il TAR Lazio “bacchetta” l`AGCM

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il TAR Lazio “bacchetta” l`AGCM
 Il Formaggio “Fiorella del Gargano”:
il TAR Lazio “bacchetta” l’AGCM•
Alberto Germanò
1.- C’è stata una stagione in cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato
(AGCM) ha più volte dichiarato decettiva la pubblicità di prodotti alimentari, in cui
risultavano utilizzate indicazioni geografiche che non corrispondevano ai veri luoghi di
produzione dell’alimento reclamizzato. Basta ricordare il caso della pubblicità
televisiva della Olio-Carapelli Firenze S.p.a. (provv. 5562 del 18.12.1997) o i casi di un
segno geografico contenuto nel marchio delle società produttrici di olio Bertolli-Lucca
(provv. 4970 del 30.4.1997), Carli-Oneglia (provv. 5563 del 18.12.1997), MoniniSpoleto (provv. 5564 del 18.12.1997), Olearia del Garda (provv. 5713 del 19.2.1998) e
Oleificio sociale di Bardolino (provv. 5890 del 15.4.1998), quando lo spot televisivo e i
marchi inducevano a credere, contro il vero, che i prodotti provenissero dalle località
geografiche raffigurate o nominate 1.
In altre parole, c’è stata una stagione in cui l’AGCM chiaramente dimostrava di volere
contrastare i segni che, nella presentazione dei prodotti alimentari, non concordassero
(•) La sentenza qui commentata, T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 8533, è pubblicata in calce
alle presenti note.
(1) In argomento v. F. Albisinni, L’origine dei prodotti agro-alimentari e la qualità territoriale, in Riv. dir.
agr., 2000, I, p. 41; Id., L’origine dei prodotti alimentari, in A. Germanò e E. Rook Basile, Il diritto
alimentare tra comunicazione e sicurezza dei prodotti, Torino, 2005, p. 41; Id., Etichettatura dei prodotti
alimentari, 2011, in Diritto Alimentare. Mercato e sicurezza, BD on line dir. da F.Albisinni, Wolters
Kluwer Italia, Milano, www.leggiditaliaprofessionale.it.; S. Masini, Il diritto all’informazione e
l’etichettatura dei prodotti agro-alimentari: utilità del metodo casistico, in Riv. dir. agr., 2003, I, p. 498;
Id., Corso di diritto alimentare, 2^ ed., Milano, 2011, p. 277; M. Alabrese, L’immagine del territorio nella
comunicazione commerciale dei prodotti agro-alimentari, in Riv. dir. agr., 2004, I, p. 38 e nt. 26). Più in
generale v. E. Rook Basile, Prodotti agricoli, mercato di massa e comunicazione simbolica, in Dir. giur.
agr. e ambiente, 1995, p. 138; Ead., La funzione pubblicitaria dei prodotti alimentari nel sistema del
mercato agricolo, in Agricoltura e diritto. Scritti in onore di Emilio Romagnoli, Milano, 2000, p. 1087; A.
Germanò, Il marchio geografico nel settore agricolo, in Dir. agricoltura, 1994, p. 333; N. Lucifero, Il
territorio: rapporto tra regole del produrre e regole del vendere, in A. Germanò e E. Rook Basile, Il diritto
alimentare tra comunicazione e sicurezza dei prodotti, cit., p. 123. Cfr. anche A. Di Lauro,
Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agro-alimentare, Milano, 2005.
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con le richiamate espressioni geografiche di luoghi in grado di trasmettere ai
consumatori caratteristiche di tipicità e di unicità. E ciò ha fatto non solo con riguardo
alla pubblicità televisiva sulla cui eventuale decettività l’AGCM ha sicura competenza,
ma anche quando la funzione distintiva del marchio – sulla cui validità/legittimità ha
competenza solo il giudice 2 – si specificava in una funzione di garanzia di conformità
del prodotto al messaggio comunicato dal marchio, sicché questo era ritenuto capace
di trasmettere messaggi che potevano assumere un carattere di ingannevolezza.
2.- Non è che successivamente l’AGCM abbia “abbandonato” la propria
giurisprudenza, perché – anzi – è intervenuta anche in casi in cui non era l’origine del
prodotto particolarmente rilevante agli occhi del pubblico 3, ma era, invece, il
procedimento di produzione che risultava svolto in luoghi diversi da quelli che a mezzo
dell’etichetta si “comunicavano” ai consumatori: così è stato il caso dell’acquavite Filù
e Ferru, la cui etichetta raffigurava monumenti e personaggi tipici della Sardegna,
mentre esso non era ottenuto né alla “modalità dei sardi”, né in territorio sardo (provv.
16785 del 26.4.2006) 4. Solo che la logica stringente che reggeva i provvedimenti del
1997 si è fatta, in alcuni casi, più lasca.
(2) Cfr. Trib. Torino 9 dicembre 2004, pubblicata in Dir. giur. agr. e amb., 2005, p. 665, con nota di F.
