Maestro di San Giovanni Evangelista
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Maestro di San Giovanni Evangelista
Maestro di San Giovanni Evangelista - San Giovanni Evangelista a Patmos, Resurrezione di Drusiana, Ultima Cena, Miracolo di San Giovanni Evangelista Autore: Maestro di San Giovanni Evangelista Materia e tecnica: Quattro tavole di quercia dipinte ad olio Dimensioni: Quattro tavole di quercia, ognuna cm 120 X 88 Collocazione: Genova, Galleria di Palazzo Bianco Scheda a cura di Carla Cavelli Traverso In buono stato di conservazione. Due inserti triangolari, in legno di noce, si trovano nell'angolo superiore destro dell'Ultima Cena e in quello superiore sinistro della Resurrezione di Drusiana. Nel retro di queste due tavole sono visibili alcuni tasselli a coda di rondine, rintracciabili anche nel retro delle altre due, sotto lo strato di vernice scura, che fa da sfondo alle raffigurazioni monocrome di San Marco e San Matteo (Tagliaferro 1991, pp. 16-17) Queste pitture furono rinvenute a seguito del restauro ricordato da Hoogewerff nell'articolo del 1937; in quell'occasione lo studioso affermò che gli altri due dipinti non avevano tracce di pittura sul retro, mentre queste sono ravvisabili e dovrebbero trattarsi degli altri due Evangelisti. Le aggiunte triangolari ed i versi dipinti inducono a pensare che siano gli sportelli laterali di uno smembrato e perduto polittico centinato (Torre 1979-80, p. 180; Levy 1981, pp. 71-90; Torre 1989, pp. 39-54). Le tavole sono conservate nella sede attuale dal 1892, allorquando passarono, tramite deposito governativo dall'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, alla Galleria di Palazzo Bianco. L'Accademia a sua volta le aveva acquisite nel 1861, assumendole dalla chiesa della SS. Annunziata del Vastato di Genova, in seguito alle requisizioni sancite dal Regio Decreto del 30 giugno 1861 (Belloni 1965, pp. 268-269). Nella chiesa le tavole si trovavano in sacrestia, come testimonia il più antico documento reperito, che risale al 1811 ed attesta come il 22 e 23 agosto di quell'anno fossero stati ritirati dalla sacrestia dell'Annunziata "quattro quadretti sopra tavole rappresentanti fatti della vita di San Giovanni Evangelista di scuola d'Olanda" e trasportati nel "locale di San Filippo per il Museo" (Tagliaferro 1986, pp. 66-69). Tale collocazione fu temporanea perché Alizeri nella Guida del 1846-47 ( pp. 52-53) menziona le quattro tavole di nuovo in sacrestia. Torre (1989, pp. 46-47) ha avanzato l'ipotesi che l'opera fosse in origine destinata ad un altare della chiesa genovese della SS.Annunziata di Portoria, nella quale i Minori Osservanti entrarono nel 1488, e solo successivamente, nel 1537, trasferita nella chiesa del Vastato e collocata sull'altare della cappella dell'Annunziata. Poco prima del 1685 fu trasferita in sacrestia a seguito della ristrutturazione di detta cappella, commissionata dalla famiglia Gentile nel 1678 a Carlo Solaro. Quest'ipotesi deriverebbe da una testimonianza fornita nel 1685 dal francescano Giovanni Domenico da Genova, guardiano del Vastato: "nella sacrestia sono quadri di buona mano. Dov'è ora la Nonziata vi era prima quella tavola antica di San Giovanni che hora è sopra la porta, che si portò (per quel che dicono) dalla Nonziata vecchia cioè di Portoria" (Belloni 1965, p. 42). Torre, pur con riserva poiché non è precisato se si parla del Battista o dell'Evangelista, pensa che questa citazione possa riguardare l'ipotizzato polittico o anche solo la pala centrale ed immagina che lo smembramento del polittico sia avvenuto o nel 1537, all'epoca del trasferimento dalla SS. Annunziata di Portoria al Vastato, o nel 1678, quando l'opera verosimilmente passò dalla cappella dell'Annunziata alla sacrestia della chiesa