Istituto Superiore Formazione Insegnanti di Yoga
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Istituto Superiore di Formazione Insegnanti Yoga ISFIY di Milano corso 2004/2008 Titolo della tesi OM: IL SUONO CREATORE Candidato Sabina Coluccelli Relatore Susi Stefanini Indice: 1. Introduzione ………………………………………………..pag. 2 2. Il suono e il respiro nella meditazione…………………...pag. 4 3. Il mantra nella tradizione …………………………………pag. 17 4. Il pranava OM ……………………………………………..pag. 22 5. OM, parola di meditazione ……………………………….pag. 32 6. Pratica yogica per trasmettere l’esperienza del mantra OM …………………………………………….pag. 36 7. Bibliografia …………………………………………………pag. 42 1 1. INTRODUZIONE La scena si svolge verso l’ora del tramonto, c’è un piccolo laghetto, tutt’intorno si scorgono alte montagne. Non c’è nessuno salvo una figura seduta sulla riva del laghetto. Io, la vedo da dietro, forse indossa un mantello o una coperta, distinguo la forma triangolare che disegna il suo corpo, è seduto nella posizione del loto. Non gli vedo il viso ma so che è un anziano e che sta sorridendo. C’è silenzio e in questo silenzio solo un suono, non è proprio un suono, forse è meglio dire una vibrazione. Non trovo le parole adatte per descrivere l’atmosfera di pace e d’armonia che circonda il tutto. Quest’immagine mi accompagna fin da molto giovane, non saprei dire da dove essa venga se l’ho vista in un film, se l’ho sognata, se l’ho letta, ma per come la vivo ancora oggi dentro di me, potrei affermare che non c’è stato nulla di più reale di questo. Ho compiuto i cinquant’anni e mi accorgo che le scelte fatte, le mie ricerche, i rapporti con le persone e le cose, tutto mi riporta a quella scena, al tentativo di capire o ricreare con eventi esterni, quell’atmosfera e quel suono che so appartenermi da sempre. Quando ho incontrato lo yoga, sono rimasta dapprima colpita dalla posizione del loto, dall’immobilità, dal respiro e subito dopo dal mantra, dal suono e dalla sua ripetizione, dalla loro capacità di raggiungere la persona direttamente, come se non passassero attraverso la mente, ma raggiungessero direttamente il cuore. In questi anni di pratica, lo yoga mi ha dato molto: ho conosciuto il mio corpo, ne ho scoperto i limiti e le possibilità, ho conosciuto il mio respiro, 2 ho imparato ad osservarlo, a dirigerlo, ad utilizzarlo secondo il bisogno, ho conosciuto la mente, i suoi giochi e le sue trappole, le sue possibilità. Ho imparto a “sedermi”, a meditare, a sperimentare il distacco ma anche la grande unità e l’armonia con l’universo. E poi il mantra: ho sentito l'OM vibrare dentro di me, ne ho sentito l’emozione e la completezza. Ho scelto come titolo della mia tesi “OM il suono creatore”, perché esso porta con se momenti a me cari, una ricerca personale e ancora grandi scoperte. 3 2. IL SUONO E IL RESPIRO NELLA MEDITAZIONE Quando ho cominciato a fare esperienza di meditazione, dopo aver accettato la condizione d’immobilità del corpo, ho colto l’importanza del silenzio e quindi del suono e del respiro. La musica comincia dal silenzio e nel silenzio possiamo ascoltare il nostro respiro. Probabilmente la musica cominciò, quando l’uomo divenne consapevole delle possibilità espressive dei suoni che poteva produrre con la voce e delle pulsazioni dei ritmi della natura. Forse la musica cominciò dall’osservazione della natura, del battito del cuore, del tamburellare della pioggia che cadde, del canto di un uccello, del fragore di un temporale. La musica nasce prima dell’uomo oppure è l’uomo che crea dai suoni della natura? L’uomo percepiva il suono attraverso i sensi e scopriva di avere una voce con la quale poteva produrre egli stesso. La musica diventa quindi un linguaggio attraverso il qual è possibile esprimere ciò che sentiamo e percepiamo. In ogni momento della nostra vita quello che ci circonda provoca in noi delle reazioni; qualche volta proviamo emozioni più profonde: gioia e dolore, soddisfazione o frustrazione, oppure nasce in noi un interesse particolare per qualcosa che abbiamo visto o letto. Può nascere così il desiderio di esprimere le sensazioni e il linguaggio musicale, attraverso suoni e silenzi, può diventare un mezzo per esprimere le nostre emozioni. La musica diventa espressione dell’uomo, così come un libro, come un dipinto o una scultura e ognuno ne può cogliere qualcosa. La musica e alcuni generi in 4 particolare raggiungono l’uomo nelle profondità quasi senza passare attraverso le conoscenze, attraverso la mente, ma evocando qualcosa d’antico. Dice HAZRAT INAYAT KHAN, musicista indiano vissuto nella prima metà del ’900: “Ogni Sacra Scrittura, ogni immagine santa, ogni parola pronunciata, produce l’impressione della sua identità nello specchio dell’anima; ma la Musica, nei confronti dell’anima non produce impressioni di nome o di forma relative a questo mondo oggettivo e perciò prepara l’anima a realizzare l’infinito”. Gli antichi consideravano il suono come “vibrazione della forza elastica dell’aria”. Oggi l’acustica fisica ci afferma che il suono è prodotto dalla vibrazione di corpi elastici che si trasmettono all’elemento circostante, costituito generalmente dall’aria, propagandosi mediante condensazioni molecolari generate dalla pressione acustica, alternate da rarefazioni con andamento periodico ad onda. 5 Il suono è dunque vibrazione ed ogni vibrazione ha un effetto preciso sulle cose. L'esempio tipico è quello della famosa polverina che, sollecitata dalle corde di un violino, si dispone automaticamente secondo interessanti e perfette figure geometriche. Questi effetti erano noti sin dall'antichità: anche nell'Antico Testamento si parla delle trombe che distrussero le mura di Gerico col loro squillo, certamente quello squillo conteneva la vibrazione corrispondente allo schema di costruzione delle mura di Gerico, perciò il muro, dietro sollecitazione della sua stessa struttura, finisce col distruggersi. Altri esempi sono, in parte, il canto gregoriano e gli antichi modi greci. Ogni suono è essenzialmente una vibrazione. Ogni vibrazione, ogni tipo di movimento rappresenta una cosa, un'entità, un modo di essere, di vivere, di concepire. Ogni nota della scala ha una precisa corrispondenza con tanti altri fenomeni che esistono, quali ad esempio i pianeti del sistema solare, la struttura energetica dei chakra, la sequenza cromatica dei colori e via dicendo. Se prendiamo qualsiasi cosa che cade sotto i nostri sensi possiamo analizzarla ed inglobarla nel sistema delle note. I chakra hanno caratteristiche molto vicine a quelle del suono, proprio perché sono vortici d’energia: abbiamo una frequenza-vortice base che vibra ad una certa frequenza. E' chiaro così che agendo su una nota, per esempio suonando una nota do, o sol, agiremo direttamente sul chakra corrispondente. 