affondo di berlusconi: niente tasse sulle

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affondo di berlusconi: niente tasse sulle
d’Italia
AFFONDO DI BERLUSCONI: NIENTE TASSE
SULLE COMPRAVENDITE PER 6 MESI
ANNO LXII N.284
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
Franco Bianchini
«Ridurre le imposte, meno tasse,
meno tasse, meno tasse su famiglie, lavoro e imprese. Serve una
rivoluzione fiscale. Serve una Flex
Tax con aliquota al 20% per avere
un risultato positivo e accettabile.
Questa tassa può produrre meno
tasse per le famiglie. E poi niente
imposte sulle compravendite per
sei mesi». Lo ha detto Silvio Berlusconi in collegamento telefonico
a un’iniziativa dei club Forza Silvio
a Palermo. La flex Tax comporta
meno evasione fiscale è una proposta già sperimentata in 38
Paesi. Anche la Lega è d’accordo
e finalmente ha cambiato idea»,
ha aggiunto.
Berlusconi: al lavoro per il rilancio del partito
«Forza Italia dovrà tornare a essere una forza viva tra la gente
presente in tutti comuni per dare
vita a una rifondazione di Forza
Italia che dovrà aderire alle campagne che metteremo in campo
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per le prossime elezioni nazionali.
Sto lavorando per tornare che sia doveroso ritornare a occuparci a tempo
pieno del nostro Paese», ha spiegato
il Cavaliere. «Forza Italia dovrà cominciare a lavorare facendo la stessa
quantità di lavoro che avevamo destinato ai club. In Italia siamo arrivati
ad avere 1.200 club funzionanti; in
quasi tutte le realtà locali si sono
creati dei contrasti tra gli azzurri di
Forza Italia e gli azzurri del club.
Dopo aver fatto molti approfondimenti abbiamo deciso che le missioni
affidate ai club siano prese in capo
direttamente da Forza Italia e dagli
azzurri di Forza Italia che devono interessarsi dei temi che oggi la situazione impone: ci sono sempre piu’
persone licenziate e famiglie che non
arrivano alla fine del mese. Abbiamo
la possibilità di dare una mano a chi
ha bisogno– ha concluso Berlusconi
– poi ci sono le vittime della giustizia
e chi è stato ingiustamente condannato dalla magistratura».
I talk show sono ormai inguardabili, la stampa ostile
«Abbiamo a che fare con una
stampa ostile, le televisioni sono diventate inguardabili con tutti questi
domenica 7/12/2014
spettacoli di approfondimento dove
la gente si parla uno sull’altro e non si
capisce niente. Non so voi io non riesco più a guardare nessuno. Per le
prossime elezioni dovremo mettere
in campo dei contatti personali», ha
sottolineato Berlusconi. «Dobbiamo
andare a individuare gli indirizzi, gli
orientamenti politici degli elettori e
questo è una cosa facile, perché il
numero è basso – ha aggiunto – Verificare chi ha votato, chi non ha votato e chi non ha intenzione di votare.
C’è un esercito di elettori fatto da 25
milioni di persone deluse dalla politica dai politici e rassegnate».
Povero Natale: 6 milioni di italiani senza doni. E arriva la stangata Tasi…
Guido Liberati
Nel 2014 solo un italiano su due
(51%) ce la fa ad arrivare a fine mese,
mentre il 36% non riesce a superare
la terza settimana e il 13% la seconda. Lo rileva la Confesercenti sulla
base di un sondaggio in vista del Natale. Sette anni fa la quota di italiani
che poteva contare su un reddito sufficiente per tutto il mese era del 64%.
La crisi rallenta anche la corsa ai regali di Natale: la quasi totalità degli italiani (il 96%) non rinuncerà almeno
all’acquisto di un dono, ma il 13% –
oltre 6 milioni di persone circa – non
comprerà nessun regalo per sé o per
la famiglia, ed il 71% opterà invece
per un regalo utile. Secondo la ricerca, a risentirne anche il tradizionale simbolo natalizio: negli anni della
crisi l’albero di Natale si è accorciato
in media di mezzo metro e oggi la
maggioranza degli abeti acquistati
dagli italiani hanno una altezza inferiore al metro e mezzo e in molti casi
non superano neanche il metro.
Tasi più cara dell’Imu per il 53%
degli italiani
A condizionare i consumi natalizi,
quest’anno, anche l’incombenza dei
pagamenti fiscali. La Tasi e l’Imu busseranno insieme alla porta degli italiani. Il conto alla rovescia è iniziato: il
pagamento del saldo delle due imposte dovrà essere fatto entro il 16 di dicembre. Come sempre accade con
una imposta ”municipale” l’impatto
sarà differenziato da zona a zona ma
– secondo una ricerca della Uil – una
famiglia su due pagherà per la Tasi un
conto più salato della vecchia Imu. «È
vero che il costo della Tasi sulla prima
casa sarà complessivamente un po’
più basso dell’Imu – afferma uno studio elaborato dal Servizio Politiche
Territoriali della Uil – ma la distribuzione della nuova tassa è meno
equa». Dall’elaborazione emerge che
53,5% dei contribuenti pagherà un
conto più salato. Il costo medio sarebbe di 156 euro, che sale e 197
euro per i capoluoghi.
Il salasso di Fassino ai torinesi
La città più cara è Torino dove si paga
403 euro seguita da Roma (391),
Siena (356) e Firenze (346). Olbia e
Ragusa sono i «paradisi fiscali» nel
mondo Tasi con un’aliquota zero. Qui
non paga nessuno proprietario di
prima casa. Sempre secondo la Uil,
«pagherà un po’ di più chi prima era
esente o pagava cifre basse e pagheranno molto meno i proprietari di
quelle abitazioni con rendite catastali
elevate». A determinare le maggiori
sperequazioni sono le molteplici variabili che incidono sul calcolo della
cifra da pagare a cominciare dalle aliquote (si varia dall’aliquota zero di
Olbia e Ragusa ai 3,3 per mille di città
come Torino, Bari, Catania o Como),
su queste intervengono poi le almeno
100.000 combinazioni di detrazioni
nelle quali la fantasia dei Comuni si è
sbizzarrita. Alla fine, a Bari (con aliquota al 3,3%) una prima casa con
rendita catastale di 450 euro ma di
proprietà di una famiglia con reddito
dichiarato Isee di 10.000 euro, non
paga la Tasi mentre una famiglia con
lo stesso tipo di casa e di reddito Isee
a Belluno, dove l’aliquota è del 2,5 per
mille, pagherà 189 euro.
