Istituto Superiore Formazione Insegnanti di Yoga

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Istituto Superiore Formazione Insegnanti di Yoga
Istituto Superiore
di Formazione Insegnanti Yoga
ISFIY di Milano
corso 2004/2008
Titolo della tesi
OM: IL SUONO CREATORE
Candidato
Sabina Coluccelli
Relatore
Susi Stefanini
Indice:
1. Introduzione ………………………………………………..pag. 2
2. Il suono e il respiro nella meditazione…………………...pag. 4
3. Il mantra nella tradizione …………………………………pag. 17
4. Il pranava OM ……………………………………………..pag. 22
5. OM, parola di meditazione ……………………………….pag. 32
6. Pratica yogica per trasmettere l’esperienza
del mantra OM …………………………………………….pag. 36
7. Bibliografia …………………………………………………pag. 42
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1. INTRODUZIONE
La scena si svolge verso l’ora del tramonto, c’è un piccolo laghetto,
tutt’intorno si scorgono alte montagne. Non c’è nessuno salvo una figura
seduta sulla riva del laghetto.
Io, la vedo da dietro, forse indossa un mantello o una coperta, distinguo
la forma triangolare che disegna il suo corpo, è seduto nella posizione
del loto. Non gli vedo il viso ma so che è un anziano e che sta
sorridendo. C’è silenzio e in questo silenzio solo un suono, non è proprio
un suono, forse è meglio dire una vibrazione. Non trovo le parole adatte
per descrivere l’atmosfera di pace e d’armonia che circonda il tutto.
Quest’immagine mi accompagna fin da molto giovane, non saprei dire da
dove essa venga se l’ho vista in un film, se l’ho sognata, se l’ho letta, ma
per come la vivo ancora oggi dentro di me, potrei affermare che non c’è
stato nulla di più reale di questo.
Ho compiuto i cinquant’anni e mi accorgo che le scelte fatte, le mie
ricerche, i rapporti con le persone e le cose, tutto mi riporta a quella
scena, al tentativo di capire o ricreare con eventi esterni, quell’atmosfera
e quel suono che so appartenermi da sempre.
Quando ho incontrato lo yoga, sono rimasta dapprima colpita dalla
posizione del loto, dall’immobilità, dal respiro e subito dopo dal mantra,
dal suono e dalla sua ripetizione, dalla loro capacità di raggiungere la
persona direttamente, come se non passassero attraverso la mente, ma
raggiungessero direttamente il cuore.
In questi anni di pratica, lo yoga mi ha dato molto: ho conosciuto il mio
corpo, ne ho scoperto i limiti e le possibilità, ho conosciuto il mio respiro,
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ho imparato ad osservarlo, a dirigerlo, ad utilizzarlo secondo il bisogno,
ho conosciuto la mente, i suoi giochi e le sue trappole, le sue possibilità.
Ho imparto a “sedermi”, a meditare, a sperimentare il distacco ma anche
la grande unità e l’armonia con l’universo.
E poi il mantra: ho sentito l'OM vibrare dentro di me, ne ho sentito
l’emozione e la completezza.
Ho scelto come titolo della mia tesi “OM il suono creatore”, perché esso
porta con se momenti a me cari, una ricerca personale e ancora grandi
scoperte.
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2. IL SUONO E IL RESPIRO NELLA MEDITAZIONE
Quando ho cominciato a fare esperienza di meditazione, dopo aver
accettato la condizione d’immobilità del corpo, ho colto l’importanza del
silenzio e quindi del suono e del respiro.
La musica comincia dal silenzio e nel silenzio possiamo ascoltare il
nostro respiro.
Probabilmente la musica cominciò, quando l’uomo divenne consapevole
delle possibilità espressive dei suoni che poteva produrre con la voce e
delle pulsazioni dei ritmi della natura.
Forse la musica cominciò dall’osservazione della natura, del battito del
cuore, del tamburellare della pioggia che cadde, del canto di un uccello,
del fragore di un temporale. La musica nasce prima dell’uomo oppure è
l’uomo che crea dai suoni della natura? L’uomo percepiva il suono
attraverso i sensi e scopriva di avere una voce con la quale poteva
produrre egli stesso.
La musica diventa quindi un linguaggio attraverso il qual è possibile
esprimere ciò che sentiamo e percepiamo. In ogni momento della nostra
vita quello che ci circonda provoca in noi delle reazioni; qualche volta
proviamo emozioni più profonde: gioia e dolore, soddisfazione o
frustrazione, oppure nasce in noi un interesse particolare per qualcosa
che abbiamo visto o letto. Può nascere così il desiderio di esprimere le
sensazioni e il linguaggio musicale, attraverso suoni e silenzi, può
diventare un mezzo per esprimere le nostre emozioni. La musica diventa
espressione dell’uomo, così come un libro, come un dipinto o una
scultura e ognuno ne può cogliere qualcosa. La musica e alcuni generi in
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particolare raggiungono l’uomo nelle profondità quasi senza passare
attraverso le conoscenze, attraverso la mente, ma evocando qualcosa
d’antico.
Dice HAZRAT INAYAT KHAN, musicista indiano vissuto nella prima
metà del ’900: “Ogni Sacra Scrittura, ogni immagine santa, ogni parola
pronunciata, produce l’impressione della sua identità nello specchio
dell’anima; ma la Musica, nei confronti dell’anima non produce
impressioni di nome o di forma relative a questo mondo oggettivo e
perciò prepara l’anima a realizzare l’infinito”.
Gli antichi consideravano il suono come “vibrazione della forza elastica
dell’aria”. Oggi l’acustica fisica ci afferma che il suono è prodotto dalla
vibrazione di corpi elastici che si trasmettono all’elemento circostante,
costituito generalmente dall’aria, propagandosi mediante condensazioni
molecolari generate dalla pressione acustica, alternate da rarefazioni
con andamento periodico ad onda.
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Il suono è dunque vibrazione ed ogni vibrazione ha un effetto preciso
sulle cose. L'esempio tipico è quello della famosa polverina che,
sollecitata dalle corde di un violino, si dispone automaticamente secondo
interessanti e perfette figure geometriche.
Questi effetti erano noti sin dall'antichità: anche nell'Antico Testamento si
parla delle trombe che distrussero le mura di Gerico col loro squillo,
certamente quello squillo conteneva la vibrazione corrispondente allo
schema di costruzione delle mura di Gerico, perciò il muro, dietro
sollecitazione della sua stessa struttura, finisce col distruggersi. Altri
esempi sono, in parte, il canto gregoriano e gli antichi modi greci.
Ogni suono è essenzialmente una vibrazione.
Ogni vibrazione, ogni tipo di movimento rappresenta una cosa, un'entità,
un modo di essere, di vivere, di concepire.