6 I caratteri fisici essenziali del suono sono: 1. Altezza 2. Intensità 3. Timbro Altezza L’altezza è la caratteristica del suono che esprime quanto esso sia acuto o grave. E’ in rapporto diretto con il numero di vibrazioni al secondo del corpo che emette il suono. Più i suoni sono acuti e più il numero di frequenze è elevato, più i suoni sono gravi più il numero di frequenze è esiguo. 7 La frequenza rappresenta una grandezza fisica relativa alla quantità di volte che la vibrazione si ripete nell’unità di tempo di un minuto secondo. L’unità di misura della frequenza è l’hertz (Hz). Esemplificando: affermare che un suono è di 440 Hz equivale a dire che le vibrazioni che producono quel suono hanno una frequenza 440 periodi al secondo. Per un orecchio normalmente dotato, il campo di udibilità si estende da un minimo di frequenza di vibrazione attorno ai 16 Hz, sino ad un massimo attorno ai 16.000 Hz: entro questi limiti la persona percepisce la sensazione del suono. Tuttavia esistono anche suoni che l’uomo non percepisce poiché non rientrano nel suo campo di udibilità. Sia tratta degli ultrasuoni (percepiti da altre creature animali: cani, delfini, pipistrelli) che sono talmente acuti da non poter essere captati dall’orecchio umano e degli infrasuoni (percepiti da altri animali: gli elefanti) che sono così gravi da non poter essere disponibili all’orecchio umano. Un dato interessante è quello relativo all’universalità delle altezze musicali in ogni continente del globo terrestre. La lettura di questo dato ci porta a supporre che, se le modalità di espressione musicale umana, rientrano in un ambito di altezze comune a tutte le culture e le popolazioni del mondo, la percezione del concetto di musica, pur nelle differenze culturali, antropologiche, spirituali differenti, ha un parametro comune che ripropone una delle caratteristiche di unitarietà non solo della persona, ma dell’intero genere umano. 8 Intensità L'intensità è il parametro costitutivo del suono che distingue i suoni in forti o deboli, passando per tutte le situazioni intermedie, ciò che comunemente è chiamato “volume”. Si spiega con la diversa forza con cui i corpi sonori sono eccitati e con la distanza dell'ascoltatore dalla fonte sonora. Acusticamente dipende dall'ampiezza delle vibrazioni. L'unità di misura dell'intensità del suono è il decibel (dB). Timbro ll timbro, è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un altro. Il timbro dipende dalla forma dell'onda sonora, determinata dalla sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni fondamentali e dai loro armonici. Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è determinato dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e dalla maniera in cui questa viene posta in oscillazione. Il suono può essere descritto anche come la sensazione che nasce all’interno dell'io soggettivo, quando l'orecchio umano è stimolato da un’onda acustica. Nella propagazione delle onde sonore non vi è trasporto di materia ma solo trasmissione di energia. 9 La voce è il più antico strumento musicale ed è anche il più duttile e versatile degli strumenti sonori. La voce è prodotta dalla vibrazione di membrane, dette corde vocali, che attraversano la laringe lasciando tra loro un’apertura (Glottide). Quando si parla o si canta, un sistema di muscoli tende le corde vocali in modo che la glottide si riduce a una strettissima fenditura; passando in essa l’aria, proveniente dai polmoni attraverso la trachea, pone in vibrazione le corde vocali. L’altezza del suono emesso varia col variare della tensione delle corde. Il suono emesso è sempre molto complesso, le varie cavità del sistema respiratorio agiscono da casse di risonanza e, secondo la loro ampiezza e forma, rinforzano più o meno i vari suoni armonici. Nella normale emissione di voce ha funzione essenziale la conformazione della cavità boccale; nel canto invece, ha funzione predominante la risonanza delle cavità bronchiali e polmonari. 10 L’orecchio ha la funzione di raccogliere la vibrazioni che, provenendo dalle sorgenti sonore, si propagano nell’aria e di trasmetterle alle terminazioni del nervo acustico che, a sua volta, le trasmette al cervello. L’orecchio umano si divide in tre parti: orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno. L’orecchio esterno è costituito dal padiglione e dal condotto uditivo, il quale ad una profondità di circa due centimetri e mezzo, è chiuso dalla membrana del timpano. Il padiglione serve a raccogliere i suoni che, propagandosi attraverso il condotto uditivo, mettono in vibrazione la membrana del timpano. L’orecchio medio è una cavità che si trova oltre la membrana del timpano. In esso è contenuta una catena di tre ossicini che, per la loro forma, si chiamano martello, incudine e staffa; il martello appoggia sulla membrana del timpano, in modo che quanto questa vibra, anch’esso vibra e, attraverso l’incudine, trasmette le vibrazioni alla staffa. La cavità dell’orecchio medio è in comunicazione con il retrobocca e quindi con l’aria esterna, attraverso un canale che ha il nome di tromba di Eustacchio. L’orecchio interno è una cavità ossea, detta labirinto, ripiena di un liquido e divisa in parecchi canali. In esso si trova la parte essenziale dell’orecchio, un complesso condotto a spirale che, per la sua forma esterna, è detto chiocciola: nel suo interno si trova l’organo del Corti, costituito da circa 24.000 fibre di diversa lunghezza collegate con le terminazioni del nervo acustico. Le vibrazioni sonore, dopo essere state raccolte dal padiglione, si trasmettono attraverso il canale uditivo, la membrana del timpano, la catena di ossicini, il liquido dell’orecchio interno e giungono alle fibre 11 dell’organo del Corti, le quali funzionano come risonatori: ognuna della 24.000 fibre risuona soltanto di un piccolo intervallo di frequenza, in modo che l’organo del Corti fa l’analisi armonica del suono in arrivo. L’orecchio perciò ha la facoltà di distinguere i vari suoni, anche numerosi, che giungono ad esso contemporaneamente, L’intensità del suono si misura dando l’energia che cade in un secondo sull’unità di superficie. Ma una misura dell’intensità del suono mediante la sensazione che esso provoca in noi è molto difficile, sia perché questa sensazione varia da persona a persona sia perché l’orecchio ha sensibilità diverse per i diversi suoni. 