La Rai e l’intervista-soft a Buzzi :
«Siamo conosciuti, vinciamo le gare…»
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Paolo Lami
Dalla sponsorizzazione dei pannoloni
Fater alla sviolinata sulla Cooperativa
29 giugno. Chissà chi chiese al mezzobusto Rai Franco Di Mare, quel 10
marzo scorso, di mettere in scena un
altro teatrino, questa volta davanti alle
telecamere de “La vita in diretta“, dove si
inventò narratore di «un’Impresa Speciale», cioè quella cooperativa 29 giugno che oggi, si scopre, prendeva lavori
smazzettando tangenti a destra e a
manca. Così, con toni alti e aulici, quel
giorno, l’inconsapevole Franco Di Mare,
presenta ai telespettatori la Cooperativa
29 giugno e il suo dominus Salvatore
Buzzi: «Oggi la storia che vi vogliamo
raccontare è una storia speciale, la storia di una cooperativa che riesce a dare
lavoro, in un periodo di crisi come questo, a persone con disagi mentali, donne
in difficoltà ex-detenuti, immigrati…».
Come riesce a dare lavoro in tempi di
crisi la cooperativa 29 giugno fatturando
40 milioni di euro, oggi lo sappiamo grazie a un’inchiesta.
La Rai celebra e santifica Buzzi a
spese dei contribuenti
Quel 30 marzo scorso negli studi della
Rai, c’è un incravattato Salvatore Buzzi
che, sprofondato in una poltrona candida, gongola di fronte alle parole entu-
Secolo
d’Italia
siastiche del conduttore. Condite dagli
applausi di una clacque ben istruita
mentre le telecamere stringono su una
foto dei lavoratori della coop 29 giugno,
chi con una ramazza, chi con uno scopettone, chi su una macchina per pulizie industriali. Il claim è veramente
aziendalista: «una storia comune per
gente speciale», recita la giornalista
mentre scorrono le immagini dei lavoratori della coop 29 giugno impegnati nei
vari appalti: dalla pulizia dei piazzali dell’Auditorium alla raccolta porta a porta
dei rifiuti su via della Conciliazione, dallo
sfalciamento del verde pubblico romano
dell’Eur (l’ex-ad di Eur Spa, Riccardo
Mancini, è ora in carcere per l’inchiesta
su Mafia Capitale) alla pulizia di vasche
e laghetti dello zoo della Capitale, soprannominato più prosaicamente Bioparco, fino alla pulizia dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia. «Quando il
riscatto arriva attraverso il lavoro»,
scorre la scritta a «dimostrazione – sottolinea la giornalista de “La vita in diretta” – che impresa e solidarietà
possono convivere…». La puntata è, in
realtà, una vera e propria “ospitata”di
Buzzi, la celebrazione e la santificazione
pubblica e a spese dei contribuenti di
questo personaggio che andava a bussare a tutte le porte non solo per pretendere lavoro per promettere tangenti
Buzzi corteggiava anche i parlamentari
Pd: «Amici miei…»
Laura Ferrari
Meno tre. «Ozzimo,Coratti e Patanè si sono autosospesi dal Pd. Li
ringrazio e gli auguro di riuscire a
dimostrare la propria estraneità a
questa storia». Lo annuncia su twitter Matteo Orfini, presidente del
Partito Democratico, chiamato a
fare pulizia nel partito a Roma dopo
la bufera dell’inchiesta Mafia Capitale che ha scosso l’intero arco politico con ramificazioni da destra a
sinistra. Ma a quanto pare, secondo quello che emerge dall’inchiesta, il lavoro di Orfini è apena
all’inizio…
Le pressioni di Buzzi sui parlamentari Pd
Pressioni su alcuni deputati del Pd
– tra cui Micaela Campana e Umberto Marroni – per ottenere un’interrogazione
parlamentare
sull’appalto su un centro rifugiati
bloccato da un giudice del Tar del
Lazio. La gara era stata vinta da
una coop della holding di Mafia Capitale. È questa la storia raccontata
nell’informativa del Ros depositata
agli atti dell’inchiesta di Roma. Nonostante le pressioni l’interrogazione non fu mai presentata. Nel
settembre 2013 il Consorzio Eriches di Salvatore Buzzi, braccio
destro di Massimo Carminati, vince
la gara per la gestione del Centro
di accoglienza richiedenti asilo
(Cara) di Castelnuovo di Porto, vicino a Roma.
«L’offerta del Consorzio veniva ritenuta anomala per l’esiguità del
prezzo», scrivono i carabinieri, ma
le verifiche danno esito positivo e il
contratto di due anni viene firmato.
L’azienda francese Gepsa, che gestiva il Cara, fa ricorso al Tar e la
gara viene sospesa. A quel punto
la “cupola” si muove per screditare
il giudice che ha firmato il provvedimento, Linda Sandulli, insi-
ma anche per fare marketing di sè
stesso e della sua creatura.
«Partita con un capitale di 140.000 lire,
a distanza di 30 anni la cooperativa
conta più di 900 lavoratori», spiega la
speaker della Rai mentre scorrono le
immagini di Buzzi fra i “suoi” lavoratori
intento a ciancicare una gomma con
una certa soddisfazione da vero american self made man. Immancabile l’intervista buonista all’immigrato: «la
Cooperativa mi ha dato un’alternativa».
Alternativa che pagavano, appunto, salata, i contribuenti, romani e non, attraverso le tangenti che Buzzi elargiva,
soldi invariabilmente caricati su costi
complessivi degli appalti. La chiusura
del servizio è veramente un servizietto
coi fiocchi: una foto di “famiglia”, un
gruppo di lavoratori della coop 29 giugno soddisfatti e sorridenti seduti tutti insieme su una panchina. Immancabile
parte l’applauso a comando della claque.
