AGGIORNAMENTO in - Giornale SIGENP

Transcript

AGGIORNAMENTO in - Giornale SIGENP
3
orgaNo ufficiale
della società italiaNa
news
Volume II - Settembre 2010
di gastroeNterologia
epatologia e NutrizioNe
pediatrica
aggiornamento in
gastroeNterologia
epatologia
Con il contributo educazionale
NutrizioNe
EDITORE - Area Qualità S.r.l.
Via Comelico 3 - 20135 MI
s
ommario
3
Editoriale
4
Topic High Light…
Claudio Romano
Vecchi e nuovi markers fecali in età pediatrica
di Mariella Baldassarre
6
Meta-analysis Reviews
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica:
quale evidenza?
Elena Lionetti, Ruggiero Francavilla, Martino Ruggieri, Ilaria Lombardo,
Domenico de Robertis, Alfredo Pulvirenti e Carlo Catassi
12
Pediatric Hepatology Outside Box
Gestione dell'insufficienza epatica acuta
di Silvia Riva
16
Training and Educational Corner
Ruolo dell’ecografia nelle urgenze gastrointestinali
in età pediatrica
di Ermanno Bacchini e Simone Cella
19
Gastroenterology Clinical Research
Ricerca clinica, diagnosi e trattamento dei GIST:
verso quale meta? Quali prospettive?
di Sergio Morini, Roberto Lorenzetti e Salvatore Campo
FORUM
22
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
Acido ursodesossicolico (UDCA):
approfondimento farmacologico e clinico
di Chiara Amoruso, Sara Federica Fedeli e Gabriella Nebbia
FORUM
25
Fellow’s Corner - L’angolo dello specializzando
“Dotto’ mio figlio ha di nuovo la polmonite?”
Uno strano caso di polmoniti ricorrenti
di Dario Ummarino
Con il contributo educazionale
s
ommario
VIDEO
28
Endoscopy Learning Library
Una diagnosi occasionale ed indaginosa
di voluminoso polipo del colon
di Giuliano Lombardi, Maria Teresa Illiceto e Marco Filippone
FORUM
30
Pediatric Gastroenterology Educational Article
L’ematemesi in PS
di Massimo Fontana e Giorgio Fava
33
Ped GI Snapshots
a cura del Comitato di Redazione
11
Con il contributo educazionale
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Vice-Presidente
Segretario
Tesoriere
Consiglieri
news
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ditoriale
Un mix di approfondimenti
e protocolli di comportamento
utili nella pratica clinica
Con la pubblicazione del n° 3 di SIGENP New siamo a “metà dell’opera”. Abbiamo cercato di non tradire le attese e Vi offriamo una serie di
contributi di elevato livello scientifico.
Nathalie Kapel nella rubrica Topic High Light chiarirà finalmente
ruolo, sensibilità e specificità dei markers fecali nella definizione o nel
sospetto di patologia GI acuta e cronica. Spesso l’indicazione ad indagini strumentali di tipo invasivo è guidato ed orientato dalla positività di tests sulle feci sulla cui sensibilità e specificità, spesso operatoredipendente, sono necessarie ulteriori validazioni sul "campo".
La celiachia è una condizione in cui il coinvolgimento extra-gastrointestinale di organi ed apparati è frequente e molte volte preminente
rispetto a quello intestinale. Si possono distinguere manifestazioni
cliniche classiche ed atipiche, complicanze e patologie associate. Il sistema nervoso centrale apparentemente lontano da quello gastrointestinale può rappresentare un target per manifestazioni cliniche in
associazione alla celiachia. Alcune di esse sono presunte, altre certamente correlate. La metanalisi e review della letteratura da parte di
Elena Lionetti consente di avere un quadro aggiornato delle attuali
conoscenze.
Argomenti di epatologia trovano ampio spazio in questo numero con
l’Outside Box sulla gestione delle emergenze ed un aggiornamento
riguardo le proprietà farmacologiche e farmacocinetiche dell’UDCA
(acido Ursodessosicolico).
IIl GIST è una patologia poco consciuta dal pediatra, ma l'approfodimento ospitato in questo numero consentirà una profonda riflessione
su un modello di malattia in cui le conoscenze genetiche e molecolari
hanno una applicazione immediata sul piano clinico e terapeutico.
Interessante il Caso Clinico con approfondimento presentato da Ummarino riguardo una entità clinica che spesso sfugge ad una precoce diagnosi.
Sintetico, puntuale e pratico l’Educational Article di Massimo Fontana sulla gestione di un evento come l’ematemesi in PS: non sempre
questa manifestazione clinica è secondaria a patologia GI ed un cor
corretto inquadramento clinico puo’ consentire il “risparmio” di inutili
ed invasive indagini strumentali. SIGENP News offre un protocollo di
comportamento che può essere scaricato ed utilizzabile in qualunque
struttura di PS.
Tanta carne al fuoco….quindi… e nell’augurarVi una buona lettura
Vi invito ad utilizzare il Forum, strumento molto utile per arricchire
di nuovi contributi la rivista on-line.
Claudio Romano
3
S I G E NP NE WS
Volume II - n. 2 seTTemBRe 2010
Topic High light…
a cura di
Mariella Baldassarre
Vecchi e nuovi markers fecali
in età pediatrica
Mariella Baldassarre
U.O. di Neonatologia e T.I.N., Policlinico Universitario di Bari
N
athalie Kapel, laureata in biologia e farmacia presso
l’Università «René Descartes -Paris 5» a Parigi,
è dal 2003 direttore del Servizio di Coprologia
Funzionale dell’Ospedale «Pitié-Salpêtrière» di Parigi.
È professore Universitario presso la Facoltà di Biologia
dell’Università «René Descartes » di Parigi. Autrice di 52
pubblicationi riportate su Pubmed, di 12 capitoli di libri
e altre pubblicazioni didattiche, di 114 comunicazioni orali
e scritte, è membro della Società Francofona di Nutrizione
Enterale e Parenterale e della Società Francese di Parassitologia.
Cosa possiamo aspettarci attualmente dall’analisi delle feci in
età pediatrica?
Le analisi realizzate sulle feci in età
pediatrica sono: la ricerca del sangue occulto, il dosaggio dei lipidi per
valutare la presenza o meno di una
steatorrea, il dosaggio degli elettroliti, la determinazione della clearance
dell’alfa1-antitripsina (a1AT), il dosaggio di alcuni markers quali l’elastasi fecale, l’attività chimotripsinica
e la calprotectina fecale.
È ancora utile il cosiddetto
“esame chimico-fisico” delle feci?
Questo tipo di analisi rimane utile in
un certo numero di condizioni. Il dato
principale dell’esame chimico delle feci utilizzato in età pediatrica è la misura delle perdite lipidiche fecali, l’unico
metodo per documentare la steatorrea
e di valutare le perdite nutrizionali associate sia di evidenziare una eventuale
carenza di apporti. Il dosaggio concomitante dei lipidi e dell’elastasi fecale
permette di diagnosticare l’insufficienza pancreatica esocrina e di valutarne
le ripercussioni da un punto di vista
4
nutrizionale (il
( ruolo dell’elastasi fecale come marker nell’analisi coprologica
verrà discusso più avanti).
avanti
Nel contesto di una diarrea acquosa può
essere utile dosare gli elettroliti fecali
per valutarne le perdite a livello dell’indell’in
testino, ai fini anche della diagnosi dif
differenziale tra la cloridorrea e la diarrea
osmotica. In quest’ultimo caso, una ricerca associata dei monosaccaridi fecali
potrà completare l’approccio diagnostico evidenziando il malassorbimento
specifico di uno zucchero per difetto di
trasporto o carenza di disaccaridasi.
Infine la determinazione della clearance dell’a1AT rimane ancor oggi il “gold
standard” per valutare l’essudazione
proteica a livello intestinale e quindi
per apprezzare l’attività e l’intensità
delle malattie infiammatorie croniche
intestinali. Nei bambini più piccoli
una standardizzazione di questa indagine effettuata rapportando la concentrazione fecale dell’a1AT all’estratto
secco consente di correggere l’errore
dovuto alla raccolta sul pannolino.
Conviene sempre associare il dosaggio sierico dell’a1AT per valutarne un
eventuale deficit che renderebbe il dosaggio fecale non interpretabile.
SIGENP NEWS
La ricerca del sangue occulto
fecale (SOF) può oggi essere sostituita da altri markers o resta sempre un metodo valido di screening
della flogosi del tratto G.I.?
Al momento attuale la ricerca del SOF
mantiene il suo interesse ma è imporimpor
tante conoscerne bene tutti i limiti.
Nell’ambito della flogosi del tratto
G.I. mi sembra che nuovi markers
comparsi negli ultimi anni, tra cui la
calprotectina fecale, siano di maggiore
utilità perché più sensibili e specifici.
Qual è allo stato attuale e secondo la tua opinione, l’utilità concreta dei vari markers fecali?
Il dosaggio della elastasi fecale è attualattual
mente entrato negli esami di routine ef
effettuati ai neonati o lattanti con sospetsospet
to di fibrosi cistica ed ai bambini affetti
da deficit staturo-ponderale al fine di
evidenziare il più precocemente possibile l’insufficienza pancreatica esocrina. Bisogna tuttavia conoscere i limiti
di tale indagine nei bambini più piccoli.
Se diversi studi hanno evidenziato che
i livelli di elastasi fecale si normalizzano nel corso del primo mese di vita,
uno studio realizzato dal mio gruppo
di ricerca ha dimostrato che un singolo
dosaggio di elastasi fecale non permette sempre di escludere o diagnosticare
in maniera definitiva una insufficienza
pancreatica esocrina in bambini di età
< 2 anni: in questi casi è necessario un
secondo prelievo a distanza di tempo
dal primo. Nello studio retrospettivo
da noi condotto su 236 lattanti seguiti
nei primi 2 anni di vita è stata osservata
una evoluzione patologica dei livelli di
elastasi fecale nel 14.8% di lattanti dopo
un primo esame risultato normale, che
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Topic High light...
a cura di
Mariella Baldassarre
Vecchi e nuovi markers fecali in età pediatrica
Mariella Baldassarre
ha condotto a porre diagnosi di insufficienza pancreatica esocrina al termine
del follow-up. In senso inverso è stata
ritrovata una normalizzazione dell’elastasi nel 45.6% dei lattanti che avevano
presentato un valore anormale al primo
dosaggio (< 200 mg/g di feci).
Va sottolineato che in lattanti con un
dosaggio iniziale di elastasi < 15mg/g la
normalizzazione si è verificata solo nel
13.6% dei casi. Bisogna ricordare infine
che una riduzione transitoria della elastasi fecale può essere osservata in bambini con enterite acuta.
Dopo la diagnosi di insufficienza
pancreatica esocrina e l’inizio della
terapia enzimatica sostitutiva, il dosaggio dell’attività chimotripsinica
fecale si può rivelare utile per valutare la compliance del trattamento,
soprattutto in ragione del fatto che
non esiste, per gli enzimi pancreatici,
una forma galenica che si adatti come posologia ai bambini più piccoli.
Un altro campo di grande interesse per
ciò che riguarda i markers fecali è quello della infiammazione intestinale. Tra i
tanti markers proposti nella letteratura
internazionale (lisozima, mieloperossidasi, lattoferrina, TnFa), la calprotectina
rappresenta oggi il più affidabile e deve
far parte degli esami di “routine”. Il dosaggio della calprotectina è stato proposto agli inizi degli anni 2000 come markers di malattie infettive, neoplastiche o
infiammatorie dell’intestino nell’adulto,
con valori molto elevati nel corso delle
malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI). Gli studi successivi hanno
altresì mostrato una sensibilità del 100%
ed una specificità del 97% del dosaggio
della calprotectina nell’adulto nella diagnosi differenziale tra MICI e disturbi
funzionali, con un valore di cut-off di
50 mg/g di feci. Il dosaggio della calprotectina permette di seguire in maniera
non invasiva l’attività delle MICI e l’ef
l’efficacia terapeutica durante il follow-up.
Inoltre è il parametro biologico meglio
correlato allo score endoscopico e la sua
normalizzazione corrisponde ad una
guarigione della mucosa. In età pediatrica, il valore cut-off di 50 mg/g di feci
è valido a partire dai 4 anni di età. Nei
bambini di età inferiore i valori normali
sono più elevati, simili a quelli osservati
nel corso delle MICI, con importanti
5
variazioni inter ed intra-individuali,
senza tuttavia differenze significative
tra i nati a termine e pretermine. Questi
valori così elevati potrebbero essere il
riflesso dell’aumentata permeabilità intestinale, fisiologica a quell’età, che può
favorire la transmigazione dei granulociti polimorfonucleati. Altri fattori ipotizzati come spiegazione degli alti livelli
di calprotectina nei primi anni di vita
sono rappresentati dalla risposta della
mucosa alla colonizzazione batterica
intestinale e/o la stimolazione da parte
degli antigeni alimentari.
Quali sono i markers fecali più
recenti che offriranno più informazioni e si svilupperanno maggiormente in futuro?
Nei neonati e nei lattanti la sintomatologia clinica associata alla patologia
digestiva è spesso poco specifica (diarrea, coliche, pianto, difficoltà alimentari, dolori e distensione addominale) e
può richiedere indagini di esplorazione
morfologica e/o istologica spesso invasive. È dunque in questa fascia d’età che
bisogna raddoppiare gli sforzi per sviluppare markers biologici non invasivi.
Al momento attuale la calprotectina
offre le migliori prospettive. In effetti,
nonostante le importanti variazioni inter ed intra-individuali già descritte, gli
studi pubblicati concordano nell’evidenziare un incremento dei valori di
calprotectina fecale in corso di processi
patologici (coliche neonatali, allergia
alle proteine del latte vaccino, enteropatia intestinale, enterocolite necrotizzante) e la loro normalizzazione dopo
il trattamento. Vi sono tuttora in corso
studi per ottimizzare i valori di cut-off a
seconda delle varie condizioni patolopatolo
giche nella suddetta fascia d’età in momo
do da rendere tale dosaggio un punto
di riferimento come già avvenuto nei
bambini più grandi e negli adulti.
Un altro dosaggio promettente è quello
della βdefensina-2 (HBD-2). Le defendefen
sine rappresentano una delle principali
famiglie di peptidi cationici endogeni
ad attività antimicrobica con un amam
pio spettro d’azione (batteri Gram+
e Gram-, funghi, virus capsulati, propro
tozoi) che permettono lo sviluppo di
un microbiota in equilibrio. Se alcune
defensine (a-defensina,
(
β-defensina-1)
SIGENP NEWS
sono prodotte naturalmente dalla mucosa intestinale, alcuni lavori recenti
hanno evidenziato l’induzione di due
β-defensine (HBD-2 ed HBD-3) dalle
cellule epiteliali della mucosa colica nelle situazioni di flogosi digestiva come
le MICI. Al momento attuale è stato
validato nelle feci solo il dosaggio della HBD-2. In modo interessante è stato
evidenziato un incremento più significativo della HBD2 in corso di rettocolite
ulcerosa rispetto alla malattia di Crohn,
come risultato di un diverso processo
fisiopatologico alla base delle due malattie. Inoltre, a differenza della calprotectina fecale, la HBD-2 risulta elevata
in corso di sindrome dell’intestino irritabile, e questo suggerirebbe una stimolazione della risposta immunitaria innata che può dare origine allo sviluppo
di un processo pro-infiammatorio, nonostante l’assenza di qualunque segno
d’interessamento organico.
Nei neonati alcuni lavori preliminari hanno evidenziato tassi fisiologicamente elevati di HBD-2, che aumentano ulterior
ulteriormente in corso di condizioni patologiche
come l’enterocolite necrotizzante. Questo
ci permette di ipotizzare l’associazione di
questo marker con la calprotectina fecale
per proporre un profilo di markers non
invasivi del processo infiammatorio.
learningPoints
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
l’esame delle feci in età pediatrica
riveste un interesse notevole
nella diagnosi di importanti patologie
quali l’insufficienza pancreatica
esocrina, la diarrea acquosa, la flogosi
del tratto gastrointestinale
Nell’insufficienza pancreatica
esocrina la valutazione delle perdite
lipidiche fecali associata al dosaggio
della elastasi fecale e dell’attività
chimotripsinica fecale sono fulcro
della diagnosi e della compliance
terapeutica
la calprotectina fecale ha confermato
in tutte le fasce di età pediatrica
la sua validità come marker di flogosi,
sia in fase diagnostica che di follow-up
molto promettente è lo studio
della βdefensina-2 come marcatore
di flogosi
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia
in età pediatrica: quale evidenza?
