PERSONALE E LAVORO GENNAIO 2015

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PERSONALE E LAVORO GENNAIO 2015
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tel.011.66.47.803 - [email protected]
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TUTTE
LE
AREE
Rivista
Personale e
Lavoro
© ISPER
PERSONALE
E LAVORO
Rivista di cultura delle
RISORSE UMANE
563
ANNO LI – N. 1
GENNAIO 2015
 Luciano Pilotti
Rischio, conoscenze e formazione nelle imprese del futuro
Tra auto-riforma, mutazioni camaleontiche e nuovi saperi
 Claudio G. Cortese - Dario Cipolletti
Fare reclutamento ai tempi del web: dall’e-recruitment al social
recruitment
RISORSE UMANE FOCUS
 A proposito di futuro e di reclutamento
ISPER
CORSO DANTE 124/A – 10126 TORINO
PERSONALE 563
E LAVORO
Rivista riservata alle
Aziende Abbonate ai Servizi ISPER
ANNO LI – N.1
GENNAIO 2015
COMITATO DI DIREZIONE
Ing. Giancarlo BIANCHI
Presidente AIAS
Associazione professionale Italiana Ambiente e
Sicurezza
Prof. Avv. Sergio MAGRINI
Professore Diritto del Lavoro Università di Roma
Dr. ANTONIO MIGLIARDI
Direttore Risorse Umane e Organizzazione
Telecom Italia
Dr.ssa Marella CARAMAZZA
Direttore Generale Fondazione ISTUD per la cultura
d’impresa e di gestione
Dr. Massimo BOTTELLI
Direttore Settore Lavoro, Welfare e Capitale umano
Dr. Fabio CERCHIAI
ASSOLOMBARDA
Presidente ANIA
Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici Dr. Franco PORRARI
Membro del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza
Dr.ssa Isabella COVILI FAGGIOLI
INPDAP
Presidente Nazionale AIDP
Dr. Giuseppe DE RITA
Presidente CENSIS
Fondazione Centro Studi Investimenti Sociali
Dr. Giuseppe ROMA
Direttore CENSIS Fondazione Centro Studi
Investimenti Sociali
Dr. Giancarlo DURANTE
Direttore Centrale ABI - Responsabile della
Direzione Sindacale e del Lavoro
Sen. Dr. Maurizio SACCONI
Senato della Repubblica
Prof. Franco FONTANA
Direttore LUISS Business School
Prof. Tiziano TREU
Professore Emerito di Diritto del Lavoro Università
Cattolica - Milano - Roma
Prof. Michele LA ROSA
Sociologo del Lavoro
Direttore della Rivista “Sociologia del Lavoro” Coresponsabile CIDoSPeL - Centro internazionale di
documentazione e studi sociologici sui problemi del
lavoro
Direzione e Redazione: ISPER -
 Corso Dante 124/A - 10126 Torino -  Tel. 011.66.47.803
Internet: www.isper.org -  E-mail: [email protected]
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Autorizzazione Tribunale di Torino n. 1757 - 15 dicembre 1965
Iscrizione Registro Operatori di Comunicazione n° 4374
Un numero “curioso”?
.
Autori affini: docenti o ricercatori universitari.
Titoli affini nella loro estensione “esplicativa”:
- Rischio, conoscenze e formazione nelle imprese del futuro, tra auto-riforma, mutazioni
camaleontiche e nuovi saperi;
- Fare reclutamento ai tempi del web: dall’e-recruitment al social recruitment.
Contenuti difformi, uno generale (il nuovo management) l’altro specifico (il nuovo reclutamento) ma
affini nella logica.
Che è quella inevitabile del cambiamento/innovazione e delle
globalizzazione, informatizzazione, socializzazione, destrutturazione….
sue
inevitabili
cause:
Un numero multiforme, ma “coerente” nell’approccio: temi attuali, ampi riferimenti concettuali,
cospicui apparati bibliografici…
E “curioso” per le prospettive che apre e le riflessioni che può suscitare.
Ed anche per la “curiosità” delle notizie di Focus che lo completano.
In questo numero
Luciano Pilotti
Rischio, conoscenze e formazione nelle imprese del futuro
Tra auto-riforma, mutazioni camaleontiche e nuovi saperi
Claudio G. Cortese - Dario Cipolletti
Fare reclutamento ai tempi del web: dall’e-recruitment al social recruitment
A proposito di futuro … e di reclutamento
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Rischio, conoscenze e formazione nelle imprese del futuro
Tra auto-riforma, mutazioni camaleontiche e nuovi saperi
Luciano Pilotti
Professore ordinario presso il dipartimento Economia, Management e
Metodi Quantitativi, Università degli studi di Milano
Queste note riflettono sulle forme delle nuove imprese nelle
trasformazioni di lungo periodo che hanno mutato e stanno mutando
figure imprenditoriali e manageriali consegnate dal fordismo e che
separavano rischio e potere (proprietà e controllo) ben delineate da
Berle e Means negli anni ’30 innervate in una economia fortemente
“materiale”. Una trasformazione che oggi intacca le categorie stesse di
organizzazione, controllo, leadership e così i concetti di capitale e lavoro
sotto la pressione esercitata dall’economia e società della conoscenza.
Una risorsa complessa che può riprodursi e diffondersi a costi (quasi)
nulli.
Proprietà controllo e rischio in un mondo “ordinato
e lineare” e “oltre”
La crisi del
capitalismo
manageriale
Un primo punto è il riconoscimento della crisi del managerialismo e del
capitalismo industriale che alle soglie del XXI secolo evolve rispetto ai
due secoli precedenti. Due i fenomeni congiunti di crisi strutturale che
accrescono complessità ed entropia. A - L’insufficiente formazione di
capitale (di rischio) per rispondere alle trasformazioni “rischiose”
dell’economia (globale) della conoscenza proiettata verso usi molteplici,
interdipendenti e non prevedibili oltre che condivisi. B - Gli esiti evolutivi
dell’impresa managerialista e delle sue funzioni del controllo. Due le
funzioni cruciali almeno fino agli anni ’70: 1) stabilizzare i mercati con
maggiori informazioni e tecniche gestionali adatte a migliorare le
previsioni in un mondo lineare; 2) equilibrare le deleghe di potere
trasferite da una proprietà più assente o soggetta alle pressioni delle
borse per remunerazioni di breve termine non più disposta ad
investimenti di lungo termine richiesti da un mondo a crescente
domanda di innovazioni a ritorno incerto. Condizioni strutturali di fragilità
proprietaria e finanziaria per le quali il management non può più
svolgere quel ruolo di bilanciamento super partes tra gli interessi diffusi
(e contrastanti) degli stakeholders, interni ed esterni. Nei mercati
complessi e ad entropia competitiva degli anni ’70 e ’80 ciò che serviva
non erano tanto le capacità di mediazione tra interessi - confidando in
risorse crescenti e “infinite” - ma capacità selettive impresse da
detenzione del potere proprietario di delega. Un management
“risucchiato” entro i poteri di manovra dell’azionista che assume il rischio
e dunque “assorbiti” dagli obiettivi di breve termine della Borsa e della
finanza piuttosto che dagli investimenti di lungo che gli davano forza. Un
management debole dunque nella disponibilità di risorse finanziarie (utili
distribuiti contro risorse di investimento) per la crescita. Né Galbraith né
Marris negli anni ’50 e ’60 coglieranno a fondo questa trasformazione
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Nuove spinte alla
globalizzazione
mentre si incrinava anche la forza “universalizzante” della Corporation
managerialista di stampo americano degli anni ’60. Un esito che in
Giappone viene frenato da un management (e da una proprietà) più
sensibili al lungo periodo in funzione di una coesione nazionale e
culturale che facevano del Sol Levante un sistema integrato all’interno (e
chiuso all’esterno) del quale le Sogo Shosha erano espressione potente
in stretta relazione con le banche. Così in Italia e in Europa (se
escludiamo UK): un sistema bancocentrico, con una Borsa asfittica e
concentrata in un arcipelago di poche famiglie interconnesse e in un
oceano di PMI distrettuali, “resistente” alla separazione tra proprietà e
controllo (Pilotti, Rullani, 2001). Una gestione che con ricorso
(prevalentemente commerciale) al credito bancario non metteva in
discussione il controllo familiare così come nel modello “nippo-renano”.