L’assist politically correct: dottor
Buzzi, ci vuole coraggio…
«Questo Paese noi ne parliamo sempre
male, dottor Buzzi, però è un Paese
pieno di iniziative del genere…» – incalza il conduttore rivolgendosi a Buzzi
«però ci vuole anche coraggio…». L’assist è fantastico, l’apoteosi del politically
nuando che “avrebbe quote in una
società che fa manutenzione al
Cara”. Buzzi cerca di ottenere
un’interrogazione parlamentare dai
deputati Campana – ex moglie dell’assessore del Campidoglio Daniele Ozzimo, indagato e
dimissionario – e Marroni (Pd).
“Amici miei” dice Buzzi. Nell’informativa è citato anche il deputato
Pd Fabio Melilli, segretario del Pd
Lazio: Buzzi, si legge nell’ordinanza, era sicuro “che l’interrogazione sarebbe stata presentata
probabilmente anche a firma Fabio
Melilli”. L’interrogazione viene preparata ma non verrà presentata,
spiega il segretario di Campana a
Buzzi, “perché bloccata dal sottosegretario”.
La cena dei mille euro nel mirino
del M5S
«La rovente e velenosa polemica
esplosa tra Francesco Boccia e il
tesoriere nazionale del Pd in merito
alle cene di finanziamento del partito, e sulla presenza o meno tra i
finanziatori di Buzzi, ci costringe a
sollecitare il governo a rispondere
ad una nostra interrogazione, pre-
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
correct: «C’è un mio amico – racconta Di
Mare per passare la parola a Buzzi – che
ha una gelateria in Sicilia e che assume
persone che vengono dal carcere. E, al
più difficile di queste persone, ha affidato
la cassa. La sera trova un euro in più piuttosto che un euro in meno». La porta è
aperta. E Buzzi ci si tuffa. Racconta,
spiega, celebra se stesso e la sua cooperativa. Non spiega il segreto di come
trova lavoro per la 29 giugno. Ma si intuisce che gli si spalancano magicamente
tutte le porte. «Fare un lavoro del genere significa anche impegnarsi in una
missione che non è detto che tutti colgano, io immagino che lei abbia dovuto
superare più di una difficoltà…», gli
torna sotto Di Mare.
La sfacciataggine di Buzzi si manifesta
in tutta la sua sfrontatezza: «…guardi
noi abbiamo dovuto supera’ due tre difficoltà…però noi, oramai, c’abbiamo un
nome conosciutissimo: “29 giugno” a
Roma è sinonimo di cooperativa con i
detenuti…siamo il primo operatore del
verde su Roma, facciamo la raccolta
differenziata per conto di Ama…». Non
si capisce perché Ama, inzeppata di
personale o il Comune di Roma, che ha
un esercito di giardinieri debbano affidare i lavori all’esterno, alla cooperativa 29 giugno. O forse lo si capisce fin
troppo bene. Fatto sta che la domanda,
perfino ovvia, non arriva…
Finalmente Buzzi, al quale è stato offerto gratuitamente da Di Mare questo
straordinario palcoscenico che è “La
vita in diretta“, spiega, con una faccia
tosta fuori misura, come la cooperativa
29 giugno prenda i lavori: «…tutte cose
che abbiamo conquistato piano piano
andando sul mercato, facendo le
gare…».
sentata in tempi non sospetti, proprio sulla cena di finanziamento
che il Pd organizzò a Roma. Rileggendola oggi quell’interrogazione è
quanto mai lungimirante visto che
con molta probabilità vi avranno
partecipato anche i politici romani
oggi coinvolti nell’inchiesta mafia
capitale che a loro volta avranno
portato finanziatori». Lo scrive sulla
sua pagina facebook Emanuele
Cozzolino deputato di M5S, che va
all’attacco del premier e della sua
corte, come già era accaduto ieri in
Campidoglio. «Anche la sede dove
la cena si è svolta, di proprietà di
Eur Spa società partecipata al 90
per cento dal Mef qualche curiosità
la suscita, se non altro per il costo
dell’affitto del locale.
Visto che tra i ministri interrogati c’è
la ministra Madia lei ci potrebbe
anche spiegare perché dopo aver
parlato su di un barcone sul Tevere
di organizzazioni a delinquere interne non ha poi denunciato i suoi
sospetti alla magistratura e si è
presentata ad una cena in cui forse
c’erano quegli stessi politici e
sponsor che lei aveva definito così
duramente…».
La Moschea? “Chiusa, è pericolosa”.
I migranti? “Parlino la nostra lingua”
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
Secolo
d’Italia
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Francesco Signoretta
In Italia non si può nemmeno far polemica sulle prediche “violenti” che
vengono fatte nelle moschee: c’è
sempre chi è pronto a intervenire
dicendo che vietarle sarebbe da intolleranti e chiudere la struttura sarebbe da razzisti. Ma qualcosa
comincia a muoversi, in altri paesi
c’è finalmente chi ha il coraggio di
opporsi alla vulgata della sinistra,
La Moschea chiusa: sospetto sostegno ai terroristi
A Brema, nel nord della Germania,
la polizia ha chiuso una moschea
da cui sospetta provenisse sostegno per i jihadisti dello Stato islamico (Isis). Lo rende noto il governo
della città-Land. La decisione è
stata decisa dopo una perquisizione ed è stata estesa anche ad
un’associazione ad essa legata, il
Circolo della cultura e delle famiglie
dei salafiti (Kuf), che si ritiene facesse propaganda per l’Isis, fa sapere il ministro dell’interno del
Land, Ulrich Maeurer. La sede dell’associazione è stata perquisita insieme a 17 appartamenti. «Non c’è
alcuna tolleranza» per questo ge-
nere di associazioni, ha dichiarato
Maeurer, per impedire attentati in
Germania e reclutamento di jihadisti da inviare a combattere in Siria
o Iraq. Secondo una nota delle autorità del Land di Brema, nelle prediche tenute nella mosche si
incitava a considerare i jihadisti in
Siria come dei “modelli” da imitare.
