Introduzione - Affari Italiani

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Introduzione - Affari Italiani
Introduzione
Il Milan ha appena concluso una partita di campionato, a Genova, contro la Sampdoria. È una partita di fine
novembre, con la nuova squadra di Zlatan Ibrahimovic
reduce da un positivo impegno di pochi giorni prima sul
campo dell’Auxerre, dove ha ottenuto la qualificazione al
turno successivo di Champions League. Questa partita,
Sampdoria-Milan, si gioca alle 18 del sabato e finisce 1-1. Il
Milan va in vantaggio con Robinho, su assist, naturalmente,
di Ibra. Nel secondo tempo la squadra genovese pareggia
e nonostante il furente assalto finale rossonero con tre clamorose occasioni da gol, la gara finisce in parità. I giocatori
vivono il post-partita, le dichiarazioni di rito, le dirette con
le tv, poi salgono sul pullman e fanno ritorno nelle proprie
abitazioni attorno alle 23. È mezzanotte quando sui telefonini di alcuni calciatori rossoneri, soprattutto i «senatori»
italiani della rosa, compaiono gli sms di Zlatan: «Non è
possibile aver pareggiato questa partita», «Devo giocare
meglio», «Dobbiamo fare di più». Questo è lo Zlatan Ibrahimovic 2010-11, un atleta che non fa lo spaccone quando
annuncia al centro di uno stadio adorante: «Quest’anno
vinciamo tutto». Al contrario quella frase è il grande outing
di Ibra, segnala al mondo il suo vizio, la sua fame, la sua
ossessione: la vittoria.
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Se un grande campione come Ronaldinho, al termine
della prima fase della stagione, ha lasciato il Milan per accordarsi con il Flamengo, in un clima comunque amichevole
e lasciando tutto sommato un buon ricordo, è anche per
episodi come questo. Perché chi dirige un club, alla fine,
alla resa dei conti, non può non notarle certe differenze.
Perché c’è differenza, tra una mezzanotte e l’altra. C’è chi
la mezzanotte la festeggia fuori casa e chi la vive tempestando il cellulare dei compagni perché odia il pareggio. Ecco
perché non importa come andrà a finire. Non importa se il
Milan, campione d’inverno con 40 punti alla fine del girone
d’andata, vincerà o non vincerà lo scudetto. E nemmeno
quanti gol segnerà alla fine lo svedese, dopo le 11 reti (e i
9 assist decisivi) messi a segno fino a metà gennaio con la
maglia rossonera, compresa la meraviglia di Lecce che ha
indotto i tifosi rossoneri a paragonare la sua prodezza al gol
di Van Basten contro l’Urss nella finale dell’Europeo 1988
e al gol segnato da Shevchenko a Buffon, con la palla sotto
l’incrocio, nel dicembre 2001 a San Siro.
Da segnalare, e non si può farne a meno, la conclusione
del girone d’andata del campionato italiano percorsa da
un’immagine emblematica: Ibra ha appena pareggiato al
minuto 93 – mancano 1 minuto e 30 secondi al termine
del recupero – la partita con l’Udinese. Il suo è stato il gol
del 4-4, è già importante, una grazia ricevuta, eppure lui
segna senza esultare e corre in rete per mettere il prima
possibile il pallone a centrocampo e ricominciare subito
a provare a segnare la quinta rete, impresa che in effetti
il Milan ha sfiorato nei pochi attimi ormai a disposizione.
Grandi prove, fra le quali anche lo splendido gol al Cesena,
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da posizione angolatissima, quando con un gran tiro Ibra
pone fine al 93' alle dure sofferenze di una partita giocata su
un campo infame, quello di San Siro, che aveva determinato
gli infortuni di Rino Gattuso nel riscaldamento e di Sandro
Nesta nei primi venti minuti di gioco. Ecco perché l’unica
cosa che conta è che ci sia: con lui te la puoi giocare con
chiunque, sempre. Zlatan Ibrahimovic al Milan. Poterlo
vedere a Milanello, poter raccontare le sue trasferte nella
Nazionale svedese, poterlo nominare nelle telecronache. E i
polmoni si riempiono. È calcio, ma non solo. Perché quello
che fece trascorrere, tra il 9 e il 10 agosto 2006, una notte
insonne ai sette milioni di tifosi del Milan, non era calcio.
