Lorenzo Canova
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Lorenzo Canova
Lorenzo Canova Oblio e rinascita dell’arte italiana Al bivio tra oblio e rinascita, in uno spazio incerto posto tra il gorgo oscuro della sparizione e un nuovo dinamismo creativo, l’arte italiana si trova oggi di fronte a un singolare paradosso che la vede troppo spesso dimenticata dalle grandi manifestazioni internazionali pur esprimendo una vitalità forte e diffusa. L’arte italiana, infatti, nonostante le sue note debolezze strutturali e di sistema, possiede ancora il valore oggettivo di una molteplicità di visioni e di linguaggi, in un panorama composito che va valorizzato nella sua essenza plurale. La Quadriennale del 2008 rappresenta così un’occasione importante per riflettere su questo particolare momento e sulle diverse personalità che formano il mosaico articolato dell’arte delle ultime generazioni in Italia. Con uno sguardo assolutamente non provinciale e aperto a un necessario e attivo dialogo internazionale, l’arte italiana conserva anche alcune caratteristiche territoriali che in un certo senso costituiscono un’eredità della grande tradizione storica, legata ai diversi volti del genius loci del nostro Paese. Questo elemento, visto ovviamente in modo negativo da chi, sulla scia di un’idea errata di globalizzazione, preferisce linguaggi omologati e mondializzati, costituisce invece un segnale importante della biodiversità dei nostri ecosistemi culturali che merita di essere maggiormente sostenuta e difesa. In quest’ottica, le generazioni di artisti presenti nella 15° Quadriennale appaiono come il conseguente sviluppo di un percorso storico che le vede conservare alcuni tratti basilari della loro identità italiana senza trascurare però l’importanza di scambi e rapporti ormai estesi su scala planetaria. Questo cammino potrebbe pertanto partire dal Futurismo, con le sue intuizioni innovative e con la sua relazione consapevole e propositiva con i massmedia, per trovare importanti rispondenze, in seguito, nelle ricerche extrapittoriche sui nuovi materiali e nelle tendenze che già negli anni Sessanta e Settanta hanno saputo rinnovare la pittura e la scultura. Non va inoltre trascurato il fatto che dal Futurismo di Balla e Depero discende anche quello sguardo ironicamente lucido e giocoso che ha trovato significativi riscontri, ad esempio, in Pascali e Boetti, e che è ancora ben presente negli artisti delle ultime generazioni. Una simile visione è presente, in un certo senso, anche nella Metafisica (e particolarmente in de Chirico), il cui messaggio multiforme è proseguito fino alle nuove ricerche degli anni Sessanta, alle riflessioni pittoriche e concettuali di un’arte che guarda sé stessa allo specchio e al ritorno alla pittura in chiave più barbarica, colta o elettronica degli anni Ottanta. Così si può notare come molti artisti presenti in questa mostra, si servano dei linguaggi antichi del disegno, della pittura e della scultura rinnovandoli con l’immensa quantità di stimoli non soltanto visivi provenienti dal mondo contemporaneo, ma sempre con un elemento mentale che fonda la coscienza di un lavoro che non vuole avere esiti puramente “retinici”, naturalistici o narrativi, ma che cerca di sviluppare quella severa capacità di riflessione che ci parla del presente e, molto spesso, del futuro con una visionaria e potente capacità metaforica di intuizione e anticipazione. Quindi, il lavoro di questi autori, appare una degna realizzazione del pensiero di Pier Paolo Pasolini che ha scritto della necessità di 1 un nuovo confronto con la grande tradizione artistica italiana per creare immagini nuove e potenti, senza cadere in tentazioni illustrative o in sterili nostalgie, ma parlando in forme perenni del presente attraverso la “forza del passato”. Si segnala dunque, in questo contesto, l’opera di artisti attivi con la pittura, la scultura, la fotografia e le nuove tecnologie che partono da un nucleo progettuale fondato sull’antico e 1 “mentale” denominatore comune del disegno. Non a caso, ad esempio, si può notare come sempre più spesso la pittura e la scultura confinino con un video di animazione e con ricerche digitali in 3D, allargate al territorio dilatato e mondiale della rete, costruiti attraverso una serrata elaborazione “pittorica” dove ogni fotogramma è “dipinto” o meglio composto da un disegno preparatorio. Forse proprio l’elemento grafico può rappresentare il termine di congiunzione che unisce allora le differenti forme espressive, il territorio di confine dove il progetto e le tecniche si toccano rendendo possibile un ipotetico legame tra la dimensione prettamente manuale del disegno e la dimensione “tattile” dei media elettronici teorizzata da Marshall McLuhan, ribadita da Derrick de Kerckhove e profeticamente anticipata da 2 Filippo Tommaso Marinetti . In questa dinamica “tattile” che vede il corpo dell’artista coinvolto direttamente nel dialogo con la carta o con un ambiente elettronico, il disegno rappresenta il territorio dove si compie il rapporto tra il pensiero e l’azione: tra l’arto, il progetto e un’opera che nasce grazie all’interfaccia di una matita o di un mouse che riescono ancora a dare un senso alla memoria condensata nelle tracce della grafite o nei bit immateriali dei segni elettronici. È del resto vero che la pittura e la scultura possano non soltanto dialogare, scambiare informazioni e spunti creativi con le nuove tecnologie, ma che possano anche costituire il sostrato tecnico e concettuale di un nuovo modo di concepire il video e l’animazione d’artista. La pittura e la scultura si trovano, infatti, in un particolare momento di trasformazione, che appare legato al parallelo sviluppo delle tecnologie informatiche, un campo sempre più ampio offerto dalle nuove possibilità del digitale che permettono intrecci di immagini e di ambientazioni, il collage e la manipolazione dei prelievi fotografici rielaborati in un progetto che viene poi traslato nella finale dimensione pittorica o scultorea. È interessante notare come gli artisti, non di rado, si pongano allora in una posizione differente, in una relazione consapevole con i mass-media, senza dimenticare quella che può essere vista come una visione contemporanea della qualità pittorica accresciuta dai diversi codici lasciati in eredità dalle sperimentazioni del Ventesimo secolo. L’arte italiana, non casualmente, si muove spesso in una direzione analitica dove la pittura e la scultura rappresentano uno strumento di indagine che dialoga con le molte possibilità offerte dagli intrecci iconici contemporanei, dal fumetto all’illustrazione, fino al cinema e al videoclip. Si mostra così la forza della pittura e della scultura intese come media “densi”, capaci di comprendere carichi stratificati di informazioni, tramiti fondamentali per una ricreazione più ampia della “realtà” nella sua essenza complessa. Si tratta, infine, di ricerche che si collocano in una posizione che segna la sua diversità rispetto a parallele esperienze italiane e internazionali, dove il rapporto delle arti visive con la dimensione dei media elettronici assume un valore particolare, in un paradosso che vede corrispondere all’alta risoluzione della tecnologia una bassa risoluzione del video, della fotografia, della pittura e del disegno, in una concezione spinta spesso fino al polo estremo di una manifesta esibizione di infantilismo e di azzeramento totale della tecnica. Gli artisti italiani che qui vengono presi in considerazione, hanno compreso il pericolo di arresto causato dalla dialettica tra queste posizioni e hanno reagito rafforzando le potenzialità creative e comunicative del loro lavoro, facendo, ad esempio, sconfinare la pittura nel dialogo con il video, ribadendo e intensificando l’apertura “ambientale” della scultura verso l’installazione, servendosi del disegno come base per un progetto digitale di allargamento nell’oceano del web, o, nello stesso momento, concependo la fotografia in senso pittorico e ancora di più disegnativo, in un colloquio fecondo con l’eredità della storia dell’arte. Alcuni dei migliori artisti italiani si muovono difatti in questo campo con una visione attiva, dove tutti i dati sono vagliati e ricomposti con una densità di stile e di pensiero che comprende elementi di riflessione e di intuizione uniti a una visione acuta ed enigmatica che formano il composito tessuto simbolico delle opere. 