Patty e Leo - Fabbri Editori

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Patty e Leo - Fabbri Editori
3 Esperienze di vita – Storie di adolescenti
Guglielmo Zucconi
Patty e Leo
Patty e Leo camminano lungo il viale, come due persone qualsiasi, come semplici compagni di scuola, ma non è così. Leo ama
Patty di un amore delicato, fatto di sguardi e sensazioni tenere,
come è spesso quello tra adolescenti, e per lei è disposto a fare
qualsiasi cosa. Patty però, almeno apparentemente, manifesta
reazioni diverse rispetto a questo sentimento.
1. oscuri: sconosciuti,
privi di notorietà.
2. captato: colto, ascol-
tato.
Patty e Leo camminano lungo il viale, come due persone qualsiasi,
come due compagni di scuola, per esempio. Che c’è di male per un
ragazzo e una ragazza camminare insieme? Ma a Leo pare che tutti
i passanti possano leggergli negli occhi il suo amore per Patty. Un
amore, a lui sembra, unico e sfolgorante, superiore a tutti quelli che
nei secoli passati hanno unito uomini oscuri1 a donne qualsiasi o
personaggi famosi, come Giulietta e Romeo, o anche Dante e Beatrice. Per questo vorrebbe girare al largo, verso i prati, sia pure cosparsi di rifiuti, o lungo la ferrovia, tra le catapecchie dei barboni:
teme di incontrare qualcuno di casa sua, zia Eleonora più di tutti, la
quale deve aver captato2 qualche telefonata a Patty, e accenna a certe stupide ragazzine che civettano prima del tempo con adolescenti
che devono studiare.
«No, non di qui», dice timidamente a Patty quando questa accenna
a svoltare per viale Risorgimento, cioè a due passi dal loro palazzo.
«Perché?» chiede Patty svoltando definitivamente per viale Risorgimento.
«Ma così, perché… perché se ci vedono…»
«Se ci vedono? Avanti, finisci la frase.»
«C’è poco da finire. Se ci vedono, sono grane.»
«Perché?»
«Ma come perché? Dai, non fare la scema!»
«Prego, Leonzio, lo scemo sarai tu.»
«Dammi dello scemo, ma non chiamarmi Leonzio. Mi chiamo Leo.»
«Leo è banale, Leonzio è carezzevole.»
«Ah sì?» chiede Leo con negli occhi una improvvisa luce da cane festoso. «Trovi?»
«Trovo.»
«Leon… zio… Leonzio…» prova. «Forse hai ragione: quello “zio”
finale ha un suono dolce. Ma solo se lo dici tu. Prova.»
«Dopo.»
«No, adesso. Dai, chiamami Leonzio.»
«Leo.»
«Dispettosa. Allora non mi vuoi bene.»
«Non ho mai detto di volertene.»
Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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fetto.
«Allora perché mi telefoni?»
«Così, mi diverte.»
«Allora, se potessimo, non mi sposeresti?»
«Leonzio», cantilena Patty, «lo sai che non credo nel matrimonio…»
«E… e nell’amore ci credi?»
«Dipende. L’amore è riservato ad esseri eccezionali.»
«E noi lo siamo?»
«No, non direi. Tu soprattutto. Sei un piccolo borghese limitato. Tu
al massimo puoi trovare una donna che ti aiuti a diventare te stesso.
Una donna che ti stimi non per quello che sei, ma per quello che potresti diventare…»
«Io non capisco», borbotta Leo avvilito, «come abbiano potuto rimandarti a ottobre in italiano, con una parlantina così…»
«Oh santo cielo», strilla Patty, «mio padre!»
«Dove?»
«Laggiù, al caffè.»
«Te l’avevo detto io… Ma dov’è?… È con mio padre! Scappiamo!»
«Non fare il bambino, fai l’indifferente. Possono averci notati. Camminiamo, e tu parla disinvoltamente.»
«Ma cosa dico?»
«Quello che vuoi, parla che si capisca che parliamo di scuola…»
«Ancor dal monte che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti…» comincia Leo con grandi gesti.
«D’Annunzio va bene, ma senza gesti.»
«No, è Carducci…»
Sono ormai giunti a pochi passi dal tavolino attorno al quale i due
genitori discutono con evidente calore. Patty afferra la parola «condominio» e fulmineamente traccia il suo piano.
«Ciao, papà», dice con voce di brava bambina.
«Ao», mugugna Leo.
«To’, mia figlia! Ma che fai qui?», chiede il dottor Remondino. «E
quel giovanotto chi è?»
«Ma è mio figlio!» esclama il signor Maggi con occhio perplesso.
«Appunto», dice Patty al padre: «tu ieri non mi avevi detto di cercare il signor Maggi per parlargli del condominio?»
«Io?»