Ogni paese dunque, dati i vincoli di una economia a base materiale
stabile (dalla siderurgia all’edilizia, dall’auto all’ICT, all’agrifood) con costi
di riproduzione crescenti (imposti dalle economie di scala) cerca una via
d’uscita alle diverse crisi “locali” del capitalismo manageriale alla ricerca
di un esito (non distruttivo) di tipo post-manageriale che aveva tentato di
separare il rischio dal potere. Turbolenze e ondate innovative degli anni
’70 e ’80 (dalle crisi petrolifere fino alla caduta del muro di Berlino)
apriranno i confini planetari con una nuova spinta alla globalizzazione e
renderanno quei tentativi fragili perché coerenti con un sistema mondiale
chiuso entro le mura dell’occidente e della triade di Omahe (USA,
Europa e Giappone). Un mondo con circa 800 mil.ni di consumatori e
con
modelli
produttivi
(quasi)
omogenei
e
un
welfare
“sovradimensionato” con i BRIC in arrivo quali nuove locomotive.
Diversi modelli di (auto) riforma dell’impresa e
politico-istituzionali verso economia della
conoscenza e social innovation
Quale modello va prevalendo? Il modello “nippo-renano” più o meno
corretto nelle varianti europee o giapponesi dove si riconduce la finanza
sotto il controllo di poche e grandi famiglie e/o delle banche associate? Il
modello americano della public company e dell’azionariato (capitalismo
borsacentrico) popolare? O invece si vede un ritorno al modello inglese
con una finanza “più ordinata” controllata da forti “authority” che cerca di
ricondurre il controllo verso la proprietà diretta e il monitoraggio
esercitato dai mercati?
Nasce l’economia
e la società della
conoscenza
Dopo l’89 avremo un nuovo contesto mondiale e operativo che si
innerva nei pilastri dell’economia e società della conoscenza che, come
noto, trascina tre caratteristiche strutturali dei beni: non esclusività, non
rivalità, cumulatività. E ciò innesta una occasione evolutiva che richiede
nuove basi istituzionali all’impresa oltre che profonde linee di riforma del
welfare e probabilmente delle stesse travi portanti della democrazia e
dei diritti (oltre che dei doveri).“Oltre” lavoro e capitale nasce l’economia
e la società della conoscenza per mondi aperti e innovativi e l’impresa
necessita di una transizione capace di accogliere tutte le opportunità
attraverso: auto-organizzazione, coopetizione, leadership allargate e
resilienza. Verso modelli e comportamenti economici di organizzazione
e produzione (e di consumo) più aperti, piatti e flessibili, ma anche
solidali, responsabili e parsimoniosi: modelli capaci di coinvolgimento e
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partecipazione per sollecitare le vere risorse creative e innovative.
Persone e menti sempre più connesse per assorbire saperi distribuiti
“oltre” confini d’impresa crescentemente porosi.
Impresa network e
sfide
dell’innovazione
L’impresa diviene innanzitutto un milieu cooperativo tra intelligenze e
saperi, come parte di un grande sforzo di innovazione collettiva e in
senso più ampio di open e social innovation. Quindi non più espressione
di un principio e di un solo soggetto proprietario (non più in grado
peraltro di contribuire di per sé al finanziamento della crescita
dell’impresa) o di un principio di mediazione e composizione (unico
anche questo) da parte del management, come emergeva nell'impresa
fordista (verticale e gerarchica) con la netta separazione tra line e staff e
la catena di montaggio o le logiche divisionali per esempio. I soggetti di
elaborazione strategica dell’impresa si allargano ed estendono e
commisurano il loro agire al fine comune di valorizzazione complessiva
delle risorse aziendali acquisendo titolo ad appropriarsi di una quota,
positiva o negativa. L’impresa all’interno diviene un network brain di
saperi e di solidarietà (à là Bauman, 2012) che si fondono e confondono,
tra diverse unità e tra diversi interessi che non sono più semplicemente
aziendali ma anche di vita, sul quale investire in modo congiunto da
parte dell’impresa e di tutti i suoi partecipanti, diretti e/o indiretti (fornitori,
banche, partners, consumatori, investitori). L’impresa network, orientata
alla creatività di un brain collettivo si auto-imprenditorializza e
autonomizza rispetto ai soli obiettivi proprietari e/o manageriali forgiando
un terzo focus di allargamento delle basi di assunzione dei rischi
derivanti dalle sfide dell’innovazione. Un superamento delle funzioni di
assunzione del rischio in modo esclusivo da parte dei conferenti il
capitale di rischio (azionisti) e di una finanza disposta solo a distribuire la
rischiosità tra molteplici investimenti a fronte di un certo livello di
remunerazione secondo tradizionali logiche di portafoglio. Proprietà non
disposta a rischiare su progetti di lungo periodo, adagiata nel short
termism, non interessata né ad investimenti problematici (AIDS, Ebola!)
né agli interessi allargati di molteplici stakeholders disposti a rischiare le
proprie risorse e la propria life cycle competence per un progetto di
lungo periodo con la community d’impresa e/o di network. La finanza
standard - disvelata dalla crisi biblica in corso - sembra allontanarsi
dunque da attività rischiose, lasciando l’innovazione (soprattutto quella
radicale) ad altri soggetti e stakeholders privati (e pubblici). Quindi altre
forze diffuse si affacciano alle soglie del rischio industriale e sono
proprio quelle più in contatto con i potenziali delle conoscenze emergenti
nell’impresa e tra imprese e suoi partners. Servirebbero istituzioni e
regole per accompagnare tale assunzione di rischio diffuso come
riconoscimento di queste pratiche di partecipazione al rischio e al
potere. Rimuovendo zone “non protette” che possono intrappolare la
continuità dell’impresa, aggiornando quelle institution di impresa che
connettono il potere di decidere a chi rischia. Basi di rischio e soggettive
che si sono fortemente espanse negli ultimi 30 anni sulla spinta
dell’economia e società della conoscenza e di innovazioni sempre più
sociali. La ragione di tale estensione è chiara: le componenti di ricerca
applicata e di base delle produzioni e dei beni e servizi del futuro stanno
crescendo enormemente e i soli soggetti che conferiscono il capitale di
rischio azionario non sono in grado di farvi fronte perdendo una visione
d’insieme di lungo periodo. Allargata la base di assunzioni del rischio il
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Ricerca di nuovi
punti di equilibrio
tra rischio e potere
punto successivo è trovare punti di equilibrio relativi ai rapporti tra rischio
e potere riconiugando i poteri post-manageriali al rischio senza
necessariamente passare per una mediazione proprietaria. È questa la
sfida inevitabile dell’economia della conoscenza e degli investimenti
immateriali che sono sempre più trasversali e interdipendenti e dunque
caratterizzati da complessità, dall’ideazione al prodotto ai processi, dalla
logistica alla progettazione, dalla R&S alla distribuzione e all’assistenza.
