I Curdi - Gerico TV

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I Curdi
Storia di un popolo dimenticato
CHI SONO I CURDI
Per capire chi sono i Curdi è imprescindibile far riferimento al loro contesto geografico,
profondamente radicato e intrecciato con la loro complessa storia. La regione storica dei Curdi è il
Kurdistan (letteralmente “terra dei Curdi”), un territorio prevalentemente montuoso, vasto una volta
e mezzo l’Italia e diviso tra la Turchia, l’Iran, l’Iraq e la Siria.
I Curdi sono un’antica popolazione di origine indoeuropea il cui territorio geografico non è mai
arrivato a formare uno Stato indipendente. Da circa un secolo combattono per ottenere
un’autonomia che nessun governo vuole riconoscergli, temendo la formazione di uno Stato
autonomo curdo al centro del Medio Oriente. Nessuno dei paesi coinvolti, infatti, è disposto a
cedere aree più o meno ampie dei propri territori a favore del popolo curdo, privandosi delle materie
prime di cui queste terre sono ricche, prima fra tutte il petrolio. La loro è una storia fatta di esodi,
persecuzioni, torture e guerre.
La consistenza numerica curda è di difficile valutazione per la mancanza di dati ufficiali
sufficientemente attendibili. La cifra oscilla tra i 20 e i 30 milioni di persone. Costituiscono il 20%
della popolazione in Iraq e Turchia e quasi il 10% in Iran e Siria. Per tale motivo è bene
relativizzare l’espressione “minoranza etnica” con cui i Curdi vengono spesso descritti, se si pensa,
ad esempio, che lo Stato di Palestina conta circa 4 milioni di abitanti. “Minori”, dunque, per i diritti
che non gli vengono riconosciuti dalle potenze che li circondano e sovrastano, ma non per la loro
quantità numerica.
STORIA DI UN POPOLO SENZA STATO
Chiara Santoriello – www.gericotv.it – storia dei Curdi, popolo dimenticato
Non è facile ricostruire in poche righe la storia curda, una storia densa e intricata, divisa tra quattro
diversi Stati con altrettante storie diversificate e complesse, a loro volta influenzate da questioni di
natura culturale, religiosa ed economica. Nel districarsi in questa breve ricostruzione della questione
curda, fra gli innumerevoli eventi che si potrebbero menzionare, ci limiteremo a ricordare alcune
date che hanno segnato in modo incisivo la storia del popolo curdo.
L’origine dei Curdi è antichissima: da 4000 anni abitano questa regione geograficamente compatta,
dal carattere aspro e impervio. Essi sono i “Medi” citati dalla Bibbia, da Erodoto o dai geografi
greci. Anticamente zoroastriani, furono islamizzati a forza nel corso del VII secolo d.C., quando la
loro regione venne conquistata dagli Arabi. Oggi la loro religione dominante è quella musulmana di
rito sunnita.
Nel XVI secolo la maggior parte del Kurdistan fu inglobata all’interno dell’Impero ottomano,
mentre una parte venne conquistata dalla Persia. In questo periodo il popolo curdo, assoggettato ma
al contempo unificato sotto l’Impero ottomano, riuscì a mantenere una certa autonomia
conservando le sue divisioni interne in tribù patriarcali e un sistema economico-sociale di tipo
feudale. Nel corso dell’Ottocento iniziarono a manifestarsi le prime aspirazioni indipendentiste
curde, ma le rivolte furono represse dagli Ottomani.
La storia contemporanea dei Curdi inizia con la fine della Prima guerra mondiale. Dopo il 1918 le
potenze vincitrici liquidarono l’Impero ottomano sconfitto dividendo il suo vasto territorio. In
questa occasione i Curdi sperarono fosse arrivato per loro il momento di costruire uno Stato
nazionale indipendente. Il 10 agosto 1920, a Sèvres, nella periferia di Parigi, le potenze vincitrici
della Prima guerra mondiale firmano un trattato con l’Impero ottomano che suggeriva la creazione
di uno Stato curdo indipendente. Tre anni dopo, però, gli equilibri erano cambiati e quell’accordo
rimase lettera morta: a Losanna un nuovo accordo sancì la spartizione del Kurdistan tra tre Stati:
l’Iraq, sotto la guida britannica, la Repubblica turca di Mustafa Kemal Atatürk e la Siria, controllata
dai francesi. Le zone curde della Persia rimasero sotto l’egida dello Scià.