«Sì», mente Patty spudoratamente, ben sapendo che suo padre, in
fatto di memoria, ha la coda di paglia3, come dice sempre sua madre. «Mi hai detto: “Io non riesco a telefonare al signor Maggi perché ha sempre il telefono occupato…”»
«Vero, verissimo!» interrompe il padre di Leo.
«“… e quindi vai tu a dirgli che vorrei parlargli.” Non ti ricordi?»
«Ma, può darsi…» ammette il dottor Remondino.
«E infatti è venuta» mente a sua volta Leo entrando nel gioco: «ma
tu, papà, non c’eri. E così siamo venuti a cercarvi.»
«Bravi ragazzi», esclama il dottor Remondino: «una volta tanto ne
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4. millegusti: che può
significare mille cose.
5. speaker: termine in-
glese che significa «annunciatore», in questo
caso televisivo.
fate una giusta. Ma io e il signor Maggi ci eravamo già incontrati, per
caso… Sedetevi, siedi giovanotto, e parlate di scuola… La mia», precisa poi rivolto al padre di Leo, «è andata a ottobre in italiano.»
«E il mio in greco e in matematica», risponde il signor Roberto Maggi con un sorriso feroce.
I due ragazzi si siedono compunti e silenziosi. I due genitori continuano il loro complicato discorso sulla imminente riunione congiunta del condominio di Via Marconi 18/A e 18/B e sul modo di
sventare le trame del condomino ragionier Barlondo che vuole vendere il cornicione della casa alla pubblicità luminosa di una ditta di
acque gasate.
Passano trenta secondi e Patty dice: «Uffa, papà, la mamma può stare in pena, io andrei».
«Anch’io», aggiunge Leo.
«Va bene, va bene, andate», risponde il dottor Remondino.
«Non perderti per la strada», ammonisce il signor Roberto, scoccando una occhiata millegusti4 al figlio.
I due ragazzi se ne vanno e per un po’ camminano in silenzio.
«Che idiozia!» dice Patty.
«Cosa?»
«Le preoccupazioni dei nostri genitori… A te importa qualcosa se
mettono una scritta sul tetto della casa?»
«Anzi, può essere divertente…» risponde Leo.
«Sai che cosa penso, Leonzio?»
«No, dimmi, Patty.»
«Che noi siamo meno limitati.»
«Anch’io?»
«Anche tu, Leo. Ed è per questo che un giorno forse…»
«Un giorno cosa? Perché dici le cose a metà? Patty, un giorno cosa?»
Ma Patty ha già detto troppo e cambia discorso. «Dove vai quest’estate?»
«Al mare. E tu?»
«Anch’io, credo. O forse in Spagna… non so ancora…»
Il signor Roberto si è addirittura portato da casa il televisore, e l’ha
installato nella propria camera della pensione «Orchidea» per poter
seguire in pace e lontano dalla marmaglia degli altri pensionanti aggrappolati attorno all’apparecchio comune, tutto il campionato del
mondo. Viceversa, il pomeriggio dell’incontro che deciderà se gli
«azzurri» entreranno o no nelle semifinali, mentre il padre sta disponendo le poltrone, il ventilatore, la birra, in attesa del «gentili
ascoltatori» dello speaker 5, il figlio annuncia: «Io vado a fare un bagno…»
«A fare un bagno? Ma ti rendi conto che oggi c’è la partita…»
«Non mi interessa…»
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«Non ti interessa? Ma se vai matto per il calcio! Leo, sei impazzito?»
«No, sono impazziti tutti quelli che smaniano per queste specie di
risse televisive… Ma è calcio, quello?»
«Un momento, giovanotto. Una cosa è il campionato italiano, una
cosa è il campionato del mondo, caro Leonzio!»
A sentirsi chiamare Leonzio (così dolce sulla bocca di Patty, ma così irritante su quella di suo padre), Leo si incattivisce e risponde con
freddo calcolo: «Io spero che vincano gli altri…»
«Allora vai nella tua camera e studia, somaro!»
«Con questo caldo…» mormora la signora Maria.
«I bagni gli fanno bene per il raffreddore…» aggiunge debolmente
la zia.
«A studiare!» ripete il padre, rovesciando il capo all’indietro.
Leonzio non dice nulla e svicola verso la stanza che divide con zia
Eleonora.
La zia lo raggiunge subito. «Abbi pazienza, bambino, che poi ci vado io di là e vedrai che il papà ti lascerà uscire… Ma cosa fai, piangi mica, per caso?»
Le spalle di Leo sono infatti scosse da un leggero tremito. Ma non è
pianto, il contrario. Si volta raggiante, abbraccia la zia, la solleva facendola gridare per lo spavento e il giramento di testa e la ripone delicatamente sul pavimento. Non per un riguardo alla sua fragilità,
ma perché gli pare in quel momento di udire il boato dello stadio.
«Ci siamo!» grida quando è sicuro che la partita sia cominciata.
«Ciao, zia!»