12 Ma per tornare al tema: suono e meditazione, quello che mi preme evidenziare è che il suono è una vibrazione che può giungere dall’esterno e quindi produrre un effetto piacevole o spiacevole sulla mente o sul corpo oppure può essere prodotta da noi stessi e modificare lo stato della nostra mente o del nostro corpo. Il suono è un mezzo molto “potente” e nella meditazione può essere di grande aiuto per raggiungere una condizione di interiorizzazione, primo passo per entrare nello stato di meditazione. D’altra parte è possibile ritenere che gli effetti del suono non siano solo di carattere fisico ma siano dovuti al movimento di energia, che potremmo chiamare “sottile”. Scrive JHON BLOFELD: “Vi sono autori, soprattutto induisti (e forse, almeno in teoria, buddisti), i quali affermano che i mantra sono manifestazioni di Shabda (suono sacro), un’energia dai poteri creativi, trasformatori e distruttivi, potenti quanto quelli attribuiti dai testi al loro Dio o ai loro dei. Purtroppo è molto difficile trovare una descrizione chiara della natura di Shabda. Sarebbe ridicolo supporre, nonostante ciò che affermano le opere di numerosi autori moderni, che Shabda operi tramite vibrazioni fisiche. Senza dubbio, le vibrazioni fisiche sono ben lontane dal sublime concetto induista del potere creativo di Shabda, che ricorda il sonante passo di S.Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio”. D’altra parte il concetto gnostico di Logos (il Verbo, la Parola) deve comportare una sorta di relazione con il suono, altrimenti la scelta del termine sarebbe inspiegabile. Possiamo, credo, dedurre che vi è una 13 corrispondenza tra Shabda e suono normale, anche se il primo è molto superiore al secondo. Probabilmente è una corrispondenza simile a quella esistente tra prana-vayu (ch’i in cinese) e l’aria comune che respiriamo. Sebbene, come sa ogni adepto degli yoga della respirazione, il prana (energia cosmica) sia attratto nel corpo attraverso i pori e le narici, l’aria comune non è altro che il suo veicolo e la sua rozza controparte. Mentre il suono e il movimento dell’aria appartengono alla fisica, Shabda e prana sono energie misteriose, la cui natura può essere compresa pienamente, se mai, solo dagli yogin avanzati”. A questo punto parlare del respiro nella meditazione diventa naturale. Chiunque si sieda, in silenzio, per meditare, incontra questo “compagno di viaggio” così significativo e indispensabile. I popoli antichi consideravano il respiro come materia prima della vita: “Allora il Signore Iddio plasmò l’uomo con polvere del suono e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Genesi 2,7). Con la prima respirazione, il neonato s'inserisce nel ritmo della vita comincia, inspirando ed espirando, a sentire l’alternarsi di queste fasi vitali. La vita è l’ininterrotta serie di inspirazioni ed espirazioni e l’uomo conclude questa vita “esalando l’ultimo respiro”. Secondo una teoria degli indiani, l’uomo, ad ogni reincarnazione, porta con se un numero determinato di respirazioni. Chi respira affannosamente muore prima perché non può ottenere un numero di respirazioni maggiore di quello che gli fu assegnato. Chi invece vive tranquillo, con calma, e respira lentamente, amministra bene la sua salute ed avrà una lunga vita sulla terra. 14 L’uomo moderno ha difficoltà nel respirare e spesso non se ne rende neppure conto. Il respiro diventa corto, alto, affannoso e l’uomo perde energia vitale ed è più esposto alle malattie. Questa tensione e questo stress colpiscono sia gli adulti, sia i bambini e rischiano di procurare danni sia mentali che fisici. In questo senso prendere consapevolezza della respirazione naturale, eseguire alcuni esercizi di respirazione controllata, allungare i tempi dell’espirazione può essere di aiuto nel ritrovare uno stato di benessere. Nei templi Zen il controllo della respirazione è la prima cosa che è insegnata ai monaci. Quando la posizione è giusta e la respirazione è controllata, la mente entra in quello stato di calma in cui è possibile la meditazione profonda. I monaci Zen sostengono che, quando il chiacchierio interno dei pensieri interferisce con la meditazione, per riportare la mente nello stato desiderato, è sufficiente correggere la postura e regolare la respirazione. I monaci praticano la meditazione Zazen respirano quattro o cinque volte al minuto. Uno dei modi per ridurre il numero dei respiri è di prolungare la durata dell’espirazione: si dovrebbe espirare così dolcemente che il flusso 15 dell’aria non muoverebbe una piuma sotto la punta del naso. Alla fine l’aria sarà inspirata automaticamente. In effetti, il più profondo svuotamento d’anidride carbonica dai polmoni permette poi l’accesso ad una maggior quantità d’ossigeno fresco. Da questo traggono beneficio sia l’attività respiratoria e cardiaca, sia la mente. Una respirazione lenta, tranquilla, porta ad un naturale sollievo davanti alle emozioni, all’agitazione che spesso accompagna la nostra vita. Respirare nella meditazione, significa quindi, prendere contatto con una grande energia vitale, significa conoscerla e in alcuni casi dirigerla a maggior beneficio di tutta la persona. 