La letteratura al riguardo è piuttosto dibattuta con risultati contrastanti
in considerazione dei diversi criteri di selezione, metodi di studio e caratteristiche
dei pazienti. Pochi dati basati sull’evidenza sono disponibili in età pediatrica
Elena Lionetti1, Ruggiero Francavilla2, Martino Ruggieri3,4, Ilaria Lombardo1, Domenico de Robertis5,
Alfredo Pulvirenti6 e Carlo Catassi7
Dip. di Pediatria, Università di Catania - 2Dip. di Pediatria, Università di Bari - 3Dip. dei Processi Formativi, Università di Catania
- 4Ist. di Scienze Neurologiche, Ist. Nazionale di Ricerca Italiana di Catania - 5Dip. di Biomedica dell'età evolutiva, Università di Bari
- 6Dip. di Matematica e Bioinformatica, Università di Catania - 7Dip. di Pediatria, Università Politecnica delle Marche di Ancona
1
Introduzione
La malattia celiaca (MC) è un’enteropatia immuno-mediata scatenata dall'ingestione di cereali contenenti glutine
in soggetti geneticamente predisposti
(1). È una delle malattie permanenti
più comuni in assoluto, presentando
una prevalenza nel mondo compresa
tra lo 0.7% - 2% nella popolazione
generale e fra lo 0.4% - 1.3% nella
popolazione pediatrica (2).
Recentemente, studi effettuati sugli
adulti hanno riportato tra le numerose possibili manifestazioni extraintestinali della MC un ampio spettro di
malattie neurologiche e psichiatriche
tra cui neuropatie periferiche, atassia
cerebellare, mielopatie, miopatie, encefalite del tronco cerebrale, epilessia,
cefalea e autismo (3). La prevalenza
di complicanze neurologiche associate alla MC negli adulti è stata stimata
intorno al 26% (3). Ulteriori dati suggeriscono che gli anticorpi associati
alla MC siano presenti tra il 16 ed il
57% dei soggetti con disfunzioni neurologiche (3). Alla base dell’associazione tra patologie neurologiche e MC
è stata ipotizzata un’eziopatogenesi
multifattoriale. In primo luogo alcune
complicanze neurologiche possono
essere secondarie al malassorbimento di vitamina B12 (es. mielopatie e
neuropatie), di vitamina D (es. miopatia), o alla carenza di vitamina E
(es. atassia cerebellare e miopatia)
(3). Tuttavia, le complicanze neurologiche sono state frequentemente
riportate anche in individui che non
presentavano segni di malassorbimento. Nuove evidenze suggeriscono un possibile ruolo di meccanismi
umorali; infatti, sono state riscontrate
immunoglobuline (Ig) G dirette verso
antigeni dei nervi periferici in soggetti
affetti da celiachia e neuropatie periferiche (4). Un meccanismo umorale è
6
stata postulato anche per l'atassia da
glutine: Hadjivassiliou et al (5) hanno rilevato anticorpi diretti contro le
cellule di Purkinje nei sieri di soggetti
con atassia da glutine ed una crossreattività tra anticorpi anti-gliadina ed
epitopi presenti sulle cellule del Purkinje. Tuttavia, altri autori non hanno
confermato questi risultati (6). Se tali
anticorpi siano i veri agenti patogeni
responsabili del danno neuronale o
se siano solo un marker aspecifico di
autoimmnuità non è ancora chiaro.
Pochi dati basati sull’evidenza (per lo
più aneddotici) sono disponibili in età
pediatrica, con dati di incidenza differenti a seconda dei criteri di selezione
utilizzati, dei differenti metodi di studio e delle caratteristiche dei pazienti.
Scopo di questo articolo è di fornire
una meta-analisi ed una revisione
sistematica della letteratura pediatrica sulle manifestazioni neurologiche
della MC, e cercare di rispondere alla domanda se vi siano prove di un
nesso causale tra la MC e le patologie
neurologiche (7).
metodologia
Sono stati inclusi nella review tutti i tipi
di studio (trasversale, di coorte, casocontrollo e case-series), ad eccezione
dei casi clinici. Sono stati inclusi solo studi pediatrici pubblicati in lingua inglese.
Le principali misure di outcome sono
state la prevalenza di malattie neurologiche nei bambini con MC e la prevalenza della MC nei bambini con disturbi
neurologici. Gli studi sono stati identificati
mediante ricerca nelle banche dati elettroniche, scansione della bibliografia degli articoli e consultazione con esperti del
settore. La ricerca è stata effettuata nel
database di Medline con PubMed, combinando i termini di ricerca per i disordini
neurologici (atassia, autismo, epilessia,
convulsioni, cefalea, neurologia, malattie
SIGENP NEW S
neurologiche, neuropatia, neuropatia periferica, convulsioni, lesioni della sostanza
bianca) con le parole chiave per la MC
(malattia celiaca, celiachia, intolleranza
al glutine, sensibilità al glutine). Tutti gli
studi descritti in questa review sono stati
pubblicati tra il 1950 (inizio di Medline)
e maggio 2009.
La valutazione degli studi è stata eseguita
indipendentemente da due revisori (EL
e MR). Abbiamo sviluppato una scheda
di estrazione dei dati (sulla base del Cochrane Consumers and Communication
Review Group’s data extraction template), testata su tre studi inclusi, selezionati
in modo casuale, e successivamente
modificata. Un autore (EL) ha estratto
i dati provenienti dagli studi inclusi, e il
secondo autore (MR) ha verificato i dati
estratti. Le informazioni estratte da ogni
studio incluso riguardavano le caratteristiche dei pazienti (numero, età, metodo di
diagnosi della MC, età alla diagnosi, dieta
senza glutine, compliance alla dieta senza glutine) e la presenza ed il tipo di malattia neurologica, le sue caratteristiche
cliniche, di laboratorio e di imaging.
Abbiamo effettuato uno studio di metanalisi per valutare la correlazione tra MC
ed epilessia e tra MC e cefalea. Abbiamo
calcolato il rischio relativo (RR), l’odds ratio (OR), e la differenza di rischio (RD)
usando il metodo fixed-effect. La varianza
inversa di Mantel-Haenszel è stata applicata per unire i dati di studi differenti (8).
La meta-analisi non è stata applicata per
gli altri disturbi (atassia, neuropatie, autismo, lesioni della sostanza bianca) perché i dati in letteratura erano insufficienti.
risultati
Le caratteristiche dei quattordici studi
inclusi nella review sono riassunti nella
tabella 1; quattro erano studi comparativi
osservazionali prospettici di coorte, (912) due erano studi comparativi osservazionali caso-controllo, (13,14) e otto
Volume II - n. 2 maggio 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica: qual è l'evidenza?
Elena Lionetti et al
Tab. 1 Sommario degli studi inclusi nella review
referenza
Fois 1994 (15)
Vascotto 1997 (16)
Pavone 1997 (17)
Salur 2000 (18)
Disegno
dello studio
pazienti
gruppo
controllo
età
media
(aa)
O,CS
783
-
7.5
Criteri di
inclusione
risultati
valutati
livello di
evidenza*
grado§
Epilessia
Prevalenza di MC
2c
B
2c
B
O,CS
3.969
-
15.5
MC alla diagnosi
Prevalenza
di Epilessia
O,CS
1210
-
9.3
Epilessia
Prevalenza di MC
2c
O,CS
120
20
9.6
MC
Prevalenza
di autismo
4
O,CS
11
11
6.9
Autismo
Prevalenza di MC
4
O,CS
206
-
8.2
Epilessia (n=69)
Ritardo psicomotorio
(n=29)
Paralisi cerebrale
(n=23)
Cefalea (n=21)
Ritardo del
linguaggio (n=16)
Altro (n=48)
Prevalenza di MC
4
C
O,CS
167
34
12.5
Epilessia (n=36)
Prevalenza di MC
2c
B
9.5
Cefalea (n=41)
8.5
ADHD (n=39)
Lahat 2000 (19)
C
2.5
Ipotonia (n=51)
Labate 2001 (20)
O,CS
72
-
12.6
Epilessia
Prevalenza di MC
2c
B
Kieslich 2001 (21)
O,CS
75
-
10.7
MC a dieta
senza glutine
Coinvolgimento
neurologico
4
C
Pratesi 2003 (9)
C,O,Coorte
119
2034
7.97
Epilessia
Prevalenza di MC
1b
A
Zelnik 2004 (13)
C,O,Caso-
111
211
20.1
MC a dieta
senza glutine
Prevalenza
di: Epilessia
Atassia
Neuropatia periferica
Cefalea
Tic
Disturbi del linguaggio
Ipotonia
Ritardo dello sviluppo
2b
B
controllo
Dalgic 2006 (10)
C,O,Coorte
70
103
10.6
Epilessia
Prevalenza di MC
1b
A
Mavroudi 2007 (11)
C,O,Coorte
255
280
7.93
Epilessia
Prevalenza di MC
1b
A
Anomalie
neurologiche
4
C
A
Cakir 2007 (22)
O,CS
27
-
11.22
MC a dieta
senza glutine
C,O,Coorte
835
300
7.08
MC alla diagnosi
Prevalenza di:
Epilessia
Atassia
Neuropatia periferica
Cefalea
1b
930
300
6.5
Epilessia (180)
Atassia (10)
Neuropatia (8)
Cefalea (50)
Ritardo mentale (100)
Ritardo dello sviluppo
(n=270)
Sindromi neurologiche
(300)
Prevalenza di MC
1b
C,O,Casocontrollo
354
200
9.4
MC a dieta
senza glutine
Prevalenza
di cefalea
2b
C,O,Coorte
79
-
9.9
Cefalea
Prevalenza di MC
2c
Ruggieri 2008 (12)
Lionetti 2009 (14)
C: comparativo
O: osservazionale
CS: cross sectional
MC: malattia celiaca
MC
7
SIGENP NEWS
*: Livello di evidenza secondo i criteri Oxford Centre EBM
§: Grado di raccomandazione secondo i criteri Oxford Centre EBM
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
B
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica: qual è l'evidenza?
Elena Lionetti et al
erano studi descrittivi trasversali (15-22).
Gli studi inclusi hanno coinvolto 11.772
partecipanti. In nessuno degli articoli era
stato effettuato un calcolo del power dello studio per determinare le dimensioni
della popolazione necessarie per rispondere alla domanda di ricerca. Tutti gli studi inclusi erano a basso rischio di bias di
selezione, ma a rischio di altri potenziali
bias a causa dello specifico disegno di
studio usato o di insufficienti informazioni fornite per consentire di valutare
eventuali rischi di bias. Tre studi catalogati come studi pediatrici coinvolgevano
una popolazione mista di bambini, adolescenti, e giovani adulti (13,18,21).
Convulsioni ed epilessia
Epilessia in bambini affetti da celiachia.
In una larga serie multicentrica di 3.969
bambini con MC, è stata riportata una
prevalenza di epilessia pari all'1%, dato
paragonabile alla prevalenza dell'epilessia nella popolazione generale pediatrica
(0.6-1.7%) (16). Tuttavia, l'analisi dei
sottogruppi ha rivelato che la prevalenza dell'epilessia nella forma "classica"
di celiachia è stata di 0.79%; nella for
forma atipica di celiachia era 1.6%, e nella forma asintomatica era pari a 3.5%,
suggerendo che più si ritarda la diagnosi
della malattia, più si prolunga il tempo di
esposizione al glutine e più alto diventa il
rischio di sviluppare epilessia (16).
In un recente studio prospettico su una
popolazione di 835 bambini affetti da
celiachia, solo quattro (0.5%) avevano
avuto un diagnosi di epilessia, in accor
accordo con la prevalenza nella popolazione
generale pediatrica (12). Dati simili sono stati registrati da Cakir et al (22), che
non hanno trovato casi di epilessia tra
27 bambini con celiachia, e da Kieslich
et al (21), che hanno riportato un bambino (1.3%) con convulsioni epilettiche
tra 75 bambini con MC. Solo Zelnick et
al (13) hanno riportato una aumentata prevalenza di epilessia in bambini
con MC (8/111; 7.2%) rispetto ad un
gruppo di bambini sani (6/211; 2.8%).
Tuttavia, gli stessi autori hanno riportato
le seguenti considerazioni:
• i "pazienti epilettici non erano omogenei";
• una "forte associazione con la MC
probabilmente esiste solo in un paziente
con epilessia e calcificazioni occipitali";
• la "presenza di epilessia potrebbe essere
solo un riscontro accidentale".
In particolare, questo studio ha incluso tra
i pazienti "epilettici" le convulsioni febbrili
benigne (n=4) e una singola convulsione non febbrile non provocata (n=1).
8
La prevalenza complessiva che abbiamo calcolato di epilessia in bambini con MC (1%)
è simile a quella della popolazione generale
(0.6-1.7%); (24) la meta-analisi mostra che
il RR di sviluppare epilessia tra i bambini con
MC è 2.1 (95% CI 1.5 - 2.8), l’OR è 2.1 (95%
CI 1.5 - 2.8), e la RD è 0.007 (95% CI 0.0030.004; p<0.03). .
MC nei bambini con epilessia. Diversi
studi hanno valutato la prevalenza della
MC in bambini con epilessia. Entrambi
gli studi di Fois et al (15) e Vascotto e
Fois (16) hanno osservato che la prevalenza della MC in bambini con epilessia (0.8% e 1.1% rispettivamente)
era in accordo con la prevalenza della
MC nella popolazione generale.
Labate et al (20) hanno sottoposto a
screening per celiachia bambini con
epilessia infantile parziale, includendo sia i casi con parossismo occipitale sia quelli senza, e hanno registrato
una prevalenza della malattia pari al
2.7% tra coloro che presentavano
parossismo occipitale (0% per quelli senza). In un recente studio prospettico (12) effettuato su una popolazione di bambini con patologia
neurologica ad etiologia sconosciuta
(n=630) o con sindromi neurologiche conosciute (n=300), 6 bambini
su 279 con epilessia avevano anche
la MC (2.1%).
Salur et al (18) hanno effettuato il
dosaggio degli anticorpi anti-gliadina
(AGA IgA e IgG) e anti-endomisio in
bambini con epilessia (n=69). Nessuno dei partecipanti è risultato positivo per gli anticorpi anti-endomisio e
un partecipante che aveva atrofia dei
villi intestinali compatibile con la MC
era positivo esclusivamente per AGA
IgA e IgG (1.4%).
Tre recenti studi prospettici controllati
sono stati effettuati per studiare ulteriormente questo aspetto; due studi
(10,11) hanno dimostrato un'aumentata prevalenza di celiachia tra bambini con epilessia idiopatica rispetto ai
bambini sani (2.8% vs 0% e 0.8%
vs 0%; p<0.05), e uno studio (9)
non ha dimostrato alcuna differenza
(0.8% vs 0.3% p=0.5). Lahat et al
(19) hanno esaminato la prevalenza
della celiachia in 167 bambini con vari disordini neurologici, compresi 36
bambini con epilessia. Anche se sono
stati riscontrati AGA IgG in 22 dei 167
bambini (13%) rispetto a 3 bambini su 32 (9%) nel gruppo controllo,
nessun bambino è risultato essere
SIGENP NEWS
positivo per AGA IgA o anticorpi antiendomisio, e quindi le biopsie duodenali non sono state effettuate.
La prevalenza complessiva che abbiamo
calcolato di MC nei bambini con epilessia
(1.1%) è in accordo con quella registrata nella popolazione generale pediatrica
(0.4 -1.3%) (2).
La meta-analisi ha mostrato che il RR
della MC nei bambini con epilessia è
1.7 (95% CI 1.4–2.1), l’OR è 2.4 (95%
CI 1.8–3.2), e la RD è 0.007 (95% CI
0.004–0.01; p<0.03).
In base alla revisione della letteratura
e ai risultati della meta-analisi concludiamo che (1) la maggior parte degli
autori raggruppano tutti i pazienti con
epilessia in un unico gruppo come se
l'epilessia fosse un'unica entità nosografica, nonostante sia largamente
riconosciuta come un'entità eterogenea con sottostanti differenti eziologie
(2); malgrado l’aumentato rischio calcolato per i pazienti con MC di sviluppare epilessia, e viceversa, le basse
cifre di RD indicano che probabilmente esiste solo un’associazione casuale
tra due disordini molto comuni; e (3)
in bambini con celiachia ed epilessia,
il tipo di convulsioni più frequentemente riscontrate sono in linea con
quelle riportate nella popolazione generale (24).