«Ma Leo, tuo padre…»
«Papà è allo stadio. Per un’ora e mezzo non si muove… Ciao, zia!»
Leo scende a valanga le scale, rischia di travolgere la signora svizzera che sale lentamente rimproverando come al solito con gutturali
accenti i suoi due gemelli lacrimosi, e balza sul sellino posteriore della motoretta di Fausto. Costui, appena conosciuto, già si dimostra
straordinariamente amico, generoso, camerata, sempre pronto a dividere con Leo motoretta, giradischi e soldi, uno di quei ragazzi che
i coetanei invidiano perché non si sa bene dove abbiano la madre,
non si sa bene dove sia e che faccia il padre, non hanno mai orari né
per uscire né per rientrare, sono pieni di quattrini e, dicono loro, di
ragazze. E se, come accade, vengono bocciati, non sentono né rimorsi né rimproveri.
Fausto spinge la motoretta al massimo lungo la litoranea fortunatamente deserta: infatti ogni essere ragionevole, escluse forse le monache di clausura, è in quel momento davanti al televisore.
Due chilometri, cinque chilometri. Dai, corri Fausto, che abbiamo
solo un’ora e mezzo. Eh, va be’, più di così! Otto chilometri, nove,
dieci, ecco il felice paese dove vive e respira Patty: la congiura dei due
ragazzi per far convergere le rispettive famiglie verso la stessa località
di villeggiatura è rimasta interrotta da dieci chilometri di arenile.
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Leo dice: «Frena, scendo qui».
«Ma l’appuntamento non è in piazza?»
«Sì, ma preferisco così. Tra un’ora qui, mi raccomando, non farmi il
bidone.»
Leo è lontano, corre, poi rallenta. Se Patty è già là, non vuole che lo
veda così smanioso. Con le donne meglio fare i duri. E Patty è già là,
seduta su una panchina, aspetta volgendo le spalle al punto da dove
presume che sbucherà Leo. Una capriola del cuore avverte Leo dell’avvistamento: la riconosce dai capelli lievi, dal color pesca dell’esile collo. «Ciao, Patty», le respira sulla nuca.
«Ciao», risponde Patty quietamente. «Siediti, non soffiarmi nelle
orecchie.»
«Dove andiamo?» chiede Leo.
«Restiamo qui.»
«Ma perché? (la sua solita smania di stare in mezzo alla folla!) La
spiaggia è deserta, io ho un’ora…»
«Io solo mezz’ora. Preferisco restare qui. Qui, se anche ci vedono è
normale.»
«Ma chi? Tuo padre dov’è?»
«Sta sbavando davanti alla TV!»
«Anche il mio!» ride Leo.
«Sono peggio dei bambini.»
«Un momento: perché dici che hai mezz’ora di tempo? La partita
dura fino alle 6!»
«Già, ma i calciatori hanno la cattiva abitudine di riposarsi a metà.
In quel quarto d’ora mio padre potrebbe andare a vedere se sto studiando.»
«Perdinci, anche il mio!» Leo rimane folgorato da quell’eventualità
che non aveva previsto. Al diavolo, qui c’è Patty, il resto non conta.
«Patty, mi vuoi ancora bene?»
«Ti metti a fare il bambino anche tu?»
Patty si appoggia allo schienale e posa una mano sul sedile, vicinissima a Leo. Movimento casuale o invito? Leo ci prova: vi depone sopra la sua. La piccola mano di Patty accenna a un debole movimento e poi rimane inerte.
Leo la stringe forte («Mi ama!» esulta tra sé) e Patty si comporta come se la sua piccola mano fosse di legno o di un’altra.
«Patty, dimmi che mi vuoi bene… basta che tu dica di sì. Di’ solo
sì… Oppure chiamami Leonzio.»
«Parliamo di cose serie. Mercoledì sera forse mia madre mi porta alla “Sirena Azzurra”. Potresti venire anche tu…»
«Alla “Sirena Azzurra”? Ma si paga tremila lire a cranio!»
«I prezzi non li faccio io…»
«Sì, d’accordo. Però se io riesco a venire, posso fermarmi sì e no
mezz’ora… Tre sacchi per mezz’ora… È poi sicuro che tu ci sei?»
«Forse. Ciao, Leonzio.»
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6. intangibile: intoc-
cabile.
«Ciao!… Ma dove corri, aspetta…»
«Devo andare…»
«Ti accompagno…»
«Non muoverti, non seguirmi, fai finta di niente.»
Leo resta inebetito a sedere e la contempla allontanarsi, eretta e intangibile6, col suo passo felice. «Voltati tesoro», implora col pensiero. «Macché!» «Voltati scema!» ordina. «Macché.» Allora mena un
cazzotto sulla panchina e pensa che le donne sono un bel mistero.
(da Cara famiglia, Fabbri Editori, Milano, rid.)
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