del Vastato. Lo studioso avanza l'ipotesi che il committente del polittico possa ricercarsi in un membro della famiglia Lomellini, famiglia che sempre ebbe un rapporto privilegiato con i Minori Osservanti di Genova e che, tra l'altro, si fece promotrice negli stessi anni di prestigiose committenze artistiche. Ricorda al proposito il trittico con l'Annunciazione tra San Giovanni Battista e San Gerolamo nello studio, dipinto da Jan van Eyck per Giovanni Battista Lomellini e l'opera di Filippino Lippi, San Sebastiano fra i santi Giovanni Battista e Francesco, giunta a Genova tramite Baldassarre Lomellini. Boccardo (1988, pp. 101,104) ipotizza che il "retablo de un pontifice, S. Gregorio, que està celebrando misa, con muchas figuras y marco dorado, de mano de Alberto Duro", citato nell'inventario della quadreria di Juan Alonso Enriquez de Cabrera, "Almirante de Castilla", redatto alla sua morte nel 1647, possa ricordare il polittico di San Giovanni Evangelista, smembrato tra la Galleria di Palazzo Bianco e la collezione Peloso di Novi Ligure. A sostegno di quanto ipotizzato lo studioso ricorda che per parte del polittico è stata documentata la provenienza della chiesa della Santissima Annunziata del Vastato, dove la famiglia Balbi aveva la cappella gentilizia e proprio nella collezione di Francesco Maria Balbi (1619-1704), pervennero alcune opere citate nell'inventario spagnolo. Wauters (1905, p. 15) fu il primo a proporre per le tavole di Palazzo Bianco, allora assegnate genericamente a scuola tedesca (Jacobsen 1896, p. 110) o francese (Suida 1906, p. 86), l'attribuzione fiamminga a Dieric Bouts. Tale ipotesi, accolta da Grosso (1909, p. 27; 1912, pp. 20-22), fu messa in discussione prima da Winkler (1924, p. 213), che avanzava il nome di Goswin van der Weyden adducendo come confronto la rogeriana Madonna di Lille, e poi da Friedländer (1927-28, pp. 275-278). Questi ascriveva senz'altro le quattro tavole alla scuola olandese, coniando per il loro anonimo autore l'appellativo di Maestro di San Giovanni Evangelista, e collocando quest'artista nell'ultimo scorcio del sec. XV, in ambiente vicino al Maestro di Francoforte, col quale avrebbe condiviso il colore caldo e scuro ed il tratto un pò rude. Al medesimo pittore Friedländer attribuiva, su base stilistica, l'Annunciazione e Santi (Milano, Museo Poldi Pezzoli), le due tavole con la Natività e la Presentazione al Tempio (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini) e quella indicata genericamente come Celebrazione di un santo vescovo (Novi Ligure, collezione Peloso). Per i quadri di Palazzo Bianco, ipotizzava l'esistenza d'altre tavole con ulteriori episodi della vita di San Giovanni Evangelista. Grosso (1931, p. 126), abbandonata l'attribuzione a Bouts, preferì ascriverli ad un generico Maestro neerlandese della fine del XV secolo. Ancora Friedländer (XIV, 1937, pp. 105106) attribuì al Maestro di San Giovanni Evangelista altre opere: due tavole con Santi, non meglio indicati, allora nella collezione del musicologo Max Friedländer a Berlino, ed una Crocifissione venduta nella stessa città nel 1934. Hoogewerff (1937, pp. 432-443), che per primo poté vedere i due monocromi dei retri, seguì la ricostruzione ipotizzata da Friedländer, proponendo di identificare l'anonimo autore dei dipinti genovesi con Jan Joest, cui si deve un'importante opera nella chiesa di S. Nicola a Kalkar in Olanda. Con l'attribuzione all'omonimo Maestro proposta da Friedländer, le quattro tavole furono esposte alla mostra della pittura fiamminga ed olandese, svoltasi a Firenze nel 1947 (Mostra 1948, pp. 29-30) e Morassi (1951, p. 72), in uno studio sul Trittico di San Lorenzo della Costa, attribuì allo stesso artista la tavola della collezione Peloso compresa nell'elenco delle