Ogni nota della scala ha una precisa corrispondenza con tanti altri
fenomeni che esistono, quali ad esempio i pianeti del sistema solare, la
struttura energetica dei chakra, la sequenza cromatica dei colori e via
dicendo.
Se prendiamo qualsiasi cosa che cade sotto i nostri sensi possiamo
analizzarla ed inglobarla nel sistema delle note.
I chakra hanno caratteristiche molto vicine a quelle del suono, proprio
perché sono vortici d’energia: abbiamo una frequenza-vortice base che
vibra ad una certa frequenza. E' chiaro così che agendo su una nota,
per esempio suonando una nota do, o sol, agiremo direttamente sul
chakra corrispondente.
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I caratteri fisici essenziali del suono sono:
1. Altezza
2. Intensità
3. Timbro
Altezza
L’altezza è la caratteristica del suono che esprime quanto esso sia acuto
o grave.
E’ in rapporto diretto con il numero di vibrazioni al secondo del corpo che
emette il suono.
Più i suoni sono acuti e più il numero di frequenze è elevato, più i suoni
sono gravi più il numero di frequenze è esiguo.
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La frequenza rappresenta una grandezza fisica relativa alla quantità di
volte che la vibrazione si ripete nell’unità di tempo di un minuto secondo.
L’unità di misura della frequenza è l’hertz (Hz).
Esemplificando: affermare che un suono è di 440 Hz equivale a dire che
le vibrazioni che producono quel suono hanno una frequenza 440 periodi
al secondo.
Per un orecchio normalmente dotato, il campo di udibilità si estende da
un minimo di frequenza di vibrazione attorno ai 16 Hz, sino ad un
massimo attorno ai 16.000 Hz: entro questi limiti la persona percepisce
la sensazione del suono.
Tuttavia esistono anche suoni che l’uomo non percepisce poiché non
rientrano nel suo campo di udibilità.
Sia tratta degli ultrasuoni (percepiti da altre creature animali: cani, delfini,
pipistrelli) che sono talmente acuti da non poter essere captati
dall’orecchio umano e degli infrasuoni (percepiti da altri animali: gli
elefanti) che sono così gravi da non poter essere disponibili all’orecchio
umano.
Un dato interessante è quello relativo all’universalità delle altezze
musicali in ogni continente del globo terrestre.
La lettura di questo dato ci porta a supporre che, se le modalità di
espressione musicale umana, rientrano in un ambito di altezze comune a
tutte le culture e le popolazioni del mondo, la percezione del concetto di
musica, pur nelle differenze culturali, antropologiche, spirituali differenti,
ha un parametro comune che ripropone una delle caratteristiche di
unitarietà non solo della persona, ma dell’intero genere umano.
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Intensità
L'intensità è il parametro costitutivo del suono che distingue i suoni in
forti o deboli, passando per tutte le situazioni intermedie, ciò che
comunemente è chiamato “volume”.
Si spiega con la diversa forza con cui i corpi sonori sono eccitati e con la
distanza dell'ascoltatore dalla fonte sonora.
Acusticamente dipende dall'ampiezza delle vibrazioni.
L'unità di misura dell'intensità del suono è il decibel (dB).
Timbro
ll timbro, è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un
altro.
Il timbro dipende dalla forma dell'onda sonora, determinata dalla
sovrapposizione
delle
onde
sinusoidali
caratterizzate
dai
suoni
fondamentali e dai loro armonici.
Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è determinato
dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e dalla
maniera in cui questa viene posta in oscillazione. Il suono può essere
descritto anche come la sensazione che nasce all’interno dell'io
soggettivo, quando l'orecchio umano è stimolato da un’onda acustica.
Nella propagazione delle onde sonore non vi è trasporto di materia ma
solo trasmissione di energia.
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La voce è il più antico strumento musicale ed è anche il più duttile e
versatile degli strumenti sonori.
La voce è prodotta dalla vibrazione di membrane, dette corde vocali, che
attraversano la laringe lasciando tra loro un’apertura (Glottide). Quando
si parla o si canta, un sistema di muscoli tende le corde vocali in modo
che la glottide si riduce a una strettissima fenditura; passando in essa
l’aria, proveniente dai polmoni attraverso la trachea, pone in vibrazione
le corde vocali. L’altezza del suono emesso varia col variare della
tensione delle corde.
Il suono emesso è sempre molto complesso, le varie cavità del sistema
respiratorio agiscono da casse di risonanza e, secondo la loro ampiezza
e forma, rinforzano più o meno i vari suoni armonici.
Nella
normale
emissione
di
voce
ha
funzione
essenziale
la
conformazione della cavità boccale; nel canto invece, ha funzione
predominante la risonanza delle cavità bronchiali e polmonari.
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L’orecchio ha la funzione di raccogliere la vibrazioni che, provenendo
dalle sorgenti sonore, si propagano nell’aria e di trasmetterle alle
terminazioni del nervo acustico che, a sua volta, le trasmette al cervello.
L’orecchio umano si divide in tre parti: orecchio esterno, orecchio medio
e orecchio interno. L’orecchio esterno è costituito dal padiglione e dal
condotto uditivo, il quale ad una profondità di circa due centimetri e
mezzo, è chiuso dalla membrana del timpano. Il padiglione serve a
raccogliere i suoni che, propagandosi attraverso il condotto uditivo,
mettono in vibrazione la membrana del timpano.
L’orecchio medio è una cavità che si trova oltre la membrana del
timpano. In esso è contenuta una catena di tre ossicini che, per la loro
forma, si chiamano martello, incudine e staffa; il martello appoggia sulla
membrana del timpano, in modo che quanto questa vibra, anch’esso
vibra e, attraverso l’incudine, trasmette le vibrazioni alla staffa. La cavità
dell’orecchio medio è in comunicazione con il retrobocca e quindi con
l’aria esterna, attraverso un canale che ha il nome di tromba di
Eustacchio.
L’orecchio interno è una cavità ossea, detta labirinto, ripiena di un liquido
e divisa in parecchi canali. In esso si trova la parte essenziale
dell’orecchio, un complesso condotto a spirale che, per la sua forma
esterna, è detto chiocciola: nel suo interno si trova l’organo del Corti,
costituito da circa 24.000 fibre di diversa lunghezza collegate con le
terminazioni del nervo acustico.
Le vibrazioni sonore, dopo essere state raccolte dal padiglione, si
trasmettono attraverso il canale uditivo, la membrana del timpano, la
catena di ossicini, il liquido dell’orecchio interno e giungono alle fibre
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dell’organo del Corti, le quali funzionano come risonatori: ognuna della
24.000 fibre risuona soltanto di un piccolo intervallo di frequenza, in
modo che l’organo del Corti fa l’analisi armonica del suono in arrivo.
