiato di non
debuttare mai. Ero l’elemento selvaggio, e come dire anarchico
della danza. Le prove sono state disastrose. Si pensava ad un
fiasco… E poi un giorno ho trovato una sala. Ho ballato come
sentivo, improvvisando come ogni volta che ballo …”
“Il fallait un danseur a J. Baker”, intervista a Spadolini
di Jean Barois, Paris Midi, 18 – 4 –1933 (Coll. BNF)
La sala in questione è quella del “Le boeuf sur le toit”, il locale più esclusivo di Parigi, ideato e frequentato da Jean
Cocteau, oltre che da Picasso, dai dadaisti e dagli artisti
di Montparnasse.
Jean Cocteau (1889 - 1963) poeta, scrittore, disegnatore,
regista, attore è universalmente conosciuto per il balletto “Parade” (1917) creato con Picasso e Satie; per il romanzo “Les enfants terribles” (1929), per il film “La bella e
la bestia” (1946), ed anche per la sua lunga storia d’amore
con l’attore Jean Marais.
Nei suoi diari egli ci rivela quanto “Le boeuf sur le toit” sia
stato importante per la cultura francese:
“… il Boeuf non è stato né un bar, né un ristorante, né un cabaret, bensì la nostra giovinezza, una pausa, un’unione prestigiosa
Pochi mesi dopo il suo debutto a Parigi Spadolini è
chiamato a danzare nel film “L’Epervier”.
Fra i protagonisti la principessa Nathalie Paley, la bellissima sorella del granduca Romanov, nipote dello zar di
Russia, con cui Cocteau è stato legato sentimentalmente
e da cui è in attesa di un figlio.
A spingerla ad abortire sembra sia intervenuta MarieLaure de Noalles che in gioventù aveva molto amato
Cocteau e che era contraria ad una loro unione.
Sempre nel film “L’Epervier” appare per la prima volta sullo schermo un giovanissimo Jean Marais che in
giacca bianca è accanto a Spadolini in una foto di scena.
Cocteau, amico di Gabriele d’Annunzio e di tanti
ex-frequentatori del Teatro degli Indipendenti come
Marinetti, Balla, Depero, Severini, Carrà, Prampolini,
ha una predilezione per le scene di danza dipinte da
Spadolini.
E Spadolini, per ringraziare l’amico francese, inserisce
nei depliant delle sue mostre di pittura una sua appassionata recensione.
Inoltre, da un articolo pubblicato in Italia nel 1946, sappiamo che Spadolini ha registrato un documentario dal
titolo “La danse à travers les ages”, commento e costumi di
Cocteau, regia di Berard.
Del filmato non si sono trovate tracce se non un disegno di Cocteau per la copertina del depliant “La danse à
travers les ages”, serata di danze al Théatre Nationale de
l’Opéra a favore dei sinistrati della Normandia.
Infine, nell’archivio da me ritrovato a Fermo, c’è il
frammento di un depliant in cui Cocteau e Spadolini,
insieme ad altri grandi protagonisti delle arti e dello
spettacolo partecipano ad una manifestazione culturale
svoltasi a Parigi negli anni ‘50.
A destra in alto: “Spadolini exhibition of ballets paintings”, Brochure della Bohmans Konstgalleri, Stoccolma marzo 1966 (Coll. B-S n. 178)
A destra in basso: Frammento di un depliant di una manifestazione artistica svoltasi a Parigi negli anni ’50 (Coll. B-S n. 165)
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Un amore lungo venti anni:
Alberto Spadolini e Yvette Marguerie
“Mia cara Yvette,
sono restato veramente commosso da tutte le tue espressioni di
gentilezza, dalla tua tenerezza e dalla tua ‘feroce’ volontà nel
mantenere vivo il sentimento fra noi.
E’ così adesso e lo sarà per sempre. Non posso liberare la mia
anima da ciò che l’ha forgiata. Tutto è estremamente intenso in
me e lego al mio destino tutti quelli che amo …”
Lettera di Spadolini a Yvette Marguerie ( Coll. P. Oger)
Yvette Marguerie (1913 - 1999), ballerina e attrice nel
cinema muto, è stata per oltre un ventennio il grande
amore di Alberto. Proprietaria del Castello di Brignac
(Chapelle Saint-Laud Seiches M.et L.), ha prodotto
con Spadolini alcuni cortometraggi sulla danza fra cui
“Rivage de Paris” (1950), “Nous les gitans” (1951), “Souvenirs d’Espagne” (1952).
Il signor Patrick Oger, assistente di Yvette Marguerie
la ricorda come
“… una signora bella, elegante, intraprendente, calorosa, generosa, che amava rendere felici tutti quelli che le erano intorno” .
Facendo parte della famiglia Spadolini ha spesso soggiornato al Castello di Brignac dipingendo alcuni dei
suoi capolavori e decorando l’intero Castello in stile
‘rinascimentale’. Fra gli ospiti del castello il Principe Yussupov, la principessa Irina, il duca e la duchessa di Windsor, il ministro André Malraux, gli artisti Lino Ventura
e Giovanni Spadolini, ex Primo Ministro e lontano parente di Alberto Spadolini.
Negli anni ’50 e ’60 zia Yvette, come io la chiamavo,
passava le sue vacanze a Fermo nella casa delle sorelle di
Alberto. Lei amava in particolare Porto San Giorgio, la
sua spiaggia accogliente, i suoi ristoranti dal pesce sempre fresco, il suo dancing ‘Riva Fiorita’ dove danzava con
Spadolini fino a tarda notte.