E’ destino del popolo curdo quello di cadere nell’oblio, venendo spesso dimenticato nella storia;
suo destino, ancor più beffardo, sembra essere anche quello di divenire protagonista di una storia
piena di accordi fatti e mai rispettati dai quattro Stati tra i quali è diviso. Lo “schiaffo” di Losanna è
solo uno dei tanti esempi di “voltafaccia” che hanno caratterizzato la storia di questo popolo spesso
illuso o semplicemente “usato” nei giochi di potere tra gli Stati in cui risiede.
A partire dalla fine della Prima guerra mondiale e in seguito alla suddetta spartizione che smembrò
la popolazione curda, tutti i governi in cui il Kurdistan è diviso cercano di cancellare l’identità
curda. A tal scopo venne innanzitutto colpito l’elemento identitario più forte che tiene uniti i curdi:
la loro lingua, il cui uso venne severamente proibito.
Per legge vennero abolite le scuole, le associazioni, le pubblicazioni, le confraternite religiose e i
seminari curdi. Interi clan vennero deportati dai villaggi d’origine; vi furono uccisioni di massa,
torture e sparizioni di migliaia di persone dentro e fuori le carceri.
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Ormai divisa, la terra dei Curdi nei decenni successivi fu teatro delle loro rivolte indipendentiste,
soprattutto in Turchia. Tutte vennero represse, prima dalle autorità britanniche e poi dall’Iraq
indipendente. I Curdi non ebbero migliore fortuna negli altri Stati in cui era stata suddivisa la loro
terra di stanziamento; in particolare, la repressione nella Turchia fu spietata, specialmente fra il
1925 e il 1930. Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale vi sono state importanti rivolte armate
indipendentiste curde sia in Iran (duramente represse dallo Scià), sia in Iraq, represse dal governo di
Saddam Hussein.
Durante la Guerra fra Iraq e Iran (1980-88) in entrambi gli Stati i Curdi intensificarono la lotta
autonomistica subendo, soprattutto in Iraq, sanguinose rappresaglie. Quando nel 1988 l’Iraq dovette
ammettere la sconfitta, Saddam incolpò i Curdi che si erano schierati con l’Iran (non senza dei
nuovi “voltafaccia”) e alla fine della guerra scatenò nel nord del Paese la cosiddetta “Operazione
Al Anfal”, una vera e propria campagna di pulizia etnica. Interi villaggi vennero rasi al suolo e gli
abitanti sterminati con una miscela letale di tre gas altamente tossici.
Alla fine degli anni ’80 i Curdi scomparsi in Iraq saranno oltre 180 mila.
Se si può attribuire un “merito” – se così lo possiamo definire – alla prima Guerra del Golfo (1990
– 1991), fautrice di innumerevoli vittime e disastri ambientali di ogni genere, è quello di aver posto
sotto l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale la tragedia del popolo curdo. Nel 1991, alla fine
di questa guerra, una nuova insurrezione indipendentista scoppiata nel Kurdistan iracheno veniva
soffocata nel sangue da Saddam Hussein. In quell’occasione l’Onu condannò la repressione dei
Curdi iracheni e aprì la strada alla creazione di una fascia di sicurezza per il popolo curdo nel Nord
dell’Iraq, una “no-fly zone”, interdetta al volo degli aerei iracheni.
Ma le condizioni di vita dei Curdi in tutti gli Stati della regione rimasero molto dure: discriminati e
perseguitati, i Curdi non hanno il diritto di usare ufficialmente la loro lingua nazionale e in Turchia
rischiano l’arresto anche solo per la partecipazione a riunioni pubbliche in lingua curda. Anche in
Siria la persecuzione verso i Curdi fu particolarmente oppressiva: ad alcune minoranze curde viene
negato il diritto di voto ed è proibito uscire dal paese, servire nell’esercito, essere impiegati nelle
istituzioni statali, possedere una macchina o qualsiasi altro bene privato.
L’ATTUALITÀ DEL KURDISTAN
La lotta dei Curdi continua, non senza qualche vittoria. Dopo la caduta di Saddam, il 15 ottobre
2005 un Referendum approva la nuova Costituzione in Iraq. Il Kurdistan iracheno diventa
formalmente una regione federale autonoma dell’Iraq. L’Iraq è l’unico paese in cui è avvenuto un
riconoscimento dell’identità curda, che può così essere vissuta in tutte le sue espressioni, senza
proibizioni.