MC, epilessia e calcificazioni cerebrali. Abbiamo calcolato che 7 (0.2%)
dei 2.893 bambini con epilessia sottoposti a screening per MC negli studi
fin ora riportati, presentavano calcificazioni cerebrali. Alcuni autori hanno suggerito che la ben conosciuta
sindrome caratterizzata da celiachia,
epilessia e calcificazioni cerebrali potrebbe svilupparsi solo più avanti nella
vita, e che la MC nella fase iniziale può
manifestarsi con epilessia in assenza
di calcificazioni – la precoce identificazione e il trattamento della MC,
quindi, potrebbe invertire la tendenza a sviluppare l'epilessia e diminuire
il rischio di sviluppare calcificazioni
cerebrali (10,20,23). Non ci sono
trials controllati che abbiano valutato
l'effetto di una dieta senza glutine in
pazienti con MC ed epilessia.
atassia cerebellare ("atassia da glutine")
Pochi studi, la maggior parte dei quali
retrospettivi, hanno valutato questo
aspetto in età pediatrica. Kieslich et al
(21) hanno riportato che due pazienti
con MC in corso di dieta senza glutine
presentavano "atassia lieve" (2,7%),
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica: qual è l'evidenza?
Elena Lionetti et al
mentre Cakir et al (22) non hanno
osservato casi di atassia in bambini
celiaci a dieta senza glutine. Zelnick et
al (13) hanno constatato che sei pazienti affetti da atassia avevano anche
celiachia (5.4%) ma nessuno dei 211
bambini del gruppo controllo aveva
atassia. È importante sottolineare che
in questo studio (13) veniva riportata
un'età media di 20 anni (DS 8,9 anni), ad indicare che l'inizio dell'atassia
potrebbe essere stato in età adulta.
Nessun bambino mostrava disfunzione cerebellare nello studio prospettico
di Ruggieri et al (12), e nessuno dei
bambini con atassia, ad eziologia conosciuta e non, sottoposti a screening
per la MC aveva sierologia positiva.
Una possibile spiegazione per l'alta prevalenza di atassia negli adulti con MC
(40%) (3) comparata con la bassa o
nulla prevalenza di disfunzione cerebellare in bambini con MC potrebbe
essere l’effetto età-correlato sul sistema
nervoso, e più specificatamente sul cer
cervelletto. Un'altra possibile spiegazione
potrebbe essere l’influenza di una precoce eliminazione del glutine dalla dieta
sulla prevenzione dello sviluppo di atassia. Rimane poco chiaro se gli anticorpi
della celiachia contribuiscano alla patogenesi dei disordini cerebellari o se invece rappresentino solo un epifenomeno
di un altro processo responsabile della
malattia. In particolare, bisogna notare
che c'è evidenza di un'elevata prevalenza di positività per anticorpi anti-gliadina
anche nei disordini neurodegenerativi
geneticamente trasmessi (3)
Neuropatia periferica
Pochi studi sono stati effettuati sulla
prevalenza della neuropatia periferica
in età pediatrica, e sulla sua potenziale
associazione con la celiachia. Cakir et al
(22) hanno osservato che il 7.4% dei
bambini con MC a dieta senza glutine
avevano polineuropatie periferiche con
quadri misti di polineuropatia assonale
motoria e sensoriale e polineuropatia
sensoriale pura (tra questi alcuni bambini non erano aderenti alla dieta senza
glutine). Ruggieri et al (12) hanno ripor
ripor-tato il follow-up a lungo termine di una
ragazza (su 835 bambini con celiachia;
0.1%) affetta da una neuropatia periferica acuta demielinizzante, principalmente motoria (rispetto a nessuna neuropatia periferica nel gruppo-contollo sano e
nessun celiaco nel gruppo controllo sot
sottoposto a follow-up per neuropatia periferica), che aveva avuto ricadute quando
9
il glutine era stato accidentalmente reintrodotto nella sua dieta e le cui condizioni erano rapidamente migliorate con
l'inizio del regime dietetico.
Lesioni della sostanza bianca cerebrale
Kieslich et al (21) hanno usato la risonanza magnetica cerebrale per studiare soggetti affetti da celiachia, e hanno
rilevato, nelle sequenze T2, lesioni della sostanza bianca focali iperintense
mono- e bilaterali, localizzate nelle aree
parieto-occipitale, parietale monolaterale, frontale, e parieto-temporo-occipitale monolaterale nel 20% di pazienti
con MC in trattamento con dieta senza
glutine. Non c'era correlazione tra la
presenza delle lesioni e l'aderenza alla
dieta o tra le anomalie neurologiche
o elettroencefalografiche; l'esposizione media al glutine era leggermente
più lunga in questi pazienti rispetto a
quelli con risonanza magnetica negativa (dato statisticamente non significativo). Gli autori hanno ipotizzato che
le lesioni focali della sostanza bianca
cerebrale potessero essere ad eziologia ischemica, sia come risultato di
una vasculite, sia secondarie a demielinizzazione infiammatoria. Le lesioni
periventricolari della sostanza bianca
sono state rilevate anche nel 13.6%
dei bambini con MC con disfunzione
neurologica studiati da Ruggieri et al
(12) (figure 1 e 2); due erano femmine
con associati disturbi psichiatrici e scarFig. 1 Immagine della sezione coronale T2
della risonanza magnetica cerebrale di una
ragazza con celiachia e disturbi psichiatrici.
Sono evidenti le lesioni iperintense diffuse bi
bilaterali della sostanza bianca periventricolare
sa aderenza alla dieta, mentre una era
venuta all'osservazione per cefalea.
Le lesioni focali della sostanza bianca
cerebrale dunque potrebbero rappresentare una manifestazione extrainte-
SIGENP NEWS
Fig. 2 Immagine della sezione assiale T2
della risonanza magnetica cerebrale di due
gemelli con celiachia e cefalea.
Sono evidenti le lesioni iperintense diffuse
bilaterali della sostanza bianca periventricolare posteriore
A
B
stinale della MC come si verifica in altre
patologie gastrointestinali croniche immuno-mediate in età pediatrica (25).
Il dato elevato di prevalenza registrato
necessita comunque di ulteriori conferme ed il valore prognostico di tali
lesioni rimane ancora da chiarire.
Cefalea
In un recente studio che abbiamo ef
effettuato su bambini affetti da celiachia
(14), abbiamo trovato un'aumentata
prevalenza di cefalea al momento della
diagnosi di celiachia, significativamente più alta rispetto al gruppo controllo
(24,8% vs 8%; p=0,001). Questo dato è in accordo con la prevalenza (i.e.
29.7%) riportata da Zelnik et al (13)
in pazienti affetti da MC. Ci sono dati
precedenti (12) che riportano una frequenza di cefalea più bassa tra i bambini con MC pari allo 0.35%. Questi
differenti risultati possono essere spiegati dalle differenti metodologie nella
raccolta dei dati, ed in particolare:
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica: qual è l'evidenza?
Elena Lionetti et al
• un'età inferiore alla diagnosi di MC nei
bambini arruolati, che probabilmente
non erano in grado di riferire cefalea;
• differenti fonti di informazione
(questionari rispetto ad interviste e
visite neurologiche);
• studi multicentrici effettuati in
ambiente ospedaliero rispetto a studi
monocentrici population-based.
La meta-analisi applicata ai dati disponibili
mostra che il RR dei pazienti con celiachia di
sviluppare cefalea è 3.2 (95% CI 2.2 - 4.7),
l’OR è pari a 4.0 (95% CI 2.6 - 6.1; p<0.001,
I²<27.6%), e la RD è 0.08 (95% CI 0.06–0.11;
p<0.001), indicando che i bambini con MC
possono essere ad alto rischio di cefalea.
Nel nostro studio (14) l'aderenza alla dieta senza glutine ha portato a miglioramento dei sintomi della cefalea nel 76.4% dei
bambini. Inoltre, nella parte prospettica
dello stesso studio (14), finalizzata all'ac
all'accertamento della prevalenza di MC in
bambini con cefalea, è stato osservato
che il 5% dei bambini che facevano riferimento al servizio ambulatoriale neurologico per le cefalee, risultava positivo allo
screening per la MC; questa prevalenza
era significativamente più alta di quella at
attesa. La differenza osservata nella prevalenza corrisponde a un OR di 7.9. Lahat et
al (19) non hanno trovato pazienti celiaci
su 41 bambini con cefalea.
autismo
L'ipotesi che la MC possa essere coinvolta nella patogenesi dell’autismo è
basata principalmente sull'osservazione della presenza di una mucosa
intestinale alterata nei bambini con
autismo, e questo potrebbe permettere l'anomalo assorbimento di piccoli
peptidi come la gliadina che possono
scatenare una reazione immunitaria o
determinare un danno diretto al sistema nervoso (3). Tuttavia, l’alterazione
della permeabilità intestinale nei soggetti autistici non è ancora stata dimostrata e non ci sono studi in letteratura che dimostrino un associazione
tra celiachia e autismo. Pavone et al
(17) hanno verificato la presenza di
problemi comportamentali e tratti autistici retrospettivamente in 93 bambini celiaci in trattamento dietetico,
in 27 bambini celiaci alla diagnosi e
in 20 soggetti non affetti da celiachia
che rappresentavano il gruppo controllo. Nessuno dei pazienti affetti da
celiachia e del gruppo controllo aveva
10
un test positivo per l'autismo infantile
(DSM-III-R). Gli autori hanno inoltre
effettuato lo screening per la MC in
11 pazienti con autismo infantile e
11 bamini sani di pari per sesso ed
età. Nessun caso di MC è stato rilevato nel gruppo controllo e nel gruppo
dei pazienti con autismo, e anche se
due bambini presentavano un lieve incremento dei livelli di AGA IgG e degli
anticorpi anti-endomisio, le biopsie digiunali e le successive determinazioni
anticorpali risultavano normali.
Questi risultati sembrano confutare una
associazione tra MC e autismo. Inoltre,
si deve sottolineare che l'autismo è
un disturbo neurologico precoce dello
sviluppo cerebrale, e quindi una correlazione temporale con i danni derivati
dal glutine è difficile da ipotizzare.
Sono necessari ulteriori studi per stabilire
se il glutine di per sè possa avere un ruolo nell’eziopatogenesi del disturbo autistico al di fuori del contesto della MC.
ConClusIonI
La review sistematica della letteratura
con la metanalisi indica che i soggetti
con MC hanno un rischio aumentato di
sviluppare (almeno alcune) complicanze neurologiche durante l'infanzia (ad
esempio: cefalea, neuropatie periferiche
e lesioni della sostanza bianca). La prevalenza complessiva del coinvolgimento neurologico nei bambini è più bassa
rispetto agli adulti. Tale discrepanza può
avere diverse spiegazioni:
• la durata relativamente breve della
malattia nei bambini potrebbe non
essere sufficiente perchè si osservi il
coinvolgimento del sistema nervoso
(il tessuto neuronale necessità di molto tempo perchè sia dannaggiato irreversibilmente)
• l’eliminazione precoce del glutine dalla
dieta può prevenire lo sviluppo delle
alterazioni neurologiche
• la migliore aderenza alla dieta senza
glutine può svolgere una funzione
preventiva (la compliance alla dieta
è più elevata durante l'infanzia che in
adolescenza o in età adulta)
• le due popolazioni possono differire
nella suscettibilità ai disturbi immunomediati.
Le principali limitazioni di questa review sono:
• la scarsità di studi disponibili nella
fascia di età pediatrica,
• il fatto che alcuni studi etichettati
SIGENP NEWS
come puramente pediatrici o riguardanti l'età infantile analizzino
popolazioni con età eterogenee
(ad esempio estensione del limite
di età verso l'adolescenza e la giovinezza),
• il raggruppamento di tutti i pazienti
con disturbi neurologici in un unico
studio,
• il raggruppamento di condizioni eterogenee in un unico gruppo, come se
fossero un’unica malattia (ad esempio l'epilessia nei soggetti con MC)
• uso di criteri clinici non chiari nella definizione e nella diagnosi di
alcune malattie neurologiche (ad
esempio l’atassia, l’epilessia, e la
cefalea).
Key Points
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
Studi effettuati sugli adulti
hanno riportato un ampio
spettro di malattie neurologiche
e psichiatriche in associazione
alla celiachia, tra cui neuropatie
periferiche, atassia cerebellare,
mielopatie, miopatie, encefalite
del tronco cerebrale, epilessia,
cefalea e autismo, con una
prevalenza stimata intorno al 26%
Pochi dati basati sull’evidenza
sono disponibili in età pediatrica
la review della letteratura mostra
che in età pediatrica i soggetti
con mC hanno un rischio
aumentato di sviluppare solo
alcune complicanze neurologiche,
quali cefalea, neuropatie
periferiche e lesioni della sostanza
bianca, ma il rischio è inferiore
rispetto all’età adulta
la discrepanza potrebbe essere
dovuta alla breve durata
della malattia, alla precoce
eliminazione del glutine
dalla dieta, ad una migliore
aderenza alla dieta, o alla
differente suscettibilità ai disordini
immuno-mediati
Ulteriori studi mirati a verficare
l’associazione tra celiachia ed
ogni singolo disturbo neurologico
sono necessari per chiarire
la presenza di un nesso causale
tra celiachia e complicanze
neurologiche
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Meta-analysis Reviews
a cura di
Erasmo Miele
Le complicanze neurologiche della celiachia in età pediatrica: qual è l'evidenza?
Elena Lionetti et al
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Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Pediatric Hepatology Outside Box
a cura di
Francesco Cirillo
Gestione dell'insufficienza epatica acuta
L’insufficienza epatica acuta (ALF) è una sindrome clinica
rara, innescata da molteplici cause (metaboliche,
tossiche, infettive o autoimmuni) che, data la rapidità
e la severità del quadro, in una significativa quota di casi
non è possibile caratterizzare dal punto di vista eziologico
silvia riva
ISMETT Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione di Palermo
L’ALF rappresenta una vera emergenza medica, spesso riconosciuta in ritardo con gravi conseguenze negative
sulla prognosi finale. La popolazione
pediatrica, in particolare, presenta nella maggioranza dei casi caratteristiche
aspecifiche che rendono la diagnosi
ancora più problematica. L’identificazione precoce dei primi segni di ALF è
cruciale: permette ai medici di indirizzare rapidamente il paziente ai Centri
di Riferimento, necessariamente dove
sia attivo un programma di Trapianti di
Fegato Pediatrico, per la diagnosi ed il
supporto necessario.
deFInIzIone
L’attuale definizione di ALF nel bambino, suggerita dal consensus Pediatric Acute Liver Failure (PALF), identifica una condizione di coaugulopatia,
non corretta dopo somministrazione
di vitamina K, in bambini ed adolescenti senza nota malattia epatica
preesistente, cui può associarsi, ma
non necessariamente, l’encefalopatia (1,2). Dal punto di vista biochimico la sindrome è caratterizzata da coaugulopatia e da deficit globale della
funzione di sintesi epatocellulare, sia
energetica che proteica, identificabile
anche attraverso la grave riduzione
dei valori di glicemia, colesterolo, albumina e pseudocolinesterasi.
gestIone
La gestione dell'ALF è multidisciplinare e
persegue più obbiettivi paralleli:
1
2
3
4
5
monitoraggio e sostegno delle funzioni
vitali
prevenzione, identificazione e trattamento
precoce delle complicanze
definizione diagnostica con strategie
differenziate per età
trattamento eziologico se disponibile
giudizio sul potenziale di reversibilità ed
eventuale valutazione per trapianto di fegato
12
In considerazione della complessità
del quadro clinico e della necessità
di monitoraggio continuo, la gestione più appropriata richiede generalmente il trasferimento del paziente
nei reparti di terapia intensiva, obbligato in presenza di encefalopatia o
anche di sola coaugulopatia severa
(INR > 4). L'approccio al bambino
con ALF deve porsi come obiettivi
prioritari il sostegno delle funzioni
vitali e la prevenzione delle complicanze dell'insufficienza epatica, ma
anche il riconoscimento precoce di
tutti gli elementi prodromici di una
condizione di “non ritorno”, curabile
unicamente dal trapianto di fegato.