opere attribuite da Friedländer al Maestro di San Giovanni Evangelista. Torre (1979-80, pp. 176-189), sconfessando l'ipotesi di Morassi, ricolloca la tavola Peloso nel novero delle opere attribuite al maestro, considerandola la più vicina ed affine alle quattro tavole di Palazzo Bianco. Levy (1981, pp. 71-90) conferma a questa ipotesi, considerando la tavola di Novi la pala centrale dell'ipotizzato polittico con Storie di San Giovanni Evangelista e colloca in alto a sinistra la Resurrezione di Drusiana con sotto il Miracolo della coppa avvelenata, in alto a destra l'Ultima Cena con sotto San Giovanni Evangelista a Patmos. Questa opera poteva comprendere in origine qualche altro pannello come, ad esempio le due tavole con Santi viste da Friedländer nel 1937 e poi disperse. Torre (1987, pp. 39-54), che addiviene alla stessa conclusione, propone però una diversa ricostruzione, che tenga conto degli inserti trapezoidali e dell'ordine del racconto agiografico. Colloca l'Ultima Cena in alto a sinistra e la Resurrezione di Drusiana in alto a destra, San Giovanni a Patmos sotto l'Ultima Cena, primo episodio del ciclo, poi la Resurrezione di Drusiana cui segue l'ultimo riquadro con il Miracolo della coppa avvelenata. Lo studioso non giudica strettamente necessario per la completezza del polittico ricercare altri elementi, che non si possono ovviamente escludere, ad esempio, per la predella. Come Messa di San Gregorio era stata indicata da Hoogewerff (Vlaansche Kunst en Italiansche Renaissance, Melchelen-Amsterdam, s.d. 1934, p. 99) la pala della collezione Peloso a Novi Ligure, probabile ancona centrale dell'ipotizzato polittico. Collobi Ragghianti (1990, pp. 86-87) erroneamente considera le quattro tavole di Palazzo Bianco provenienti dalla chiesa della SS. Annunziata di Varazze confondendo probabilmente Varazze con Vastato. I riferimenti all'arte di Dieric Bouts, in particolare all'Altare del Sacramento (1466-68; Lovanio, chiesa di San Pietro) e al San Giovanni a Patmos di Rotterdam, sono individuati dalla studiosa nelle varie ripetizioni fisionomiche e nell'adeguamento alle severe regole strutturali con attenzione marcata alle direzioni compositive di preferenza verticali. Per questo arriva ad identificare il Maestro di San Giovanni Evangelista con il figlio maggiore di Dieric, non ancora individuato nel suo linguaggio figurativo, anche se tale ipotesi non giustifica la provenienza italiana delle maggiori opere attribuite a questo ignoto artista. La studiosa ascrive a questo maestro le tavole di Genova e di Milano, mentre nella pala di Novi e nelle due tavolette di Roma ritrova un'esperienza diretta dell'arte di Quentin Massys, che manca nei dipinti di Palazzo Bianco. Algeri (1997, pp. 52-53, 57), fissando la probabile data d'esecuzione ai primi anni dell'ultimo decennio del Cinquecento, inserisce l'autore nell'ambito di Dieric Bouts, dal quale trae tipologie fisionomiche e schemi compositivi, con l'introduzione di una vena narrativa ed una carica espressiva del tutto personali. I quattro episodi raffigurati sono tra i più usuali nella tradizione figurativa che ha per soggetto San Giovanni Evangelista, sempre riconoscibile dalla veste rossa e dal manto bianco. Nell'Ultima Cena il Santo è raffigurato in posizione privilegiata al fianco di Cristo, chino sul suo petto quasi prostrato sul tavolo, mentre partecipa con gli altri Apostoli al banchetto, in cui è imbandito il tradizionale agnello del sacrificio pasquale ebraico. Giuda, cui Cristo tende il boccone di pane accusatore, è riconoscibile dalla borsa con i trenta denari nascosta dietro le spalle, dall'assenza del nimbo e dalla veste gialla, il cui colore nel medioevo indicava i traditori (cfr. G.Cairo, Dizionario ragionato dei simboli, Signs and Symbols in