L’orecchio perciò ha la facoltà di distinguere i vari suoni, anche
numerosi, che giungono ad esso contemporaneamente, L’intensità del
suono si misura dando l’energia che cade in un secondo sull’unità di
superficie. Ma una misura dell’intensità del suono mediante la
sensazione che esso provoca in noi è molto difficile, sia perché questa
sensazione varia da persona a persona sia perché l’orecchio ha
sensibilità diverse per i diversi suoni.
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Ma per tornare al tema: suono e meditazione, quello che mi preme
evidenziare è che il suono è una vibrazione che può giungere
dall’esterno e quindi produrre un effetto piacevole o spiacevole sulla
mente o sul corpo oppure può essere prodotta da noi stessi e modificare
lo stato della nostra mente o del nostro corpo.
Il suono è un mezzo molto “potente” e nella meditazione può essere di
grande aiuto per raggiungere una condizione di interiorizzazione, primo
passo per entrare nello stato di meditazione.
D’altra parte è possibile ritenere che gli effetti del suono non siano solo
di carattere fisico ma siano dovuti al movimento di energia, che
potremmo chiamare “sottile”.
Scrive JHON BLOFELD: “Vi sono autori, soprattutto induisti (e forse,
almeno in teoria, buddisti), i quali affermano che i mantra sono
manifestazioni di Shabda (suono sacro), un’energia dai poteri creativi,
trasformatori e distruttivi, potenti quanto quelli attribuiti dai testi al loro
Dio o ai loro dei. Purtroppo è molto difficile trovare una descrizione
chiara della natura di Shabda. Sarebbe ridicolo supporre, nonostante ciò
che affermano le opere di numerosi autori moderni, che Shabda operi
tramite vibrazioni fisiche.
Senza dubbio, le vibrazioni fisiche sono ben lontane dal sublime
concetto induista del potere creativo di Shabda, che ricorda il sonante
passo di S.Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio”. D’altra
parte il concetto gnostico di Logos (il Verbo, la Parola) deve comportare
una sorta di relazione con il suono, altrimenti la scelta del termine
sarebbe inspiegabile. Possiamo, credo, dedurre che vi è una
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corrispondenza tra Shabda e suono normale, anche se il primo è molto
superiore al secondo. Probabilmente è una corrispondenza simile a
quella esistente tra prana-vayu (ch’i in cinese) e l’aria comune che
respiriamo. Sebbene, come sa ogni adepto degli yoga della respirazione,
il prana (energia cosmica) sia attratto nel corpo attraverso i pori e le
narici, l’aria comune non è altro che il suo veicolo e la sua rozza
controparte. Mentre il suono e il movimento dell’aria appartengono alla
fisica, Shabda e prana sono energie misteriose, la cui natura può essere
compresa pienamente, se mai, solo dagli yogin avanzati”.
A questo punto parlare del respiro nella meditazione diventa naturale.
Chiunque si sieda, in silenzio, per meditare, incontra questo “compagno
di viaggio” così significativo e indispensabile.
I popoli antichi consideravano il respiro come materia prima della vita:
“Allora il Signore Iddio plasmò l’uomo con polvere del suono e soffiò
nelle sue narici un alito di vita” (Genesi 2,7).
Con la prima respirazione, il neonato s'inserisce nel ritmo della vita
comincia, inspirando ed espirando, a sentire l’alternarsi di queste fasi
vitali.
La vita è l’ininterrotta serie di inspirazioni ed espirazioni e l’uomo
conclude questa vita “esalando l’ultimo respiro”.
Secondo una teoria degli indiani, l’uomo, ad ogni reincarnazione, porta
con
se
un
numero
determinato
di
respirazioni.
Chi
respira
affannosamente muore prima perché non può ottenere un numero di
respirazioni maggiore di quello che gli fu assegnato. Chi invece vive
tranquillo, con calma, e respira lentamente, amministra bene la sua
salute ed avrà una lunga vita sulla terra.
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L’uomo moderno ha difficoltà nel respirare e spesso non se ne rende
neppure conto. Il respiro diventa corto, alto, affannoso e l’uomo perde
energia vitale ed è più esposto alle malattie. Questa tensione e questo
stress colpiscono sia gli adulti, sia i bambini e rischiano di procurare
danni sia mentali che fisici.
In questo senso prendere consapevolezza della respirazione naturale,
eseguire alcuni esercizi di respirazione controllata, allungare i tempi
dell’espirazione può essere di aiuto nel ritrovare uno stato di benessere.
Nei templi Zen il controllo della respirazione è la prima cosa che è
insegnata ai monaci. Quando la posizione è giusta e la respirazione è
controllata, la mente entra in quello stato di calma in cui è possibile la
meditazione profonda.
I monaci Zen sostengono che, quando il chiacchierio interno dei pensieri
interferisce con la meditazione, per riportare la mente nello stato
desiderato, è sufficiente correggere la postura e regolare la respirazione.
I monaci praticano la meditazione Zazen respirano quattro o cinque volte
al minuto.
Uno dei modi per ridurre il numero dei respiri è di prolungare la durata
dell’espirazione: si dovrebbe espirare così dolcemente che il flusso
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dell’aria non muoverebbe una piuma sotto la punta del naso. Alla fine
l’aria sarà inspirata automaticamente. In effetti, il più profondo
svuotamento d’anidride carbonica dai polmoni permette poi l’accesso ad
una maggior quantità d’ossigeno fresco. Da questo traggono beneficio
sia l’attività respiratoria e cardiaca, sia la mente. Una respirazione lenta,
tranquilla, porta ad un naturale sollievo davanti alle emozioni,
all’agitazione che spesso accompagna la nostra vita.
Respirare nella meditazione, significa quindi, prendere contatto con una
grande energia vitale, significa conoscerla e in alcuni casi dirigerla a
maggior beneficio di tutta la persona.
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3. IL MANTRA NELLA TRADIZIONE
Nei Purana (antiche scritture) è descritto questo fatto: c’era un uomo
chiamato Markandaya al quale era stata concessa dal Creatore una
lunghezza di vita di soli diciotto anni a causa del suo Karma passato.
Markandaya andò dai saggi per imparare il segreto della longevità. Uno
dei grandi Maestri gli diede un mantra insieme alla sua benedizione.
Markandaya, con la perseveranza e l’impegno costante, ottenne la vita
eterna.
Dice JOHN BLOFELD: “Il fatto che la fede nel potere mantrico o in
qualcosa di molto simile, fosse piu’ o meno diffusa in tutto il mondo può
indurre a credere nella sua realtà, ma non contribuisce per nulla a
delucidare la vera natura del mantra. Dire che la fonte del loro potere è
la mente non conduce più avanti, specialmente se, come tutti coloro che
usano i mantra, si crede che ogni cosa che è concepibile derivi dalla
mente”.