Oggi il popolo curdo è tornato ad avere l’attenzione internazionale grazie al ruolo chiave che sta
svolgendo nella lotta contro l’Isis, nella quale, tra le ultime vittorie, si può ricordare quella di
Kobane del 26 gennaio 2015.
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La rivolta più massiccia e drammatica rimane, tuttavia, quella dei curdi della Turchia, guidata da
Abdullah Öcalan. Questi, dopo aver fondato nel 1978 il PKK (Partito dei lavoratori curdi),
orientato in senso rivoluzionario estremo e opposto ai gruppi curdi favorevoli a trovare forme di
dialogo con il governo di Ankara, iniziò nel 1984 una lotta armata di liberazione che è costata fino
ad oggi circa 40.000 morti. Oggi il PKK viene dichiarato un’“organizzazione terroristica”.
Nel 1998, in seguito a un ultimatum della Turchia alla Siria con minaccia di attacco militare, il
governo siriano indusse Öcalan a lasciare il paese. Egli, dopo un breve soggiorno in Russia, venne
in Italia per rimanervi 65 giorni. Fu poi catturato dai servizi Turchi a Nairobi, in Kenya, mentre
tentava di raggiungere il Sudafrica, processato e condannato a morte; condanna che fu poi tramutata
in ergastolo nel 2002.
VERSO UN “CONFEDERALISMO DEMOCRATICO”?
Durante il periodo di stretto isolamento nella prigione di massima sicurezza sull’isola di Imrali,
Öcalan ha maturato una notevole svolta nella sua politica: non più lotta armata ma richiesta di
una autonomia regionale per le diverse regioni curde, idealmente legate tra loro da un
“Confederalismo Democratico” ispirato a forme di partecipazione democratica e anche a
programmi ecologici. In seguito a questo cambio di prospettiva, il PKK ha proclamato una tregua
unilaterale a partire dal 2005-2006 che ha avviato una serie di complessi negoziati di pace con il
governo di Ankara.
Vediamo più da vicino di cosa si tratta quando si parla di “Confederalismo Democratico”. Noto
anche come “Comunalismo curdo” o “Apoismo” (dal soprannome del leader), esso rappresenta la
proposta del movimento di liberazione curdo per creare una nazione democratica nel Kurdistan; è il
sistema attraverso cui si è indirizzata la liberazione e la democratizzazione del popolo curdo, tanto
in una prospettiva nazional-culturale quanto sociale. Esso rappresenta una sfida alla modernità
capitalista, uno sguardo esterno e profondamente lucido nei confronti dell’occidente, delle sue
strutture artificiali e di ogni allontanamento dalla dimensione più genuinamente umana. Questo
programma di liberazione dei Crudi ci fa riflettere anche sulle nostre catene.
Questo sistema non persegue la creazione di uno Stato-nazione, bensì quella di una nazione
democratica, la cui base è la società civile organizzata autonomamente, il cui centro di autogestione
politico sono le assemblee delle comunità e dei consigli aperti locali, retti con la democrazia diretta.
Questi, confederati e riuniti in congressi generali con funzioni di coordinamento, andranno a
costituire la nazione democratica del Kurdistan.
In ambito economico il “Confederalismo Democratico” persegue un sistema che permetta tanto la
giusta distribuzione delle risorse quanto la tutela dell’ambiente; esso mira a superare il capitalismo
verso un socialismo democratico in cui le risorse appartengono al popolo e l’economia è indirizzata
al bene sociale e non verso l’accumulazione del capitale o il consumismo, visti come le cause tanto
delle ingiustizie sociali quanto delle grandi violenze fatte all’ambiente.
La liberazione della donna è un altro pilastro del “Confederalismo Democratico”, con cui si cerca di
creare una società libera dal sessismo, sia quello proveniente dalla tradizionale società patriarcale o
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dalle interpretazioni religiose sessiste, sia quello divulgato dalla modernità capitalista e volto alla
mercificazione della donna.
Democrazia, socialismo, ecologismo e femminismo, sono i concetti-chiave per comprendere il
“Confederalismo Democratico” del movimento di liberazione curdo.
Nei fatti, questo programma è stato applicato non tanto nel Kurdistan iracheno, sotto la direzione di
Barzani, quanto nei tre cantoni in cui è divisa la zona curda nella Siria settentrionale, zona che i
curdi chiamano Rojava.