Christian Art, New York, 1954, p. 275). La scena di San Giovanni a Patmos si svolge, com'è tradizione, su un'isola minuscola tutta erbe e fiori, dove il Santo trova appena il posto per sedersi, circondata da ogni parte dal mare di un blu intenso. All'orizzonte si stagliano montagne rocciose ed una città, mentre sulla riva si distinguono coralli rossi, animali marini, alberi ed arbusti. L'Evangelista, spirato da un angelo che sembra condurgli la mano, sta scrivendo l'Apocalisse. Dopo l'esilio in quest'isola, voluto dall'imperatore Domiziano, il Santo poté tornare ad Efeso; entrando in città egli incrociò il corteo funebre di una donna di nome Drusiana, che fece resuscitare. La donna, pallida e con lunghi capelli in disordine, avvolta in un sudario bianco, seduta nella cassa sepolcrale scoperchiata, posta dinanzi all'ingresso di un'abbazia gotica. Alle spalle i becchini sono inginocchiati a pregare insieme con altri pleurants, secondo l'iconografia dei cortei funebri in Borgogna e nella Francia settentrionale durante il Medioevo. Di poco successivo è il Miracolo della coppa avvelenata, che Aristodemo, sommo sacerdote del tempio di Diana ad Efeso, fece bere a San Giovanni come testimonianza della sua fede in Dio. Il Santo, fatto su di essa il segno della croce, bevve il contenuto senza patire alcun danno, perché aveva esorcizzato il veleno, raffigurato nella tavola con le sembianze di tre piccoli draghi alati. Nella tavola compaiono ai piedi dell'Evangelista i corpi dei due malfattori, che avendo bevuto dalla stessa coppa, erano morti e che il santo poi resuscitò. Aristodemo, riconoscibile nel gruppo di figure alla destra di San Giovanni, indossa splendidi abiti, quasi da sovrano, arricchiti da perle, pelliccia di ermellino, pietre dure ed oro; dal suo ricco copricapo, simile ad una corona, scende una striscia di stoffa rossa con scritta in lettere dorate. Una sigla, A.N., ricamata sull'orlo della veste gialla, era ritenuta da Grosso (1912, p. 21) un possibile monogramma dell'autore. Nel verso di San Giovanni a Patmos e in quello del Miracolo della coppa avvelenata, sono dipinti su fondo scuro San Matteo con l'angelo e San Marco con il leone alato. Sembrano gruppi statuari poggianti su un piedistallo, a sua volta sorretto da un capitello gotico. Tracce di figurazioni si individuano anche negli altri due versi, probabilmente gli altri due Evangelisti con i loro simboli; in quello dell'Ultima Cena si intravede la sagoma del bove alato di San Luca. Come avevano già evidenziato Torre e Levy le quattro tavole di Palazzo Bianco, dipinte su entrambi i lati, dovevano costituire le ante girevoli di un polittico che a sportelli chiusi presentava la raffigurazione a monocromo dei quattro Evangelisti, mentre aperto trattava varie vicende della vita di San Giovanni Evangelista. L'Ultima Cena e la Resurrezione di Drusiana, quali sportelli superiori, combaciavano con il profilo centinato della pala centrale ed erano posti rispettivamente a destra e a sinistra secondo le corrispondenti inserzioni triangolari. Gli stessi studiosi hanno riconosciuto come pala centrale la tavola di Novi Ligure che, secondo la loro nuova interpretazione iconografica, raffigurerebbe l'Ultima predica di San Giovanni Evangelista (Levy 1981, pp. 71-90; Torre 1987, pp. 41-45). Le cinque tavole sono state realizzate con lo stesso tipo di legno, le dimensioni possono dirsi abbastanza corrispondenti, tenendo conto della presenza della cornice. Già Friedländer aveva considerato la tavola di Novi opera dello stesso autore delle Storie di San Giovanni Evangelista di Palazzo Bianco. Identici sono la resa particolare delle vesti e dei gioielli minutamente descritti, il chiaroscuro dei volti e in generale la loro tipologia, il modo di rendere l'arte statuaria.