Gli immigrati? “Devono parlare
la nostra lingua”
Gli stranieri che vogliono vivere a
lungo in Germania dovrebbero parlare solo tedesco anche in casa, tra
di loro.
È l’ultima proposta della Csu, «Chi
vuole vivere qui per un lungo periodo deve essere esortato a parlare tedesco non solo negli spazi
pubblici, ma anche in famiglia», è
scritto in un documento che sarà discusso nel congresso di partito alla
fine di novembre. Già in passato la
Csu aveva raccolto il malcontento
popolare nei confronti dei migranti,
accusati senza mezzi termini di
abusare della generosità dello stato
sociale tedesco. Oggi la Cdu, considerato l’alto numero di rifugiati accolti in Germania, intende spingere
il governo a chiedere all’Europa un
programma di aiuti miliardario. Intanto, però, la proposta di invitare a
usare esclusivamente la lingua tedesca rivolta agli stranieri ha raccolto un’ondata di critiche, anche
sarcastiche.
Dopo il Crocifisso, il presepe: la sinistra “in lotta” dall’Italia alla Francia
Girolamo Fragalà
Non c’è solo il caso della scuola di
Bergamo, dove il preside – nonostante le proteste – continua ostinatamente a insistere che il
presepe «crea divisione». Come se
fosse una strategia studiata a tavolino, si diffonde a macchia d’olio la
crociata contro i simboli della religione cattolica, non solo in Italia ma
anche in Europa. Una sorta di passaparola aiutata dall’ideologismo
della sinistra. Prima contro il Crocifisso nelle aule e nei luoghi pubblici,
poi contro il Natale, poi ancora contro la capanna con il bue e l’asinello. Tutto fa notizia, tutto fa brodo.
Niente pastori, niente Re Magi
Torna puntuale la polemica sui presepi in Francia, che vede opposti i
fautori delle radici cristiane della
Francia – che vorrebbero vedere la
tradizione bene in evidenza negli
edifici pubblici _ e i difensori del laicismo di Statp, che si dicono indignati dall’esposizione do quello che
giudicano un retaggio religioso. A
dar fuoco alle polveri è stata una
decisione giudiziaria: chiamato in
causa dalla Federazione del libero
pensiero, il Tar di Nantes, nell’ovest, ha ordinato al Consiglio regionale della Vandea – la terra più
ancorata alle antiche tradizioni cattoliche in Francia – di smontare il
presepe che, come ogni anno,
aveva esposto nell’ingresso della
propria sede.
Pur di vietare il presepe, si pesca
una legge del 1905
Il Tar si è basato su una legge del
1905, che sancì in Francia la separazione fra chiese e stato. Il consiglio regionale, presieduto da Bruno
Retailleau (la destra dell’Ump) ha
annunciato ricorso. È un sindaco
molto popolare, Robert Menard
(Front National di Marine Le Pen),
già fondatore di Reporters sans
Frontieres, che nella sua Beziers
(nel sud) si è opposto alla sentenza
decidendo di mantenere il presepe
in municipio. Ma le associazioni lo
hanno già minacciato di ricorrere
anche al Tar locale per far rispettare
la “laicità repubblicana”.
I conti di Renzi in odore di “spazzatura”:
ecco cosa rischiano i nostri risparmi
Secolo
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Luca Maurelli
Il tanfo della spazzatura si inizia ad
avvertire anche dalle finestre di Palazzo Chigi. I conti di Renzi non piacciono ai ragionieri di bocca buona,
quelli che non si fidano dei suoi annunci. Fino a qualche mese fa le
agenzie di rating erano autorevolissime e ogni qualvolta declassavano i
conti italiani, com’è avvenuto frequentemente negli ultimi anni, era
tutto un fiorire di allarmismi, indignazioni, mobilitazioni di tecnici ed economisti che ci prefiguravano un futuro
da clochard con i nostri titoli pronti a
trasformarsi magicamente in carta
straccia. Oggi quel cassonetto dei rifiuti è vicinissimo ma al governo c’è
Renzi, quell’ennesima bocciatura arrivata ieri dall’agenzia Standard &
Poor’s viene trattata dai media come
fosse un buffetto goliardico al premier
con un invito, neanche troppo pressante, a fare le riforme e a ridurre il
debito. Invece è uno schiaffone in faccia senza precedenti. Ci fossero stati
al governo Berlusconi, Monti o Letta,
a quest’ora forse saremmo con le file
alle banche di gente che corre a ritirare i risparmi di una vita, allarmati da
giornali, politici e speculatori pronti a
cavalcare le difficoltà finanziarie italiane. Sia chiaro, al momento il pericolo di un default è lontano, ma fa
paura quella improvvisa tendenza a
mininizzare: “tanto tra poco variamo il
Jobs Act, tanto stiamo per appravare
l’Italicum, tanto ci sono gli 80 euro…”.
Acqua fresca, per i mercati. Ma qui da
noi la prima pagina le conquistano
solo le promesse. È la stampa renziana, bellezza, direbbe Humphrey
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
d’Italia
schio. Ecco perché quasi ogni settimana il governatore della Bce Mario
Draghi è costretto a promettere ai
mercati “operazioni non convenzionali” per sostenere il debito dei paesi
in difficoltà.
Bogart se fossimo a Casablanca.
Uno schiaffone che fa male
Quello di Standard & Poor’s è uno
schiaffo che fa male, perché il downgrade – il declassamento del livello
di affidabilità italiano – deciso dall’agenzia finanziaria statunitense
porta il rating del nostro Paese quasi
al livello “spazzatura”: BBB- da BBB.
Solo un gradino più in alto del livello
“junk”, quello che in italiano si traduce
con “spazzatura”.
L’outlook sulle prospettive economiche è invece “stabile” ma è una
magra consolazione. Il verdetto di ieri
sera, se da un lato fa rabbia per l’arroganza di certe valutazioni delle
agenzie di rating (finite sotto inchiesta
della procura di Trani), dall’altro deve
farci riflettere sul modo in cui il governo affronta questa bocciatura.