La differenza dal regime fordista precedente è chiara: tali investimenti
proprio per la loro trasversalità interdipendente mostrano un valore
fortemente mobile e precario perché il costo di riproduzione è
strutturalmente inferiore ai costi di produzione. I costi della prima copia
scendono asintoticamente verso zero nel lungo termine e il costo diviene
sostanzialmente quello di innovazione per poi ripartirsi sui volumi soglia
generati.
Le imprese non sono più in grado di usare in modo esclusivo le
conoscenze possedute, così come i consumatori che le utilizzano
domandano connettività (tra software, funzioni, device, ecc). Il valore
delle conoscenze più o meno incorporate tende a scendere man mano
che viene meno la condizione di esclusività degli usi come spiega bene
Dominique Foray (2006). Infatti nella produzione di massa il valore era
determinato dalla prevalenza di investimenti idiosincratici, ossia
connessi a specifici impianti e produzioni rendendo tangibili i valori dei
capitali immateriali posseduti dalle singole imprese. Valore che si
esaurisce man mano che la conoscenza circola attraverso catene del
valore esterne e reticolari o lungo filiere e piattaforme integrate, dove si
formalizza e diviene meno contestuale e meno tacita, tra esternalità e
appropriabilità. Le imprese allora investono in conoscenza ma con
margini ridotti dati dal minore uso esclusivo da diffusione di questi
capitali immateriali. Che paradossalmente si lega sempre più alle
competenze formate ed investite dall’impresa nel tempo, che tuttavia
sono radicalmente mobili perché persone e menti sono appunto
interconnesse e inoltre più sensibili a life career che a task career.
Oltre il controllo tra scaffolding, creatività ed
employeeship
Una nuova
impresa
Le imprese diventano corpi biologici adattivi e dinamici, piatte e flessibili,
generative di creatività individuale e collettiva e dunque con l’implosione
del concetto e delle pratiche di controllo standard “sostituite” da autoorganizzazione. Così la nozione di leadership è erosa da quella di
employeeship (Pilotti, Ganzaroli 2011). Una impresa, piatta, adattiva,
destrutturata che assume forme lunghe a network con confini
intersettoriali porosi e che ricentralizza le risorse formative per
customizzazione. Entrano in crisi le tradizionali funzioni di direzione del
personale consegnate dal fordismo maturo tra specializzazione e
standardizzazione. Le competenze assumono forti funzioni comunitarie
(multitasking) che si inseriscono nel biosistema aziendale lungo una
tutorship allargata anche definita da processi di scaffolding (Vygotskij
1980: Wood, Bruner, Ross, 1976; Bruner, 1996). Ciò richiede
coinvolgimento motivazionale e partecipazione economica risaldando
anche rischio e potere (Pilotti, 2014). Le forme del lavoro cambiano con
modalità più diffuse e complesse per team progettuali, gruppi integrati
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multicompetenza, community di ricerca in molteplici ambiti
dell’organizzazione per la soluzione di problemi più o meno complessi
attraverso differenziate risorse materiali, relazionali e di gioco
interazionale (Sherin, Reiser, Edelson, 2004).
Rete e community
quali strutture di
scaffolding
Tutorship complesse e lavoro integrato (a due vie) per l’accesso a
conoscenze e informazioni sia per pratiche faccia-a-faccia e sia in rete.
Allora rete e community divengono strutture di scaffolding utili per
accompagnare o affiancare soggetti o strutture di supporto di tipo non
dinamico con nuove funzioni che arricchiscono le impalcature di
apprendimento e trasferimento delle conoscenze utili alla soluzione di
uno specifico (o più) problema(i). Rete e community si affiancano
(collective brain) più spesso in questo processo di costruzione del
framing e sense making di un problema e delle sue soluzioni
(collaborative solutions) alle attività proposte dal tradizionale tutor d’aula,
del capo progetto o di reparto legando routine consolidate e
integrandole: modeling, contingency management, feeding back,
instructing, questioning, cognitive structuring (Tharp, Gallimore, 1988).
Tutor e/o siti/supporti di rete specializzati dovranno poi svolgere quel
fondamentale compito di verifica dei risultati raggiunti in modo da
sottrarre quelle parti di impalcatura che divengono via via superflue o
ridondanti per non ostacolare l’emersione dei potenziali dei singoli e/o
dei gruppi, come di interi network aziendali. La valutazione dei risultati
raggiunti consentirà di attivare/disattivare specifiche attività di
organizzazione e/o collaborazione utili a migliorarne le performances in
forme autonome (Rodgers, Rodgers, 2004; Cfr. Faiella, 2012). Emerge
la centralità dei processi di interazione dialogica tra soggetti e/o strutture
team e organizzazioni-network quale condizione attraverso la quale un
contesto può favorire la creatività diffusa migliorando i processi di
emersione dei potenziali attraverso una capillare diffusione delle
informazioni e delle conoscenze utili (cfr. Sennet, 2000).
Un processo che configura una sorta di self-scaffolding come fenomeno
diffuso di una collaborazione distribuita e di massa ad evidenziare come
anche nelle organizzazioni, nei team-network o nei cluster di impresa
questa attività divenga rilevante come bridge tra integrazione funzionale
e collaborazione svolta dai new social media di community
nell’alimentare interazione e condivisione progettuale come proiezione di
valore ecologico, osmoticamente auto-prodotto per interdipendenza (tra
chain o nest di tutor-utenti, individuali-collettivi) dall’eco-sistema di
appartenenza. L’organizzazione e/o il team, o il network vede costruire
attorno ed entro a sé quell’esperienza di senso che libera risorse di
conoscenza emergente perché generate da un nuovo contesto di
interazione collaborativa aperta e di massa. Emerge allora il quadro
costruttivista nel quale agiscono i processi di scaffolding come descritti
da Varisco (2002). I processi di conoscenza (codificata e non), sviluppo
e apprendimento (formale o informale) non sono definibili come capacità
innate dell'individuo (indipendentemente dall’ambiente o contesto di
applicazione e sviluppo), ma rappresentano funzioni fortemente
determinate: dal tessuto di interazioni sociali; dalla molteplicità delle
relazioni situate in un contesto; dall’interazione permanente tra
conoscenze codificate e tacite; dalle varietà situazionali ed esperienziali
vissute ed esperite dai soggetti (individuali e/o collettivi).