E’ necessaria una fiducia molto grande nel mantra al fine di raggiungere
gli effetti desiderati. Infatti, se hai fede nel mantra e gli permetti di vibrare
con te, forse qualcosa può cambiare.
Mantra è un termine sanscrito che appare già in epoca vedica e in
origine indicava inni religiosi e preghiere. Successivamente la stessa
parola indicò frasi propiziatorie e formule magiche per ottenere poteri,
per difendersi, per colpire i propri nemici o per ritrovare oggetti smarriti.
Nel KAUSIKASUTRA, che è la fonte più importante dei mantra dell’età
antica, la classe sacerdotale dell’epoca vedica ha rielaborato e ordinato
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queste formule che per altro sono presenti sia nell’Induismo, sia nel
Buddhismo.
Si ritiene che il mantra abbia questo nome perché raggiunge i suoi
obiettivi per mezzo di un processo mentale. La definizione del termine
mantra che mi è parsa più interessante, riconosce la parola come
formata da due parti: la radice MAN che significa “pensare” ma che
indica anche l’uomo come unico essere in tutta la creazione capace di
pensare, e il suffisso TRA che è proprio dei vocaboli che indicano
funzionalità e ha il senso di “proteggere”, “liberare” dalla schiavitù del
mondo dei fenomeni.
Ogni singolo mantra è una combinazione di lettere o di fonemi o di
parole. Questa particolare struttura di lettere o di suoni ha il potere di
rivelare la divinità alla coscienza dell’aspirante che l’ha evocata. Il
mantra è ripetuto in continuazione ed acquista così nella ripetizione, un
potere e un’efficacia crescenti.
Inoltre nel mantra si considera il nome, l’oggetto che il nome indica ed il
suo significato come una realtà la cui unità è indivisibile ed è questo un
rapporto con la realtà più propriamente orientale. Diceva Ramakrishna:
“Credete che il nome di Dio sia insignificante? Lui e il suo nome sono
identici. Sathiabhama, ammucchiando ori e gioielli, non poté far salire di
un dito il piatto della bilancia sul quale stava il Signore, ma Rukmini vi
riuscì non appena ebbe posto semplicemente una foglia di tulsi sul quale
era inciso il nome di Krishna, il signore beneamato… “Chiunque pronunci
il
nome
di
Dio,
sotto
qualsiasi
forma,
volontariamente
o
involontariamente, finisce per trovare l’immortalità”.
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Nel mantra quindi il nome e quanto il nome indica s' identificano. Dio, il
suo nome e la sua sostanza sono un’unica realtà, non solo espressa ma
anche presente nel nome. Inoltre, nel mantra, il nome di Dio si manifesta
a noi come suono ed è in questo suono che è presente la materia prima
di ogni manifestazione. In questo modo il mantra non è soltanto la forma
di ciò che è pronunciato ma l’oggetto stesso della meditazione.
Quando le vibrazioni del suono emesso con attenzioni particolare,
raggiungono una certa perfezione, toccano l’anima e il mantra, il suo
significato e la sua efficacia, sono percepiti in profondità.
Per questo il mantra è considerato una via importante nella realizzazione
della vita interiore.
Le tecniche del mantra erano e sono anche oggi trasmesse soprattutto
per
via
orale
e
il
mantra
individuale
può
essere
trasmesso
esclusivamente e direttamente dal maestro al discepolo. Il maestro
comunica il suo potere e l’essenza della sua stessa natura al discepolo e
quest’ultimo cercherà di raggiungere la liberazione da ogni legame
terreno, si sforzerà di purificarsi perché l’anima possa lasciar spazio ed
accogliere
la
verità
spirituale
che
ha
ricevuto.
Seguendo la via del mantra non dobbiamo dimenticare la pratica degli
ASANA, che lavorano sulla parte più grossolana del corpo, di
PRANAYAMA, che lavora sul soffio vitale e delle tecniche mentali.
Tutte hanno lo scopo di ottenere la massima purificazione del nostro
livello fisico, mentale e psicologico, per creare quello spazio interiore che
ci mette in comunicazione con la divinità.
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Anche il mantra yoga ha lo scopo di purificare la mente, di fare in modo
che la mente possa essere totalmente concentrata sull’emissione del
suono in modo consapevole.
Nella tradizione gli scopi che si evidenziano con chiarezza sono tre.
In primo luogo il mantra propiziatorio, che è collegato al rapporto
dell’uomo primitivo con la natura, e che ha lo scopo di ingraziarsi le
potenze positive e neutralizzare le negative.
In secondo luogo il mantra d’acquisizione che ha uno scopo terapeutico,
diretto allo sviluppo di qualità individuali latenti o alla trasformazione di
quelle qualità in veri e propri poteri (le SIDDHI).
Infine il mantra di identificazione che ha per scopo qualsiasi tipo di
ricerca o di celebrazione religiosa.
La finalità più profonda e spirituale del mantra è comunque quella di
raggiungere uno stato idoneo ad entrare in comunicazione con Dio.
Per quanto riguarda il significato delle parole espresse dal mantra,
possiamo distinguere i mantra che riprendono brani di poemi, frasi sacre,
contrazioni di brani letterari o sacri e che hanno una funzione più
didattica perché imprimono nella mente del fedele l’essenza della
dottrina.
Esistono poi i mantra che hanno un senso esplicito e sono i BIJA
MANTRA (BIJA=SEME). Questi ultimi sono composti di una o più sillabe,
prive di un significato letterale ma che contengono comunque un
significato nascosto, di carattere mistico.
Buddisti e Induisti ritengono che i bija-mantra si manifestino attraverso
una percezione soprasensoriale, cioè che siano rivelati in uno stato di
meditazione o che siano il frutto di pura intuizione.
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Per quanto riguarda la pratica si ritiene che per realizzare le potenzialità
insite nel mantra non sia sufficiente recitarlo. E’ necessaria una
pronuncia fonetica corretta, una giusta intonazione, la concentrazione e
l’immagine cui corrisponde il suono.
Inoltre, essendo il mantra un pensiero e come ogni altro pensiero
influenza la mente e il corpo.
Nell’ambiente tibetano circolano molti aneddoti inerenti al fatto che è
sufficiente un solo mantra, imparato oppure inventato. JOHN BLOFELD
ne cita uno nel suo libro sui mantra. “ Un monaco indiano interruppe il
ritiro annuale durante la stagione delle piogge per fare visita alla madre,
temendo che fosse disperatamente a corto di cibo. Sorpreso di trovarla
soddisfatta e in ottima salute, rimase ancor più sbalordito quando la
madre gli assicurò che aveva imparato uno speciale mantra grazie al
quale “per il potere della Grande Dea” poteva far bollire le pietre e
trasformarle in cibo nutriente, ma il monaco, che era un uomo dottissimo,
appena la sentì recitare il mantra cominciò a correggere i numerosi errori
di pronuncia. Purtroppo, quando la povera donna recitò il mantra in
modo esatto, fu del tutto inefficace, allora il figlio le consigliò di tornare al
vecchio sistema di recitazione e ben presto, grazie alla sua gran fede, la
donna riprese a trasformare le pietre in cibo!”.
