Il cibo in scena - Napoli - Biblioteca Nazionale di Napoli

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Il cibo in scena - Napoli - Biblioteca Nazionale di Napoli
Il cibo in scena
Luogo: Sala Esposizioni
Data: 9 luglio - 5 dicembre
Anno: 2015
Categoria: Mostre/Esposizioni
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Il cibo in scena
Banchetti e cuccagne a Napoli in età moderna
Mostra bibliografica e iconografica
Inaugurazione giovedì 9 luglio, ore 17.00
Intervengono
Vera Valitutto, Direttrice della Biblioteca Nazionale di Napoli
Nino Daniele, Assessore al Turismo e alla Cultura del Comune di Napoli
Giuseppe Gaeta, Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli
L'apertura è prorogata fino al 5 dicembre
orari
lunedì-venerdì ore 9.00-18.00, sabato 9.00-13.30
informazioni
URP: 0817819231, [email protected] [1]
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Napoli, seconda città d’Europa nel secolo XVII, rappresentata in una delle tavole dell’atlante manoscritto di
Francesco Cassiano De Silva, si costituisce come il palcoscenico ideale su cui mettere in scena il rituale della festa
nelle strade, nelle piazze, nei palazzi. Tra le componenti dell’evento festivo il cibo ha sempre interpretato un ruolo
fondamentale giocato sul doppio registro cuccagna/banchetto, coinvolgendo popolo e nobiltà con una valenza
speculare che li rende ambedue necessari per la riuscita della festa.
Nella festa civile il momento culminante della partecipazione del popolo è la cuccagna. Ma accanto ad essa altri
rituali gastronomici consentono di seguire un percorso legato agli usi e ai costumi sia della corte che del popolo: i
banchetti e i rinfreschi della nobiltà che della cuccagna costituiscono lo speculare rovescio e ancora le ‘macchine
commestibili’ legate alla festa di San Giovanni che, agli inizi del secolo XVII, si pone come appuntamento
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ineludibile nella scansione delle feste cittadine. Tra le pubblicazioni più interessanti a questo riguardo ricordiamo Il
Zodiaco di Francesco Origlia e le descrizioni affidate alla penna di Giulio Cesare Capaccio.
Se per la nobiltà venivano predisposti sontuosi banchetti e rinfreschi nelle sale di palazzo reale e nelle dimore più
rappresentative della città, per il popolo si allestivano cuccagne sempre più elaborate che alternavano cibi veri con
cibi finti provocando incidenti fra le folle che le assaltavano. La cuccagna appare strettamente intrecciata e
connessa a festività di varia natura, da quelle civili al Carnevale, solennemente aperto dal viceré il 17 gennaio nel
borgo di S. Antonio Abate. Nelle ultime quattro domeniche prima della Quaresima i carri sfilavano per via Toledo
fino al luogo del saccheggio stabilito in un primo tempo a Porta Capuana e poi a Largo di Palazzo.
Nel corso del ‘600 vanno in scena i festeggiamenti per le nozze di Carlo II d’Asburgo, le prime, con Maria Luisa di
Borbone in cui trova spazio l’apertura del Carnevale. Ad una mascherata a cavallo che aveva come tema le
quattro stagioni seguì “ un carro trionfale di Cerere e Flora” con “fiori, e bianchissimi pani, manifestando
nell’abbondanza il riso de’ popoli”. Il carro “tirato da più cavalli”, terminata la musica, fu immediatamente
saccheggiato, “volando per aria le candidezze di quei pani, per trionfo di Cerere, con non ordinario giubilo de’
riguardanti”. La cavalcata che in quella circostanza percorse le vie della città rivela, rigorosamente incardinati, i
ruoli dominanti in stretto ordine gerarchico, mentre sullo sfondo la città dispiega i suoi luoghi più caratteristici dalla
“Cavallerizza a Posillipo”. E’ quest’ultima zona insieme a Mergellina a essere valorizzata durante il viceregno del
marchese del Carpio, giunto a Napoli nel 1683, divenendo il luogo privilegiato dove il 26 luglio veniva festeggiato
l’onomastico della regina madre. Una festa occasionale, la conquista della città di Buda, vittoria cristiana sui turchi,
dette al marchese del Carpio l’occasione per mettere in scena una cospicua serie di festeggiamenti che videro la
città trasformarsi nello spazio di circa due settimane in un palcoscenico perenne. A Filippo Schor fu affidato il
compito di ideare una complessa macchina a Largo di Palazzo della quale rimane testimonianza in una rara
incisione. Su di un tablado era stato costruito su di un palco il “Templo de la Feé” sostenuto da otto colonne
dorate ai lati del quale erano disposti sei padiglioni austriaci. Piramidi di polli sulle quali erano posti gli stendardi
imperiali, piramidi di cibo, “fuentes de vino”, costituirono, come di consueto, la parte della festa riservata al
“pueblo que saquea”. Le carrozze accanto alle piramidi di volatili con i nobili in attesa del segnale del viceré per
osservare lo spettacolo del popolo che assalta e saccheggia le cuccagne completano il quadro.