PERSONALE E LAVORO N. 563 GENNAIO 2015
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Sociabilità,
tecnologie e
apprendimento
collettivo a
diffusione
planetaria
Natura e logiche
dell’employeeship
Una prospettiva che pone “l'interazione, la negoziazione e l'attività
verbale-comunicativa alla base dello sviluppo dei processi mentali
superiori, riconoscendo una funzione fondamentale alla facoltà
simbolico-linguistica che consente la co-costruzione della conoscenza,
nonché l'interpretazione, più o meno condivisa, del mondo esterno”. Ciò
sembra avvenire sia a livello individuale che collettivo, come un
integrated collective brain che agisce e lavora alla de-costruzione/ricostruzione dei contesti di interazione favorendone la riproduzione della
varietà, alimentata da tolleranza (oltre che da tecnologia e talenti) a là
Florida (2005, Florida, Tinagli, 2005). Una tecnologia a forte sociabilità
diviene supporto fondamentale di un apprendimento collettivo a
diffusione planetaria come mai l’uomo ha visto nel suo sviluppo recente.
Ciò avviene attraverso processi istantanei e di sviluppo orizzontale (e
non più e solo verticali, lenti e sequenziali) che diffondono le
conoscenze con rapidità impensata solo due decenni orsono. Un
apprendimento eco-sistemico che si esprime come una complessa
interdipendenza tra sociabilità e tecnologie diffuse che genera a sua
volta una terza dimensione per un apprendimento come processo
multidimensionale, definito da alcuni studiosi anche di blended learning,
che associa l’apprendimento formale e strutturato a forme non
strutturate e informali, dalle aule della scuola alle aziende, alle classi
delle business school. Una modalità che deve auto-educarci a
comprendere il futuro non tanto quando un evento avverrà ma come
avverrà e come dovremo comportarci, predisponendoci a mappe di
feedback utili a segnalarci scenari futuri, a come rispondere a eventuali
scarti, vuoti, rotture e ricostruzioni. Da qui la necessità di sviluppare
resilienza diffusa nelle capacità e competenze delle persone e dei gruppi
(teamworks) che formano le organizzazioni in sistemi complessi.
È questa la natura profonda dell’employeeship come mediazione
culturale nella pluriversalità dei saperi che supera le rigidità del controllo
ed estende il contesto di leadership al collettivo. La formazione
aziendale e manageriale allora sarà tanto più efficace quanto più saprà
associare varie forme di istruzione per cicli di azione e intervento
concreto-astratto-concreto: dall’aula, alla simulazione, alla sperimentazione, alla rete e ancora all’aula (concreta e/o virtuale). Più performante
quanto più capace di sperimentare possibilità di collaborazione tra
molteplici users. Nella collaborazione interattiva di scaffolding si attivano
i diversi potenziali emergenti correlandoli attorno a idee, progetti,
esperienze, collassando le molecole creative del gruppo come
esplorazione sperimentale di innovazione per mobilitazione.
La sociabilità diviene allora contesto che salda emersione di talenti e
potenziali alle performances interattive, rinforzate da pulsioni
altruistiche-comunitarie piuttosto che individualistiche-egoistiche. Il
significato di scaffolding si espande: miscelando metodologie didattiche,
saperi, culture, materiali multiscopo, scenari attesi alla ricerca di
creatività e innovazione condivisa, incrociando caratteristiche di tutoring,
potenzialità di rete e interconnessioni di community, dove la tecnologia
connettiva disvela il profondo potenziale di sociabilità come fonte di
varietà (cfr. Faiella, 2012). Cambia la natura e funzione della leadership
verso una employeeship che meglio interpreta la multidimensionalità del
processo educativo di scaffolding/fading dotandosi di più adeguate
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risorse di tipo ecosistemico/ecologico. Employeeship come una
leadership distribuita, orizzontale e aperta coerente con le spinte
all’open innovation (Chesbrough, 2003) e di supporto ad apprendimento
partecipativo/collaborativo per gestire processi formativi aziendali ecosistemici. Stimolando gli attori (interni ed esterni) all’interazione,
aiutandoli a maturare una propria autonoma comprensione del contesto
(e del mondo) nell’acquisizione condivisa di conoscenze e competenze
appropriate. Employeeship come parte di una 'impalcatura relazionale'
capace di gestire le dinamiche di gruppo, governare l’accesso ad una
visione d’insieme e condivisa dei processi aziendali e per questo di
essere riconosciuta e legittimata. Employeeship come guida e
canalizzazione delle attività collaborative attorno ai progetti d’impresa
come in un’aula simulata di virtualizzazione della realtà competitiva e
sociale nel quale l’azienda opera ridisegnando il passato per
comprendere più adeguatamente il futuro. Le logiche di employeeship
aderiscono ad un profilo organizzativo/interorganizzativo di “mediazione
culturale” che abbandona tradizionali funzioni di comando e di controllo
top-down per sollecitare auto-organizzazione e valorizzazione delle
interdipendenze bottom-up agendo su “beni comuni intra/inter-aziendali”
nella costruzione, manutenzione e proiezione di knowledge creation:
qualità relazionale, reputation, reciprocità e vision condivisa nella
sostenibilità e responsabilità. Ciò si realizza integrando i diversi canali e
strumenti di scaffolding con una costante azione di monitoraggio e
valutazione soprattutto attraverso le leve dell’impresa ecologica:
coaching, breeding, gardening.
L’impresa elitaria, rigida, verticale e anamorfica del tardo fordismo che
concentra le conoscenze in staff lascia il posto ad una nuova impresa:
interconnessa al contesto, isomorfica con questo, aperta, creativa. Una
impresa responsabile che interfaccia le knowledge community interne ed
esterne - riunendo e integrando saperi ed esperienze, nuove culture e
linguaggi plurali, competenze specialistiche e visioni - in una comune
piattaforma di apprendimento ecologico nella responsabilità (individuale
e collettiva) di tutti gli stakeholders.
Bibliografia
Chesbrough H. (2003), The Open Innovation, The New Imperative for Creating and
Profiting from Technology, Harvard Business School Press
Bauman Z.(2012), “Solidarietà”, relazione tenuta al Convegno “Dialoghi sull’Uomo”,
Pistoia
Bruner J. (1996), The Culture of Education, Cambridge, Mass: Harvard University Press.