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4. IL PRANAVA OM
La CHANDOGYA UPANISAD spiegando l’importanza attribuita alla
parola dice:
“L’essenza di tutte le creature è la terra,
l’essenza della terra è l’acqua,
l’essenza dell’acqua è costituita dalle piante,
l'essenza delle piante è l’uomo,
l’essenza dell’uomo è la parola,
l’essenza della parola è la RIG (inno),
l’essenza della RIG è il SAMAN (melodia),
l’essenza della melodia è l’UDGITHA (canto rituale)
di queste essenze la vera essenza, la suprema, la migliore è l’ottava
l’UDGITHA (OM)”.
E prosegue più avanti:
“Con essa compiono il sacrificio entrambi, tanto chi sa quanto chi non sa.
Ma diverse sono (nei loro confronti) la scienza e l’ignoranza.
E soltanto il sacrificio che si compie con la scienza, con la fede, con la
mistica dottrina, esso solo è veramente efficace”:
In questa sorta d’evoluzione e trasformazione energetica dopo la terra
vengono l’acqua e le piante, quindi l’uomo, con la sua capacità di
esprimersi attraverso un linguaggio interno ed esterno. Dopo la parola
viene la poesia ma ancora più in là c’è la musica che ci porta oltre il
significato delle parole, in uno stato di ricettività intuitiva. Al di sopra di
tutti è il sacro fonema OM, la vera essenza.
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La via del mantra OM è aperta a tutti “a chi sa e a chi non sa”, quello che
conta è la consapevolezza, la fede, l’applicazione costante. Om, punto
più alto d’unione, contiene in sé come in un seme (BIJA) tutte le
proprietà latenti di tutti gli stadi precedenti. OM è la quintessenza, la
sillaba-germe dell’universo, la parola magica per eccellenza.
Nelle MUNDAKA UPANISAD l’OM è paragonato ad un arco:
“Avendo preso come arco la grande arma dell’Insegnamento Segreto si
dovrebbe fissare ad esso la freccia forgiata della Meditazione Costante”.
Tendendo la mente piena di Questo (Brahman ) penetra, o nobile
giovane nel bersaglio: L’Imperibile (il Supremo).
Il Pavana OM è l’arco, la freccia è l’io, Brahman si dice sia il bersaglio.
Esso deve essere colpito esattamente, ci si dovrebbe unire ad Esso
come la freccia al bersaglio.”
Nella Mandukya Upanisad, l’OM viene paragonato al Brahman:
“La sillaba OM è tutto l’universo”.
Ecco la spiegazione
Il passato, il presente, il futuro: tutto ciò è (compreso nella) sillaba OM.
E anche ciò che è al di là del tempo, che è triplice, è (compreso nella)
sillaba OM.”
OM è il simbolo di Brahman, contiene in sé tutti gli altri Bija mantra; tutti i
suoni esistenti, udibili e non udibili, tutte le lettere dell’alfabeto sanscrito.
OM è il PRANAVA: è la parola che da nutrimento allo spirito.
Sempre la Mandukya Upanisad prosegue spiegando la corrispondenza
tra le lettere costituenti la sillaba OM o meglio AUM (il dittongo AU nella
lingua sanscrita si pronuncia O) con modi di essere e stati dell’IO.
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“ Per quanto riguarda i fonemi, questo Atman corrisponde alla sillaba
OM, considerandone gli elementi costitutivi. Gli elementi costitutivi
corrispondono ai modi di essere, e i modi di essere corrispondono agli
elementi costitutivi, ossia ai suoni AUM.
Lo stato di veglia, Vaishvanara, corrisponde alla lettera A. In verità
ottiene tutti i desideri e diventa il primo colui che così conosce.
Lo stato di sogno, Taijasa, corrisponde alla lettera U, In verità colui che
così conosce tiene alta la tradizione della conoscenza (nella sua
famiglia), è indifferente (a gioie e dolori) e nella sua stirpe nasce chi
conosce il Brahman.
Lo stato di sonno profondo, Prajna, corrisponde alla lettera M
In verità colui che così conosce crea tutto quest’universo e lo riassorbe
in sé.
Il quarto stato non corrisponde ad un singolo elemento, è inavvicinabile,
in esso il mondo visibile si risole, è benevolenza, è assolutamente non
duale.
Così la sillaba OM è in verità l’Atman (nei suoi quattro stati). Colui che
così conosce penetra nel Sé (assoluto) con il sé (individuale).”
AUM è l’origine di tutti i suoni ma è anche il silenzio tra le cose, è puro
pensiero, è lo stato di Brahman.
AUM, com’è scritto in sanscrito, contiene: le tre lettere (A, U, M) e il
concetto di AUM, NADA e BINDU.
AUM rappresenta la Trimurti indiana (nascita, vita e morte): Brama, il dio
creatore; Vishnu, il dio conservatore; Shiva, il dio distruttore-rinnovatore.
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NADA
è
la
mezzaluna
crescente
che
indica
la
continuità,
il
proseguimento del suono nello spazio.
BINDU (punto, goccia) è il punto sopra Nada, l’atomo del suono.
Il suono AUM, nel suo proseguimento, svanisce in un tempo e in uno
spazio non identificabili. Gli altri due segni, Nada e Bindu, il suono e
l’atomo, indicano la condizione a cui desidera arrivare colui che pratica il
mantra.
Il mantra AUM, indirizzato ai tre aspetti della divinità indiana, è una presa
di contatto con le vibrazioni sottili che risiedono dentro di noi ma anche
intorno al nostro essere, per aiutar, per sostenere, difendere, purificare e
condurre il praticante in un cammino di ricerca spirituale.
La pratica della ripetizione (JAPA) porta a ritrovare la vibrazione dentro
di noi per accordarla con la vibrazione universale.
Pare che quando il praticante pronunci il suono OM le cellule stesse
entrino in uno stato di euforia, per la gioia di ritrovare qualcosa che già
conoscono.
Esiste una pratica nella quale è sviluppata la ricerca del “suono
primordiale”. Partendo da una posizione corretta del corpo, da seduti,
schiena diritta, spalle rilassate, occhi chiusi, portare l’attenzione sul
respiro dentro e fuori di noi. Continuare così per un breve tempo,
portando l’attenzione sull’espiro. Quindi dare gradualmente al suono
dell’espiro una qualità vocale un po’ più definita. Inizialmente il suono
che uscirà sarà grave, sarà una vocale, ma poi lentamente tenderà a
diventare simile all'OM.