È immediatamente opportuno reperire accessi vascolari “sicuri”: un accesso venoso centrale per infusioni
anche ad elevata osmolarità, ed un
accesso arterioso per il monitoraggio
invasivo della pressione arteriosa e
l'esecuzione di esami ematochimici
(tabella 1). Fra gli elementi clinici più
attendibili per la prognosi ricordiamo
la valutazione dell’epatomegalia: un
fegato di piccole dimensioni o una
sua rapida riduzione volumetrica, con
drastico miglioramento della citolisi
ma non della coaugulopatia e la persistenza di ridotte concentrazioni di
alfafetoproteina sono segni prognostici negativi ed espressione di scarsa
propensione alla rigenerazione epatocellulare. La presenza di ipofosfatemia e la somministrazione precoce
di fosforo sono associate a prognosi
migliore, mentre l'iperfosfatemia è
predittiva di decorso sfavorevole.
Un’attività respiratoria spontanea controindica la sedazione farmacologica,
in particolare la somministrazione di
benzodiazepine, per non mascherare
o aggravare il quadro di encefalopatia.
SIGENP NEWS
Le principali indicazioni alla ventilazione meccanica includono l'evidenza di
ipossia, di encefalopatia di grado moderato/severo, ma anche di grado lieve in caso sia previsto il trasferimento
del paziente ad altra struttura.
Il ruolo della biopsia epatica è controverso: aiuta ad identificare situazioni di
scompenso acuto di malattie croniche
(M. di Wilson, epatite autoimmune) ed
infezioni virali suscettibili di trattamento
medico specifico, ma nei restanti casi
di ALF non modifica, in genere, l'approccio terapeutico. Anche il suo valore
prognostico non è assoluto e sebbene
la presenza di necrosi epatica massiva, superiore al 50%, suggerisca una
prognosi sfavorevole, è possibile che
la lettura istologica sia inficiata da errori di campionamento. Quando ritenuta
necessaria, la biopsia epatica dovrebbe
sempre essere effettuata con approccio
transgiugulare o chirurgico per ridurre il
rischio emorragico: la sua esecuzione
dipende principalmente dalla familiarità
del Centro con le metodiche.
ComPlICanze
La necrosi epatica massiva e l'immissione in circolo di metaboliti tossici
vasoattivi producono una cascata di
eventi che, nelle forme più severe
di ALF, può determinare instabilità
emodinamica e favorire l'insorgenza
di edema cerebrale.
Instabilità emodinamica
La gestione dei pazienti affetti da ALF
richiede sempre il monitoraggio invasivo della pressione venosa centrale,
necessaria per definire il fabbisogno
infusionale (cristalloidi, colloidi ed
emoderivati) e per identificare precocemente i segni iniziali di un’insufficienza circolatoria.
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Pediatric Hepatology Outside Box
a cura di
Francesco Cirillo
Gestione dell'insufficienza epatica acuta
Silvia Riva
Tab. 1 Approccio al bambino con insufficienza epatica acuta
monitoraggio
Monitoraggio parametri vitali
Controllo diuresi oraria
Monitoraggio neurologico (EEG a giorni alterni e fundus oculi secondo necessità)
Ogni 4 ore: equilibio acido-base, glicemia, lattato, ammonio
Ogni 12 ore: elettroliti, funzione renale, test coagulazione + fattore V, osmolarità
Ogni 24 ore: esami completi (funzione epatica, renale, emocromo, procalcitonina, protidemia, albumina)
Ogni 48 ore: alfafeto-proteina, colesterolo, trigliceridi
Colture sangue/urine/cateteri (secondo necessità)
prevenzione delle complicanze dell’insufficienza epatica
Ipo/iperglicemia, acidosi/alcalosi metabolica
range glicemici
Encefalopatia
Sovraccarico emodinamico/edema cerebrale
Sindrome epatorenale
Coagulopatia/emorragia digestiva
Sepsi
Via venosa centrale
Accesso arterioso
Stop alimentazione enterale fino all’esclusione galattosemia/tirosinemia (nel lattante)
Stop di ogni farmaco
Vitamina K 5 mg IM/IV
Apporto idrico pari a 2/3 del fabbisogno
Dieta normocalorica normoproteica (in assenza di eziologia che richieda un ridotto apporto proteico):
- Apporto glucosio 0.5-1 g/kg/h (parenterale o enterale), atti a mantenere glicemia 120-180 mg/dl (bambino piccolo);
90-140 mg/dl (bambino grande)
- Apporto proteico 0.5-1.5 g/kg/die (< 0.5 g/kg/die se necessaria restrizione proteica)
Inibitore di pompa protonica
Correzione ipo-PO4 e Mg
Terapia antibiotica a largo spettro
Terapia antifungina se sospetto di infezione o isolamento colturale
Terapia antivirale (fino ad esclusione di infezione erpetica in epoca neonatale)
Lattulosio per via orale o rettale in presenza di stipsi, sanguinamento intestinale o iperammoniemia
Plasma fresco congelato: 10 ml/Kg/6h se sindrome emorragica o INR > 4 (INR ≥ 3 + piastrinopenia)
Emofiltrazione o emodialisi se diuresi < 1 ml/kg/ora o in presenza di sovraccarico idrico
Fototerapia se bilirubina indiretta ≥ 20 mg/dl in epoca neonatale, o ≥ 30 mg/dl fino all’anno di vita
Plasmaferesi: plasma fresco (1.5 volumi/sessione) in attesa di OLT (da concordare in base al quadro generale: miglioramento
del circolo, con incremento di indice cardiaco e riduzione delle resistenze sistemiche; controllo dell'encefalopatia)
Exanguinotrasfusione in presenza di caogulopatia severa, nel sospetto di emocromatosi neonatale (associata a ferrochelazione
e cocktail antiossidante)
Inotropi: ipotensione con normale pressione di riempimento capillare
N-acetilcisteina: intossicazione da paracetamolo/Amanita Phalloides. Da considerare in presenza di instabilità emodinamica,
nonostante inotropi
l'ipoglicemia può peggiorare il quadro di encefalopatia e causare un rapido deterioramento neurologico.
Trasferimento in ICU se encefalopatia, grave coaugulopatia o instabilità emodinamica
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Gestione dell'insufficienza epatica acuta
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In corso di ALF frequentemente si
verificano episodi di sanguinamento,
raramente fatali: tuttavia, poiché la coaugulopatia è uno fra gli elementi prognostici più attendibili, la sua correzione
preventiva dovrebbe essere riservata ai
pazienti già iscritti in lista d’attesa per
trapianto, a quelli che devono subire
procedure invasive ed ai pazienti con
associata severa piastrinopenia.
La somministrazione di farmaci ad
azione inotropa si rende necessaria
in presenza di ipotensione nonostante una normale pressione di riempimento capillare. In assenza di risposta
clinica soddisfacente dovrebbe essere
considerata la contemporanea somministrazione di N-acetilcisteina, efficace
nel migliorare globalmente l’ossigenazione e la perfusione tissutale (3,4).
Sovraccarico idrico, oliguria (diuresi
<1 ml/kg/min) ed insufficienza renale richiedono sempre un trattamento
dialitico (emodialisi/filtrazione). Utili in
attesa di trapianto, anche se probabilmente non determinanti sulla prognosi, metodi di depurazione plasmatica,
dai più semplici (plasmaferesi) ai più
complessi (MARS).
Encefalopatia ed edema cerebrale
Rappresentano le principali complicanze neurologiche e riconoscono pochi
validi trattamenti. L'eziopatogenesi
dell'encefalopatia è ancora poco nota
e probabilmente è l'esito di più fattori
causali; coinvolge la maggioranza dei
bambini affetti da ALF, ma è difficilmente
riconoscibile, almeno nella fase iniziale.
Fra i primi segnali clinici ricordiamo l'alterazione del ciclo sonno-veglia, stati di
irritabilità alternata a sopore e, nei bam-
bini più grandi, inspiegabili esplosioni di
rabbia o di pianto. Le alterazioni elet
elettroencefalografiche rilevabili in corso
di encefalopatia sono aspecifiche, ma
certamente utili nella diagnosi: in genere sono molto precoci e precedono la
comparsa dei segni clinici. L'encefalopatia si beneficia solo parzialmente di una
restrizione proteica, di decontaminazione intestinale e di somministrazione di
lattulosio; anche la somministrazione
di aminoacidi ramificati risulta efficace
solo temporaneamente e non sembra
influenzare la prognosi a distanza. Recentemente è stata segnalata l’utilità
del trattamento con ornitina, aspartato
o sodio benzoato per controllare l'iperammoniemia (5).
L'ipertensione endocranica, rara negli
stadi I e II, è sempre presente negli
stadi III e IV dell'encefalopatia e nelle
Fig. 1 Algoritmo diagnostico della insufficienza epatica acuta nel bambino
Fig. 1
Elementi anamnestici e clinici
di orientamento
Anamnesi esame obiettivo
Neonato < 6 mesi
Nulla per Os
Nutrizione parentale
Escludere
Galattosemia/Tirosinemia
Bambino più grande
Nutrizione enterale
Terapia di supporto
• HSV1-2 (neonatale)
• Enterovirus
• INfezioni batteriche
• Fruttosemia
• Deficit ciclo Urea
• Errori sintesi acidi biliari
• Malattia di Wilson (> 5 aa)
Diagnosi urgenti
• Epatite autoimmune (> 12 mesi)
• Epatite a cellule giganti con anemia emolitica
(max 6 mesi - 3 aa)
Terapia specifica
• Emocromatosi Neonatale (neonatale)
• Linfoistiocitosi emofagocotica (< 3 aa)
• HHV-6
• HAV, HBV, HCV
• Parvovirus B19
• Paramixovirus
Completare indagini
• Deficit di glicosilazione proteine
• Malattia da accumulo
• Difetti beta-ossidazione
• Malattie mitocondriali
• Malattie perossisomiali
Terapia di supporto
Valutare iscrizioni in lista d'attesa per trapianto
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• Malattie infiltrative
• Paracetamolo/tossici
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Gestione dell'insufficienza epatica acuta
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forme più severe può causare l'erniazione cerebrale e l’exitus. Più frequentemente può determinare alterazioni
del flusso cerebrale con possibile edema cerebrale e conseguente danno
anossico, anche permanente. Per
ridurre il rischio edemigeno, se non
sono presenti segni di disidratazione, l'apporto idrico non dovrebbe superare i 2/3 del fabbisogno.
L'ipertensione sistemica è un segno
precoce di ipertensione intracranica,
ma non è più evidente nelle fasi tardive, quando in genere compaiono
ipertono, iperiflessia, iperventilazione, postura decerebrata e asincronia
dei movimenti oculari, fino alla perdita dei riflessi oculari e neurologici
in genere. Il monitoraggio invasivo
della pressione intracranica (ICP),
gravato da rischi infettivi e di emorragia intracranica, è a tutt'oggi controverso (6,7). Il trattamento cardine dell'ipertensione endocranica è
rappresentato dal mannitolo, per la
sua azione diuretica e di incremento
del flusso cerebrale. Studi prospettici condotti sull'adulto documentano
l'efficacia dell'ipernatremia (valori >
145 mEq/L) nel ridurre significati-
vamente l'incidenza e la gravità di
ipertensione ed edema cerebrale
(8). Infine, anche l'ipotermia lieve
(32°->35°C) sembra favorire la riduzione della ICP e l'incremento del
flusso cerebrale, con potenziali effetti positivi sul metabolismo azotato, l'osmolarità plasmatica e l'attività
critica sub clinica (9).
Trapianto di fegato
Nonostante il miglioramento in termini di supporto delle funzioni vitali,
di possibilità diagnostiche (figura 1)
e di terapia eziologica, l’outcome
dei pazienti affetti da ALF risulta
significativamente modificato solo
grazie all'introduzione dei programmi di trapianto di fegato. L’opzione
trapianto, controindicata in caso di
avanzato deterioramento neurologico, deve essere riservata ai pazienti
in cui vi sia la ragionevole certezza
che la patologia di base sia curabile
con il trapianto e che la prognosi a
lungo termine dopo il trapianto sia
migliore rispetto a quella della sottostante patologia. Il trapianto di
fegato ausiliario e di epatociti, che
teoricamente permettono il recupe-
ro del fegato nativo, necessitano di
ulteriore valutazione attraverso studi
prospettici controllati (3,10).
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Key Points
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
l’insufficienza epatica acuta è una condizione potenzialmente reversibile se adeguatamente gestita,
preferibilmente in centri in cui sia attivo un programma di trapianti di fegato pediatrico. richiede
un attento monitoraggio, finalizzato a prevenire e/o riconoscere precocemente le complicanze
dell'AlF, quali infezioni, insufficienza renale, encefalopatia ed edema cerebrale
Il ruolo della biopsia epatica non è definito: utile per identificare e guidare il trattamento medico
di alcune forme di AlF, non offre certezze sulla prognosi e pone evidenti rischi emorragici.
la sua esecuzione, per via transgiugulare o chirurgica, è subordinata alla familiarità del centro
con le metodiche
Encefalopatia ed edema cerebrale rappresentano la più frequente causa di morte in corso di AlF;
la presenza di ipertensione intracranica (≥ 20 mmHg) e la difficoltà a mantenere adeguate pressioni
di perfusione cerebrale (≥ 50 mmHg) sono fattori prognostici sfavorevoli. la gestione
delle complicanze neurologiche richiede attenzione ai bilanci idro-elettrolitici e glicemici
ed una attenta sorveglianza clinica ed elettroencefalografica
Il trapianto di fegato ha rivoluzionato l’outcome dei pazienti affetti da AlF. Il trapianto di epatociti
e di fegato ausiliario offrono potenziali vantaggi, ma la loro efficacia deve ancora essere valutata
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Training and Educational Corner
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Ruolo dell’ecografia nelle urgenze
gastrointestinali in età pediatrica
Barbara Bizzarri
Francesca Vincenzi
L’ecografia rappresenta indubbiamente l’indagine
di prima scelta per un inquadramento diagnostico
in presenza di una sintomatologia addominale sia nell’adulto
ma soprattutto nel bambino in tutte le sue fasi di crescita
ermanno Bacchini1 e simone Cella2
Radiologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma
Istituto di Scienze Radiologiche, Università degli Studi di Parma
1
2
IntroduzIone
In questi ultimi anni l’ecografia è stata oggetto, specie in età pediatrica, di
un crescente interesse e di una maggiore applicazione in molte situazioni
cliniche ordinarie ed urgenti grazie
alla sua innocuità e alla molteplicità
di informazioni ottenute con rapidità
e spesso completezza.
In questo articolo verrà analizzata la sua
efficacia diagnostica e i suoi limiti nelle
più frequenti patologie gastrointestinali
dell’età pediatrica.
Le cause di patologia gastrointestinale
caratterizzata dal dolore addominale ricorrente o acuto si possono classificare
in base all’età di insorgenza: in epoca
neonatale (o del lattante) e in quelle
dell’infanzia, fino all’adolescenza.
Stenosi ipertrofica del piloro, invaginazione intestinale, malrotazioni e volvoli
del piccolo intestino, ileo da meconio
ed enterite necrotizzante appartengono al primo mentre nel secondo
gruppo prevalgono: appendicite acuta,
adenomesenterite, patologia epatobiliare malformativa e non, pancreatite, enterite acuta, malattie infiammatorie croniche intestinali e porpora di
Henoch-Schonley.
L’ecografia è spesso la metodica diagnostica di primo approccio, ma il suo
contributo è variabile in relazione alla
patologia trattata.
Nella stenosi ipertrofica del piloro, l’ecografia ha dimostrato un’elevata sensibilità (90-96%) e specificità. L’aspetto
ecografico mostra l’ispessimento ipoecogeno della tonaca muscolare della
parete del canale pilorico (figura 1). La
misurazione dello spessore parietale
totale supera 8 mm nella scansione
traversa mentre la lunghezza globale del canale supera i 17 mm. Valori
borderline possono trovarsi frequentemente nel prematuro e nel piloro-
16
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n. 3 seTTemBRe 2010
Volume II -
Fig. 1 Stenosi ipertrofica del piloro (A). Ispessimento parietale del canale pilorico (B)
A
spasmo persistente. Segno associato
frequente è la presenza del prolasso
della mucosa pilorica nell’antro.