16 3. IL MANTRA NELLA TRADIZIONE Nei Purana (antiche scritture) è descritto questo fatto: c’era un uomo chiamato Markandaya al quale era stata concessa dal Creatore una lunghezza di vita di soli diciotto anni a causa del suo Karma passato. Markandaya andò dai saggi per imparare il segreto della longevità. Uno dei grandi Maestri gli diede un mantra insieme alla sua benedizione. Markandaya, con la perseveranza e l’impegno costante, ottenne la vita eterna. Dice JOHN BLOFELD: “Il fatto che la fede nel potere mantrico o in qualcosa di molto simile, fosse piu’ o meno diffusa in tutto il mondo può indurre a credere nella sua realtà, ma non contribuisce per nulla a delucidare la vera natura del mantra. Dire che la fonte del loro potere è la mente non conduce più avanti, specialmente se, come tutti coloro che usano i mantra, si crede che ogni cosa che è concepibile derivi dalla mente”. E’ necessaria una fiducia molto grande nel mantra al fine di raggiungere gli effetti desiderati. Infatti, se hai fede nel mantra e gli permetti di vibrare con te, forse qualcosa può cambiare. Mantra è un termine sanscrito che appare già in epoca vedica e in origine indicava inni religiosi e preghiere. Successivamente la stessa parola indicò frasi propiziatorie e formule magiche per ottenere poteri, per difendersi, per colpire i propri nemici o per ritrovare oggetti smarriti. Nel KAUSIKASUTRA, che è la fonte più importante dei mantra dell’età antica, la classe sacerdotale dell’epoca vedica ha rielaborato e ordinato 17 queste formule che per altro sono presenti sia nell’Induismo, sia nel Buddhismo. Si ritiene che il mantra abbia questo nome perché raggiunge i suoi obiettivi per mezzo di un processo mentale. La definizione del termine mantra che mi è parsa più interessante, riconosce la parola come formata da due parti: la radice MAN che significa “pensare” ma che indica anche l’uomo come unico essere in tutta la creazione capace di pensare, e il suffisso TRA che è proprio dei vocaboli che indicano funzionalità e ha il senso di “proteggere”, “liberare” dalla schiavitù del mondo dei fenomeni. Ogni singolo mantra è una combinazione di lettere o di fonemi o di parole. Questa particolare struttura di lettere o di suoni ha il potere di rivelare la divinità alla coscienza dell’aspirante che l’ha evocata. Il mantra è ripetuto in continuazione ed acquista così nella ripetizione, un potere e un’efficacia crescenti. Inoltre nel mantra si considera il nome, l’oggetto che il nome indica ed il suo significato come una realtà la cui unità è indivisibile ed è questo un rapporto con la realtà più propriamente orientale. Diceva Ramakrishna: “Credete che il nome di Dio sia insignificante? Lui e il suo nome sono identici. Sathiabhama, ammucchiando ori e gioielli, non poté far salire di un dito il piatto della bilancia sul quale stava il Signore, ma Rukmini vi riuscì non appena ebbe posto semplicemente una foglia di tulsi sul quale era inciso il nome di Krishna, il signore beneamato… “Chiunque pronunci il nome di Dio, sotto qualsiasi forma, volontariamente o involontariamente, finisce per trovare l’immortalità”. 18 Nel mantra quindi il nome e quanto il nome indica s' identificano. Dio, il suo nome e la sua sostanza sono un’unica realtà, non solo espressa ma anche presente nel nome. Inoltre, nel mantra, il nome di Dio si manifesta a noi come suono ed è in questo suono che è presente la materia prima di ogni manifestazione. In questo modo il mantra non è soltanto la forma di ciò che è pronunciato ma l’oggetto stesso della meditazione. Quando le vibrazioni del suono emesso con attenzioni particolare, raggiungono una certa perfezione, toccano l’anima e il mantra, il suo significato e la sua efficacia, sono percepiti in profondità. Per questo il mantra è considerato una via importante nella realizzazione della vita interiore. Le tecniche del mantra erano e sono anche oggi trasmesse soprattutto per via orale e il mantra individuale può essere trasmesso esclusivamente e direttamente dal maestro al discepolo. Il maestro comunica il suo potere e l’essenza della sua stessa natura al discepolo e quest’ultimo cercherà di raggiungere la liberazione da ogni legame terreno, si sforzerà di purificarsi perché l’anima possa lasciar spazio ed accogliere la verità spirituale che ha ricevuto. Seguendo la via del mantra non dobbiamo dimenticare la pratica degli ASANA, che lavorano sulla parte più grossolana del corpo, di PRANAYAMA, che lavora sul soffio vitale e delle tecniche mentali. Tutte hanno lo scopo di ottenere la massima purificazione del nostro livello fisico, mentale e psicologico, per creare quello spazio interiore che ci mette in comunicazione con la divinità. 19 Anche il mantra yoga ha lo scopo di purificare la mente, di fare in modo che la mente possa essere totalmente concentrata sull’emissione del suono in modo consapevole. Nella tradizione gli scopi che si evidenziano con chiarezza sono tre. In primo luogo il mantra propiziatorio, che è collegato al rapporto dell’uomo primitivo con la natura, e che ha lo scopo di ingraziarsi le potenze positive e neutralizzare le negative. In secondo luogo il mantra d’acquisizione che ha uno scopo terapeutico, diretto allo sviluppo di qualità individuali latenti o alla trasformazione di quelle qualità in veri e propri poteri (le SIDDHI). Infine il mantra di identificazione che ha per scopo qualsiasi tipo di ricerca o di celebrazione religiosa. La finalità più profonda e spirituale del mantra è comunque quella di raggiungere uno stato idoneo ad entrare in comunicazione con Dio. Per quanto riguarda il significato delle parole espresse dal mantra, possiamo distinguere i mantra che riprendono brani di poemi, frasi sacre, contrazioni di brani letterari o sacri e che hanno una funzione più didattica perché imprimono nella mente del fedele l’essenza della dottrina. Esistono poi i mantra che hanno un senso esplicito e sono i BIJA MANTRA (BIJA=SEME). Questi ultimi sono composti di una o più sillabe, prive di un significato letterale ma che contengono comunque un significato nascosto, di carattere mistico. Buddisti e Induisti ritengono che i bija-mantra si manifestino attraverso una percezione soprasensoriale, cioè che siano rivelati in uno stato di meditazione o che siano il frutto di pura intuizione. 