«Non è una bocciatura del Jobs Actı,
si appresta a commentare Palazzo
Chigi, ci dicono che le riforme vanno
bene, ma che bisogna andare più veloci, che ci sono elementi buoni nelle
riforme ma non tali da compensare il
debito e risvegliare a breve l’economia». Contenti loro.
Il buco nero del debito pubblico
Standard & Poor’s spiega come a pesare sulla sua decisione sia stato un
mix di preoccupazioni tra una crescita
molto basa e un debito pubblico ancora enorme. «Secondo i nostri criteri
– scrivono gli analisti dell’agenzia –
un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e da una bassa
competitività non è compatibile con
un rating BBB». E sulle riforme lo
scetticismo è forte. «Prendiamo atto
che il premier Renzi ha fatto passi
avanti col Jobs Act», si spiega nel
rapporto di S&P, “ma crediamo che le
misure previste creeranno occupazione nel breve termine e i decreti attuativi” della riforma – si aggiunge –
potrebbero essere ammorbiditi”.
Cos’è un titolo “spazzatura”
Li chiamano “junk bond” e sono quei
titoli pubblici o privati che hanno un
rendimento altissimo grazie a un gradi
di affidabilità molto basso. Non è ancora il caso, per fortuna, dei bond italiani, quelli che lo Stato emette per
finanziare la spesa corrente. Grecia e
Cipro sono già nel “cassonetto”, l’Italia li sta avvicinando come livello di ri-
Le consguenze del declassamento
L’Italia ha il peggior debito dell’eurozona, il 106 per cento del pil, in valore assoluto oltre i 1.400 miliardi di
euro- Molti altri paesi sono messi peggio di noi quanto a deficit, Francia e
Germania in testa, ma hanno debiti
intorno al 60 per cento del pil. Ecco
perché il declassamento dei titoli italiani porta delle immediate conseguenze sugli interessi che tutti noi
paghiamo, direttamente o indirettamente, grazie alla cinghia di trasmissione dei titoli emessi da enti o
aziende pubbliche. A cominciare dalla
Cassa depositi e prestiti che finanzia
i nostri enti pubblici e le aziende controllate, che a lor volta saranno costrette a rivalersi, per il surplus
pagato, sui servizi forniti ai cittadini, o
tagliandoli o aumentandone i costi.
Anche le banche, agganciate allo
spread (per fortuna molto basso) ma
soggette alle oscillazioni dell’economia nazionale, scaricano spesso i
costi delle incertezze dei mercati proprio sui risparmiatori, avendo in portafoglio grandi quantià di titoli pubblici
italiani, che dopo una bocciatira come
questa perdono immediatamente valore. E i risparmi? Per ora sono sicuri.
Ma l’ottimismo avventuriero di Renzi
nøn farebbe stare traquilli neanche i
lingotti del caveau della Banca d’Italia.
Si è celebrato San Nicola, il Babbo Natale dell’Europa medievale
Renato Berio
Con la giornata dedicata a San Nicola, che si è celebrata
ieri, si entra nel vivo del ciclo liturgico del Natale. San Nicola, il santo-vescovo venuto dall’Oriente, ha tutte le caratteristiche che si ritrovano poi nel più familiare Babbo
Natale. Chi era Nicola di Mira? Era nato a Patara, nella
Licia intorno al 270, figlio unico di una coppia facoltosa,
si rese presto popolare per i suoi atti di bontà e di carità.
Morì tra il 345 e il 352 e fu sepolto nella chiesa di Mira –
l’attuale villaggio turco di Dembre – dove riposò fino al
1087quando i suoi resti vennero trafugati da alcuni marinai e trasportati fino a Bari, la città che ancora oggi venera quelle reliquie. La leggenda che lo avvicina alla
missione di Babbo Natale, cioè di dispensatore di doni, è
così riassunta da Alfredo Cattabiani nel suo Calendario:
“Narra una leggenda che un vicino di casa, caduto in mi-
seria, non poteva assicurare la dote alle tre giovani figlie,
condannate così a non maritarsi, Allora Nicola gettò loro
nottetempo attraverso la finestra tre palle o borse piene
d’oro. Un’altra leggenda racconta che un oste criminale
aveva tagliato a fettine e immersi in salamoia tre fanciulli
del coro che la sera prima erano entrati nella locanda; ma
Nicola li aveva fatti risorgere dai barili di salamoia e addirittura convertito l’oste”. Episodi, questi, che legano direttamente il santo ai fanciulli al punto che la festa di San
Nicola è considerata un anticipo del Natale.
Il vescovo di Mira diventa Santa Claus
Il santo divenne poi popolare anche nell’Europa centrale
e settentrionale dove il nome mutò in Santa Claus. Emigrato in America -spiega ancora Cattabiani – “il suo
aspetto subì una metamorfosi: il mantello vescovile diventò un robone rosso orlato di pelliccia, la mitra un cap-
puccio a punta. E con queste nuove sembianze è tornato
in Europa come Babbo Natale: maschera-simbolo della
frenesia laica che informa quello che un tempo era il memoriale della nascita di Gesù e oggi è per molti la festa
principale del Consumo”.
I Saturnali romani
Eppure anche Babbo Natale racchiude in sé l’eco di feste
precristiane come i Saturnali romani celebrati tra il 17 e il
23 dicembre: veniva nominato un rex Saturnaliorum che
regnava per una settimana tra banchetti e giochi proibiti
dando il via a un’inversione di ruoli che ricorda il Carnevale per cui gli schiavi si facevano servire a tavola dal padrone e potevano burlarsi di lui. Un allegro caos che era
metafora dell’età dell’oro in cui appunto aveva regnato Saturno.
Fallisce il blitz degli Usa in Yemen,
ucciso il giornalista Luke Somers
Secolo
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
Roberta Perdicchi
Il blitz è fallito, l’ostaggio è morto.
Luke Somers, il giornalista americano rapito da al Qaida oltre un
anno fa nello Yemen, è stato ucciso nel corso di un raid delle forze
americane e yemenite per tentare
di liberarlo a poche ore dallo scadere dell’ultimatum lanciato da al
Qaida giovedì scorso. Dopo un
rincorrersi di notizie contrastanti
con il ministero della difesa yemenita che parlava di “liberazione”
mentre la sorella di Somers annunciava la sua morte, la conferma dell’uccisione è arrivata da
fonti americane.