L’invaginazione intestinale è la causa più comune di addome acuto nel
bimbo sotto i 3 mesi di vita. La forma
più frequente è ileo-colica. Nel 90%
dei casi non esiste un elemento che
la favorisce ma è legata a semplice
iperplasia linfoide. Negli ultimi anni
l’ecografia si è imposta come prima
B
metodica diagnostica rispetto alla radiologia tradizionale per la sua sensibilità del 100%. L’aspetto più tipico è
rappresentato dall’immagine a cerchi
concentrici o comunque alla dimostrazione di un’ansa intestinale inserita in
un’altra ansa: entrambe mostrano la
stratificazione parietale. Spesso è associato versamento libero in peritoneo.
Il colordoppler è in grado inoltre di evidenziare la riduzione di flusso nel seg-
Fig. 2 Invaginazione intestinale. Tipico aspetto a bersaglio da ansa invaginata (A), al colordoppler
ipervascolarizzazione parietale dell’ansa contenente (B)
A
B
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Ruolo dell’ecografia nelle urgenze gastrointestinali in età pediatrica
Ermanno Bacchini et al
mento intestinale invaginato (figura 2).
Gli ultrasuoni hanno un ruolo marginale nella diagnosi di malrotazioni intestinali, ileo da meconio ed enterite
necrotizzante.
Nell’appendicite acuta (0,4% in età
pediatrica), la diagnosi pre-operatoria,
in almeno in un terzo dei pazienti, è
dubbia, specie nelle adolescenti dove la patologia ovarica può simulare
l’appendicite acuta. L’ecografia riveste
quindi un ruolo fondamentale nella
diagnosi differenziale. Viene utilizzata
una sonda lineare con focalizzazione
media e superficiale, sia per spostare
le anse sia per visualizzare meglio le
pareti. I vasi iliaci ed il muscolo ileopsoas rappresentano i reperi anatomici di
riferimento. L’appendice si rende visibile con aspetto digitiforme e regolare
solo nel 5-10% dei casi. Il suo diametro traverso massimo è di 0,6 cm, è
facilmente comprimibile e si distinguono bene il lume e la parete muscolare.
La non comprimibilità, così come un
diametro traverso superiore, sono indicativi di flogosi in atto. Il riscontro di
appendicolite è patognomonico di appendicite flemmonosa (figura 3). Nel
40% dei casi si associano linfoadenomegalie mesenteriche con diametri
da 0,5 a 3 cm. Le stesse adenopatie
della radice del mesentere o lungo i
vasi mesenterici, nell’adenomesenterite, possono simulare un’appendicite. I linfonodi reattivi sono ovalari
con diametro corto non superiore
al centimetro e risultano dolenti alla
compressione dosata. Il blumberg
ecografico è negativo. La presenza di
ascesso periappendicolare o di iperecogencità del relativo meso indicano
spesso una perforazione viscerale.
Al colordoppler l’ipervascolarizzazione è caratteristica della flogosi in atto.
Versamento endoaddominale e anse
ileali iperdistese a pareti ispessite, sono segni indiretti di peritonite.
L’appendicite focale, la sede retrocecale e la perforazione possono dare invece, falsi negativi. È opportuno insistere
sulla compressione graduale del cecoascendente. Sono viceversa cause di
falsi positivi le flogosi risolte, il morbo
di Crohn e gli ascessi tubo-ovarici; più
raro poi il diverticolo di Meckel complicato, che difficilmente comporta dolori
in fossa iliaca destra. Nella diagnosi di
appendicite acuta, l’ecografia presenta
una sensibilità (44-94%) e una specificità (47-95%) molto variabili secondo i dati della letteratura.
17
Fig. 3 Appendicite flemmonosa. Immagine circolare dell’appendice a pareti ispessite (A)
Al colordoppler ipervascolarizzazione parietale (B)
A
B
La localizzazione più frequente del M.
di Crohn, sebbene possa interessare
qualunque tratto del tubo digerente,
è l’ileo terminale ed il colon prossimale. I casi più frequenti hanno esordio
dopo i 10 anni. Il contributo offerto
dall’ecografia, oltre che primo approccio diagnostico, è la diagnosi delle
patologie associate (vie biliari, tiroide
ed articolazioni) oltre che nel followup dell’interessamento intestinale, lasciando alla endoscopia il ruolo di gold
standard. L’ispessimento ipoecogeno
parietale (da 5 a 14 mm) può essere
facilmente documentato, ma il carattere distintivo è l’estensione segmentaria con perdita della fisiologica pluristratificazione delle diverse tuniche.
L’ansa colpita appare fissa, ipoperistaltica e circondata da una iperecogenicità da proliferazione fibroadiposa del
mesentere. Nel 20% dei casi si associa ad appendicite acuta con la quale
va posta in diagnosi differenziale. È
facile inoltre documentare linfoadenopatie satelliti reattive. L’evoluzione
ascessaluale e fistolosa comporta il
rilievo di masserelle d’aspetto ecografico complesso. L’impiego del colordoppler, reso più sensibile dall’utilizzo
dei mdc sonografici, ha dato un reale
contributo sulla definizione di attività della malattia, analogamente alla
determinazione del flusso nell’arteria
mesenterica superiore.
Yersinia, tubercolosi, histoplasmosi,
campylobacter e salmonella possono causare forme gravi di ileiti che
si presentano ecograficamente con
quadri analoghi alle MICI.
L’ecografia rimane la metodica di imaging di scelta per lo studio della colecisti e vie biliari anche in età pediatrica.
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La calcolosi della colecisti è la patologia
che incide per l’1,5% in età pediatrica,
di cui il 70% negli adolescenti.
Nei neonati la causa più frequente
è da ricercarsi nelle nutrizioni parenterali (40%) mentre nei bambini ed
adolescenti è opportuno elencare
la fibrosi cistica, il mal assorbimento, le malattie del fegato, il Crohn e
l’anemia emolitica. Le complicanze
includono: le colecistiti, coledocolitiasi,
colangiti e perforazione della colecisti.
Ma la più frequente, con un’incidenza dell’8%, è la pancreatite acuta. La
sensibilità e specificità nell’individuare
i calcoli nella colecisti è elevata, circa
il 95-96%: caratteristica tipica del calcolo iperecogeno è il “cono d’ombra
acustica posteriore”, che può essere
assente in calcoli con diametro inferiore a 3 mm. La presenza poi di calcificazioni lineari della parete colecistica
può mascherare il calcolo e lo studio
condotto in vari decubiti può essere
di aiuto. I granuli di bilirubinato di calcio od occasionalmente i cristalli di
colesterina sono spesso i costituenti
del cosiddetto fango biliare (privo di
cono d’ambra posteriore).
La colecistite acuta litiasica è meno
comune nel bambino che nell’adulto.
La causa più frequente di ittero neonatale è da attribuirsi, alla nascita,
all’atresia delle vie biliari e all’epatite
diffusa che ne rappresentano 8090% dei casi, mentre nel bambino
più grande prevale la malattia epatocellulare. La diagnosi differenziale tra
le due entità è fondamentale perché
l’atresia richiede terapia chirurgica.
L’aspetto ecografico del fegato può
essere normale o lievemente ipoecogeno mentre le vie biliari intrae-
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Ruolo dell’ecografia nelle urgenze gastrointestinali in età pediatrica
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patiche possono non essere visibili
in entrambi i casi. Nell’atresia invece
è spesso visibile l’iperecogenicità di
aspetto triangolare all’ilo epatico, al
davanti della vena porta, per fibrosi, la
colecisti poi è piccola, dismorfica o assente mentre nelle epatiti è normale.
L’ecografia ha in questi casi una specificità del 100% e sensibilità dell’85%.
L’associazione con la scintigrafia con
traccianti epato-biliari e la colangioRM si sono rivelati indispensabili nella
diagnosi differenziale.
La cisti del coledoco può essere diagnosticata nel 30% dei casi entro il
primo anno di vita, nel 50% entro i
10 anni e nel restante 20% nella seconda decade od oltre. L’ecografia e
la scintigrafia epatobiliare sono indispensabili anche per distinguere i casi
con associata atresia delle vie biliari. La
colangio-RM può essere di aiuto nella
definizione del dettaglio anatomico.
Nella M. di Caroli l’ecografia e l’ecocolordoppler offrono un notevole contributo diagnostico nell’individuare la
dilatazione cistica dei dotti intraepatici
che presentano dilatazione sacculari e
possibili complicanze litiasiche e flogistiche (colangiti ricorrenti). Nel 3550% dei casi le cause di pancreatite
acuta in età pediatrica sono sconosciute. Oltre alle post-traumatiche, frequenti, vanno segnalate le anomalie congenite (alterazione funzionali esocrine) e
le infezioni virali. L’aspetto ecografico
nelle pancreatiti acute di lieve-media
entità può essere del tutto normale,
18
mentre nelle forme più severe si apprezza un aumento volumetrico, una
diffusa ipoecogenicità della struttura
ed un’irregolarità dei margini, nonché
la dilatazione del coledoco e del dotto
pancreatico. Con diffusione del liquido
peripancreatico alle strutture anatomiche adiacenti La formazione di pseudocisti, frequenti, sono ben visibili agli
ultrasuoni. La parete capsulare è ispessita ed il contenuto ipoecogeno più o
meno omogeneo. Le successive complicanze possono poi essere la rottura
o la formazione di ascessi.
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SIGENP NEWS
KeyPoints
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
l'ecografia rappresenta solitamente
il primo approccio diagnostico nella
patologia gastrointestinale.
Ulteriori informazioni morfofunzionali grazie a Color-dopple
e Power-doppler.
le cause del dolore addominale
vanno classificate
in base all'età di insorgenza.
Sensibilità della metodica variabile
in base alla patologia: nella SIP
e nella invaginazione intestinale può
arrivare al 100%.
Nell'appendicite acuta l'ecografia
è fondamentale nella diagnosi
differenziale con il Crohn e le
patologie annessiali nella femmina.
Volume II - n. 3 seTTemBRe 2010
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Ricerca clinica, diagnosi e trattamento
dei GIST: verso quale meta? Quali prospettive?
Silvia Salvatore
Sergio Morini, Roberto Lorenzetti e Salvatore Campo
PTP Nuovo Regina Margherita di Roma
Le mutazioni alla base dell’insorgenza dei GIST determinano il
decorso clinico e la sensibilità ai farmaci. Le mutazioni secondarie
impongono modifiche del trattamento. Le metodiche diagnostiche
sono fondamentali per definire prognosi, terapia e follow-up.
Sono allo studio altri punti di attacco del processo oncogenetico.
I GIST sono rari e presentano una
incidenza < 1% di tutti i tumori
gastrointestinali. Poco comuni in età
pediatrica, nella popolazione
adulta possono essere considerati i
più comuni tumori mesenchimali del
tratto GI e rappresentano il 5% di
tutti i sarcomi. Negli USA sono riportati
circa 6000 nuovi casi/anno con una
incidenza di 14.5 casi ogni milione di
abitanti. La maggior parte dei tumori
inclusi in questa categoria venivano in
precedenza definiti come leiomiomi,
leiomioblastomi e leiomiosarcomi.
Gran parte delle conoscenze sui GIST
derivano dalla letteratura sulla
popolazione adulta e non è confermato
il possibile ruolo di una trasmissione
genetica in età pediatrica. Bates AW et
al (Histopathology 2000,37:316-22)
segnalano che i GIST in età pediatrica
sono morfologicamente simili a quelli
dell’adulto anche se non esprimono il
CD117 e quindi presentano una
prognosi più favorevole. Alcuni GIST
sono stati descritti nell’ambito della
triade di Carney’s (sarcoma epitelioide gastrico, paraganglioma extrasurrenalico e condroma polmonare).
La localizzazione più frequente nel
bambino appare quella gastrica (6070%), di dimensioni tra 3 e 15 cm
anche se talvolta possono arrivare a
dimensioni di 30-40 cm e comportare
effetti compressivi su organi adiacenti.
La presentazione clinica più comune
è il sanguinamento gastrointestinale
(SGI) con franca ematemesi nel 40%
dei casi. Sintomi associati: dolori
addominali, febbre e perdita di peso.
Le più importanti novità in ambito
genetico, clinico, diagnostico
e terapeutico sono emerse
recentemente per cui ospitiamo
il puntuale update di Sergio Morini.
Claudio Romano
19
INTRODUZIONE
La peculiarità dei GIST (GastroIntestinal
Stromal Tumor) rispetto agli altri sar
sarcomi è legata ad alcuni aspetti emersi
nell’ultimo decennio. Il primo, evidenziato da Hirota, è il riconoscimento del
ruolo della mutazione del recettore
transmembrana c-KIT, ad attività tirosin-kinasica, espresso da oltre il 90%
dei GIST. Il secondo riguarda l’efficacia di un inibitore delle tirosin-kinasi
(TKI), l’Imatinib (Gleevec), segnalata
da Joensuu in un paziente con tumore
stromale gastrointestinale. Si apre così,
la strada della terapia a bersaglio molecolare dei GIST. Tra gli altri elementi che
caratterizzano questi tumori ricordiamo
il ruolo del CD117 e del CD34 nella
diagnosi immunoistochimica del KIT e
dell’altro fattore coespresso dai GIST, il
PDGFRA (Platelet Derived Growth Factor Receptor Alfa) e la loro origine dalle
cellule interstiziali di Cajal la cui attività
citoproliferativa è valutabile con il Ki-67.
La mutazione del c-KIT determina un’attivazione costitutiva della funzione con
autofosforilazione della tasca. Questo
processo porta ad incontrollata proliferazione cellulare, riduzione dell’apoptosi, attività chemiotassica e di adesione
cellulare legate a una catena di segnali
che coinvolgono PI3-K e MAPK. Le mutazioni interessano l’esone 11 nel 70%
dei casi, ma possono coinvolgerne altri
[9 (10%), 13/14, 17/18] e possono
interessano diverse regioni del codone.
Anche il tipo di mutazione, ad esempio
la delezione nell’esone 11, può costituire fattore prognostico più severo rispetto alle altre mutazioni dello stesso
esone. Progressivamente si è delineata
la eterogeità delle alterazioni molecolari
che sono alla base di decorso clinico e
SIGENP NEWS
sensibilità al trattamento assai differenziati. La singolarità dei GIST è legata al
fatto che pur essendo in circa l’80% dei
casi sensibili all’Imatinib, nel corso della
terapia si determinano delle resistenze
al trattamento legate alla insorgenza di
nuove (secondarie) mutazioni. Questo
fenomeno si presenta anche con altri
TKI e genera una sorta di partita a scacchi tra il tumore ed il farmaco. L’obiettivo
prioritario della ricerca, di conseguenza,
è l’individuazione del più ampio numero possibile di eventi mutazionali, anche
indipendentemente dal KIT e dal PDGFRA, che contribuiscono allo sviluppo
dei GIST. Le mutazioni sono eventi
precoci e le oncoproteine costituiscono
il bersaglio dei TKI. Le mutazioni che
insorgono in corso di trattamento determinano un cambio di “assetto” del
tumore e richiedono farmaci alternativi
per contrastare la perdita si sensibilità.
Realmente, quindi, la ricerca tende a
rendere possibile una terapia veramente “su misura”. L’importanza di stabilire
una diagnosi morfologica delle lesioni
mesenchimali è legata al loro potenziale
maligno. La valutazione della sensibilità
e della specificità, sia dell'EUS-FNA che
dell’EUS-guided Trucut biopsy (EUSTCB) ha, tutt’ora, dei limiti che richiederanno una migliore definizione della
metodologia della tecnica e della cor
correlazione tra istologia e clinica. Fletcher
(2) nel 2002 ha stratificato il rischio di
malignità in 4 classi basate su due parametri morfo-funzionali: la dimensione
del tumore (> 5 < cm) e l’indice mitotico mitotico (> 5/50 < mitosi su “high
power field” (HPF). Questi, insieme alla
mutazione nel c-KIT, costituiscono condivisi fattori di prognosi sfavorevole e di
ridotta sopravvivenza libera da recidiva
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
Ricerca clinica, diagnosi e trattamento dei GIST: verso quale meta? Quali prospettive?
Sergio Morini et al
(RFS) dopo resezioni ritenute curative.
Successivamente anche la sede del
tumore è stata inclusa nel diagramma
di valutazione prognostica (tabella 1).