20 Per quanto riguarda la pratica si ritiene che per realizzare le potenzialità insite nel mantra non sia sufficiente recitarlo. E’ necessaria una pronuncia fonetica corretta, una giusta intonazione, la concentrazione e l’immagine cui corrisponde il suono. Inoltre, essendo il mantra un pensiero e come ogni altro pensiero influenza la mente e il corpo. Nell’ambiente tibetano circolano molti aneddoti inerenti al fatto che è sufficiente un solo mantra, imparato oppure inventato. JOHN BLOFELD ne cita uno nel suo libro sui mantra. “ Un monaco indiano interruppe il ritiro annuale durante la stagione delle piogge per fare visita alla madre, temendo che fosse disperatamente a corto di cibo. Sorpreso di trovarla soddisfatta e in ottima salute, rimase ancor più sbalordito quando la madre gli assicurò che aveva imparato uno speciale mantra grazie al quale “per il potere della Grande Dea” poteva far bollire le pietre e trasformarle in cibo nutriente, ma il monaco, che era un uomo dottissimo, appena la sentì recitare il mantra cominciò a correggere i numerosi errori di pronuncia. Purtroppo, quando la povera donna recitò il mantra in modo esatto, fu del tutto inefficace, allora il figlio le consigliò di tornare al vecchio sistema di recitazione e ben presto, grazie alla sua gran fede, la donna riprese a trasformare le pietre in cibo!”. 21 4. IL PRANAVA OM La CHANDOGYA UPANISAD spiegando l’importanza attribuita alla parola dice: “L’essenza di tutte le creature è la terra, l’essenza della terra è l’acqua, l’essenza dell’acqua è costituita dalle piante, l'essenza delle piante è l’uomo, l’essenza dell’uomo è la parola, l’essenza della parola è la RIG (inno), l’essenza della RIG è il SAMAN (melodia), l’essenza della melodia è l’UDGITHA (canto rituale) di queste essenze la vera essenza, la suprema, la migliore è l’ottava l’UDGITHA (OM)”. E prosegue più avanti: “Con essa compiono il sacrificio entrambi, tanto chi sa quanto chi non sa. Ma diverse sono (nei loro confronti) la scienza e l’ignoranza. E soltanto il sacrificio che si compie con la scienza, con la fede, con la mistica dottrina, esso solo è veramente efficace”: In questa sorta d’evoluzione e trasformazione energetica dopo la terra vengono l’acqua e le piante, quindi l’uomo, con la sua capacità di esprimersi attraverso un linguaggio interno ed esterno. Dopo la parola viene la poesia ma ancora più in là c’è la musica che ci porta oltre il significato delle parole, in uno stato di ricettività intuitiva. Al di sopra di tutti è il sacro fonema OM, la vera essenza. 22 La via del mantra OM è aperta a tutti “a chi sa e a chi non sa”, quello che conta è la consapevolezza, la fede, l’applicazione costante. Om, punto più alto d’unione, contiene in sé come in un seme (BIJA) tutte le proprietà latenti di tutti gli stadi precedenti. OM è la quintessenza, la sillaba-germe dell’universo, la parola magica per eccellenza. Nelle MUNDAKA UPANISAD l’OM è paragonato ad un arco: “Avendo preso come arco la grande arma dell’Insegnamento Segreto si dovrebbe fissare ad esso la freccia forgiata della Meditazione Costante”. Tendendo la mente piena di Questo (Brahman ) penetra, o nobile giovane nel bersaglio: L’Imperibile (il Supremo). Il Pavana OM è l’arco, la freccia è l’io, Brahman si dice sia il bersaglio. Esso deve essere colpito esattamente, ci si dovrebbe unire ad Esso come la freccia al bersaglio.” Nella Mandukya Upanisad, l’OM viene paragonato al Brahman: “La sillaba OM è tutto l’universo”. Ecco la spiegazione Il passato, il presente, il futuro: tutto ciò è (compreso nella) sillaba OM. E anche ciò che è al di là del tempo, che è triplice, è (compreso nella) sillaba OM.” OM è il simbolo di Brahman, contiene in sé tutti gli altri Bija mantra; tutti i suoni esistenti, udibili e non udibili, tutte le lettere dell’alfabeto sanscrito. OM è il PRANAVA: è la parola che da nutrimento allo spirito. Sempre la Mandukya Upanisad prosegue spiegando la corrispondenza tra le lettere costituenti la sillaba OM o meglio AUM (il dittongo AU nella lingua sanscrita si pronuncia O) con modi di essere e stati dell’IO. 23 “ Per quanto riguarda i fonemi, questo Atman corrisponde alla sillaba OM, considerandone gli elementi costitutivi. Gli elementi costitutivi corrispondono ai modi di essere, e i modi di essere corrispondono agli elementi costitutivi, ossia ai suoni AUM. Lo stato di veglia, Vaishvanara, corrisponde alla lettera A. In verità ottiene tutti i desideri e diventa il primo colui che così conosce. Lo stato di sogno, Taijasa, corrisponde alla lettera U, In verità colui che così conosce tiene alta la tradizione della conoscenza (nella sua famiglia), è indifferente (a gioie e dolori) e nella sua stirpe nasce chi conosce il Brahman. Lo stato di sonno profondo, Prajna, corrisponde alla lettera M In verità colui che così conosce crea tutto quest’universo e lo riassorbe in sé. Il quarto stato non corrisponde ad un singolo elemento, è inavvicinabile, in esso il mondo visibile si risole, è benevolenza, è assolutamente non duale. Così la sillaba OM è in verità l’Atman (nei suoi quattro stati). Colui che così conosce penetra nel Sé (assoluto) con il sé (individuale).” AUM è l’origine di tutti i suoni ma è anche il silenzio tra le cose, è puro pensiero, è lo stato di Brahman. AUM, com’è scritto in sanscrito, contiene: le tre lettere (A, U, M) e il concetto di AUM, NADA e BINDU. AUM rappresenta la Trimurti indiana (nascita, vita e morte): Brama, il dio creatore; Vishnu, il dio conservatore; Shiva, il dio distruttore-rinnovatore. 24 NADA è la mezzaluna crescente che indica la continuità, il proseguimento del suono nello spazio. BINDU (punto, goccia) è il punto sopra Nada, l’atomo del suono. Il suono AUM, nel suo proseguimento, svanisce in un tempo e in uno spazio non identificabili. Gli altri due segni, Nada e Bindu, il suono e l’atomo, indicano la condizione a cui desidera arrivare colui che pratica il mantra. Il mantra AUM, indirizzato ai tre aspetti della divinità indiana, è una presa di contatto con le vibrazioni sottili che risiedono dentro di noi ma anche intorno al nostro essere, per aiutar, per sostenere, difendere, purificare e condurre il praticante in un cammino di ricerca spirituale. La pratica della ripetizione (JAPA) porta a ritrovare la vibrazione dentro di noi per accordarla con la vibrazione universale. Pare che quando il praticante pronunci il suono OM le cellule stesse entrino in uno stato di euforia, per la gioia di ritrovare qualcosa che già conoscono. Esiste una pratica nella quale è sviluppata la ricerca del “suono primordiale”. Partendo da una posizione corretta del corpo, da seduti, schiena diritta, spalle rilassate, occhi chiusi, portare l’attenzione sul respiro dentro e fuori di noi. Continuare così per un breve tempo, portando l’attenzione sull’espiro. Quindi dare gradualmente al suono dell’espiro una qualità vocale un po’ più definita. Inizialmente il suono che uscirà sarà grave, sarà una vocale, ma poi lentamente tenderà a diventare simile all'OM. 25 Secondo SIVANANDA l’Om può essere praticato: sonoramente, debolmente o silenziosamente. La pratica è guidata da tecniche particolare chiamata JAPA-YOGA (ripetizioni), Prima di cantare l’OM è necessario immaginare e sentire il suono nella mente quindi visualizzare il mantra nella scrittura sanscrita poiché si ritiene che la sua forza sia collegata alla lingua originaria. Il mantra va praticato ogni giorno e solo attraverso una grande dedizione è possibile sperimentarne tutti gli effetti. La concentrazione sul mantra porta ad uno stato d’unità e di benessere con se stessi e con gli altri. 