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Secondo SIVANANDA l’Om può essere praticato: sonoramente,
debolmente o silenziosamente. La pratica è guidata da tecniche
particolare chiamata JAPA-YOGA (ripetizioni), Prima di cantare l’OM è
necessario immaginare e sentire il suono nella mente quindi visualizzare
il mantra nella scrittura sanscrita poiché si ritiene che la sua forza sia
collegata alla lingua originaria.
Il mantra va praticato ogni giorno e solo attraverso una grande dedizione
è possibile sperimentarne tutti gli effetti.
La concentrazione sul mantra porta ad uno stato d’unità e di benessere
con se stessi e con gli altri.
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Una pratica del mantra OM consiste nel suddividerlo in tre punti di
risonanza.
A: la vibrazione che si colloca all’altezza del plesso solare, dell’ombelico
(Manipura Chakra)
U:
che risuona nella zona del cuore, nel plesso cardiaco (Anahat
Chakra)
M: che risuona nella zona tra le sopracciglia (Ajna Chakra).
L’esercizio consiste nel cercare le risonanze in questi tre punti del corpo,
attraverso il respiro e l’emissione del suono corrispondente. Diventa
importante allora anche il modo in cui il suono viene emesso, senza
trattenerlo eccessivamente e senza sforzo.
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SATYANANDA, nel suo libro “Il mantra” sostiene che esistono cinque
modi per praticare il mantra:
- a voce alta (e questo è il modo più elementare), ripetendo OM OM
OM….;
- a fior di labbra;
- mentalmente, chiudendo le labbra e ripetendo mentalmente;
- concentrandosi sulla punta del naso, sul respiro naturale che entra
ed esce e quindi sincronizzando il mantra sull’inspiro e sull’espiro;
- scrivendolo chiaramente, lentamente e con caratteri molto piccoli
su un diario, ogni giorno.
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Sostiene inoltre, che i primi tre tipi di ripetizione, dovrebbero essere
praticati con il MALA. Il mala è una specie di collana, va tenuto in mano
e ogni grano è un mantra quindi la mano scorre da un grano all’altro. In
questo modo si cerca di controllare la mente, che tende a perdere la
concentrazione.
Satyananda propone alcune pratiche interessanti e suggerisce ai
principianti di praticare il mantra a voce alta. La ripetizione cosciente è
chiamata Japa e quando il procedimento diventa automatico, senza
alcuno sforzo, come se il mantra procedesse da sé, si può parlare
AJAPA.
Una pratica utile per colori i quali hanno una mente agitata, depressa o
introversa è questa:
- assumere
vertebrale
una
e
posizione
testa
meditativa,
diritta,
spalle
occhi
rilassate,
chiusi,
colonna
mani
posate
possibilmente sulle ginocchia, corpo fermo e senza tensioni
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- tenere il mala al punto SUMERU (l’inizio e la fine segnati da un
nodo, da un fiocco…)
- iniziare a ripetere il mantra ad alta voce, in continuazione, ad una
comoda velocità
- ad ogni ripetizione del mantra muovere il grano del mala
- non cercare di concentrarsi troppo sulla pratica ma mantenere la
consapevolezza del suono del mantra e sulla rotazione del mala
- lasciare che i pensieri fluiscano liberamente e non interferire con
essi
- se la mente si distrae, riportarla sul mantra e sul mala
- non oltrepassare il sumeru ma arrivati lì girare il mala e continuare
la pratica
- completato il numero stabilito di giri, fermare la pratica
- portare la consapevolezza a Chidakasha, lo spazio che è di fronte
ad occhi chiusi, e osservare qualsiasi pensiero, sensazione o
visione, senza interferire
- dopo alcuni minuti terminare portando l’attenzione sul corpo e sul
respiro naturale
- ripetere OM tre volte e riaprire gli occhi.
Secondo Patanjali la parola OM esprime l’essenza del Signore “TASYA
VACAKAH PRANAVAH” e poiché i saggi delle scritture ritengono che il
rapporto tra parola esprimente e cosa significhi sia eterno, a chi ha
compreso tale rapporto, s’impone la “ripetizione di questo e la
meditazione sul suo significato”.
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Se lo yogin ripete il Pranava e riflette sul suo significato, egli consegue la
piena concentrazione mentale, la conoscenza dell’anima individuale e la
rimozione degli ostacoli.
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5. OM, PAROLA DI MEDITAZIONE
In questa piccola ricerca sul suono ed in particolare sul mantra ho
cercato di riunire delle conoscenza non certamente mie ma che mi
sembra di avere compreso leggendo libri ed articoli, partecipando a corsi
e praticando personalmente alcune tecniche.
Vorrei così concludere questo lavoro riportando, per quanto è possibile,
la mia esperienza del mantra Om e alcune riflessioni che mi hanno
pensare a questa parola come ad un ponte che possa unire l’oriente
all’occidente e permettere all’umanità di sentirsi spiritualmente una nel
rispetto delle differenze e nel desiderio di cercare non quello che divide
ma quello che unisce.
Il primo incontro con il mantra OM è avvenuto durante le lezioni di Yoga.
Ogni tanto l’insegnante proponeva di cantare l'OM e ricordo una prima
occasione in cui ho percepito il mio corpo come uno strumento musicale
nel quale questo suono poteva vibrare liberamente raggiungendone ogni
parte e provocando una sensazione molto forte.
In altre occasioni, dopo aver cantato l'OM ho notato un cambiamento
d’umore o uno stato di calma mentale che prima nella pratica non avevo.
Forse questa via mi è particolarmente congeniale, sicuramente il suono
raggiunge più direttamente dei livelli di coscienza. Il fatto che il mantra
sia una via aperta a tutti mi è parsa una cosa interessante. In effetti,
cantando, la mente diventa quasi un impiccio, crea tensione. Se la
mente si annulla e non interviene tutto può avvenire.
Portare l’attenzione sul suono ripetuto molte volte induce alla
meditazione, ad un'alterazione dello stato di coscienza in cui, dirigendo
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l’attenzione su un unico stimolo, viene limitata la ricezione di stimoli
multipli. In questo senso cantare dei mantra può condurre ad uno stato di
rilassamento ad un senso di armonia tra chi canta e l’ambiente
circostante, a una sensazione di espansione della coscienza. Chi trae
giovamento dal mantra, per ottenerne tutti i benefici, deve praticarlo
regolarmente e costantemente, come una “cura” che ha effetto solo nel
momento in cui viene seguita.