L’avvento degli austriaci nel regno di Napoli nel 1707 dette il via a una serie di feste e di celebrazioni il cui ricordo
è affidato anche ad un manoscritto in cui Carlo Antonio Sammarco racconta gli avvenimenti del 1707 e del 1708. Il
testo è corredato da una ricca serie di disegni a penna che consentono un excursus tra le diverse feste. In
occasione del compleanno e dell’onomastico dell’imperatore vennero allestite cuccagne a forma di piramide
sormontate da “un’aquila grandiosa con corona imperiale”. Alla trasformazione nelle feste civili della cuccagna da
piramide a vera e propria costruzione di soggetto mitologico, dettero impulso architetti famosi da Cristoforo Schor a
Domenico Antonio Vaccaro, da Ferdinando Poleti a Michelangelo de Blasio. Poleti progettò nel 1720, in occasione
del compleanno dell’imperatrice che cadeva il 28 agosto, una cuccagna a Largo di Palazzo: nella piazza era stato
eretto un ”grande antemurale ad uso di fortificazione” con galline vive, capponi, agnelli, prosciutti e caci.
L’anno dopo il compleanno dell’imperatrice, in attesa di un figlio, fu festeggiato in modo particolarmente fastoso
con la messa in scena a Palazzo Reale de Gli orti esperidi componimento drammatico di Pietro Metastasio. Il
libretto è illustrato da tre tavole che raffigurano la cuccagna progettata da Michelangelo De Blasio, la tavola
apparecchiata per il rinfresco, e l’allestimento dello spettacolo teatrale.
Napoli tornata capitale di un regno autonomo nel 1734, riceve con la dinastia borbonica un nuovo impulso alle
celebrazioni che sono rimaste ad essa indissolubilmente legate.
Ferdinando Sanfelice progettò l’allestimento della Chiesa di San Lorenzo Maggiore in occasione dell’arrivo di
Carlo di Borbone. Per il matrimonio di Carlo con Maria Amalia di Sassonia ideò una fiera a Largo di Castello, voluta
dal re che aveva ordinato agli Eletti che “si fosse fatta nel Largo di Castello una festa rappresentante una città in
dove tutt’i negozianti e l’arti vi avessero introdotto ogni genere di merci, acciò i Forastieri avessero potuto trovare
in quel luogo tutte quelle cose che disperse si trovano in quest’ampia città”. Sanfelice progettò un complesso a
pianta rettangolare in grado di contenere 128 baracche.
Alla metà del secolo le celebrazioni per la nascita del primogenito di Carlo, Filippo, possono essere seguiti
attraverso le splendide tavole dell’in-folio pubblicato per l’occasione. Scenario degli spettacoli e dei balli oltre a
Palazzo Reale fu il teatro di San Carlo, inaugurato nel 1737, dove andò in scena una serenata per musica Il sogno
d’Olimpia di Ranieri Calzabigi. Mentre per la nobiltà le tavole “erano imbandite d’ogni genere di beveraggi non
meno freddi che caldi e di gran copia di confezioni e de’ più scelti e lodati vini della Francia, e di altri anche più
remoti paesi” per il popolo venne allestita al Largo di Palazzo una spettacolare cuccagna progettata da Vincenzo
Re.
All'organizzazione delle feste e dei sontuosi banchetti provvedeva uno stuolo di addetti, controllati e diretti dallo
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scalco, il maestro di casa responsabile del convito e del servizio di tavola. Suoi diretti collaboratori erano, in sala, il
credenziere, il trinciante, il bottigliere e, nelle cucine, il cuoco, coadiuvato da un piccolo esercito di aiutanti,
pasticcieri e sguatteri. Una manualistica specializzata dettava le regole per la corretta esecuzione dei vari compiti. I
trattati secenteschi sono rivolti soprattutto allo scalco: la prima opera stampata a Napoli che tratta della materia,
Lucerna de corteggiani di Giovanni Battista Crisci, si limita a elencare menù per tutto l'anno 1636, senza dare
alcuna indicazione sulla preparazione dei cibi. Maggiori notizie si ricavano da Lo scalco alla moderna del
marchigiano Antonio Latini, che affianca a generiche prescrizioni culinarie un'accurata descrizione del servizio,
degli apparati e della composizione dei banchetti. Questi comprendevano almeno tre diverse imbandigioni: primo
servizio di credenza o rifreddo, prima portata calda o di cucina, secondo servizio di credenza, per un totale di
pietanze oscillante fra trenta e settanta. Bisogna aspettare il 1773, quando Vincenzo Corrado pubblica la prima
delle numerose edizioni de Il Cuoco galante, perché la cucina napoletana possa vantare un vero e proprio
ricettario. L'autore scrive diversi saggi di agricoltura e di cucina, tra cui Del cibo pitagorico: una raccolta di ricette
vegetariane, bizzarra nell'uso di carni e salumi per la preparazione di fondi e brodi di base, ritenuti “necessario
condimento di certe vivande, particolarmente le erbacee, le quali contengono poco di loro natural sapore”.
Alle origini della tradizione gastronomica napoletana si colloca il manoscritto di Giambattista Del Tufo Ritratto o
modello delle grandezze, delitie et meraviglie della nobilissima città di Napoli, vivida descrizione della vita
quotidiana della città nella seconda metà del Cinquecento e primo testimone delle ricette di piatti come la pastiera
e il Pignato maritato fatto alla napoletana.Al servizio di casa Farnese, tra il XVI e il XVII secolo, hanno operato gli
autori degli altri manoscritti esposti: Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, e il palermitano Carlo Nascia,
cuoco di Ranuccio II, entrambi generosi di riferimenti a prodotti originari del regno di Napoli.
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