Foray D. (2006), L’economia della conoscenza, Il Mulino, Bologna
Faiella F.(2012), “Metodologie di scaffolding per il blended learning”, Working Paper,
Univ. di Salerno
Florida R. (2005),The Flight of the Creative Class, Harper's Collins, (IT: L’ascesa della
nuova classe creativa, Mondadori, 2006)
Fragnito R., Organizzazione ipermediale dei saperi, Kat edizioni, Benevento 2002
Galliani L., Costa R., Valutare l'e-learning, Pensa Multimedia Editore, Lecce 2003
Gibbons P., Scaffolding language, scaffolding learning, Heinemann, Portsmouth 2002
Motterlini M., Guala, F. (2012), Mente mercati decisioni. Introduzione all'economia
cognitiva e sperimentale, e-Book, Università Bocconi
Pilotti L.(2011), a cura di, Creatività, innovazione e territorio - gli ecosistemi del valore
per la competizione globale, Bologna, Il Mulino
Pilotti L. Ganzaroli A. (2009), Proprietà condivisa e open source, F. Angeli, Milano
Pilotti L. (2014), “Impresa e network tra creatività, saperi e scaffolding”, Sviluppo &
Organizzazione, maggio-giugno-luglio, n. 259
PERSONALE E LAVORO N. 563 GENNAIO 2015
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Parola chiave
 Management
Pilotti L., Rullani E. (2001), “Corporate Governance tra teoria e prassi nell’economia
della conoscenza”, Sinergie, n.73/74
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PERSONALE E LAVORO N. 563 GENNAIO 2015
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Fare reclutamento ai tempi del web: dall’e-recruitment al social
recruitment
Claudio G. Cortese
Professore straordinario in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino
Dario Cipolletti
Dottore magistrale in Psicologia del lavoro e del benessere nelle
organizzazioni - Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di
Torino
The war for talent has moved to
the Internet. You’d better have a
battle plan.
[Peter Cappelli, 2001]
“Io rifiuto sempre le richieste di amicizia su Facebook che vengono da
colleghi o professionisti del mio settore: va contro la mia etica, la mia
vita privata deve rimanere separata da quella lavorativa. Non
sopporterei l’idea che persone che mi conoscono sul piano
professionale possano crearsi un’impressione su di me in base alle mie
abitudini o le mie frequentazioni. Voglio che se qualcuno mi deve
valutare, nel bene o nel male, lo faccia per le mie competenze”.
Uso dei social
network ai fini del
reclutamento
e
virtuoso intreccio
tra selezione,
comunicazione e
marketing
Dal punto di vista di uno psicologo della salute, la scelta di fare il
possibile per separare i contesti di vita non solo è lecita, ma addirittura
consigliabile. Se si indossano gli occhiali di un selezionatore, tuttavia,
risulta chiaro come oggi la rete e i social network (d’ora in poi: SN) siano
una importante fonte di dati e informazioni, frequentemente utilizzata sia
nella fase di reclutamento sia in quella di valutazione ai fini della
selezione (Cortese e Del Carlo, 2008). Se per quest’ultima finalità,
ovvero la valutazione ai fini della selezione, la letteratura recente
evidenzia molte aree di rischio non solo in termini di possibili errori, ma
anche di violazione della privacy (Cortese e Pellerei, 2013), l’utilizzo dei
SN con finalità di reclutamento appare meno problematico e già
ampiamente in uso, ancorché spesso in modo del tutto naïf.
D’altra parte, come per ogni aspetto della vita organizzativa, immaginare
oggi un’azione di reclutamento strutturata come venti o trent’anni fa
sarebbe un paradosso: il web ha cambiato completamente la prospettiva
sulla ricerca di candidati per la posizione da coprire. Non solo per il
bacino di contatti quasi illimitato che mette a disposizione, ma anche per
la possibilità che offre all’azienda di giocare un ruolo decisamente attivo
e di generare un virtuoso intreccio tra selezione, comunicazione e
marketing. In questo senso, l’attrazione del candidato, il dialogo con gli
utenti in rete e la promozione dell’immagine risultano sempre più azioni
interdipendenti. Così, i selezionatori non possono più essere solo ed
esclusivamente esperti nella valutazione dei profili dei candidati: devono
diventare bravi comunicatori, integrati nella strategia di marketing
dell’organizzazione, e capaci di trasmettere la vision e la mission di
PERSONALE E LAVORO N. 563 GENNAIO 2015
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riferimento.
Questo contributo si propone di delineare alcune opportunità offerte dal
web, e in particolare dai SN, al fine di realizzare un’attività di
reclutamento efficace, e al tempo stesso individuare delle modalità di
utilizzo in grado di ridurre i possibili svantaggi e rischi.
C’era una volta l’e-recruitment
In un mercato globale altamente competitivo, il reclutamento è da tempo
riconosciuto come un antecedente chiave dell’efficacia organizzativa
(Allen, Mahto, Otondo, 2007). Esso consiste in quelle attività che hanno
come obiettivo identificare e attrarre i potenziali lavoratori, persuadendoli
a candidarsi a diventare membri dell’organizzazione (Barber, 1998;
Breaugh e Starke, 2000).
I vantaggi dell’erecruitment
Con e-recruitment si intendono tutte le attività di reclutamento realizzate
mediante strumenti di tipo informatico connessi a Internet: dai siti
aziendali, ai portali di ricerca/offerta di lavoro (ad esempio monster.it,
indeed.com o jobrapido.com), ai blog, tutto ciò che si avvale della rete
rientra sotto tale definizione. Con l’aumento costante degli utenti
connessi, da oltre un decennio il modo più semplice e veloce per
pubblicare annunci e ricercare candidati è proprio l’utilizzo dei canali
informatici. Oggi tutte le grandi organizzazioni hanno sezioni dedicate
alle attività di reclutamento sui propri siti aziendali (“lavora con noi”) e la
maggior parte degli individui alla ricerca di nuove opportunità di lavoro
compie una parte importante della propria attività online.
Rispetto alle modalità tradizionali, l’e-recruitment fornisce un duplice
vantaggio. Da un lato, il bacino di potenziali candidati a disposizione del
selezionatore si fa molto più ampio; dall’altro, il selezionatore può
assumere un ruolo maggiormente attivo: ovvero, non sarà vincolato alle
risposte che riceverà ai propri annunci, ma avrà la possibilità di
elaborare una personale strategia per contattare i profili che gli
interessano (e che ha, ad esempio, intercettato su un blog) proponendo
loro di candidarsi. Anche in termini economici i benefici che l’erecruitment ha portato sono enormi. Alcune stime indicano che
l’individuazione di un candidato attraverso Internet costa solo un
ventesimo rispetto alle modalità tradizionali di reclutamento. Non
sorprende pertanto che già da qualche anno ormai le pagine web
dedicate al reclutamento siano la prima fonte di CV per la maggior parte
delle grandi organizzazioni (Cober e Brown, 2006).
Quando si utilizza l’e-recruitment, è necessario prendere in
considerazione i processi cognitivi che portano un candidato ad
interessarsi, a livelli diversi, all’opportunità di proporre il proprio CV
all’organizzazione. Tenendo conto di tali processi, infatti, i selezionatori
potranno determinare in maniera più attenta quale sia il modo migliore
per presentare la propria offerta con il fine di attrarre un numero più
elevato, e qualitativamente migliore, di candidati. Un punto chiave sul
quale focalizzarsi per aumentare i livelli di attrazione è la progettazione
accurata del sito Internet attraverso il quale i candidati entrano in
contatto con l’azienda: la qualità di informazioni fornite (mediante testi,
immagini, video, audio, link interattivi, ecc.) e l’usabilità, così come
l’aspetto estetico sono solo alcune delle caratteristiche importanti per
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aumentare i livelli di attrattività del sito, e quindi dell’organizzazione
stessa. Sulla base della signaling theory, ogni punto di contatto tra il
candidato e l’organizzazione (selezionatore, sito aziendale, processo di
reclutamento) verrà utilizzato come segnale, in modo che possa crearsi
un’impressione globale sull’azienda. Questa impressione influenzerà la
sua decisione o meno di candidarsi e - successivamente - proseguire
nell’iter di selezione (Thompson, Braddy, Wuensch, 2008). Questo
accade poiché i candidati percepiscono i siti aziendali come elementi
che indicano quali standard (di eccellenza professionale, di trasparenza
comunicativa, di stile relazionale) potranno trovare all’interno dei diversi
contesti di lavoro.