Seguire l’uno o l’altro dei criteri può modificare la decisione di adottare o meno
un trattamento farmacologico adiuvante
nei casi a rischio intermedio ed appare,
dunque, una scelta critica. Studi recenti
sembrano indicare che la risposta istologica (fibrosi, necrosi, ialinizzazione) è
eterogenea e non legata alla durata del
trattamento. Mancano dati sul rappor
rapporto tra risposta clinica ed istologica con
i diversi farmaci. Ulteriori indicazioni terapeutiche possono derivare dal Ki-67
nei foci residui e di quelli di nuova comparsa. Il monitoraggio della risposta alla
terapia si basa su metodiche quali la TC,
MR, PET, Fluoro-PET o TC/FPET in merito alle quali alcuni aspetti richiederanno maggiore consenso. Ad esempio, la
risposta clinica al trattamento farmacologico è graduata in molti studi con il
metodo RECIST (Response Evaluation
Criteria In Solid Tumors).
Tuttavia una metodica basata sulla TC
- considerando una riduzione della dimensione del tumore >10% e della
sua densità >15% - si è rivelata più
precisa del RECIST nella diagnosi della
risposta metabolica e nella valutazione
della RFS e della sopravvivenza globale (OS). A sua volta in questo senso la
Fluoro-PET è risultata superiore alla sola
TC. Un altro aspetto che necessita di
maggiore consenso è l’interpretazione
dei reperti per valutare la risposta al trattamento dato che nel 16% dei pazienti
con maggiore sopravvivenza le lesioni
appaiono stabili, ma non ridotte, durante la terapia. La chirurgia occupa un ruo-
lo centrale ed è il trattamento di scelta
nei GIST localizzati, in tutte le forme sintomatiche ed in quelle asintomatiche
maligne o sospette (dimensioni oltre
i 3-4 cm o riscontro di incremento di
volume) resecabili. La sopravvivenza a
5 anni (dal 20% al 78%) dipende dalla completezza della resezione che in
era pre-TKI, nei casi metastatici, non era
superiore a 12 mesi. Il trattamento neoadiuvante con Imatinib può essere efficace consentendo la resezione ma per
quanto riguarda la rimozione delle metastasi in corso di trattamento adiuvante
non si hanno a tutt’oggi dati certi. Studi
prospettici sono in corso per chiarire
questo importante aspetto. La terapia
con i TKI si basa attualmente sull’Imatinib mesilato (Glivec) ed il Sunitinib (Sutent) che sono approvati per i GIST metastatici o resistenti. Questa indicazione
è supportata dalla loro efficacia in quasi
tutte le mutazioni del KIT e in molte del
PDGFRA. La terapia adiuvante con Imatinib è efficace e migliora, vs placebo, la
RFS ad un anno dall’intervento (8% vs
20% di recidive). L’analisi delle mutazioni è fondamentale per la valutazione
prognostica poichè il tipo di mutazione
predice la risposta alla terapia. I pazienti
con mutazione KIT nell’esone 9 trattati
con Imatinib 800 mg/die presentano
una RFS statisticamente superiore a
quella dei pazienti trattati con 400 mg.
Nella resistenza primaria la mutazione
del kit sull’esone 9 e quella del PDGFRA
sono più frequenti di quelle sull’esone
11. Sono, inoltre, resistenti all’Imatinib
le forme senza mutazione KIT/PDGFRA
e quelle con mutazioni dell’esone 17
nel KIT o dell’esone 18 nel PDGFRA. Le
point mutazioni D842V nell’esone 18
del gene PDGFRA si accompagnano
ad assoluta resistenza primaria. Anche
nelle forme sensibili, tuttavia, la risposta è raramente completa. La recidiva
è legata a nuove mutazioni del c-KIT/
PDGFRA, più frequenti se la mutazione
primaria interessa l’esone 11. Differenze di struttura dell’ansa ATP-legante
possono determinare ridotta affinità
per l’Imatinib. In questi casi l’aumento
della dose sembra migliorare la risposta. Motivi alternativi di resistenza sono
dovuti all’amplificazione del gene KIT
con iperespressione delle kinasi o attivazione di un’altra, non ancora nota, TK
recettoriale con perdita dell’espressione
del KIT. La sospensione dell’Imatinib si
accompagna a ripresa della malattia nel
31% dei casi. Il 92%, tuttavia, risponde
favorevolmente alla reintroduzione del
farmaco senza che si osservino variazioni della OS. Nei nuovi farmaci in studio
sarà necessario verificare se esiste un
analogo comportamento. Il Sunitinib è
l’altro TKI approvato nei casi resistenti/
intolleranti all’Imatinib nei quali è efficace nel 25% dei casi; particolarmente
sensibili risultano quelli con mutazione
dell’esone 9. La sede delle mutazioni
secondarie durante Imatinib influisce
sull’efficacia di altri farmaci di seconda
linea. Nei pazienti shuntati a Sunitinib
perchè refrattari al trattamento con Imatinib, se la mutazione secondaria del KIT
coinvolge gli esoni 13/14 che codificano per la tasca ATP-legante, il decorso libero da progressione del tumore (PFS)
e la OS sono migliori rispetto ai casi con
mutazioni secondarie nell’esone 17/18
che codificano per l’ansa di attivazione
kinasica. Studi in vitro indicano che il
Sunitinib ed altri TKI quali Nilotinib Da-
Tab. 1 Sede e valutazione prognostica del tumore
Dimensioni (CM)
Indice mitotico
(HPF)
Sede stomaco
Sede duodeno
Sede Dig-Ileo
Sede retto
<2
<5
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
2>5
<5
Molto basso
Basso
Basso
Basso
5 < 10
<5
Basso
Intermedio
Dati scarsi
Dati scarsi
> 10
<5
Intermedio
Alto
Alto
Alto
<2
>5
Nessuno
Alto
Dati scarsi
Alto
>2>5
>5
Intermedio
Alto
Alto
Alto
> 5 < 10
>5
Alto
Alto
Alto
Alto
> 10
>5
Alto
Alto
Alto
Alto
20
SIGENP NEWS
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Gastroenterology Clinical Research
a cura di
Silvia Salvatore
Ricerca clinica, diagnosi e trattamento dei GIST: verso quale meta? Quali prospettive?
Sergio Morini et al
satinib e Sorafenib possono essere più
attivi dell’Imatinib nei GIST Wild Type.
Molto interesse stanno suscitando la
valutazione dei livelli ematici dei TKI in
relazione alla risposta clinica; uno studio recente sembra indicare che ai più
bassi valori ematici dell’Imatinib si potrebbe avere una riduzione della PFS. In
studi preclinici le mutazioni resistenti ad
Imatinib e Sunitinib sembrano sensibili
a più potenti TKI quali il Nilotinib, da solo o in combinazione con Imatinib, ed il
Sorafenib, attivo nelle modificazioni della tasca legante ATP e quelle dell’ansa
di attivazione del KIT. Il Masitinib, che ha
una selettiva affinità in vitro per il recettore c-KIT Wild Type, è un farmaco per
quale si profila anche un ruolo di prima
linea. Azione oncosoppressiva è svolta
sia dagli inibitori dell’HSP90, che favoriscono la degradazione di KIT/PDGFRA
mutati, sia dai farmaci che ostacolano
i processi transcrizionali del KIT, come
il flavopiridolo. La HSP90 (heat shock
protein) è una proteina coinvolta
nell’omeostasi delle proteine cellulari
tra cui le oncoproteine del KIT. Sono in
corso studi preclinici su 17-AAG (AllylAmino-Geldanaminina) ed IPI-504
(Retaspimincin hidrochloride) che agiscono sulla HSP90. Anche gli inibitori
21
delle PI3-kinasi - sia da soli che associati
a m-TOR inibitori, coinvolti nella divisione cellulare e nell’angiogenesi - possono essere efficaci nei GIST TKI-refrattari.
Controverso, per i rischi tromboembolici, è il ruolo del Bevacizumab associato
all’Imatinib, mentre l’associazione di Imatinib con Everolimus (RAD001) sembra
sinergica. Più recentemente alcuni lavori
hanno mostrato che l’Insulin-like Growth
Factor-1 Receptor (IGF-1R) è fortemente iperespresso nei Gist Wild-Type indicando il suo coinvolgimento nella patogenesi sia dei GIST dell’adulto che del
bambino. Di questi farmaci (e di molti
altri non elencati) e delle loro associazioni, comunque, dovranno essere valutate
efficacia clinica e sicurezza.
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Key Points
¬¦
¬¦
Se si ritiene importante il ruolo
del c-KIT nel precedere la malignità
delle lesioni, tutti i pazienti
dovrebbero essere testati
preoperatoriamente
Lo studio dei sottotipi di mutazione
del KIT nell’esone 11
potrebbe spiegare le differenze
di decorso clinico
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Acido ursodesossicolico (UDCA):
approfondimento farmacologico e clinico
Graziano Barera
L’acido ursodesossicolico viene utilizzato nella maggior parte
delle malattie colestatiche.
Considerata la sua efficacia e tollerabilità è prevedibile
un incremento delle indicazioni cliniche
Chiara Amoruso, Sara Federica Fedeli e Gabriella Nebbia
U.O Pediatria II, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore, Policlinico di Milano
INTRODUZIONE
Fin dall’antichità, nella medicina cinese per il trattamento delle epatopatie è stata utilizzata la bile essiccata degli orsi dell’Himalaya (Yutan), la
cui componente principale è l’acido
ursodesossicolico (UDCA, ursodiolo). Dopo la definizione della struttura chimica dell’UDCA nel 1936, le
sue proprietà terapeutiche vennero
valutate scientificamente prima come agente litolitico nella colelitiasi,
indi, negli anni ’80, nelle principali
malattie colestatiche. Oggi l’UDCA
rappresenta uno dei farmaci più validi e più frequentemente utilizzati
nelle malattie epatobiliari.
STRUTTURA ChIMICA,
EFFETTI FARMACOLOGICI
E MECCANISMI D’AZIONE
Gli acidi biliari e i loro coniugati sono
componenti essenziali della bile; il
95% del pool è costituito da acido colico, chenodesossicolico e desossicolico, mentre l’acido litocolico e l’ursodesossicolico sono costituenti minori.
L’UDCA (3α,7β-diidrossi-5β-acido colanoico) (figura 1) è un acido biliare
idrofilo, normalmente presente nella
bile umana in una percentuale del
3% sul totale degli acidi biliari. Esso
Fig. 1 Struttura molecolare dell'acido ursodesossicolico
22
viene formato dall’epimerizzazione
dell’acido chenodesossicolico nel lume intestinale ad opera dei batteri.
L’UDCA esercita effetto anti-colestatico in vari modi (1,2); a seconda della
fisiopatologia e dello stadio della malattia epatica, il meccanismo d’azione
predominante può variare. I principali meccanismi d’azione dell’UDCA
(tabella 1 e figura 2) sono:
• Alterazione pool acidi biliari:
nei pazienti con colestasi, l’accumulo
di acidi biliari può raggiungere
concentrazioni tossiche. La terapia
con UDCA modifica le concentrazioni
relative degli acidi biliari: aumentando
l’UDCA, idrofilo, viene contrastata
l’azione tossica di altri acidi biliari
idrofobici.
• Stimolazione della secrezione
epatocellulare e colangiocellulare:
in pazienti con colestasi gli acidi biliari
si accumulano; l’UDCA stimola la
secrezione di acidi biliari idrofobici e di
altri composti organici tossici.
• Effetto citoprotettivo: gli acidi biliari
idrofobici sono potenzialmente
epatotossici mediante interazione diretta
con epatociti e colangiociti, su cui
possono causare necrosi ed apoptosi.
L’UDCA ha un effetto protettivo: da un
lato con meccanismo diretto, inibendo
l’apoptosi mediante stabilizzazione
dei mitocondri e della membrana
citoplasmatica, e dall’altro, inducendo
meccanismi anti-apoptotici.
• Potenzialeeffettoimmunomdulatorio:
nella colestasi cronica le molecole di
classe I e II del complesso maggiore
di istocompatibilità (MHC) risultano
sovra-espresse negli epatociti e nei
colangiociti, con conseguente possibile
distruzione cellulare da parte dei linfociti
T citotossici. L’UDCA sembra contrastare
tale fenomeno.
SIGENP NEWS
CARATTERISTIChE
FARMACOCINETIChE E
FARMACODINAMIChE
L’UDCA, somministrato per via orale,
viene assorbito in forma non coniugata nel piccolo intestino ed in parte nel
colon (2) e subisce un effetto di primo
passaggio del 50% circa. Raggiunto il
fegato, viene coniugato con glicina e
taurina e viene secreto nella bile. Tale
forma coniugata, ricondotta nell’intestino, viene assorbita soprattutto
nell’ileo distale, dove compete con gli
acidi biliari endogeni per il trasporto
attivo, ritornando così al fegato attraverso il circolo enteroepatico. L’UDCA
coniugato, non assorbito, passa nel
colon, viene deconiugato e convertito
in acido litocolico; tale acido, scarsamente solubile in acqua, rimane in
gran parte all’interno del colon e solo
una piccola quota torna al fegato. Entrambe le componenti vengono poi
eliminate con le feci (1). Nella somministrazione cronica l’UDCA può raggiungere anche una percentuale pari
al 30-50% degli acidi biliari plasmatici
totali. Il picco di concentrazione plasmatica è raggiunto 1-3 ore dopo la
somministrazione, con un’emivita
variabile tra 3,5 e 5,8 giorni. L’eliminazione del farmaco avviene principalmente con le feci ed in parte per
via renale. Si segnala un ridotto assorbimento se il farmaco viene assunto
con colestiramina e antiacidi che contengono alluminio; di conseguenza si
raccomanda di somministrare l’UDCA
ad almeno 5 ore di distanza da tali
farmaci. Quadri importanti di colestasi
possono ridurne l’assorbimento e la
biodisponibilità.
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Graziano Barera
Acido ursodesossicolico (UDCA): approfondimento farmacologico e clinico
Chiara Amoruso et al
Tab. 1 Meccanismi d’azione dell’acido ursodesossicolico [modificata da Angulo P (2)]
Alterazione del pool degli acidi biliari
Riduce acidi biliari idrofobici
Aumenta acidi biliari idrofilici
Inibisce assorbimento ileale acidi biliari
Effetto citoprotettivo su epatociti e colangiociti
Preserva e stabilizza membrane plasmatiche e mitocondri
Induce antiapoptosi subcellulare
Effetto immunomodulatorio
Riduce espressione molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I e II
Corregge l’alterata attività delle cellule NK nella cirrosi biliare primitiva
Riduce livelli sierici di IgM, di anticorpi anti-componenti della piruvato deidrogenasi,
compresi anticorpi anti-mitocondrio
Riduce eosinofili plasmatici periferici, inibisce attivazione e degradazione
degli eosinofili stessi
Protegge dal danno epatico indotto dai linfociti T helper I, attraverso l’inibizione dei due
rami, rispettivamente proapoptotico e proinfiammatorio, della superfamiglia delle caspasi
Effetto coleretico
Stimola secrezione epatocellulare di acidi biliari
Aumenta concentrazione intracellulare di calcio nei colangiociti
Fig. 2 Potenziali meccanismi e siti d'azione dell'acido ursodesossicolico nell'epatopatia
colestatica (1)
23
SIGENP NEWS
EFFETTI COLLATERALI
L’UDCA è un farmaco molto ben
tollerato. In letteratura sono stati descritti rari effetti collaterali in pazienti
adulti in trattamento prolungato: diarrea, dolori addominali, nausea, vomito, cefalea, disturbi del sonno, rash
cutaneo, artralgie, mialgie.
USI TERApEUTICI
IN ETà pEDIATRICA
L’UDCA è un farmaco frequentemente
usato in bambini con colestasi cronica,
con differente efficacia nelle diverse indicazioni (3). Il dosaggio oscilla tra 15
e 30 mg/kg/die in 2-3 somministrazioni. Sono elencate le malattie pediatriche in cui è stata data dimostrazione
della sua efficacia. Considerata l’eterogeneità delle azioni farmacologiche
dimostrate, è prevedibile un ulteriore
incremento delle indicazioni.
Atresia delle vie biliari extraepatiche: l’UDCA è efficace nei pazienti
con un buon drenaggio biliare post-intervento di Kasai, sia nel breve termine
(diminuzione degli acidi biliari ed incremento ponderale) sia nel lungo termine
(scomparsa dell’ittero e sopravvivenza a
lungo termine con il fegato nativo). Nei
pazienti con fallimento dell’intervento di
portoenterostomia, l’UDCA deve essere somministrato con cautela (4).