In sette milioni avevano sperato che, nelle rassegne stampa
notturne dei Tg, la striscia azzurra al fianco di quella nera
della nuova maglia di Ibrahimovic fosse solo una clamorosa
indiscrezione di mercato. Vedrai che quella striscia domani
sarà rossa. L’ultima stella della costellazione di Marco Van
Basten non può andare a giocare «di là». Deve giocare di
qua, a casa sua. Ibra all’Inter fu invece, dolorosamente,
amaramente, l’ultimo colpo di accetta alla quercia della
passione rossonera dell’estate 2006. Indebolita da due scudetti svaniti sul campo di gara del campionato italiano e
vinti all’epoca dalla formazione che in Europa arrivava regolarmente dietro al Milan; infiacchita dalle macchinazioni
e dalle sentenze di un’estate costruita sul nulla; indignata
dalle parole dell’Uefa rivolte al Milan che la stessa Unione
europea del calcio avrebbe un anno dopo convertito in elogi
al termine della semifinale con il Manchester United e della
finale con il Liverpool in Champions League. La squadra
rossonera doveva subire anche il sorpasso, sul filo di lana,
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dell’Inter relativamente a un giocatore che apparteneva
indiscutibilmente, per tecnica e storia, al dna rossonero.
Una ferita che arrivava direttamente alla carne viva. Non
c’era niente di superficiale quell’estate per il Milanista.
Istanbul con il tre a zero, con il tre a tre e con i miracoli di
Dudek? Una passeggiata, rispetto agli agguati e alle trappole
dell’estate 2006. Quale altro popolo sportivo, quale altra
società si sarebbe rialzata dopo tre colpi al mento di quella
portata? Istanbul, Calciopoli, Ibra…
Cicatrici profonde che, una dopo l’altra, sono state guarite. Il destino, due anni dopo Istanbul, propone al Milan
la stessa partita, finale di Champions League, e lo stesso
avversario, il Liverpool. Con un risultato già scritto, perché
gli dei del pallone avevano visto un meraviglioso Milan
perdere allo stadio Atatürk e avevano pertanto deciso che
anche un Milan normale e poco spettacolare dovesse vincere allo stadio OAKA «Spyros Louis».
Calciopoli? Il Milan se ne è fatto una ragione, ed è uscito dalla vicenda con lo stesso albo d’oro di prima, senza
scudetti di cartone. Quando è stato necessario, ha pagato,
senza scorciatoie.
Restava infine lui, il mito che fa gol e che guarda a occhi sbarrati e braccia simmetriche lo stadio. Restava Zlatan Ibrahimovic. Libero dallo scafandro nerazzurro, ma a
Barcellona. Ancora nell’agosto 2009, nel derby di Milano,
tifava, pur da giocatore blaugrana, per l’Inter e si chiedeva
che fine avesse fatto il Milan dopo il doloroso 0-4 a favore
dei nerazzurri. Ostico e irraggiungibile, insomma. Ma nel
calcio mai dire mai. E fra il 25 e il 28 agosto 2010 il Milan
progetta e porta a termine la Mission to Ibra. Una grande
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emozione di quel campionato che fa storia a sé, che non
porta trofei ma brividi: il calciomercato. Adesso Ibra c’è
e se hai l’amaro in bocca per un gol subito, puoi cercarlo
sul campo e sperare di rimontare con lui. Il protagonista di
quella notte da incubo non è più un sogno, va ogni giorno
ad allenarsi a Milanello.
Il 9 agosto 2006 è lontano. Il futuro rossonero, è con
Zlatan Ibrahimovic.
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