26 Una pratica del mantra OM consiste nel suddividerlo in tre punti di risonanza. A: la vibrazione che si colloca all’altezza del plesso solare, dell’ombelico (Manipura Chakra) U: che risuona nella zona del cuore, nel plesso cardiaco (Anahat Chakra) M: che risuona nella zona tra le sopracciglia (Ajna Chakra). L’esercizio consiste nel cercare le risonanze in questi tre punti del corpo, attraverso il respiro e l’emissione del suono corrispondente. Diventa importante allora anche il modo in cui il suono viene emesso, senza trattenerlo eccessivamente e senza sforzo. 27 SATYANANDA, nel suo libro “Il mantra” sostiene che esistono cinque modi per praticare il mantra: - a voce alta (e questo è il modo più elementare), ripetendo OM OM OM….; - a fior di labbra; - mentalmente, chiudendo le labbra e ripetendo mentalmente; - concentrandosi sulla punta del naso, sul respiro naturale che entra ed esce e quindi sincronizzando il mantra sull’inspiro e sull’espiro; - scrivendolo chiaramente, lentamente e con caratteri molto piccoli su un diario, ogni giorno. 28 Sostiene inoltre, che i primi tre tipi di ripetizione, dovrebbero essere praticati con il MALA. Il mala è una specie di collana, va tenuto in mano e ogni grano è un mantra quindi la mano scorre da un grano all’altro. In questo modo si cerca di controllare la mente, che tende a perdere la concentrazione. Satyananda propone alcune pratiche interessanti e suggerisce ai principianti di praticare il mantra a voce alta. La ripetizione cosciente è chiamata Japa e quando il procedimento diventa automatico, senza alcuno sforzo, come se il mantra procedesse da sé, si può parlare AJAPA. Una pratica utile per colori i quali hanno una mente agitata, depressa o introversa è questa: - assumere vertebrale una e posizione testa meditativa, diritta, spalle occhi rilassate, chiusi, colonna mani posate possibilmente sulle ginocchia, corpo fermo e senza tensioni 29 - tenere il mala al punto SUMERU (l’inizio e la fine segnati da un nodo, da un fiocco…) - iniziare a ripetere il mantra ad alta voce, in continuazione, ad una comoda velocità - ad ogni ripetizione del mantra muovere il grano del mala - non cercare di concentrarsi troppo sulla pratica ma mantenere la consapevolezza del suono del mantra e sulla rotazione del mala - lasciare che i pensieri fluiscano liberamente e non interferire con essi - se la mente si distrae, riportarla sul mantra e sul mala - non oltrepassare il sumeru ma arrivati lì girare il mala e continuare la pratica - completato il numero stabilito di giri, fermare la pratica - portare la consapevolezza a Chidakasha, lo spazio che è di fronte ad occhi chiusi, e osservare qualsiasi pensiero, sensazione o visione, senza interferire - dopo alcuni minuti terminare portando l’attenzione sul corpo e sul respiro naturale - ripetere OM tre volte e riaprire gli occhi. Secondo Patanjali la parola OM esprime l’essenza del Signore “TASYA VACAKAH PRANAVAH” e poiché i saggi delle scritture ritengono che il rapporto tra parola esprimente e cosa significhi sia eterno, a chi ha compreso tale rapporto, s’impone la “ripetizione di questo e la meditazione sul suo significato”. 30 Se lo yogin ripete il Pranava e riflette sul suo significato, egli consegue la piena concentrazione mentale, la conoscenza dell’anima individuale e la rimozione degli ostacoli. 31 5. OM, PAROLA DI MEDITAZIONE In questa piccola ricerca sul suono ed in particolare sul mantra ho cercato di riunire delle conoscenza non certamente mie ma che mi sembra di avere compreso leggendo libri ed articoli, partecipando a corsi e praticando personalmente alcune tecniche. Vorrei così concludere questo lavoro riportando, per quanto è possibile, la mia esperienza del mantra Om e alcune riflessioni che mi hanno pensare a questa parola come ad un ponte che possa unire l’oriente all’occidente e permettere all’umanità di sentirsi spiritualmente una nel rispetto delle differenze e nel desiderio di cercare non quello che divide ma quello che unisce. Il primo incontro con il mantra OM è avvenuto durante le lezioni di Yoga. Ogni tanto l’insegnante proponeva di cantare l'OM e ricordo una prima occasione in cui ho percepito il mio corpo come uno strumento musicale nel quale questo suono poteva vibrare liberamente raggiungendone ogni parte e provocando una sensazione molto forte. In altre occasioni, dopo aver cantato l'OM ho notato un cambiamento d’umore o uno stato di calma mentale che prima nella pratica non avevo. Forse questa via mi è particolarmente congeniale, sicuramente il suono raggiunge più direttamente dei livelli di coscienza. Il fatto che il mantra sia una via aperta a tutti mi è parsa una cosa interessante. In effetti, cantando, la mente diventa quasi un impiccio, crea tensione. Se la mente si annulla e non interviene tutto può avvenire. Portare l’attenzione sul suono ripetuto molte volte induce alla meditazione, ad un'alterazione dello stato di coscienza in cui, dirigendo 32 l’attenzione su un unico stimolo, viene limitata la ricezione di stimoli multipli. In questo senso cantare dei mantra può condurre ad uno stato di rilassamento ad un senso di armonia tra chi canta e l’ambiente circostante, a una sensazione di espansione della coscienza. Chi trae giovamento dal mantra, per ottenerne tutti i benefici, deve praticarlo regolarmente e costantemente, come una “cura” che ha effetto solo nel momento in cui viene seguita. Cantare il mantra OM ogni giorno (l’ho fatto per circa sei mesi) è un’esperienza interessante. I modi diversi in cui è possibile cantare, come il suono esce da noi, com'è possibile emetterlo quasi senza sforzo, le varie parti del corpo in cui è possibile percepire le vibrazioni… tutto questo è motivo di interesse. Ma anche osservare il cambiamento dello stato mentale, spesso il passaggio da una situazione di stress o di confusione ad uno stato di radicamento o di forza, è altrettanto interessante. Inoltre, il fatto di cantarlo regolarmente crea quasi una “piacevole dipendenza” e il giorno in cui, per svariati motivi, non si riesce a praticare, se ne sente la “mancanza”. Anche il passaggio tra il canto a voce ed il canto mentale è percepibile come un'interiorizzazione, un approfondimento e, in modo particolare, un forte movimento di energia. In effetti, la ripetizione mentale è considerata una pratica molto più avanzata e potente e quindi più adatta a chi ha già esperienza di concentrazione. E’ risultato anche interessante cantare l’OM su una nota particolare, SOL, considerata da più esperti in campo musicale la nota del cosmo. 