Il drammatico appello in video
“La mia vita è in pericolo, aiutatemi”, aveva detto in un drammatico appello il fotoreporter in un
video pubblicato giovedì scorso
dall’Aqap, il ramo yemenita-saudita di al Qaida. Immagini in cui i
suoi sequestratori lanciavano un
ultimatum a Barack Obama: il presidente Usa ha “tre giorni” per
soddisfare le richieste del gruppo,
d’Italia
poi Somers “conoscerà il suo destino inevitabile”. L’appello di Somers, nato in Gran Bretagna e poi
divenuto cittadino Usa, era preceduto dalle dichiarazioni di Nasser
bin Ali al-Ansi, un comandante locale dell’Aqap, che attaccava gli
Usa per i “crimini contro i musulmani” commessi “con i suoi aerei
e i suoi droni” in Somalia, Yemen,
Iraq, Siria fino in Sinai e Pakistan.
Ed è stato proprio un raid oggi, in
cui sono rimasti rimasti uccisi
anche 10 sospetti membri di al
Qaida, a mettere fine drammaticamente alla vicenda.
I ripetuti blitz falliti
Solo ieri il disperato appello della
famiglia ai rapitori: «Abbiamo notato che avete avuto buona cura
di Luke e lui sembra essere in
buona salute. Vi ringraziamo per
questo», diceva la mamma chiedendo di “mostrare pietà: per favore, permetteteci di vederlo
ancora. “È tutto ciò che abbiamo”,
le sue accorate parole. Mentre il
Fuoco su Erdogan per il palazzo
con 1150 stanze. E lui: «È del mio popolo»
Roberto Mariotti
Il palazzo della discordia sorge su una collina alla periferia ovest della capitale Ankara.
È la nuova residenza presidenziale di Erdogan, che sta dividendo l’opinione pubblica in
Turchia, suscitando clamore e perplessità.
Occupa 150mila metri quadri di terreno, è
costato un occhio della testa (non si sa esat-
tamente il reale costo, c’è chi parla di 490
milioni di euro) che in tempi di magra fanno
notizia.
L’edificio è «adatto» per gli incontri con politici e capi di Stato, c’è un centro congressi,
una residenza per gli ospiti, il giardino botanico e un parco. Enorme, supera la Casa
Bianca, Buckingham Palace, il Cremlino. E
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fratello di Luke spiegava: “È solo
un fotoreporter, non è responsabile per nessuna delle azioni intraprese dal governo Usa». La
famiglia assicurava di non sapere
dei tentativi per liberarlo. Perché
oltre a quello finito tragicamente
stanotte – in cui sarebbe morto
anche un altro ostaggio straniero,
l’insegnante sudafricano Pierre
Korkie – ce ne era stato almeno
un altro, fallito, il 25 novembre,
che aveva fatto infuriare i leader
di Aqap.
ci sarebbe anche un bunker antiatomico.
Favorevoli e contrari
I tradizionalisti sono favorevoli perché l’architettura richiama antichi splendori, con le
colonne in marmo, lo stile ottomano del
tardo medioevo, i lunghi corridoi e i pavimenti tirati a lucido.
L’opposizione invece protesta, troppi soldi
spesi, e incassa il sostegno degli ambientalisti. Erdogan però ha incassato il primo successo: nonostante gli inviti a non farlo, Papa
Francesco è stato il primo ospite ad avere
varcato la soglia del nuovo sontuoso palazzo presidenziale di Ankara.
Erdogan non demorde e rilancia
Il presidente turco ha difeso la controversa
scelta di dotarsi di un enorme palazzo presidenziale e, nel farlo, si è vantato che le
stanze dell’edificio di Ankara sono più numerose di quanto finora indicato dai media:
non le già clamorose mille ma «almeno 150
in più».
«L’opposizione critica la nuova dimora presidenziale», ha ricordato lo stesso Erdogan
parlando a imprenditori a Istanbul. «Ma lasciatemi dire essa ospita almeno 1.150
stanze, non un migliaio come si dice in
giro», ha aggiunto. Il capo di Stato ha difeso
con veemenza la decisione di costruire il palazzo : «Non si fanno economie, quando si
tratta del prestigio» di una nazione, ha insistito il presidente sottolineando che, del
resto, «non è il mio palazzo, non è una proprietà privata: è del popolo, gli appartiene».
Aggredirono Salvini, gli antagonisti
occupano un altro palazzo a Bologna
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Secolo
d’Italia
Carlo Marini
Scontri e incidenti venerdì sera
a Bologna, dove gli attivisti dei
centri sociali hanno occupato un
altro stabile. L’occupazione è
avvenuta al termine di un corteo di un centinaio di antagonisti
che ha attraversato il centro storico. L’edificio di cui ha preso
possesso la protesta è in via Albiroli,a due passi da piazza
Maggiore e vicino alla curia ar-
civescovile. Nel gruppo c’erano
anche attivisti di Hobo, il collettivo che il 29 novembre era
stato sgomberato da uno stabile
in via San Vitale e che avevano
aggredito il leader della Lega,
Matteo Salvini. Il palazzo occupato dal collettivo è di proprietà
della parrocchia della cattedrale
di San Pietro e dell’Istituto diocesano per il sostentamento del
Laura Ferrari
Deve restare in carcere con le accuse di estorsione e tentata estorsione il cameriere di 31 anni
arrestato martedì scorso mentre cercava di incassare 90mila euro da
Lapo Elkann, dopo averne ottenuti
già 30mila, in cambio della non diffusione di un presunto video nel
quale si vedrebbe il rampollo della
famiglia Agnelli passare un pomeriggio con lui e con il fratello del giovane. Lo ha deciso il gip di Milano
Stefania Pepe, che accogliendo la richiesta del pm Giancarla Serafini ha
convalidato l’arresto in flagranza e
disposto la custodia cautelare in carcere. Da quanto si è saputo, il cameriere ha spiegato che, dopo aver
incontrato fuori da un locale di Milano Lapo Elkann “seminudo” un pomeriggio dello scorso aprile e dopo
averlo accompagnato a casa sua
assieme al fratello (indagato), sarebbe stato lo stesso Lapo a tirare
fuori della cocaina che aveva portato
con sé. E poi il fratello del giovane
con un telefono cellulare avrebbe girato di nascosto delle immagini di
quel pomeriggio. Lapo Elkann, invece, nella sua denuncia presentata
in Procura avrebbe spiegato, da
quanto si è saputo, che la droga era
già in quella casa. Il rampollo della
famiglia Agnelli avrebbe poi fatto
avere al cameriere un pallone con gli
autografi dei calciatori della Juventus, ma l’uomo non si sarebbe accontentato e avrebbe cominciato a
chiedere soldi e a ricattarlo. Nel luglio scorso, il cameriere si sarebbe
fatto consegnare 30mila euro da
Lapo Elkann, attraverso il suo maggiordomo, consegnando in cambio il
cellulare con il quale erano state girate le immagini. Nelle scorse settimane, poi, l’uomo avrebbe chiesto
altri 90mila euro. All’appuntamento
all’Hotel Four Seasons di Milano,
però, sono arrivati anche gli investi-
Ricattava Lapo Elkann con un video:
in galera un cameriere milanese
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
clero. In precedenza la protesta
del corteo si era rivolta contro
Confabitare, associazione di
proprietari immobiliari, la cui
sede è stata imbrattata. Nelle
stess ore, il sito del Comune di
Bologna è stato “hackerato” ed
è risultato a lungo non raggiungibile. Il gesto è stato rivendicato
su twitter da Anonymous Italy,
che ha dichiarato la propria solidarietà al collettivo bolognese:
«La casa è di chi l’abita, è un
vile chi lo ignora. Occupare è
giusto».