Colestasi familiare intraepatica progressiva (pFIC-1, pFIC-2,
pFIC-3): l’UDCA è il trattamento elettivo nelle 3 forme cliniche, ove si assiste ad un notevole miglioramento dei
parametri di colestasi e del prurito (5).
Sindrome di Alagille: sono stati documentati effetti clinici (diminuzione
dell’ittero, del prurito e degli xantomi)
e biochimici (riduzione tassi plasmatici lipidici, della bilirubina e della fosfatasi alcalina) (6).
Difetti congeniti della biosintesi
degli acidi biliari: sono stati descritti diversi difetti del metabolismo degli
acidi biliari in cui il danno epatico è dovuto all’accumulo di precursori tossici e
alla carenza degli acidi biliari primari. Il
trattamento, a seconda dello specifico
difetto enzimatico, prevede la somministrazione di UDCA e/o dell’acido colico e chenodesossicolico (7).
Nutrizione parenterale totale (NpT):
p
pT):
la patogenesi della colestasi non è anco-
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News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
a cura di
Graziano Barera
Acido ursodesossicolico (UDCA): approfondimento farmacologico e clinico
Chiara Amoruso et al
ra ben nota, ma nei neonati prematuri
parecchi meccanismi sono stati chiamati
in causa: accresciuta sintesi di acidi biliari
endogeni tossici, traslocazione batterica,
composizione inadeguata della formula. Uno studio pilota ha dimostrato che
l’UDCA è in grado di ridurre la durata e
l’intensità della colestasi (8).
Fibrosi cistica: l’UDCA stimola la
capacità secretoria biliare, riduce la viscosità della bile e previene l’accumulo di acidi biliari tossici; migliora significativamente la funzionalità epatica e
lo stato nutrizionale dei pazienti (9).
Deficit di α1-antitripsina: è stata recentemente riportata l’efficacia
dell’UDCA nelle forme meno gravi di
malattia epatica, mentre tale effetto
non sarebbe confermato nelle epatopatie più gravi (10).
Colangite sclerosante: nei pazienti
adulti l’uso di UDCA è ampiamente
diffuso e recentemente ne è stata
confermata l’efficacia ad alti dosaggi
(11); anche nel bambino viene utilizzato con buona efficacia clinica.
Calcolosi della colecisti: l’uso
dell’UDCA nella colelitiasi in età pediatrica non è ben standardizzato e
non ne è stata dimostrata l’efficacia a
lungo termine (12).
In sintesi, somministrando UDCA si
possono ottenere, in una crescente
scala di efficacia, i seguenti effetti sulla malattia di base:
24
• Riduzione del prurito e dell’ittero, senza influenza sull’evoluzione a lungo termine
• Miglioramento dei test di funzionalità epatica senza effetti
sulla prognosi finale
• Arresto della progressione della
malattia
• Completo controllo della patologia
ursodeoxycholic acid on cystic fibrosis- related liver
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Nousia-Arvanitakis S, Fotoulaki K, Economou H
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SIGENP NEWS
Key Points
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
¬¦
UDCA esercita effetto benefico
in varie malattie colestatiche,
soprattutto a livello di epatociti
e colangiociti
Dosaggio pediatrico: 15-30 mg/kg/die
in 2-3 somministrazioni
Farmaco ben tollerato ed efficace
Indicato in varie malattie
colestatiche
Possibili interazioni farmacologiche
con colestiramina e antiacidi
che contengano alluminio
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Fellow’s Corner - L’Angolo dello Specializzando
a cura di
L’attività di formazione di uno specializzando è correlata alla gestione
condivisa di casi clinici che spesso rimangono impressi per la loro peculiarità,
per l’impegno assistenziale e perché hanno rappresentato l’occasione per un
adeguato approfondimento dell’argomento. Questa rubrica concede uno spazio
che consente di definire il percorso diagnostico che ha portato alla risoluzione di
un complesso caso clinico e relativa revisione critica della letteratura.
Claudio Romano
Claudio Romano
“Dotto’ mio figlio ha di nuovo la polmonite?”
Uno strano caso di polmoniti ricorrenti
Dario Ummarino
Dipartimento di Pediatria Generale e Specialistica, Università degli Studi “Federico II” di Napoli
Un pomeriggio ero di “sottoguardia”
in reparto quando ricevo una telefonata da una Struttura del Territorio che
mi chiede la possibilità di ricoverare
Carmine, un bambino di 3 anni e 5
mesi, che da fin dai primi mesi di vita
presentava broncopolmoniti ricorrenti,
correlate a cianosi e disfagia per i cibi
solidi. Per quest’ultimo motivo i genitori
avevano eseguito un esofagogramma
con riscontro di una stenosi esofagea
con difficoltà al passaggio del mezzo di
contrasto, con riduzione del calibro del
lume a livello di D6. A seguito di tale
riscontro veniva ricoverato presso un
diverso Centro che decide di trasferi
trasferire il piccolo Carmine presso la nostra
Struttura. Avviso lo Strutturato di turno
e decidiamo di accogliere il piccolo per
approfondire il caso…
pRESENTAZIONE CLINICA
I genitori non riferiscono altri sintomi
associati (febbre, perdita di peso, irritabilità). Oltre i due problemi clinici
di base il piccolo presenta anche una
bassa statura, con altezza, però, inquadrata nel target genetico.
La crescita ponderale è nella norma
(peso al 50° percentile). Il piccolo è
nato pretermine ed è stato ricoverato in TIN per 5 mesi senza sequele.
Ha assunto latte formulato fino a un
anno. Svezzamento a 6 mesi con
successiva dieta libera. Fin dai primi
mesi di vita ha presentato i suddetti
episodi di broncopolmoniti ricorrenti
associati a cianosi che hanno necessitato di ospedalizzazione. Inoltre, i
genitori riferiscono disfagia per i cibi
solidi. Durante l’ultimo ricovero dovuto ad un episodio di broncopolmonite ha praticato una radiografia del
torace che mostrava una accentua-
25
zione della trama vascolo-bronchiale
ilo-perilare bilaterale con ili congesti.
La valutazione sierologica per l’infezione da Clamidia e Mycoplasma risultava negativa così come il test del
sudore. Ha praticato, inoltre, una esofagogastroduodenoscopia (EGDS)
che mostrava una stenosi del terzo
medio dell’esofago facilmente superabile con lo strumento e la presenza
di una picchiettatura biancastra sulla
mucosa delle prime tre porzioni della
mucosa duodenale, dove venivano
praticate diverse biopsie. L’istologia
mostrava solo in un campione una
lieve atrofia dei villi, con una quota
di linfociti CD3+ intraepiteliali nella
norma. Nel sospetto di una Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale
(MICI) veniva inviato presso la nostra
Struttura per competenza.
ESAME ObIETTIvO
Condizioni cliniche generali buone.
Apiressia, colorito cutaneo roseo, stato
di idratazione buono. Linfonodi palpabili bilateralmente in sede laterocervicale, mobili, non dolenti. Lieve
ipertrofia tonsillare. Attività cardiaca ritmica e valida, F.C. 104 bpm. Al torace
MV normotrasmesso su tutto l’ambito
polmonare con timbro aspro, lieve
prolungamento della fase dell’espiro.
F.R. 22 apm. Addome marcatamente
globoso ma trattabile, apparentemente non dolente alla palpazione superficiale né profonda. Esame otoscopico
negativo, rettorragia e del tenesmo.
IpOTESI DIAGNOSTIChE
L’incidenza di polmoniti acquisite in
comunità in età pediatrica è tra 1540/1000 bambini nei paesi sviluppati. Le polmoniti ricorrenti sono de-
SIGENP NEWS
finite dalla presenza di >2 episodi in
un anno o >3 episodi, con evidenza
di risoluzione radiografica tra gli episodi. Con questa definizione, la polmonite ricorrente occorre nel 7.7-9%
di tutti i bambini con polmonite.
Non esiste una causa comune di polmoniti ricorrenti in età pediatrica. Le
cause più comuni sono rappresentate dall’asma, da patologie che causano aspirazione di materiale alimentare quali difetti della deglutizione,
stenosi esofagea, alterazione della
peristalsi esofagea e reflusso gastroesofageo o difetti anatomici quali la
presenza di una fistola tracheo-esofagea. Altre cause di polmoniti ricorrenti sono rappresentate da sindromi genetiche quali la fibrosi cistica o
la discinesia primitiva delle ciglia, e
da cause di immunodeficienza quali
la malattia granulomatosa cronica,
deficit delle immunoglobuline quali
deficit delle IgG (Sindrome di Bruton
o agammaglobulinemia X-linked) o
la immunodeficienza comune variabile. I deficit di IgA, molto comuni in
età pediatrica, possono provocare
polmoniti ricorrenti solo se associate
a deficit delle sottoclassi IgG. Inoltre,
deficit dell’immunità cellulare, quali i
deficit di linfociti T, possono causare
tali disordini (1).
Nell’associazione tra polmoniti ricorrenti e linfadenopatia deve essere
presa in considerazione anche una
causa infettiva quale la tubercolosi.
Inoltre, devono essere considerate le
cause di stenosi esofagea, evidenziata attraverso l’esofagogramma praticato nel precedente ricovero, quali la
stenosi congenita, la stenosi peptica
e la stenosi causata da malattia infiammatoria cronica intestinale.
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Fellow’s Corner
a cura di
Claudio Romano
“Dotto’ mio figlio ha di nuovo la polmonite?” Uno strano caso di polmoniti ricorrenti
Dario Ummarino
SvILUppO DEL CASO CLINICO
I problemi clinici principali del piccolo Carmine erano rappresentati dalle
polmoniti ricorrenti, oltre 10 episodi
che avevano richiesto l’ospedalizzazione, e dalla disfagia per i cibi solidi. Il piccolo non aveva presentato
altri sintomi associati quali diarrea o
perdita di peso. Durante il precedente ricovero il piccolo aveva praticato
una radiografia del torace che confermava la presenza di una polmonite in atto. Aveva, inoltre praticato
alcuni test infettivologici ed il test del
sudore che erano risultati tutti negativi. Tal riscontri, riconfermati presso
la nostra Struttura, escludevano cause infettivologiche e la fibrosi cistica.
Improbabile era anche il riscontro
di un’immunodeficienza così come
confermato dagli esami ematochimici che il piccolo ha praticato. La possibilità di una MICI, alla base della stenosi esofagea del piccolo Carmine,
veniva esclusa per la negatività degli
indici infiammatori e della calprotectina, oltreché dal mancato riscontro
endoscopico ed istologico. Il piccolo
ha praticato anche il test di Mantoux,
per escludere un’infezione tubercolare, risultato negativo. Gli indici di
flogosi e gli altri esami ematochimici
non mostravano alcuna alterazione.
Gli esami allergologici sono risultati
tutti nella norma.
Durante la degenza presso la nostra
Struttura ha praticato una radiografia a contrasto di bario dell’apparato
digerente per valutare la presenza di
alterazioni della deglutizione e di altre
cause che possano essere alla base si
micro o macroaspirazioni, il cui quadro clinico è compatibile con la clinica
di Carmine. Tale esame mostrava un
esofago modicamente dilatato con
visibilità a livello del terzo medio di
una lieve riduzione di calibro che non
ostacola in modo particolare il transito del bolo opaco con aspirazione di
minima quantità del bario nel polmone di destra (figura 1).
A seguito di tale riscontro il piccolo
ha praticato una EGDS per escludere
la natura peptica della stenosi. Tale
esame, tuttavia, mostrava a 15 cm
dal margine orale presenza di orifizio, da attribuire a verosimile fistola
26
traceo-esofagea (figura 2). Pertanto,
non risultava necessaria l’esecuzione
di una broncoscopia, gold-standard
della diagnosi di fistola tracheo-esofageo. Ma non in questo caso!
A seguito di tale riscontro il piccolo paziente è stato inviato presso il
reparto di Chirurgia Pediatrica dove
ha praticato intervento di sezione e
chiusura della fistola tracheo-esofagea. L’intervento è stato condotto con
incisura trasversale sopraclaveare a
destra. Individuato il tramite fistoloso,
si seziona e si chiude con chiusura a
strati della parete (figura 3).
Il decorso post-operatorio è stato
regolare e il piccolo Carmine è stato
dimesso dopo circa una settimana in
buone condizioni cliniche generali.
FISTOLA TRAChEO-ESOFAGEA
La prima classificazione di tale disordine è stata postulata da Waterston
et al nel 1962, basato sul peso alla
nascita, sulle polmoniti e sulle altre
malformazioni associate. Tale classificazione è stata poi rivisitata da Spitz
recentemente, basata sull’impatto
sulla prognosi del peso alla nascita e
delle malformazioni cardiache (2).
La classificazione anatomica distingue 5 condizioni:
Fig. 1 Immagine radiografica
di stenosi esofagea e aspirazione
di mezzo di contrasto a livello
del bronco di destra (freccia)
(Per gentile concessione della Dott.ssa Hana
Dolezalova, Dipartimento di Radiologia pediatrica,
Università degli Studi di Napoli Federico II)
Fig. 2 Immagine endoscopica
della fistola tracheo-esofagea (freccia)
Atresia esofagea senza fistola
tracheo-esofagea
Atresia esofagea con fistola
tracheo-esofagea prossimale
Atresia esofagea con fistola
tracheo-esofagea distale
Atresia esofagea con doppia fistola
(prossimale e distale)
(Per gentile concessione del Dott. Erasmo Miele,
Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi
di Napoli Federico II)
Fistola H
Clinicamente il quadro varia a seconda dei casi e della presenza o meno
di malformazioni concomitanti.
Nell’atresia esofagea la diagnosi è
precoce per l’incapacità del paziente
di alimentarsi. Mentre un completo
lume esofageo ma con la presenza
di una fistola come nel caso di una
Fistola H (caso in esame) può complicare la diagnosi per la presenza di
una sintomatologia più sfumata. In
letteratura sono presenti numerosi
studi che valutano la clinica e il management di questi pazienti.
SIGENP NEWS
Fig. 3 Intervento di fistola H-type.
Evidenza del tramite fistoloso (freccia)
(Per gentile concessione del Dott. Antonino
Tramontano, Dipartimento di Chirurgia Pediatrica
dell'AORN Santobono-Pausilipon, Napoli))
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Fellow’s Corner
a cura di
Claudio Romano
“Dotto’ mio figlio ha di nuovo la polmonite?” Uno strano caso di polmoniti ricorrenti
Dario Ummarino
Nello studio di Yoo et al sono stati
presi in esami 187 bambini affetti da
atresia esofagea con o senza fistola e
con associazione di stenosi dell’esofago. Ventidue bambini con fistola
tracheo-esofagea presentavano, in
associazione, una stenosi esofagea
distale rispetto alla fistola. In tali pazienti è stata osservata una sintomatologia caratterizzata da disfagia per i
cibi solidi e la presenza di numerosi
episodi di aspirazione con conseguente polmonite ab-ingestis. In tale studio
il 12% dei pazienti presentava l’associazione tra fistola tracheo-esofagea e
la stenosi congenita dell’esofago, più
comunemente nei bambini affetti da
fistola H, come il caso in esame (3).
L’incidenza della stenosi esofagea
congenita associata a fistola varia tra
0.4% e 14% dei pazienti affetti da fistola tracheo-esofagea.
La diagnosi di fistola tracheo-esofagea
associata o meno a stenosi esofagea è
basata sull’evidenza del dotto di comunicazione tramite la radiografia a contrasto di bario e l’EGDS. Tuttavia anche
la clinica gioca un ruolo fondamentale
nell’orientamento diagnostico.
La terapia è prettamente chirurgica con
resezione del dotto e chiusura dello
sbocco tracheale ed esofageo (4).
<<<<Bibliografia >>>>
1.
2.
STENOSI ESOFAGEA CONGENITA
La presenza di una stenosi esofagea
congenita è una condizione rara, con
un’incidenza di 1/25000-50000 nati
vivi. Ne esistono tre tipi istologici, da
resti tracheo-bronchiali ectopici, da
ispessimento fibromuscolare e da
diaframma membranoso. La clinica è
caratterizzata da una disfagia per i cibi
solidi nei bambini più grandi e dal vomito. Tuttavia nei lattanti la sintomatologia può essere molto sfumata, sono
stati descritti casi che presentavano
esclusivamente un failure to thrive. La
diagnosi è radiologica con l’evidenza
della stenosi al passaggio del mezzo
di contrasto. La terapia può essere
endoscopica con la dilatazione della
parte interessata per mezzo di palloni
a pressione variabile. La mancata risoluzione della stenosi dopo più tentativi di dilatazione è un’indicazione
all’intervento chirurgico (5).