Cantare il mantra OM ogni giorno (l’ho fatto per circa sei mesi) è
un’esperienza interessante.
I modi diversi in cui è possibile cantare, come il suono esce da noi,
com'è possibile emetterlo quasi senza sforzo, le varie parti del corpo in
cui è possibile percepire le vibrazioni… tutto questo è motivo di
interesse. Ma anche osservare il cambiamento dello stato mentale,
spesso il passaggio da una situazione di stress o di confusione ad uno
stato di radicamento o di forza, è altrettanto interessante.
Inoltre, il fatto di cantarlo regolarmente crea quasi una “piacevole
dipendenza” e il giorno in cui, per svariati motivi, non si riesce a
praticare, se ne sente la “mancanza”.
Anche il passaggio tra il canto a voce ed il canto mentale è percepibile
come un'interiorizzazione, un approfondimento e, in modo particolare, un
forte movimento di energia.
In effetti, la ripetizione mentale è considerata una pratica molto più
avanzata e potente e quindi più adatta a chi ha già esperienza di
concentrazione.
E’ risultato anche interessante cantare l’OM su una nota particolare,
SOL, considerata da più esperti in campo musicale la nota del cosmo.
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Cantare l’OM su una nota piuttosto che un’altra, è usato soprattutto in
campo terapeutico come pratica di guarigione.
Un altro aspetto e anche altri effetti sono quelli che derivano da una
pratica, oso dire, comunitaria, del mantra OM: cantato al termine di una
lezione di yoga o nel corso di una meditazione provoca sempre momenti
di grande armonia e una sensazione d’unità, oltre ogni differenza.
“Questo simbolo, uscito dalle profonde percezioni spirituali dei saggi,
significa ed esprime, con la maggiore approssimazione possibile, Dio
(VIVEKANANDA) e nello stesso tempo manifesta perfettamente
“l’annullamento della parola e del pensiero davanti al mistero ineffabile di
Dio” (LE SAUX).
Ho avuto occasione di cantare l’OM in ambienti di varia ispirazione:
durante una lezione di yoga, piuttosto che nel corso di una preghiera
cristiana o di una meditazione, come effetto sonoro del canto dei sutra.
Questo mantra viene anche inserito in meditazioni organizzate da gruppi
più eclettici, che s'ispirano a fonti diverse.
Sempre ho pensato che l’OM stava bene lì. Indubbiamente la preghiera
con l’OM presuppone una certa conoscenza del mondo culturale e
religioso dell’oriente e anche una sincera maturità ecumenica.
Nella tradizione cristiana, che segna la nostra cultura e il mondo
occidentale, è possibile trovare espressioni paragonabili all’OM: forse il
KYRIE ELEINSON o l’AMEN o l’ALLELUIA ma anche alcune melodie del
canto gregoriano. Padre LE SAUX, benedettino, che ha portato il
monachesimo cristiano in India e ha cercato di integrarlo con la cultura
asiatica ha espresso alcune riflessioni a riguardo, che vorrei riportare
testualmente, poiché mi sembrano veramente preziose: “Anche nella
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reinterpretazione cristiana OM è sempre in primo luogo il simbolo
dell’ineffabilità di Dio, l’ultimo gradino della nostra ascesa verso di lui, sul
piano di ciò che è ancora esprimibile…OM è una sorta d’esclamazione
appena articolata che l’uomo pronuncia quando scopre di essere messo
a confronto, in sé, con il mistero infinito di Dio…OM è il segno ultimo
dell’abisso di Dio e di sé.
…una OM che, nei tre elementi che la costituiscono e nell’unico suono
con cui si esprime, indica già in qualche modo l’estensione di Dio in tre
persone e il loro raccogliersi nell’unità indissolubile della Trinità.
…una OM che, uscita dal silenzio del Padre, si perde nel sussurro dello
Spirito dopo essere stata pronunciata dal Verbo che l’ha accolta in sé…
…una OM che canta nello stesso tempo il moto e il riposo di Dio
all’interno del mistero trinitario, nonché la comunicazione vicendevole
delle tre persone e il loro convergere nell’unico Dio….
Il cristiano riscopre e ripete l' OM come espressione stupefatta e
adorante del Tu che si sente rivolgere dal Padre e che a sua volta,
rivolge al Padre. Acquista così un senso pieno e definitivo, risuonando
nel più intimo del cuore, quando ci si dedica alla meditazione, al punto
da diventare un tutt'uno con noi, com' è caratteristica specifica di ogni
mantra”.
OM è la parola di meditazione più usata nel mondo ed è la parola
pronunciata che così ci unisce a tutte le persone che cercano Dio.
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6. PRATICA YOGICA PER TRASMETTERE L’ESPERIENZA
DEL MANTRA OM
1. Interiorizzazione come momento di transizione fra esterno ed interno,
presenza nelle zone che sono oggetto d’esercizio, richiamo della
coscienza alla corporeità e al respiro in generale.
Zona addominale, plesso solare, attivazione di Manipura Chakra:
2. In piedi, le gambe leggermente divaricate, eseguire 5 cicli di MukaBhastrika, inspirare dal naso ed espirare a tratti dalla bocca con l’addome
che rientra ritmicamente ad ogni espulsione e il busto si flette in avanti,
tornare in posizione di partenza, concentrarsi sul movimento dell’addome
e mantenere rilassate spalle e gola.
3. Dopo un relax in Shavasana portare le ginocchia al petto le braccia lungo i
fianchi, eseguire Urdhva Prasarita Padasana. All’inspiro portare le
braccia oltre il capo e le gambe perpendicolari a terra, all’espiro ritornare
in posizione di partenza, ripetere alcune volte con consapevolezza delle
sensazioni nella zona addominale.
4. Appoggiare quindi le piante dei piedi a terra, all’inspiro allungare le
braccia oltre il capo, all’espiro sollevare braccia e spalle e portare le mani
fra le ginocchia, ripetere qualche volta e poi rilassarsi in Shavasana.
5. Si può eseguire Uddiyana-bandha con una variante della posizione del
gatto, carponi con gli avambracci ripiegati e la fronte in appoggio sulle
mani incrociate, premendo le spalle a terra e aumentare al massimo l’arco
lombare. Espirare arrotondando la schiena, chiudere poi la glottide.
Rilassare l’addome, inarcare la schiena ed eseguire una falsa inspirazione.
Mantenere, quindi rilassare la glottide, l’addome ed insiprare. Ripetere 4 o
5 volte.
6. Portarsi in Makarasana, i palmi delle mani uno sull’altro e la fronte sul
dorso della mano sopra, le gambe leggermente divaricate e le punte dei
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piedi o i talloni rilasciati verso l’esterno, osservare le sensazioni nell’area
del plesso solare.