Ruolo chiave delle
modalità di
comunicazione
L’attenzione da dedicare alle modalità di comunicazione è quindi molto
elevata: la rete darà infatti modo di diffondere velocemente le
informazioni recuperate dai candidati e le impressioni suscitate, e
l’immagine dell’organizzazione ne subirà le conseguenze. Un tema
particolare è quello del rapporto tra politiche di diversity management
(Argentero, Cortese, Piccardo, 2010) e attrattività dell’azienda. Uno
studio di Walker, Feild, Bernerth e Becton (2011) ha dimostrato come
fare riferimento al tema della diversità nelle informazioni fornite
attraverso il proprio sito aumenti l’attrattività presso i candidati che
appartengono a minoranze, sia in termini diretti sia, indirettamente,
sollecitando una maggior propensione a valutare in maniera
approfondita (ad esempio in termini di tempo di visualizzazione del sito e
accuratezza nella lettura delle informazioni) il contenuto del sito stesso.
Inoltre, questo studio ha evidenziato che questo processo è valido non
solo per le minoranze, ma anche per coloro che - pur non appartenendo
a una minoranza - sono attenti al rapporto dell’organizzazione stessa
con temi di natura sociale.
Una rete senza confini
In un articolo del 2001, Peter Cappelli, citava questo esempio: “Con un
motore di ricerca e un paio di parole chiave, Ed Melia può recuperare
567 pagine di CV di software engineers con conoscenze in ambito C++
o Java. Questo potrebbe non stupire, se non si considera che tutti gli
ingegneri lavorano per IBM, e nessuno di loro sta cercando nuove
opportunità di lavoro. I loro CV sono semplicemente disponibili su
Internet, se sai dove cercarli. Melia, un consulente di Boston esperto di
tecniche di recruiting, può rintracciare candidati ‘passivi’ in qualunque
organizzazione (…)”.
Il caso di Ed Melia rende evidente come Internet, da più di un decennio,
abbia portato una radicale trasformazione nelle dinamiche di
reclutamento: se in passato i selezionatori avevano a disposizione un
bacino limitato di candidati tra cui poter scegliere, e per lo più la scelta
ricadeva su uno dei job seeker attivi, non occupati o non soddisfatti del
proprio lavoro, grazie a Internet chiunque può essere “attivato” e
trasformato in un job seeker, mediante lo stabilirsi di una relazione
diretta intrapresa dal recruiter.
Tuttavia, parlare genericamente di ‘Internet’ ai primi del 2015 è superato.
Aspetti quali la diffusione di tablet e smartphone, la comunicazione peerto-peer, la possibilità di essere sempre in contatto con tutti in ogni
istante della nostra giornata e non solo davanti a un personal computer
PERSONALE E LAVORO N. 563 GENNAIO 2015
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hanno modificato il quadro di un decennio fa: basti pensare che la
connessione alla rete è stata definita dall’ONU un diritto umano (Wilson,
2011) e che le persone potenzialmente connesse alla rete, nei prossimi
anni, arriveranno a cinque miliardi.
Così, più che genericamente a Internet, risulta oggi più corretto rivolgere
l’attenzione a quei siti che movimentano la maggior parte del traffico
dati: i SN1. I SN sono definibili come piattaforme che mettono gli utenti in
connessione tra loro, consentendo l’inserimento di contenuti
(testuali/ipertestuali, immagini, foto, audio, video, ecc.), la condivisione
di informazioni (in diretta o in momenti successivi), la creazione di gruppi
(aperti o chiusi), favorendo l’espressione di sé, la ricerca di relazioni, la
discussione, la partecipazione, la collaborazione, lo scambio e il
commercio, in una logica - appunto - di networking (Beer, 2008).
Il boom dei SN, che dura da circa un quinquennio e mette
potenzialmente in contatto un quarto della popolazione mondiale, ha
rivoluzionato nuovamente il modo di intendere la comunicazione tra
utenti, i rapporti tra le persone e, di conseguenza, i rapporti tra le
organizzazioni e il mondo esterno. In tal senso, le organizzazioni
definiscono oggi strategie ad hoc di marketing e comunicazione per
sfruttare il canale dei SN, i cui utenti sono visti come possibili clienti e
come preziose fonti di informazioni riguardo il mercato e le sue
dinamiche.
Social network e
trasformazione del
recruitment: da
dinamica passiva
ad attiva
Ma non solo: i SN sono anche dei formidabili canali di reclutamento. I
loro utenti sono spesso definiti customers&applicants, clienti e potenziali
lavoratori allo stesso tempo. E, all’interno di questi canali, si invertono
decisamente i ruoli tra recruiter e candidato: non più il secondo che
cerca il primo, inviando il CV, ma il primo che cerca il secondo,
illustrandogli l’offerta e chiedendogli il CV. In altre parole, quello che fino
a qualche anno fa era uno scambio di informazioni, tendenzialmente
predefinite (offerta di lavoro e CV, prospettive di carriera e
abilità/competenze possedute), tramite i SN diventa una vera e propria
relazione tra due attori completamente in gioco. Da una parte abbiamo
l’organizzazione, impegnata a presentarsi nella maniera migliore
possibile e individuare il talento più promettente, dall’altra l’individuo,
non solo candidato ma realmente persona, che attraverso il SN ha la
possibilità di trasmettere non solo le sue conoscenze ed esperienze, ma
anche i propri gusti, interessi, passioni, punti di forza e aree di
miglioramento, insomma, la propria personalità, ancora prima di un vero
colloquio. Il processo qui presentato è, ovviamente, decisamente
semplificato, ma aiuta a comprendere come i SN abbiano trasformato il
recruitment: non più “solo” una raccolta di candidature, ma un reale
dialogo, in cui l’organizzazione decide di mostrare la propria immagine
direttamente al mondo e cerca, attraverso strumenti diversi, di
individuare i profili più adatti per i propri obiettivi.
I SN, in questo quadro, hanno moltiplicato i collegamenti a disposizione
del selezionatore interessato a costruire un bacino di candidati da
valutare all’interno di un processo selettivo. Il ruolo dei collegamenti è
1
A luglio 2014 Facebook ha superato gli 1,3 miliardi di utenti attivi ogni mese, mentre ad aprile 2014 Linkedin ha celebrato i 300 milioni
di iscritti al sito. Anche in termini di pagine visitate ogni mese Facebook gioca la parte del leone (più di mille miliardi secondo quanto
riportato da Berruto, 2014), seguita da You Tube e Twitter.