33 Cantare l’OM su una nota piuttosto che un’altra, è usato soprattutto in campo terapeutico come pratica di guarigione. Un altro aspetto e anche altri effetti sono quelli che derivano da una pratica, oso dire, comunitaria, del mantra OM: cantato al termine di una lezione di yoga o nel corso di una meditazione provoca sempre momenti di grande armonia e una sensazione d’unità, oltre ogni differenza. “Questo simbolo, uscito dalle profonde percezioni spirituali dei saggi, significa ed esprime, con la maggiore approssimazione possibile, Dio (VIVEKANANDA) e nello stesso tempo manifesta perfettamente “l’annullamento della parola e del pensiero davanti al mistero ineffabile di Dio” (LE SAUX). Ho avuto occasione di cantare l’OM in ambienti di varia ispirazione: durante una lezione di yoga, piuttosto che nel corso di una preghiera cristiana o di una meditazione, come effetto sonoro del canto dei sutra. Questo mantra viene anche inserito in meditazioni organizzate da gruppi più eclettici, che s'ispirano a fonti diverse. Sempre ho pensato che l’OM stava bene lì. Indubbiamente la preghiera con l’OM presuppone una certa conoscenza del mondo culturale e religioso dell’oriente e anche una sincera maturità ecumenica. Nella tradizione cristiana, che segna la nostra cultura e il mondo occidentale, è possibile trovare espressioni paragonabili all’OM: forse il KYRIE ELEINSON o l’AMEN o l’ALLELUIA ma anche alcune melodie del canto gregoriano. Padre LE SAUX, benedettino, che ha portato il monachesimo cristiano in India e ha cercato di integrarlo con la cultura asiatica ha espresso alcune riflessioni a riguardo, che vorrei riportare testualmente, poiché mi sembrano veramente preziose: “Anche nella 34 reinterpretazione cristiana OM è sempre in primo luogo il simbolo dell’ineffabilità di Dio, l’ultimo gradino della nostra ascesa verso di lui, sul piano di ciò che è ancora esprimibile…OM è una sorta d’esclamazione appena articolata che l’uomo pronuncia quando scopre di essere messo a confronto, in sé, con il mistero infinito di Dio…OM è il segno ultimo dell’abisso di Dio e di sé. …una OM che, nei tre elementi che la costituiscono e nell’unico suono con cui si esprime, indica già in qualche modo l’estensione di Dio in tre persone e il loro raccogliersi nell’unità indissolubile della Trinità. …una OM che, uscita dal silenzio del Padre, si perde nel sussurro dello Spirito dopo essere stata pronunciata dal Verbo che l’ha accolta in sé… …una OM che canta nello stesso tempo il moto e il riposo di Dio all’interno del mistero trinitario, nonché la comunicazione vicendevole delle tre persone e il loro convergere nell’unico Dio…. Il cristiano riscopre e ripete l' OM come espressione stupefatta e adorante del Tu che si sente rivolgere dal Padre e che a sua volta, rivolge al Padre. Acquista così un senso pieno e definitivo, risuonando nel più intimo del cuore, quando ci si dedica alla meditazione, al punto da diventare un tutt'uno con noi, com' è caratteristica specifica di ogni mantra”. OM è la parola di meditazione più usata nel mondo ed è la parola pronunciata che così ci unisce a tutte le persone che cercano Dio. 35 6. PRATICA YOGICA PER TRASMETTERE L’ESPERIENZA DEL MANTRA OM 1. Interiorizzazione come momento di transizione fra esterno ed interno, presenza nelle zone che sono oggetto d’esercizio, richiamo della coscienza alla corporeità e al respiro in generale. Zona addominale, plesso solare, attivazione di Manipura Chakra: 2. In piedi, le gambe leggermente divaricate, eseguire 5 cicli di MukaBhastrika, inspirare dal naso ed espirare a tratti dalla bocca con l’addome che rientra ritmicamente ad ogni espulsione e il busto si flette in avanti, tornare in posizione di partenza, concentrarsi sul movimento dell’addome e mantenere rilassate spalle e gola. 3. Dopo un relax in Shavasana portare le ginocchia al petto le braccia lungo i fianchi, eseguire Urdhva Prasarita Padasana. All’inspiro portare le braccia oltre il capo e le gambe perpendicolari a terra, all’espiro ritornare in posizione di partenza, ripetere alcune volte con consapevolezza delle sensazioni nella zona addominale. 4. Appoggiare quindi le piante dei piedi a terra, all’inspiro allungare le braccia oltre il capo, all’espiro sollevare braccia e spalle e portare le mani fra le ginocchia, ripetere qualche volta e poi rilassarsi in Shavasana. 5. Si può eseguire Uddiyana-bandha con una variante della posizione del gatto, carponi con gli avambracci ripiegati e la fronte in appoggio sulle mani incrociate, premendo le spalle a terra e aumentare al massimo l’arco lombare. Espirare arrotondando la schiena, chiudere poi la glottide. Rilassare l’addome, inarcare la schiena ed eseguire una falsa inspirazione. Mantenere, quindi rilassare la glottide, l’addome ed insiprare. Ripetere 4 o 5 volte. 6. Portarsi in Makarasana, i palmi delle mani uno sull’altro e la fronte sul dorso della mano sopra, le gambe leggermente divaricate e le punte dei 36 piedi o i talloni rilasciati verso l’esterno, osservare le sensazioni nell’area del plesso solare. Alcuni movimenti e asana per portare alla percezione del variare del respiro nella gola e scoprire progressivamente lo spazio del cuore (Anahat Chakra) 7. Portarsi in Shavasana e prepararsi ad eseguire alcuni movimenti di 1° Coccodrillo. A gambe piegate, ginocchia e piedi divaricati, intrecciare le mani dietro il capo e portare il punto vita al pavimento con una leggera retroversione del bacino. Espirando fare dei movimenti di discesa delle ginocchia prima su un lato e poi, tornati al centro ispirando, sull’alro lato, avendo cura ogni volta che si ritorna al centro, di portare il punto vita al pavimento. I gomiti rimangono sempre al suolo. Nel movimento fare perno sui piedi che si trovano vicino al bacino, il capo ruota in senso opposto alle ginocchia, se queste sono ben divaricate il ginocchio della gamba che si trova all’interno nella discesa non dovrebbe incontrare l’altra gamba, in modo da sentire un buon movimento del bacino. Coordinare respiro e movimento. 