2 In questo modo va notato come molti nostri artisti siano capaci di interpretare criticamente le grandi emergenze del presente e di parlarci delle possibili dinamiche del futuro. Molti di loro guardano lucidamente all’oggi ma con una posizione capace di avvertire crisi, tensioni e contrasti in un modo metaforico e allusivo che non evita però di analizzare le drammatiche dialettiche dei nostri giorni e dell’avvenire. È panorama che denuncia una visione non tranquillizzante, la quale dà vita a creazioni dominate da un senso di sospensione minacciosa, di allarme o di mistero. Non a caso, molti artisti avvertono, ad esempio, il pericolo corso dagli ecosistemi e dalla natura ma cercano di andare oltre la semplice denuncia, con immagini che sono ancora capaci di divenire forme simboliche, come le foreste che si mutano in luoghi dove la rappresentazione raggiunge una dimensione più metaforica. Così Francesco Cervelli dipinge una giungla di mangrovie trasformata in un labirinto fatto di acque e di rami allusivi dove lo spettatore è invitato a entrare e a smarrirsi per ritrovare un centro archetipo e il senso turbato di un tempo arrestato nei territori liquidi del profondo e dell’inconscio. Anche Fulvio Di Piazza, con uno stile allucinato e analitico, che unisce la forza grafica del fumetto alla qualità lenticolare del Rinascimento nordico, rappresenta il sottobosco, apparentemente sereno e cromaticamente intenso, di una foresta su cui grava però la minaccia ribollente e nascosta di una lava incandescente celata negli interstizi della terra. Con il fumo e il colore, Alessandro Cannistrà evoca ere arcaiche fuori dal tempo, in uno spazio abitato da vegetazioni contorte, emergenti da acque primordiali, creando un dialogo con la pittura orientale basato sulla leggerezza e posto in luoghi collocati in un altrove ipotetico e irreale, sospesi tra l’inquietudine e la nostalgia per un’origine lontana. Diversi artisti presenti in mostra testimoniano invece con efficacia la vitalità anche internazionale della pittura aniconica delle ultime generazioni, come ad esempio Davide Nido, Maria Morganti o Matteo Montani. In questo contesto Alberto Di Fabio è l’autore che sente tuttavia maggiormente la relazione biologica e molecolare con una natura guardata nel suo interno e trasfigurata da una trasposizione sontuosa e ornamentale, dove un cromatismo acido trasforma gli arabeschi della tessitura decorativa in segnali di quelle oscure mutazioni genetiche che lo hanno interessato sin dai primi anni del suo percorso. Altre ricerche toccano poi i rischi di distruzione della Terra provocati dalle catastrofi causate dall’uomo, che devasta il pianeta con l’inquinamento e le guerre spogliandolo della sua linfa vitale, come accade nelle sculture di Silvano Tessarollo dedicate alla dialettica drammatica e spesso distruttiva tra l’uomo e il pianeta che lo ospita, coniugando la sua visione iconica alle ricerche materiche ed extrapittoriche della seconda metà del Novecento, evocando deserti futuri e possibili, scheletri e carcasse di oggetti devastati da una catastrofe incombente. Il suo è una sorta di mondo post-atomico, non così distante da quello che segna la distopica pittura di Francesco De Grandi vicina alle creazioni più forti della nuova fantascienza internazionale, o le minacciose sculture di latta di Francesco Bocchini. Su questo filone, Fabrice de Nola, con uno sguardo prossimo a Orwell, riflette con la pittura e il digitale sulla libertà a rischio del mondo attuale, simulando la promozione della NeuralPro, una multinazionale, falsa ma verosimile, che crea microchip che aiutano apparentemente le comunicazioni della vita quotidiana ma che, in realtà, costituiscono un raffinato e pericoloso strumento di controllo collettivo. Anche Marco Colazzo dipinge immagini visionarie e quasi post-umane, fondate su una trama astratto-informale che sostiene concettualmente la densa e raffinata qualità rappresentativa delle sue immagini di fantocci e di maschere che compongono un mondo parallelo e inquietante, enigmaticamente abitato dai simulacri artificiali di un uomo forse per sempre assente. Stefania Fabrizi ci parla dell’annullamento e della rinascita del mondo, con la forza plastica di una pittura severa, possente e spirituale, nello schieramento imponente e minaccioso di guerrieri lucenti pronti alla battaglia, in una sapiente fusione e metamorfosi di matrici 3 rinascimentali e cinematografiche che