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particolarmente importante: immaginando un SN come una grande rete
in cui il selezionatore può muoversi, a suo piacimento, per contattare i
candidati migliori (azione che ben esprime come il processo di
recruitment sia passato da una dinamica prevalentemente passiva a una
attiva), diventa cruciale il ruolo dei rapporti che egli riesce a instaurare.
In ultima analisi, il valore del lavoro di un recruiter dipenderà in larga
parte dalla “rete nella rete” che egli riesce a costruire intorno a sé: oggi,
la rete di contatti online, composta dalle relazioni su cui fare
affidamento, alcune più forti che fungeranno da ponti nei confronti di
candidati interessanti, altre più deboli ma altrettanto importanti per
allargare il proprio network in settori o mercati di interesse, ha sostituito
la rete di amicizie, conoscenze e contatti utilizzata nell’ambito del
reclutamento tradizionale. Un recruiter che è in contatto con tanti attori,
soprattutto se all’interno di reti diverse, potrà raggiungere un grande
numero di potenziali candidati, attraendo così con maggiori probabilità
individui interessati alle opportunità per cui sta cercando (Ollington et al.,
2013): il successo di SN professionali come LinkedIn (ma dello stesso
Facebook utilizzato con finalità di reclutamento) si basa proprio su
questa dinamica.
In altre parole, ciò che è alla base dello sviluppo del social recruitment
non è solo lo sfruttamento tecnico di un canale dalle potenzialità
illimitate, ma un vero e proprio processo di evoluzione culturale che
vede la nascita e la crescita di un sistema di relazioni virtuali, fatto di
pixel e trasmissione di dati, in cui le organizzazioni devono imparare a
muoversi e di cui devono apprendere il linguaggio per non rischiare di
sparire nel nulla.
Si può usare Facebook per il reclutamento?
Come la maggior parte dei SN, Facebook consente ai suoi utenti di
creare un profilo personale in cui inserire informazioni su di sé da
condividere con altri utenti creando una propria rete di contatti. Il profilo
contiene dati anagrafici, percorso di studio, attività professionale, ecc.
ma anche informazioni più controverse come l’orientamento sessuale o
religioso, e tutto ciò viene condiviso con gli amici aggiunti alla propria
lista. Gli amici possono essere individuati tra tutti gli utenti iscritti, e a
meno di restrizioni di privacy particolari tutti gli utenti possono richiedere
l’amicizia ad ogni altro utente. Gli utenti hanno inoltre la possibilità di
comunicare tra loro, attraverso dei servizi di messaggistica istantanea
(chat) o attraverso l’uso della bacheca, la sezione principale del sito:
l’utente può decidere infatti di condividere con i propri collegamenti foto,
video, pensieri o link esterni pubblicando tali contenuti sulla bacheca. La
funzione è simile a quella di un forum: il contenuto pubblicato diventa di
pubblico dominio, e a meno di restrizioni di privacy, raggiungibile da tutte
le persone in rete, non per forza iscritte a Facebook.
Nonostante la rete sia ormai satura di SN di successo, Facebook
mantiene la sua posizione di dominio poiché riesce a concentrare in un
solo sito tutte le funzioni messe a disposizione dagli altri, gratuitamente
e con una funzionalità semplice e accattivante. Inoltre, vi si può
accedere praticamente da tutti i dispositivi elettronici connessi a Internet:
dai computer ai tablet, dagli smartphone alle consolle videoludiche fino
ai televisori smart, ogni dispositivo ha la sua versione di Facebook; in
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definitiva, ogni iscritto ha così modo di restare connesso con il proprio
network in qualunque momento della giornata.
Le organizzazioni hanno da tempo iniziato ad utilizzare Facebook non
solo con finalità promozionali o di customer care, ma anche di
reclutamento. Attraverso le proprie pagine, infatti, possono attrarre
potenziali candidati, condividendo link, video, immagini che i follower
potranno visualizzare, valutare e a loro volta condividere. Le pagine
corporate non hanno “amici” ma “fans”, sono completamente pubbliche
e quindi i contenuti possono comparire anche tra i risultati su motori di
ricerca quali Google o Yahoo, favorendone l’accessibilità.
Tra i contenuti che le organizzazioni postano su Facebook troviamo
quindi anche gli annunci di posizioni aperte, che compariranno su tutte
le bacheche degli utenti che seguono tale azienda. In questo modo potrà
essere contattata o contattare i candidati, farli entrare nel proprio
network di follower e, attraverso commenti, discussioni e informazioni
condivise, avere un supporto maggiore per la valutazione (Chauhan,
Buckley, Harvey, 2013). Oltre a ciò, attraverso Facebook le
organizzazioni possono attrarre potenziali candidati sulle loro pagine
istituzionali: ad esempio, un’azienda potrebbe aprire una pagina
corporate dedicata esclusivamente al recruitment, su cui pubblicare i
propri annunci e raccogliere candidature, e indurre gli utenti di Facebook
ad accedervi utilizzando il SN.
Lo sviluppo di questo utilizzo di Facebook fa pensare che arriverà in
breve a contrastare siti specializzati nella ricerca di personale come
Monster o Indeed (Chauhan, Buckley, Harvey, 2013), anche perché a
differenza di siti come LinkedIn, Facebook non prevede funzioni
aggiuntive a pagamento (oltre all’advertising): i recruiter possono quindi
accedere a tutte le informazioni sui candidati rese disponibili
esattamente come ogni altro utente connesso al sito.
Buone pratiche e aree di attenzione
Alcune condizioni
di base
I vantaggi che derivano dall’utilizzo dei SN per il processo di
reclutamento si manifestano se vengono rispettate alcune condizioni di
base relative a:
- fornire sempre feedback e follow-up adeguati: rispondere - e
velocemente - ai candidati, o perlomeno notificare la ricezione di una
candidatura, permettendo un contatto reale con chi è “dietro lo
schermo”, soprattutto nei casi in cui l’organizzazione sia interessata
ad entrare in contatto con i job seeker “passivi”, ovvero individui
occupati e non seriamente interessati a valutare ulteriori opportunità,
ma con un profilo di potenziale interesse per opportunità future;
- fornire job description e job specification dettagliate: sebbene la
scelta di fornire job description volutamente vaghe e ampie aiuti ad
aumentare il numero di candidature, il non fornire informazioni
precise potrebbe portare a risultati discordanti. Alcuni job seekers
infatti potrebbero decidere di non candidarsi se non vengono
presentate informazioni precise, soprattutto riguardo retribuzione ed
eventuali benefit;
- curare le procedure per presentare e analizzare le candidature:
l’architettura del sito organizzativo deve rendere chiaro come
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presentare la propria candidatura, semplificare il più possibile il
processo e dare la possibilità di allegare documenti in formati diversi;
dal punto di vista del recruiter, è importante disporre di software che
migliorino e velocizzino le procedure di screening;
- aggiornare le attività pubblicate: inserire la data di pubblicazione
dell’annuncio, rimuovere ricerche di lavoro ormai concluse dal sito.