3.
4.
5.
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Spunti di approfondimento
Quando la fistola tracheo-esofagea
va presa in considerazione
nella diagnosi differenziale
delle polmoniti ricorrenti?
Quando la stenosi esofagea deve
essere considerata congenita se non
si hanno riscontri precedenti?
Key Points
¬¦
¬¦
¬¦
Considerare nel work-up delle polmoniti ricorrenti alterazioni
anatomiche gastrointestinali
Ruolo fondamentale dell’endoscopia nella diagnosi di entrambe
le condizioni (stenosi esofagea e fistola tracheo-esofagea)
del piccolo paziente
L’endoscopia digestiva in alcuni casi può evitare l’uso di tecniche
maggiormente invasive
27
SIGENP NEWS
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Endoscopy Learning Library
a cura di
Una diagnosi occasionale ed indaginosa
di voluminoso polipo del colon
Giovanni Di Nardo
Filippo Torroni
Una piccola paziente di 6 aa e mezzo viene ricoverata per iperpiressia
persistente e resistente alla terapia antibiotica, inappetenza, linfoadenomegalia latero-cervicale e splenomegalia. Nel corso delle varie indagini
diagnostiche laboratoristiche e strumentali emerge un reperto ecografico
di “neoformazione tondeggiante” di non chiara interpretazione oltre a
quadro di mononucleosi infettiva.
Giuliano Lombardi, Maria Teresa Illiceto, Marco Filippone
U.O. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Pediatrica, O.C. "Spirito Santo" di Pescara
DESCRIZIONE CASO CLINICO
Alice 6 aa, viene ricoverata per un
quadro caratterizzato da iperpiressia
persistente, resistente alla terapia con
amoxicillina, inappetenza, edema palpebrale ed iperemia del faringe.
All’ingresso presenta, inoltre, linfoadenomegalia latero-cervicale e splenomegalia
(milza palpabile a circa 2 cm dall’arcata
costale). L’esame obiettivo cardio-respiratorio e la radiografia del torace evidenziano un quadro di normalità, e l’addome
risulta trattabile. Gli esami ematochimici
documentano GB 16.200, Li 70.2% e N
19.3%, Hb 13.1, transaminasi e bilirubina normali, VES 5 e PCR 17.
Anamnesticamente risulta familiarità
per calcolosi renale, pregresse allergia
respiratoria e dermatite atopica.
La paziente viene sottoposta ad ecotomografia dell’addome che evidenzia
splenomegalia e, tra margine inferiore
del rene destro e margine inferiore del
lobo epatico destro, una neoformazione tondeggiante di 3x2 cm di diametro,
di aspetto disomogeneo, vascolarizzata, la cui origine non appare chiara.
Nel frattempo si assiste ad incremento
della leucocitosi (24.100), anemizzazione (Hgb 11.8) e movimento delle
transaminasi (GOT 83, GPT 56).
A questo punto le ipotesi che entrano in diagnosi differenziale sono:
patologia emolinfoproliferativa
massa tumorale endoaddominale
(origine colica o renale o epatica)
processo infettivo.
La TC torace evidenzia linfonodi del
diametro massimo di 8 mm in sede
mediastinica, ilare bilaterale ed a livello dei cavi ascellari. La TC addome
28
polipoide intraluminale non è
associata ad ispessimento della parete colica contigua né ad
immagini riferibili ad infiltrazione della parete colica e/o degli
organi circostanti.
L’iter diagnostico prosegue quindi con valutazione ematologica
dello striscio periferico e della
biopsia midollare con tipizzazione immunologica che depongono a favore di un quadro
ascrivibile a virosi.
La positività delle IgM ed IgG
anti EBV conferma quindi il
sospetto diagnostico di mononucleosi infettiva.
A questo punto si pone l’indiFig. 2 TAC addome dopo assunzione di
cazione alla asportazione della
gastrografin: disomogenea opacizzazione della
porzione posteriore della flessura colica dx per
neoformazione endoluminale
la presenza nel proprio contesto di difetto di
colica, peraltro non urgente conriempimento.
siderata l’assenza di sintomi ad
essa riferibili (non dolori addominali). La sede ed il volume della
neoformazione ci hanno fatto
optare per un esame endoscopico in narcosi, ma le condizioni
generali defedate e l’immunosoppressione della piccola Alice
hanno imposto una dilazione
della procedura alla risoluzione
dell’episodio infettivo.
Circa 2 mesi dopo si è quindi
effettuata rettocolonscopia in
narcosi e consensuale polipectomia con ansa diatermica
senza particolare difficoltà. Per
con m.d.c. permette di documentare
quanto
vari autori consiglino l’infiltraziouna neoformazione solida rotondegne
della
base del polipo con soluzione
giante a margini polilobati (dimensiofisiologica
o adrenalina, in questo caso
ni assiali di 2.5 cm) con omogenea
un’alternanza
bilanciata di taglio e coimpregnazione del m.d.c., isodensa
agulo
ci
ha
permesso
di concludere la
rispetto alle anse intestinali, che dopo
assunzione di gastrografin si evidenzia polipectomia con una procedura comcome difetto di riempimento della por
por- pleta e sicura, al termine della quale la
zione posteriore della flessura colica neoformazione è stata recuperata endestra; tale neoformazione di aspetto doscopicamente.
Fig. 1 TAC addome: in sede sottoepatica: tessuto
solido a morfologia rotondeggiante, con margini
polilobati, di dimensioni assiali di circa 2.5 cm,
con omogenea impregnazione, isodenso rispetto
alle anse intestinali
SIGENP NEWS
Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Endoscopy Learning Library
a cura di
Giovanni Di Nardo e Filippo Torroni
Una diagnosi occasionale ed indaginosa di voluminoso polipo del colon
Giuliano Lombardi et al
Fig. 3A-B Polipo del colon destro
B
A
Fig. 4 Polipectomia con ansa diatermica
Tab. 1 rischio di ripresentazione di polipo giovanile e proposta di follow-up endoscopico (1)
n° polipi all'esordio
Rischio
Diagnosi
Colonscopia
1
Presente
PGS°
1-3 aa*
≤3
Basso
SPG
1-3 aa*
>3
Alto
SPG
1-3 aa*
°: diagnosi confermata se assenti: familiarità, mutazioni genetiche, displasia e ripresentazione
di polipi giovanili al follow-up endoscopico
*: secondo presenza o meno di fattori di rischio specifici individuali (presenza/assenza di familiarità,
riscontro o meno di mutazioni genetiche, presenza o meno di displasia all’esame istologico)
PGS: polipo giovanile solitario
SPG: sindrome poliposi giovanile
Fig. 5 Esito di polipectomia con polipo resecato
endoscopicamente libero nel lume colico
L’analisi anatomopatologica ha poi diagnosticato “polipo giovanile amartomatoso senza segni di displasia”. Trattandosi di riscontro di singolo polipo giovanile
in assenza di familiarità, non abbiamo
ritenuto opportuno eseguire counseling
29
genetico per escludere una sindrome
polipoide familiare.
I polipi giovanili singoli (PGS) sono
amartomi sporadici e benigni che rappresentano il tipo più frequente di lesione polipoide in età pediatrica, con
un rischio di trasformazione neoplastica davvero basso. Al contrario alcuni
autori hanno recentemente dimostrato che in pazienti con polipi giovanili
multipli ed in particolare a localizzazione nel colon dx vi è un considerevole
rischio di recidiva (44.7%), e di trasfor
trasformazione neoplastica (4%).
Un recentissimo studio retrospettivo di
Fox et al ha sottolineato la considerevole incidenza di ripresentazione di polipo
giovanile (15%) in pazienti pediatrici in
cui la patologia esordisca con PGS non
associato né a familiarità, né a displasia,
né a mutazioni genetiche, suggerendo quindi di definire correttamente la
diagnosi paziente-specifica solo dopo
accurato follow-up clinico-strumentale;
SIGENP NEWS
l’intervallo di follow-up e monitoraggio
colonscopico suggerito dagli autori è di
1-3 aa dall’eradicazione del primo polipo diagnosticato, successivamente modulabile secondo le caratteristiche della
storia clinica del paziente stesso. Con
questo approccio si identificherebbero
precocemente le lesioni displasiche (direttamente proporzionale al n° di polipi
sviluppati), riducendo inoltre significativamente i rischi di diagnosi tardive di
degenerazione neoplastica.
<<<<Bibliografia >>>>
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Volume II - n. 3 SeTTemBRe 2010
Pediatric Gastroenterology Educational Article
a cura di
Salvatore Accomando
L’ematemesi in PS
Massimo Fontana1 e Giorgio Fava2
U.O. di Pediatria e Pronto Soccorso pediatrico, Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano
U.O. di Chirurgia Pediatrica, Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano
1
2
L’ematemesi (emissione di sangue dalla bocca proveniente dal canale alimentare) è un motivo relativamente comune
di accesso al Pronto Soccorso in età pediatrica. Nella grandissima maggioranza di casi si tratta di situazioni non urgenti.
Peraltro non va dimenticato che, tra le emorragie digestive, quelle “alte” (in genere pre-piloriche) comprendono le situazioni potenzialmente più pericolose per la sopravvivenza. La stabilizzazione del paziente critico è la priorità principale.
Questo testo è in larga parte basato sul Consensus Statement sul sanguinamento GI in età pediatrica (SIGENP/SIED/
SICP/IPPE, giugno 2005) al quale si rimanda per ogni approfondimento.
Flow chart Percorso diagnostico-terapeutico
Si tratta di sangue?
Il sangue proviene dal tratto Gl?
Box 1
NO
entità del sanguinamento
superiore a "tracce"?
rivalutazione a distanza considera osservazione
in OBI in generale, EGDS non necessaria
SÌ
stima del sanguinamento e valutazione del circolo
Box 2
ricerca delle cause del sanguinamento
Box 3
emergenza in atto?
SÌ
NO
stabilizzazione
posiziona SNG
Box 4
sanguinamento ancora in atto?
SÌ
NO
considera EGDS in urgenza
se non evidenziate cause mediche
inizia PPI (bolo 2mg/kg, poi 1mg/kg ogni 8-12h
Box 5
evidenziate cause mediche?
Box 5
NO
EGDS in urgenza
30
SIGENP NEWS
SÌ
terapia medica se possibile
Volume II - n. 3 SETTEMBRE 2010
Pediatric Gastroenterology Educational Article
a cura di
Salvatore Accomando
L’ematemesi in PS
Testatina apertura
rubrica
Massimo Fontana et al
Box 1 Cause del sanguinamento "falso" ed extra-digestivo
Cause di “falso” sanguinamento
Alimenti: spinaci, liquerizia
Farmaci: ferro, carbone, amoxicillina
Cause di sanguinamento extra-digestivo
Ragadi del capezzolo (lattante)
Epistassi
Recente avulsione dentaria
Lesione traumatica della lingua (es. paziente cerebroleso)
Adeno/tonsillectomia (ricorda: il sanguinamento può essere precoce, ma anche tardivo,
fino a 10-14 giorni dopo l’intervento, e può essere severo)
Box 2 Stima dell’entità del sanguinamento
Se è possibile una stima “ispettiva” della quantità di sangue vomitato (perchè si è assistito direttamente o
perchè vengono portati panni o indumenti sporchi di sangue), è prudente considerare potenzialmente grave
ogni sanguinamento superiore al volume di mezzo/un bicchiere
Valutare sempre l’aspetto del paziente. Nel lattante, valorizzare segni generali, quali letargia, difficoltà
ad alimentarsi, iporeattività
Ricordare che i valori di emoglobina e di ematocrito esprimono una concentrazione. In presenza di emorragia massiva possono rimanere normali o quasi per ore, finchè il richiamo di acqua dal fluido interstiziale non ne rivelerà la diminuzione
La tabella che segue consente una stima del sanguinamento e della gravità clinica basata sui parametri vitali
(Nota: oltre lo stadio 2 necessita la presenza del Rianimatore).
Perdita ematica (% del volume circolante)*
Stadio 1
Stadio 2
Stadio 3
Stadio 4
≤ 15
15-25
25-40
> 40
≤3
>3
>5
>5
Sensorio
normale
irritabile
letargico
non reattivo
Frequenza cardiaca
normale
aumentata
aumentata
+
Pressione al polso
normale
normale o
ridotta
ridotta
ridotta
Pressione sistolica
normale
normale
normale o
ridotta
ridotta
±
±
ridotta
ridotta
Refiling capillare (sec)
Diuresi
(*) tra 2 e 16 anni volume circolante = 70-80 mL/kg
Box 3 Ricerca delle cause di sanguinamento
Anamnesi
Esami ematochimici
Storia di incannulamento dei vasi ombelicali e/o di epatopatia (varici)
Emocromo
Attività protrombinica
Interventi ORL o odontoiatrici
TTP
Assunzione di FANS
Fibrinogeno
Ematemesi dopo ripetuti episodi di vomito chiaro (s. di Mallory Weiss)
Transaminasi/gammaGT
Indicatori di sintesi epatica
(albumina, pCHE)
Esame obiettivo
Ispezione del cavo orale
Cute (ittero, spider naevi, porpora di Shonlein-Henoch,
s. di Peutz-Jeghers, ecc)
Ricerca epatosplenomegalia
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Salvatore Accomando
L’ematemesi in PS
Massimo Fontana et al
Box 4 Stabilizzazione
Chiamare Rianimatore
Posizionare un accesso vascolare stabile e di buon diametro (se necessario, non esitare a posizionarne un secondo)
Bolo di fisiologica (o Ringer lattato): 20 mL/kg in 10 minuti
Emazie concentrate (se possibile, sangue intero): 5-10 mL/kg
Box 5 Indicazioni e timing dell’endoscopia
Scopi fondamentali dell’endoscopia nel paziente con ematemesi
Diagnosi della sede e della causa del sanguinamento
Studio della lesione e definizione del rischio (in genere, del rischio di risanguinamento)
Indicazione al trattamento più opportuno
Nel paziente pediatrico l’esame endoscopico può spesso essere procrastinato (rispetto al paziente adulto),
o addirittura evitato - in generale, può essere evitato o eseguito in elezione nei pazienti:
In condizioni di stabilità emodinamica
Senza segni di emorragia in atto
Senza anemizzazione
Con anamnesi suggestiva per emorragia auto-limitantesi (es. lesione di Mallory-Weiss)
L’endoscopia è comunque sempre indicata
nei pazienti con
Sanguinamento in atto
(lavaggio naso-gastrico positivo)
Emorragia grave con instabilità emodinamica
che richieda tecniche rianimatorie
Emoglobina inferiore di oltre 3 g/L
rispetto alla media per l’età
L’endoscopia deve essere eseguita quanto più precocemente possibile e preferibilmento entro le 12-24 ore
dall’esordio dell’evento
Andrà eseguita in emergenza
(dopo aver stabilizzato il paziente) nei pazienti con
Instabilità emodinamica
Shock ipovolemico
Coagulopatie
Sangue rosso vivo nel sondino naso-gastrico
Anamnesi positiva per pregressi sanguinamenti
digestivi a causa non determinata
o per sanguinamento occulto
o per anemia sideropenica
Sospetto (o anamnesi positiva) di presenza
di varici esofagee
<<<<Bibliografia >>>>
1. Arain Z, Rossi TM. Gastrointestinal bleeding in
children: an overview of conditions requiring
nonoperative management. Seminars in Pediatric
Surgery 1999;8:172-80.
2. Squires RH. Gastrointestinal bleeding. Pediatrics in
Review 1999;20:95-100.
3. Smith JA, Bruggen JT. A prospective, randomized,
controlled trial assessing the benefit of upper
endoscopy performed in hemodynamically stable
patients with acute upper gastrointestinal bleeding
within six hours of presentation to the emergency
department. Gastrointest Endosc 2001;53:AB214.
4. Mitchell SH, Schaefer DC, Dubagunta S. A new
view of occult and obscure gastrointestinal
bleeding. Am Fam Physician 2004;69:875-81.
5. Lee JG. Urgent endoscopy: does it matter if
they don't listen to us ? Gastrointest Endosc
2004;60:94-5.
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