zione. È probabile quindi che,
non appena arriveranno gli atti
dalla Digos, la Procura chieda
un sequestro anche per questo
immobile, come è già avvenuto
una settimana fa per quello di
via San Vitale.
Sull’allarme ordine pubblico è
intervenuto anche Alberto
Zanni, presidente nazionale di
Confabitare, la cui sede in via
Marconi a Bologna – saracinesca e muri – è stata imbrattata
venerdì sera dagli antagonisti.
«Occorre – ha detto Zanni – un
maggior confronto e un maggiore impegno da parte delle
istituzioni Le associazioni dei
proprietari immobiliari non sono
mai state coinvolte su questo
tema. Chi occupa le case vive
nell’illegalità e contro costoro
occorre il pugno duro e nessuna
trattativa, determinazione e severità». Confabitare presenterà
«a giorni a tutti i gruppi parlamentari e al governo la proposta di istituire il carcere per chi
occupa abusivamente gli alloggi».
gatori, che hanno arrestato in flagranza il giovane. Lapo Elkann, che
in passato era stato già coinvolto in
situazioni analoghe, dopo il secondo
tentativo di ricatto, aveva presentato
una denuncia in Procura.
contengono taluni riferimenti a circostanze manifestamente false e
non vere, quale il fantasioso accostamento a “stati di droga e autoerotismo”, attribuite dall’arrestato a
Lapo Elkann nell’evidente tentativo
di oscurare le sue accertate responsabilità». Per questo motivo, sottolinea il legale di Lapo Elkann, «nel
rispetto delle impegnative indagini
condotte dall’autorità giudiziaria e
dall’Arma dei carabinieri proporremo
comunque ogni ulteriore azione legale a tutela della persona di Lapo
Elkann».
Nella rivendicazione ironie su
Papa Francesco
La rivendicazione arriva anche
sul web: «Lo stabile, abbandonato da tempo, è di proprietà
della curia: del resto, non è papa
Francesco ad aver dichiarato di
essere dalla parte di “chi odora
di lotta e di quartiere”? Ebbene,
eccoci qua». «Attendiamo gli atti
e poi agiremo di conseguenza»,
ha commentato il procuratore
aggiunto di Bologna Valter Giovannini, in merito all’occupa-
Per il legale di Elkann sono “fatti
falsi”
L’avvocato Giovannandrea Anfora,
legale di Lapo Elkann, in una dichiarazione all’Ansa ha precisato che «le
notizie divulgate oggi da alcuni organi di stampa, per altro in palese
violazione del segreto istruttorio,
Musei colabrodo, Roma umiliata anche sull’arte:
rubato “il bambino malato”
Secolo
DOMENICA 7 DICEMBRE 2014
d’Italia
Valter Delle Donne
È sparito nel nulla, venerdì pomeriggio, sotto gli
occhi della vigilanza il “Bambino Malato” di Medardo Rosso, un capolavoro, stimato intorno ai
500 mila euro, che fa parte della collezione del
museo della Galleria nazionale d’arte moderna.
Un’opera che era in mostra in queste settimane
inserita nel percorso della rassegna dedicata a
Secessione e Avanguardia. L’allarme nel pomeriggio, dopo che gli addetti alla vigilanza si
sono accorti della sparizione della piccola testa
in bronzo. Erano le 16 e 30. La scultura rubata
si trovava nella sala 48. Il sistema d’allarme era
regolarmente in funzione, verrà spiegato poi
agli inquirenti, così come le telecamere, puntate sulle opere in mostra. Chiamati dai custodi
sono arrivati i carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale, che hanno assunto il comando dell’indagine. E che a tarda sera si
trovavano ancora nel museo, insieme con la direttrice Maria Vittoria Marini Clarelli per visionare i filmati delle telecamere e fare tutti gli
accertamenti necessari cercando di ricostruire
le modalità del furto. L’ultimo furto alla Gnam ri-
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sale al 20 maggio del 1998 quando vennero
rubate due tele di Van Gogh, “Il giardiniere” e
“L’Arlesiana” e un Cézanne, il “Cabanon de
Jourdan”. Tutte le opere verranno ritrovate il 6
luglio dello stesso anno.
Ma per il Maxxi della Melandri i soldi ci
sono
Un furto clamoroso, ma per sotto certi versi
annunciato. Esattamente un anno fa a lanciare
l’allarme era stata la stessa direttrice Clarelli.