Alcuni movimenti e asana per portare alla percezione del variare del
respiro nella gola e scoprire progressivamente lo spazio del cuore
(Anahat Chakra)
7. Portarsi in Shavasana e prepararsi ad eseguire alcuni movimenti di 1°
Coccodrillo. A gambe piegate, ginocchia e piedi divaricati, intrecciare le
mani dietro il capo e portare il punto vita al pavimento con una leggera
retroversione del bacino. Espirando fare dei movimenti di discesa delle
ginocchia prima su un lato e poi, tornati al centro ispirando, sull’alro lato,
avendo cura ogni volta che si ritorna al centro, di portare il punto vita al
pavimento. I gomiti rimangono sempre al suolo. Nel movimento fare
perno sui piedi che si trovano vicino al bacino, il capo ruota in senso
opposto alle ginocchia, se queste sono ben divaricate il ginocchio della
gamba che si trova all’interno nella discesa non dovrebbe incontrare
l’altra gamba, in
modo da sentire un buon movimento del bacino.
Coordinare respiro e movimento.
8. Al termine Apanasana con ascolto delle sensazioni.
9. Shavasana.
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10. Samasthiti, piedi leggermente divaricati la larghezza del bacino e
paralleli, bacino retroverso, spalle basse, mento rientrato, sommità del
capo verso il cielo, osservare come cade il peso del corpo, né troppo
avanti, né troppo indietro, fare qualche movimento alla ricerca del
baricentro.
11. Uttanasana, portare le mani davanti ai piedi o sulla stessa linea, i polsi a
terra e le gambe eventualmente piegate un po’.
12. Virabhadrasana mantenuta per 10 respiri concentrandosi sulle linee
d’energia verticale, dal sacro alla nuca, e orizzontale, dalle dita di una
mano, al centro del petto, all’altra mano.
13. In posizione seduta eseguire Paschimottanasana, una flessione in avanti
per la distensione della schiena e la compressione dell’addome, dal punto
di vista energetico questa postura ha lo scopo di indirizzare il prana a
fluire nella via di mezzo (susumna nadi), stimola, convoglia l’energia a
circolare in questa struttura centrale, ad aprire questa via, per farci passare
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da quella che è la coscienza duale alla coscienza unitaria. Gambe unite e
leggermente flesse, afferrare gli alluci con l’indice medio e pollice, il
petto sulle cosce, colonna estesa verso l’alto, capo in linea con il dorso,
lentamente su più espiri, scivolare con le gambe in avanti mantenendo
l’allineamento capo-dorso, il mento è rientrato.
14. Portarsi sull’addome per compensare in Bhujangasana, le mani
all’altezza del petto, i gomiti premuti contro il corpo, gambe e piedi uniti,
eseguire un arco con la colonna, il mento è leggermente rientrato, le
braccia non si tendono e l’ombelico rimane a terra, mantenere per alcuni
respiri.
15. Rilassarsi qualche minuto in Shavasana.
16. Eseguire Sarvangansana per favorire il flusso della circolazione nel collo
e nella nuca, osservare la respirazione addominale modificata dalla
posizione capovolta, poi spostare la consapevolezza dall’ombelico alla
gola con l’inspirazione e dalla gola all’ombelico con l’espirazione.
Prendere la posizione lentamente, da gambe tese al suolo, posizionare il
capo a terra con attenzione cercando di tenerlo fermo durante tutta
l’esecuzione, portare una gamba tesa a 90°, poi l’altra, sollevare
lentamente il bacino facendo leva sulle mani e sul tratto dai gomiti alle
spalle, prendere la posizione con l’addome in dentro, portare le mani nella
zona renale ed estendere il corpo verso l’alto, lo sterno verso il mento,
piedi rilassati, il peso del corpo sarà prevalentemente sulla cintura
scapolare e l’alto dorso.
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17. Matsyasana come compensazione con respirazione toracica e clavicolare.
Seduti con le gambe distese in avanti, inclinare il tronco all’indietro e
dalla parte destra, poggiare il gomito destro. Procedere allo stesso modo
per quello sinistro. Spingere il torace in avanti e in alto, rovesciando il più
possibile il capo indietro, incurvare le reni e sostenersi sui gomiti.
Scendere il capo fino a terra spostando i gomiti in avanti. Incurvare le reni
per formare un arco i cui punti d’appoggio sono la sommità della testa, la
parte posteriore del bacino e i gomiti.
18. Portarsi in posizione seduta con capo, collo e tronco ben allineati.
Eseguire 5 cicli di Kapalabhati con Kumbaka e Bhanda di protezione.
Dal punto di vista energetico, questa tecnica coinvolge il plesso solare
(Manipura Chakra) ed Il capo (Ajna Chakra).
19. Eseguire poi qualche ciclo di Bhramari che, con le vibrazioni del suo
suono, produce un massaggio celebrale lavorando anche sulle ghiandole
endocrine contenute nel capo, ha effetto tranquillizzante che si ripercuote
sul sistema nervoso e sul corpo.
20. Eseguire una respirazione in Ujjayi che facilita il rilassamento e la calma,
purifica e libera attraverso l’espirazione il passaggio di Ida nadi preposta
allo sviluppo di uno stato d’interiorità e di ascolto. Questa tecnica ha
importanti effetti sul piano mentale, è una tecnica di Pratyhara di ritiro
dell’attenzione esteriore e di attivazione e ascolto dei sensi interni.
21. Concentrazione – respiro So-Ham
22. Prepararsi a cantare il Mantra OM. In posizione seduta, inspirare
profondamente, mentre si espira far vibrare lentamente le corde vocali con
un O… dolce e prolungato fino a vuotare interamente i polmoni. Il suono
deve essere grave e uniforme. Alla fine dell’espirazione, contrarre i
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muscoli addominali per far uscire l’ultimo residuo di aria. L’O fa vibrare
tutta l’ossatura della cassa toracica, questa vibrazione si comunica alla
massa d’aria contenuta nei polmoni, la cui membrana alveolare a contatto
con l’aria vibra a sua volta stimolando le cellule polmonari e gli scambi
gassosi.Queste vibrazioni raggiungono i tessuti più interni e le loro cellule
nervose, nei quali migliora la circolazione del sangue. Le ghiandole a
secrezione interna, che secernono i loro ormoni direttamente dal sangue e
dalla linfa, sono beneficamente stimolate. Il vibromassaggio provocato
dall’emissione della vocale O interessa in particolare gli organi contenuti
nella cassa toracica e nell’addome. Il suono M… deve risuonare nel
cranio, questa vibrazione corrobora i nervi cranici, migliora la
concentrazione e apporta una calma mentale. Cantare tre volte la Om
quindi proseguire mentalmente fintanto che se ne avverte l’esigenza e il
beneficio.
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