8. Al termine Apanasana con ascolto delle sensazioni. 9. Shavasana. 37 10. Samasthiti, piedi leggermente divaricati la larghezza del bacino e paralleli, bacino retroverso, spalle basse, mento rientrato, sommità del capo verso il cielo, osservare come cade il peso del corpo, né troppo avanti, né troppo indietro, fare qualche movimento alla ricerca del baricentro. 11. Uttanasana, portare le mani davanti ai piedi o sulla stessa linea, i polsi a terra e le gambe eventualmente piegate un po’. 12. Virabhadrasana mantenuta per 10 respiri concentrandosi sulle linee d’energia verticale, dal sacro alla nuca, e orizzontale, dalle dita di una mano, al centro del petto, all’altra mano. 13. In posizione seduta eseguire Paschimottanasana, una flessione in avanti per la distensione della schiena e la compressione dell’addome, dal punto di vista energetico questa postura ha lo scopo di indirizzare il prana a fluire nella via di mezzo (susumna nadi), stimola, convoglia l’energia a circolare in questa struttura centrale, ad aprire questa via, per farci passare 38 da quella che è la coscienza duale alla coscienza unitaria. Gambe unite e leggermente flesse, afferrare gli alluci con l’indice medio e pollice, il petto sulle cosce, colonna estesa verso l’alto, capo in linea con il dorso, lentamente su più espiri, scivolare con le gambe in avanti mantenendo l’allineamento capo-dorso, il mento è rientrato. 14. Portarsi sull’addome per compensare in Bhujangasana, le mani all’altezza del petto, i gomiti premuti contro il corpo, gambe e piedi uniti, eseguire un arco con la colonna, il mento è leggermente rientrato, le braccia non si tendono e l’ombelico rimane a terra, mantenere per alcuni respiri. 15. Rilassarsi qualche minuto in Shavasana. 16. Eseguire Sarvangansana per favorire il flusso della circolazione nel collo e nella nuca, osservare la respirazione addominale modificata dalla posizione capovolta, poi spostare la consapevolezza dall’ombelico alla gola con l’inspirazione e dalla gola all’ombelico con l’espirazione. Prendere la posizione lentamente, da gambe tese al suolo, posizionare il capo a terra con attenzione cercando di tenerlo fermo durante tutta l’esecuzione, portare una gamba tesa a 90°, poi l’altra, sollevare lentamente il bacino facendo leva sulle mani e sul tratto dai gomiti alle spalle, prendere la posizione con l’addome in dentro, portare le mani nella zona renale ed estendere il corpo verso l’alto, lo sterno verso il mento, piedi rilassati, il peso del corpo sarà prevalentemente sulla cintura scapolare e l’alto dorso. 39 17. Matsyasana come compensazione con respirazione toracica e clavicolare. Seduti con le gambe distese in avanti, inclinare il tronco all’indietro e dalla parte destra, poggiare il gomito destro. Procedere allo stesso modo per quello sinistro. Spingere il torace in avanti e in alto, rovesciando il più possibile il capo indietro, incurvare le reni e sostenersi sui gomiti. Scendere il capo fino a terra spostando i gomiti in avanti. Incurvare le reni per formare un arco i cui punti d’appoggio sono la sommità della testa, la parte posteriore del bacino e i gomiti. 18. Portarsi in posizione seduta con capo, collo e tronco ben allineati. Eseguire 5 cicli di Kapalabhati con Kumbaka e Bhanda di protezione. Dal punto di vista energetico, questa tecnica coinvolge il plesso solare (Manipura Chakra) ed Il capo (Ajna Chakra). 19. Eseguire poi qualche ciclo di Bhramari che, con le vibrazioni del suo suono, produce un massaggio celebrale lavorando anche sulle ghiandole endocrine contenute nel capo, ha effetto tranquillizzante che si ripercuote sul sistema nervoso e sul corpo. 20. Eseguire una respirazione in Ujjayi che facilita il rilassamento e la calma, purifica e libera attraverso l’espirazione il passaggio di Ida nadi preposta allo sviluppo di uno stato d’interiorità e di ascolto. Questa tecnica ha importanti effetti sul piano mentale, è una tecnica di Pratyhara di ritiro dell’attenzione esteriore e di attivazione e ascolto dei sensi interni. 21. Concentrazione – respiro So-Ham 22. Prepararsi a cantare il Mantra OM. In posizione seduta, inspirare profondamente, mentre si espira far vibrare lentamente le corde vocali con un O… dolce e prolungato fino a vuotare interamente i polmoni. Il suono deve essere grave e uniforme. Alla fine dell’espirazione, contrarre i 40 muscoli addominali per far uscire l’ultimo residuo di aria. L’O fa vibrare tutta l’ossatura della cassa toracica, questa vibrazione si comunica alla massa d’aria contenuta nei polmoni, la cui membrana alveolare a contatto con l’aria vibra a sua volta stimolando le cellule polmonari e gli scambi gassosi.Queste vibrazioni raggiungono i tessuti più interni e le loro cellule nervose, nei quali migliora la circolazione del sangue. Le ghiandole a secrezione interna, che secernono i loro ormoni direttamente dal sangue e dalla linfa, sono beneficamente stimolate. Il vibromassaggio provocato dall’emissione della vocale O interessa in particolare gli organi contenuti nella cassa toracica e nell’addome. Il suono M… deve risuonare nel cranio, questa vibrazione corrobora i nervi cranici, migliora la concentrazione e apporta una calma mentale. Cantare tre volte la Om quindi proseguire mentalmente fintanto che se ne avverte l’esigenza e il beneficio. 41 7. BIBLIOGRAFIA PARAMAHANSA SATYANANDA “Il mantra”,Ed.Satyananda Ashram, Torino, 1998. SAT (ROBERTO PROVANA) “Mantra, la potenza dei suoni” Ed.ARKTOS, Carmagnola, Torino, 1983. JOHN BLOFELD “I mantra, sacre parole di potenza” Ed. Mediterranee, Roma 1995. UPANISAD VEDICHE Ed. Utet, Torino, 1976. GENTILI, SCHNOLLER “Dio nel silenzio” Ed. Ancora, Torino, 1999. HAZRAT INAYAT KHAN “Il misticismo del suono” Ed. 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