creano un processo dove un occhio profetico e inquieto si lega a una simbolica speranza di salvezza. Anche Antonio Riello, con la sua acuta e ironica concettualità, ha dedicato un’installazione alla guerra e alle armi, uno dei suoi temi favoriti, dove, con il suo sguardo critico e consapevole, fa combattere le sagome di carri armati argentati e dorati, alludendo forse agli enormi e spietati interessi economici che stanno dietro alle operazioni belliche e al mercato delle armi. L’America in guerra è allusa inoltre nella pittura di Nicola Verlato che, con raffinata e complessa virtuosità, mescola l’Iliade e James Dean, il Manierismo e le religioni orientali, analizzando la figura dell’artista isolato dal mondo a causa del talento avuto in dono, ma evocando anche simbolicamente le ansie degli Stati Uniti contemporanei con la loro quotidianità insidiata dai conflitti e dai pericoli di scontri economici e sociali, lotte che, in termini più politici e legati alla storia europea, sono proposte anche da un pittore come Andrea Salvino. La figura di James Dean ci porta poi a quegli artisti che – seguendo una traccia che va dal Futurismo a Andy Warhol – stanno analizzando il mondo delle comunicazioni di massa con le sue controverse questioni, e in particolare le relazioni tra i media e lo star system, in una visione che coinvolge il cinema, la musica, lo sport e lo stesso sistema dell’arte contemporanea. Così Debora Hirsch dipinge i divi dei film e dell’arte nei suoi grandi quadricopertina di riviste, mentre Federico Solmi, con un lavoro di videoanimazione (utilizzato in modi diversi anche da Andrea Mastrovito), ci presenta la città di New York e il sistema dell’arte minacciati da un mostro simbolico come King Kong, in un’opera dove la fuga in un eden utopico contrasta con la crisi del sogno americano e con la difficoltà ad adeguarsi ai ritmi spietati dell’industria dello spettacolo che crea e distrugge miti brucianti ed effimeri. Giuseppe Stampone, con i suoi lavori interattivi aperti verso il territorio collettivo di internet e di Second Life, addirittura regala agli stessi spettatori un ‘warholiano’ attimo di celebrità, sfidando criticamente il nostro narcisismo che, nel momento della sua massima esaltazione, si trova a scatenare la figura diabolicamente ambigua del Joker nel quale si trasforma lo stesso artista. David Fagioli da anni lavora, invece, con sculture e installazioni fotografiche, su un’icona drammatica e contraddittoria della boxe come Mike Tyson, qui protagonista di tre bassorilievi, un trittico sepolcrale antico e futuribile dove il pugile viene visto come un grande condottiero glorificato di fronte agli uomini e umiliato di fonte al giudizio divino. In un ciclo dedicato ancora a New York e alla boxe, le foto di Piero Pompili inseguono la visione figurativa del cinema di Pasolini (come, in modo diverso, fa anche Adrian Paci), ponendo con la forza plastica di una centralità arcaica i corpi e i volti dei pugili in dialogo con la figura misteriosa di un punching-ball antropomorfico visto quasi come un idolo crudele che spinge gli atleti a una lotta mortale. Un altro artista che parte da immagini massificate e pubblicitarie è Adriano Nardi, che scompone e riordina concettualmente la bellezza femminile delle riviste patinate con uno studio rigoroso della percezione condotto in pittura, strumento analitico volutamente diretto a una lentezza simbolica dialetticamente contrapposta alle velocità dei media. Il tessuto della metropoli è un altro protagonista degli interessi di molti artisti che cercano di dare senso e forma al volto sfuggente della città contemporanea, come accade nelle installazioni o nei quadri di Luca Pancrazzi, nelle opere sospese tra disegno e video di Andrea Aquilanti, o nei quadri di Marco Verrelli che rilegge in chiave metafisica3 le grandi strutture urbane contemporanee trasformate attraverso un processo di selezione e reinterpretazione dove, ad esempio, le torri della stazione Termini a Roma sono ripetute e mutate in monumenti enigmatici posti nella prospettiva misteriosa di un titanico sistema di difesa di territori ignoti e alieni. Sempre nel panorama urbano, Andrea di Marco sceglie invece gli interstizi muti e corrosi dal tempo, dall’uso e dall’incuria, elementi dimenticati come i