A metà dicembre si era trovata senza bigliettai
e custodi, costretti a vacanze – più o meno –
forzate fino a fine anno per aver raggiunto il limite massimo degli straordinari effettuabili.
Per garantire quindi la regolare apertura del
museo, si erano messi a fare da custodi e bigliettai dirigenti e funzionari, compresa la direttrice. «Nessuna provocazione – aveva
raccontato la dottoressa Clarelli alla rivista
web Artribune – l’abbiamo fatto proprio per spirito di servizio, perché era necessario. Certo,
non ci sfugge la valenza di denuncia che assume il fatto: i tagli hanno ridotto gli organici
ben sotto i livelli minimi. Ma non ci scoraggiamo:
prendiamo regolarmente servizio, io stesso già
per 4 turni». La stessa Artribune faceva notare
che «la Gnam sta all’Italia come il Whitney Museum sta agli Stati Uniti. È il nostro museo del
Novecento…
Dopo la cura-Clarelli, con un restauro e un riallestimento straordinario, il museo è bellissimo,
ma ancora trascurato».
La rivista faceva anche un parallelo con il Maxxi
per il quale il governo guidato da Enrico Letta
aveva stanziato cinque milioni l’anno lasciando
solo le bricole per la Gnam. La differenza? Al
Maxxi è stata piazzata l’ex ministra Pd Giovanna Melandri. Una differenza non da poco.
Loris, la disperata rabbia della madre: «tutti contro di me, ridatemi mio figlio»
Roberto Frulli
Gli investigatori guardano e riguardano il
puzzle che hanno faticosamente costruito.
Le tessere che si sono andate incastrando
e lo spazio vuoto di quelle che ancora mancano. Poche, per la verità. Sono convinti
che oramai non ci voglia poi molto per completare il quadro. È questione di poco. Nessuno più crede davvero che il cacciatore
Orazio Fidone, per atto dovuto per sequestro di persona e omicidio, abbia avuto un
quache ruolo nell’omicidio e nella scomparsa di Loris Stival. Lui, dal canto suo,
giura che se tornasse indietro rifarebbe
tutto ciò che ha fatto. «Sono sereno – dice
– lo rifarei». E assicura di «sentirsi più sollevato» anche se sostiene di «non aver mai
avuto paura di restare impigliato» nella rete
delle indagini. L’importante, per il cacciatore
è che «i giornalisti separino i due fatti, il
paese e quello che è accaduto, perché la
nostra è una comunità sana». Anzi, si
spinge a chiedere ai giornalisti di lasciare
in pace il paese. E i bambini che soffrono
per questa situazione.
Il cacciatore indagato: rifarei tutto daccapo
«Non è stato facile e semplice, soprattutto
per la mia famiglia che sta soffrendo maledettamente, ma per fortuna le cose
stanno finendo», dice Fidone. E chiede ai
giornalisti «di non andare nelle scuole per
non fare subire questo shock tremendo ai
bambini creato da questa condizione mediatica. Agli investigatori auguro di venire
a capo di tutto nel più breve tempo possibile». Certo la sua sensazione è che
«siamo sulla strada giusta». E quella
strada porta, invariabilmente, a uno scenario nel quale la madre del bambino
sembra aver ruolo. Lei sembra non capire
dove sta puntando l’indagine.
Chiede solo di riavere il figlio per poterlo
riabbracciare e seppellire. Ma non è ancora il momento. Mancano, appunto, alcune tessere del puzzle.
Manca ancora lo zainetto del bambino.
Elicotteri di polizia e carabinieri ieri mattina
hanno sorvolato a lungo le campagne attorno a Santa Croce Camerina nella spe-
ranza di individuare dall’alto il punto dove
potrebbe essere stato gettato lo zainetto.
E’ caccia allo zainetto nei dintorni del
paese
L’ipotesi degli investigatori è infatti che lo
zainetto blu con le cinghie gialle sia stato
gettato da qualche parte o dall’assassino
o da qualcuno che potrebbe averlo aiutato. Invece le telecamere del paese
hanno già “parlato”. E il verdetto è spietato
con la madre del piccolo. Non ha mai accompagnato il figlio a scuola. Anzi, non è
mai andata vicino a scuola del bambino.
Questo è certo.
Le telecamere non l’hanno mai ripresa.
Nè hanno mai ripreso la sua auto, quella
Polo nera che, invece, si vede passare a
poche centinaia di metri dalla strada poderale che portaal Mulino Vecchio, lì dove,
in un canzone, è stato poiritrovato il corpo
del piccolo Loris. Gli orari, purtroppo, coincidono: l’ato transita davanti alla telecamera di un distributore di benzina e, poco
dopo, scompare dietro una curva. Il me-
Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale
Editore
SECOLO D’ITALIA SRL
Fondatore
Franz Turchi
d’Italia
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
Consiglio di Amministrazione
Tommaso Foti (Presidente)
Ugo Lisi (Vicepresidente)
Antonio Giordano (Amministratore delegato)
Italo Bocchino
Antonio Tisci
dico legale fissa in quelle ore la morte del
bimbo. La madre non dovrebbe essere lì,
nel suo racconto. Ma in tutt’altra zona, diretta al castello di Racalmuto perun corsodi
cucina. Solo che il suo racconto non coincide. E, ora dopo ora, fa a pugni con quello
che gli investigatori scoprono. «Io ho detto
la verità, qui sono tutti contro di me», assicura Veronica Panarello. Si lamenta con i
familiari di non essere creduta.
Avverte che gli investigatori tornano sempre sugli stessi punti. Quel buco di 15 minuti nel racconto. La Polo che è dove non
dovrebbe essere e non si vede passare
dove, invece, dovrebbe passare. Le fascette di plastica. E quel segnosul collo del
bambino. Fra i tanti accertamenti ce ne è
uno, in particolare, dal quale gli investigatori si aspettano una svolta. Sono quelle forbici sequestrate a casa Stival e sulle quali i
primi esami hanno rintracciato materiale organico. A breve gli esami diranno a chi appartiene. E se è compatibie con i graffi
lasciati sul collo del bambino per tagliare la
fascetta che lo ha soffocato.
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7 agosto 1990 n. 250