Possibili rischi
Il 63% dei datori di lavoro che utilizza i SN nel processo di selezione
afferma di aver scartato una candidatura sulla base di informazioni
raccolte con questi strumenti (Chauhan, Buckley, Harvey, 2013). Ma è
bene riflettere sulle informazioni rese disponibili dai SN, che permettono
al selezionatore di “entrare” nel mondo del candidato e di iniziare a
valutarlo (come peraltro avveniva anche in passato, ad esempio con la
telefonata di convocazione che seguiva la lettura del CV): cosa
dovrebbe fare un selezionatore di tali informazioni? Sono utili? È corretto
utilizzarle per farsi una prima impressione? Le ricerche iniziano a
delineare un quadro più preciso, mettendo in risalto soprattutto due
rischi: l’ingratiation/deception e il ruolo delle informazioni negative.
Il primo binomio sta a indicare la possibilità, per i job seekers, di
costruire in modo artefatto il proprio profilo professionale, mettendo in
luce tutte quelle informazioni che possono aumentare le possibilità di
essere individuati e selezionati dalle organizzazioni e nascondendo
quelle che si ritengono dannose rispetto a tale scopo. Già da un
decennio gli studi hanno dimostrato che gli utenti spesso costruiscono
profili ad hoc (in passato sui propri siti personali, oggi sui SN) per
trasmettere un’immagine particolarmente attraente per i selezionatori
(Vazire e Gosling, 2004). Parlando di ruolo delle informazioni negative,
si vuole invece sottolineare il rischio che poche (anche una sola)
informazione relative a comportamenti socialmente inaccettabili o
imbarazzanti (i cosiddetti faux pas, cfr. Karl, Peluchette, Schlaegel,
2010) gettino un alone negativo sul candidato nella sua interezza,
nonostante essi siano stati messi in atto occasionalmente e in contesti
differenti da quello lavorativo. Per fare un esempio, ubriacarsi una volta
nella vita a una festa di compleanno non significa essere né incapaci di
controllarsi né privi di etica. Inoltre, gli utenti potrebbero essere taggati in
immagini dal contenuto sgradevole da amici senza saperlo, oppure
potrebbero essere denigrati in rete in modo pretestuoso senza che il
contenuto venga rimosso. A questo proposito va ricordato che vi sono
SN marcatamente di tipo professionale, come LinkedIn, e SN più vicini
alla dimensione personale, come Facebook. In conclusione, quando
decide di utilizzare questo secondo tipo di SN a scopi di reclutamento,
come sempre più frequentemente avviene, è bene che il recruiter sia
consapevole del rischio che corre nell’attribuire troppo peso alle
informazioni negative.
Un tema da considerare è anche quello del rispetto della privacy, ovvero
dell’utilizzo di informazioni che il candidato non desidera condividere al
di fuori della propria cerchia di contatti. Talvolta i selezionatori adottano
metodi “creativi” (in qualche caso oltre i limiti della deontologia nonché
della legalità) per aggirare tali ostacoli e accedere alle informazioni
riservate, come ad esempio assumere “amici” in veste di spie per
contattarli e riferire le informazioni, quando non le password
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(Brandeburg, 2008), o creare profili “civetta” con l’obiettivo di ottenere
l’amicizia.
Purtroppo, in particolare i giovani prendono poco in considerazione i
rischi legati a una rinuncia alla propria privacy, considerando i SN e la
rete in generale un luogo sostanzialmente sicuro (Roulin, 2014). Non va
in tal senso dimenticato che in diversi casi le informazioni comparse sui
profili online di dipendenti sono state causa di veri e propri “suicidi
professionali” (Chauhan, Buckley, Harvey, 2013). Probabilmente il caso
più noto è quello di una tirocinante impegnata in attività di insegnamento
che perse il suo lavoro da insegnante e la possibilità di laurearsi a causa
di una foto, comparsa su un suo profilo social, dove veniva etichettata
come “piratessa ubriaca”. La studentessa fece ricorso ma perse, poiché
la Corte sentenziò che, essendo lei una dipendente pubblica,
rappresentava l’istituzione sia durante che oltre l’orario di lavoro. Nel
caso specifico la studentessa non utilizzava alcuna restrizione di
visibilità sul suo profilo: questo caso è un esempio chiaro di come le
informazioni condivise in rete siano di dominio pubblico, e che i SN non
forniscono alcuna difesa in caso di comportamento inappropriato.
Un ultimo rischio, infine, riguarda paradossalmente (ma non troppo) gli
stessi recruiter: la possibilità di entrare in contatto rapidamente con un
alto numero di candidati, infatti, fa sì che la dirigenza si aspetti che le
ricerche vengano concluse sempre più velocemente (Vick e Walsh,
2010). Gli studi hanno invece dimostrato che ci si può aspettare
piuttosto una maggiore efficacia, ma i tempi necessari per raggiungere
l’obiettivo di un buon reclutamento non saranno “comprimibili” oltre un
certo limite. In sintesi: sì al reclutamento 2.0 mediante i SN, no a un
utilizzo governato da senso di onnipotenza, superficialità e fretta.
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Parola chiave
 Selezione
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A proposito di Futuro …
Micro-scoppio è la traduzione letterale di micro-burst, termine coniato da
Jack Groppel e Janet Nikolovski per indicare un ritorno
sproporzionatamente grande (uno scoppio) per un piccolo (micro)
investimento di energia.
Il management
“microscoppico”
L’essere umano ha bioritmi altalenanti e un impegno ininterrotto non è
naturale: secondo le ricerche da loro citate, 2-3 minuti di moto ogni
mezz’ora contribuiscono ad aumentare il metabolismo e ad abbassare il
livello di grasso nelle cellule; e lo stare in piedi agevola le capacità di
pensare e di concentrarsi.
Da tutto questo può scaturire un nuovo stile manageriale.
Alcuni dei suoi elementi sono “facili”; ad esempio: riunioni di non più di
un’ora, con un po’ di moto o di stretching ogni mezzora; meno posta
elettronica interna e più contatti personali fra uffici; salire le scale a piedi;
usare bagni di piani diversi (se possibile). Altri un po’ meno: postazioni di
lavoro in piedi, o con scrivanie che si alzano e abbassano, o con sedie “a
pallone”…
Si tratta di uno stile manageriale contro-intuitivo, ammettono gli autori,
consigliando di procedere per gradi…
“Nella nuova economia globale, vincitori e perdenti si delineano
chiaramente. Gli uomini e le donne istruiti ed in grado di comunicare
facilmente al di là dei confini nazionali traggono vantaggio dalla situazione
attuale. Altri invece no. Le nuove divisioni fra classi non separano tanto i
ricchi dai poveri, quanto le élite istruite e metropolitane dai provinciali
meno sofisticati, meno flessibili e meno connessi . E che si sentono alienati
in un mondo che appare loro sconcertante e pieno d’odio”. (Ian Buruma)
I vincitori
Parola chiave
 Management
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……………………………………………………………..………….…………
... e di Reclutamento
Obesità…
Secondo una recentissima ricerca Gallup, ci sarebbe una stretta
correlazione fra disoccupazione e obesità (e malattie cardiovascolari
connesse): per questo le aziende eviterebbero di assumere candidati
sovrappeso: una “spirale perversa”…
Parola chiave
 Selezione
Ed il peso corporeo come principale criterio di valutazione: un ritorno al
pre-industriale, quando contavano soprattutto le braccia?
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