Questa svolta non poteva certo piacere alla Turchia che, dopo aver sostenuto apertamente le
formazioni jihadiste che si battono in Siria contro il governo “Bahatista” di Bashar al-Assad, ha
finanziato anche l’ascesa dello Stato Islamico nella sua lotta, sia contro il governo siriano che
contro i curdi della Siria.
Il governo Turco avanza anche il progetto di occupare un territorio all’interno della Siria, con il
movente ufficiale di creare una zona cuscinetto di protezione dall’Isis. In realtà, consultando una
carta geografica, è facile dedurre che il primo scopo è probabilmente quello di impedire il
ricongiungimento finale dei curdi della Siria, liberatori di Kobane, con tutta la zona nord-orientale
curda del paese. Inoltre, il secondo scopo è probabilmente quello di continuare ad appoggiare le
formazioni jihadiste antigovernative in Siria, dato che è plausibile ammettere che il governatore
Erdogan miri a rovesciare il governo di Bashar al-Assad.
Mentre in Siria e in Iraq le stragi continuano e i telegiornali ci ricordano il numero dei morti che
anche in questi giorni ci sono stati in Turchia, Öcalan auspica un mutamento volto al disarmo,
almeno per quanto riguarda la zona turca. Concludiamo così questa riflessione leggendo
direttamente le parole che il leader del PKK ha pronunciato in occasione dell’augurio per il nuovo
anno nel 2013. Il mutato spirito del rivoluzionario curdo riecheggerà anche nelle dichiarazioni
rilasciate successivamente, in particolare nella storica dichiarazione d’intenti del 2015 volta a una
«una decisione strategica e storica verso il disarmo».
La storia ha dimostrato che la questione curda non può essere risolta militarmente. Tuttavia, i
sanguinosi eventi che riguardano questa regione, cui assistiamo quotidianamente, sembrano tingere
queste dichiarazioni con i colori dell’utopia. Sono forse illusioni di un idealista ormai lontano dal
mondo? Si tratta del pensiero rivoluzionario di un combattente che, dopo quasi trent’anni di sangue,
guarda con distacco la situazione del popolo a cui ha dedicato la propria vita auspicando di portarlo
oltre la lotta armata attraverso un programma studiato con lucidità e profonda consapevolezza?
Le sue parole sembrano a tratti descrivere un sogno. Ma forse non aveva poi torto chi affermava che
“la pace non è un sogno, può diventare realtà. Ma per costruirla bisogna essere capaci di sognare”.
«[…] Questa lotta, che è cominciata come la mia ribellione individuale contro l’ignoranza, la
disperazione e la schiavitù in cui ero nato, ha provato a creare una nuova coscienza, una nuova
comprensione e un nuovo spirito. Oggi vedo che i nostri sforzi hanno raggiunto un nuovo livello.
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La nostra lotta non è stata e non potrà mai essere contro una determinata razza, religione, setta o
gruppo. La nostra lotta è contro la repressione, l’ignoranza e l’ingiustizia, contro il sottosviluppo
imposto e contro ogni forma di oppressione.
Il periodo della lotta armata sta finendo, e si apre la porta alla politica democratica. Stiamo
iniziando un processo incentrato sugli aspetti politici, sociali ed economici; cresce la comprensione
basata sui diritti democratici, la libertà e l’uguaglianza.
Abbiamo sacrificato gran parte della nostra vita per il popolo curdo, abbiamo pagato un prezzo
molto alto. Nessuno di questi sacrifici, nessuna delle nostre lotte, è stato vano. Grazie a questo, il
popolo curdo ha conquistato ancora una volta la propria identità e le proprie radici.
Siamo ora giunti al punto in cui “le armi devono tacere e lasciare che parlino le idee e la politica.
[…] Davanti ai milioni di persone che ascoltano la mia chiamata, io dico che una nuova era ha
inizio, un’era in cui la politica prevarrà sulle armi. […]
Credo che tutti coloro che credono in questa lotta e hanno fiducia in me si rendano conto dei
possibili pericoli insiti nel processo.
Questa non è la fine, ma un nuovo inizio. Non si tratta di abbandonare la lotta, ma di
cominciarne una nuova e diversa».
(Abdullah Öcalan, Prigione di Imrali, 21 Marzo 2013)
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