Sopra: Alberto e Yvette davanti ad un bicchiere di buon vino (Coll. P. Oger)
A destra: Yvette Marguerie in un dipinto di Spadolini, Castello di Brignac, Foto Coupel Seiches sur le Loir, anni ’50 (Coll. B-S n. 484)
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Commiato
“Quando, nel lontano dopoguerra, Alberto Spadolini veniva in
Italia era un avvenimento per tutta la famiglia e una festa per
noi bambini. Ricordo che la prima volta venne da étoile di una
grande rivista con Walter Chiari, poi da protagonista e regista
di film sulla danza. Quando parenti e amici lo complimentavano, lui si schermiva: con loro voleva solo ricordare le sue tante
esperienze di bambino e adolescente fra il porto di Ancona, i
caffè e i teatri di Roma. Così usciva dall’aura dell’artista (per
noi bambini, e anche per qualche adulto, incomprensibile) per
rivelare la sua grande umanità.
Ancora oggi, mentre ammiriamo i dipinti che ce lo ricordano, è
proprio il suo valore di uomo che ce lo rende presente.”
Alberto Spadellini, maggio 2007
Alberto Spadolini si sente, si crede, è un sensibile artista e la naturale, incontenibile, dirompente espressione
del suo intimo essere è, a mio avviso, il segreto dello
straordinario successo raccolto in ogni arte interpretata
da questo eclettico talento naturale.
L’archivio di Spadolini, punto di partenza di lunghe e
fruttuose ricerche, ci permette di incontrare gli intellettuali e gli artisti del ‘900 in quel palcoscenico straordinario che è Parigi.
Una vita tessuta da intense relazioni nelle quali Alberto
è, di volta in volta, allievo, maestro, collaboratore, protagonista, ispiratore, amante, amico …
I riflettori lo accompagnano per mezzo secolo nei teatri, nei cabaret, nelle gallerie d’arte, nei bistrot, nella vita
privata. Eppure, di tutto questo, racconta ben poco alla
madre, al fratello e alle sorelle che nel dopo-guerra visita
regolarmente ogni anno. Anch’io, bambino e ragazzo,
ero affascinato dalla sua persona, dalla sua vita Oltralpe,
dal saperlo pittore ma solo ora scopro il suo talento ed il
suo ruolo di protagonista in quel crogiolo di artisti, faro
e riferimento di tutta l’Europa, che è la Ville Lumiere.
Le luci, le amicizie elette non lo hanno corrotto e posso
dire che l’amore profondo, l’onestà e la generosità sono
i suoi più importanti valori. Come abbiamo visto sono
numerose le testimonianze di coloro che nei momenti di maggiore bisogno sono stati aiutati da Spadolini.
Come Alex, ebreo di origine russa da lui nascosto durante l’occupazione nazista; o come Duilio, il ragazzo
povero ed ammalato da lui cresciuto come un figlio; o
come Betty, la ballerina svedese finita su di una sedia a
rotelle da lui aiutata; o come Alì, giovane musulmano
a cui ha insegnato l’arte della pittura; o come Carmelo,
prezioso testimone dei suoi ultimi anni di vita.
Inoltre per anni egli presta il proprio aiuto come volontario all’Hopital de Dieu de Paris.
“ … il ricordo che vorrei cancellare: qualcuno che avvisa mia
madre della morte dello zio Alberto Spadolini, l’attesa del rientro di mio padre, la mamma che cerca di trovare il coraggio per
comunicargli la morte del fratello, poi la sua partenza per il funerale a Parigi, i giorni seguenti al suo ritorno tristi e taciturni.
In seguito mio padre comincerà a dipingere e a costruire cornici
abbellendole con conchiglie che andava a recuperare sulle spiagge
dell’Adriatico. Non so quale collegamento possa esserci tra la sequenza degli eventi, purtroppo non ho fatto in tempo a domandarglielo, o non ho trovato il coraggio, mio padre è morto dopo
alcuni anni. La ‘morte’ , l’ho sempre pensata come il capolinea
della nostra vita, immaginare che qualcosa potesse resistere dopo
di lei era per me inconcepibile.
Ma il dubbio si è insinuato, e una delle cause è sicuramente la
tenacia di mio cugino Marco nel sollevare tutto questo ‘polverone’ sullo zio, e non solo sulla figura dell’artista eclettico, non
ho dubbi che le opere accompagnino l’artista oltre la morte, ma
sull’uomo, sul suo coraggio per le scelte fatte in gioventù, per le
decisioni poi prese in una situazione storica che ha attraversato
i decenni precedenti e seguenti la Seconda Guerra mondiale. E’
stata soprattutto questa ricerca che mi ha trasmesso la sensazione di averlo per un attimo seguito in qualche istante/frammento
della sua vita e mi ha indotto a coltivare la speranza che abbia
trasmesso anche a noi qualche gene, non artistico nel mio caso,
ma, mi auguro, nella capacità di comprendere e interpretare la
vita senza pregiudizi e preconcetti.”
Mario Spadellini, maggio 2007
Si, possiamo ben dire che Spadò ha fatto della propria
vita un’opera d’arte!
A destra: Spadolini e la compagnia del Bolero-Spadò ci salutano. Foto France-Presse anni ’30 (Coll. B-S n. 10)
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