miseri mezzi di trasporto o certe vecchie macchine da lavoro che giacciono nel caos dei cantieri in attesa di dare il loro piccolo e fondamentale contributo alla crescita di una città che si allarga all’infinito. Anche Alessandro Bazan è attento a storie e a fatti metropolitani ma è più interessato agli incroci di una voluta ed esibita banalità quotidiana, alle strade, agli interni e alle spiagge dove si mescolano diverse culture ed esistenze, in 4 una concezione espressiva dell’opera che nasconde i suoi segreti all’interno di una costruzione pittorica solo apparentemente narrativa. Altri artisti sono legati piuttosto a una visione più lirica e misteriosa, declinata in un senso intimistico e riflessivo, come accade nella quotidianità e nello scavo della memoria di Mauro Di Silvestre, legato a frammenti passati di vita personale, a ricordi familiari di vecchie istantanee fotografiche, in quadri dove le figure si smaterializzano nella luce in una metafora della reminiscenza o un simbolo dell’oblio a cui sono destinati la maggior parte dei ricordi dell’infanzia e la nostra stessa vita. L’oblio e l’anamnesi sono i due poli intorno ai quali ruota anche l’installazione di Manfredi Beninati (legata al disegno presentato a Napoli all’Anteprima Quadriennale del 2003): una sontuosa e decadente stanza che unisce la memoria e la dimenticanza, un enigmatico luogo dell’assenza, uno spazio rinchiuso in un frammento segnato dalla polvere di un tempo inesorabilmente bloccato nella sua perenne circolarità. Il tema delle identità personali e collettive in dialettica costante con l’alterità del mondo, ispira ancora le ricerche di molti altri artisti attenti al tema millenario del ritratto, del volto e dello sguardo. Come Matteo Basilé, interessato anche a una rilettura delle iconografie sacre, o come Federico Lombardo, che lavora su volti anonimi catturati nel labirinto di internet, in un’operazione estremamente sofisticata sul tema della personalità dove la tecnica pittorica diviene un metodo severo di analisi e di interpretazione capace di cogliere le dinamiche mutevoli e le dialettiche degli elementi soggettivi, delle relazioni e dei sentimenti, o, infine, come Angelo Bellobono, che da tempo riflette su queste tematiche coniugando l’oggettività alla forza espressiva di una deformazione in cui si nascondono l’ansietà e la complessa psicologia dei suoi personaggi, talvolta sdoppiati come una metaforica erma bifronte per alludere alla natura ambigua di un essere umano perennemente sospeso tra la chiarezza dell’Io e la zona oscura dell’Ombra. 1 Cfr., ad esempio, P.P. Pasolini, … una forza del passato…, in P.P. Pasolini, I dialoghi, pref. di G.C. Ferretti, a cura di G. Falaschi, Roma 1992, pp. 309-310 (pubblicato la prima volta su “Vie Nuove”, n. 42, 18 ottobre 1962). 2 Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano 1967 (ed. orig. Understanding Media, 1964), p. 334; D. de Kerckhove, La pelle della cultura. Indagine sulla nuova realtà elettronica (ed. orig. The Skin of Culture, Toronto, Canada, 1995), pp. 54-56; cfr. anche F.T. Marinetti, P. Masnata, Manifesto della Radio (La Radia), pubblicato in “La Gazzetta del Popolo”, Torino 22 settembre 1933; M. Calvesi, in Importanza di Marinetti, in Le due avanguardie. Dal Futurismo alla Pop Art (prima ed. Milano 1966), Bari 1971, ed. consultata Bari 2004, in particolare pp. 180-181; G. Agnese, Futurismo marconiano, in Futurismo 1909-1944, catalogo della mostra di Roma, Palazzo delle Esposizioni, luglio-ottobre 2001, a cura di E. Crispolti, Milano 2001, pp. 187-194 (con bibliografia). Sulle possibili influenze del Futurismo e di Marinetti sulle teorie di McLuhan cfr. ancora G. Agnese., Il profeta Marinetti cinquant’anni dopo. Tecnologie, comunicazione, effetti, intuizioni, in “Mass Media”, XIII, 5, Roma 1994, pp. 38-41. 3 Sul rapporto tra pittura metafisica e architettura cfr., ad esempio, C.F. Carli, La koiné metafisica. Novecentismo, Razionalismo, Futurismo nelle nuove città pontine, in Metafisica costruita. Le città di fondazione degli anni Trenta, dall’Italia all’Oltremare, catalogo della mostra, Roma, Complesso Monumentale di San Michele a Ripa, ex Carcere di Carlo Fontana, a cura di R. Besana, C.F. Carli, L. Devoti, L. Prisco, marzo-maggio 2002, Milano 2002, pp. 3136. 5