Albisinni, Dall’etichetta al marchio: origine degli alimenti ed origine della materia prima in un caso di
diritto industriale, ibidem, p. 621. Cfr. anche Trib. Bari 18 maggio 2006 (pubblicata in Dir. giur. agr. e
amb., 2007, p. 62, con nota di A. Germanò, Del latte e del vino: breve commento a cinque sentenze di
giudici diversi, ivi, 2007, p. 8) che ha dichiarato nullo il marchio “Terre di Federico” per dei vini prodotti
in Puglia perché il segno “Le terre di Federico” deve ritenersi un’indicazione geografica e come tale
nullo, ai sensi dell’art. 18 legge marchi e ora ai sensi dell’art. 13.1 del Codice della proprietà industriale
di cui al d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, dato che l’uso del termine “terre” contenuto nel segno implica
inevitabilmente un diretto riferimento spaziale collegato alla figura dell’imperatore Federico II di Svevia,
ovvero a quel territorio – in cui la società ricorrente produce proprio quei vini marcati con “Le terre di
Federico – su cui Federico II ha esercitato la sua signoria. Negato, quindi, che l’espressione adoperata
sia un segno di fantasia e meramente suggestivo, il segno “Le terre di Federico”, quale riferimento
spaziale e non già temporale o storico, è stato definito un segno geografico e, quindi, come marchio
geografico individuale, è nullo perché vietato sia dal diritto comunitario che dal diritto nazionale.
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( ) Ci si riferisce all’olio extra vergine di oliva rispetto al quale l’AGCM ha affermato, nel caso CarliOneglia, che l’olio di oliva costituisce una categoria merceologica sui generis, per la quale l’origine
territoriale della materia prima riveste, agli occhi dei consumatori, un particolare significato.
(4) In argomento v. A. Germanò, Prodotto tradizionale sardo e pubblicità ingannevole, in Dir. giur. agr.
alim. e amb., 2007, 561.
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3.- Fra le prime fattispecie va ricordata quella dell’Azienda Olearia del Chianti 5. Il
provvedimento dell’AGCM del 31.7.2003 disponeva l’archiviazione della denuncia
secondo cui il prodotto contrassegnato dal marchio “azienda olearia del Chianti” non
era ottenuto dalla lavorazione di olive raccolte nella zona del Chianti. L’AGCM
sosteneva che le etichette in oggetto “si limitassero a riportare la denominazione della
società interessata (‘Azienda olearia del Chianti’), la quale coincide a sua volta con
l’apposito marchio registrato antecedentemente alla data di costituzione del consorzio
e di riconoscimento dell’olio dop Chianti classico”. Il provvedimento di archiviazione
“per manifesta infondatezza” è stato dichiarato illegittimo dal TAR del Lazio con la
sentenza del 26 giugno 2004 n. 6292 6 che è stata confermata dal Cons. Stato, Sez.
VI, 17 febbraio 2006 n. 660 7. Ne è seguito un nuovo provvedimento dell’AGCM con il
quale si è riconosciuto che “il messaggio pubblicitario di un olio di oliva contenente la
indicazione in etichetta di un toponimo anche riproducente un marchio registrato che
induca ad associare il prodotto ad un’altra località, la cui produzione olearia abbia
ottenuto il riconoscimento della denominazione di origine protetta, è idoneo a creare
nel consumatori falsi affidamenti circa la effettiva qualità, le caratteristiche e la
provenienza geografica, con pregiudizio del comportamento economico e degli
interessi dei concorrenti”: conseguentemente l’ACGM ha dichiarato ingannevoli i
messaggi pubblicitari dell’Azienda olearia del Chianti, ordinando l’adeguamento della
confezione del prodotto a mezzo di elementi espressivi e di immediata percezione
grafica idonei a differenziarlo dal prodotto DOP Chianti Classico, e a mezzo di altri
(5) Ma v. anche la “storia” dell’etichetta “salamella calabrese”, il cui finale provv. dell’ACGM n. 14821 del
26 ottobre 2005 è stato pubblicato in Dir. giur. agr. alim. e amb., 2006, p. 403, con nota di S. MASINI,
Valore attrattivo del territorio e ingannevolezza del messaggio pubblicitario. Anche con riferimento alla
pubblicità diffusa dalla società C. Fiorucci S.p.a. e costituita dall’etichetta apposta sulla confezione del
prodotto “salamella calabrese piccante”, l’AGCM in un primo momento, con provv. 22 dicembre 2004,
aveva deliberato l’archiviazione. Successivamente, a seguito dell’ordinanza del TAR del Lazio del 20
aprile 2005 con cui era stata sospesa l’efficacia della decisione di archiviazione, l’AGCM ha modificato
le sue precedenti valutazioni istruttorie, affermando che il messaggio pubblicitario di un prodotto
alimentare tipico della tradizione alimentare regionale contenente l’indicazione dell’origine geografica
tale da attribuire ad esso caratteristiche di particolare pregio e qualità riconducibili a prodotti a
denominazione di origine protetta, costituisce una fattispecie di pubblicità ingannevole.
(6) La sentenza è pubblicata in Dir. giur. agr. e amb., 2005, p. 258, con nota di M. Minelli, L’olio Chianti
è solo quello del Chianti.
(7) La sentenza è pubblicata in Dir. giur. agr. alim. e amb., 2007, p. 131, con nota di N. Rauseo,
Pubblicità ingannevole ed uso illecito dell’indicazione geografica nel commercio dell’olio extravergine
d’oliva.
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elementi che rendano edotto il destinatario circa l’effettiva origine geografica nonchiantigiana del prodotto 8.
4.- Un ulteriore caso si è avuto di recente. Trattasi del provvedimento dell’8 agosto
2006 con cui l’AGCM ha disposto l’archiviazione “per manifesta infondatezza” della
richiesta di intervento per pubblicità ingannevole presentata dalla Coldiretti di Foggia
relativamente a un formaggio a pasta filata prodotto e reclamizzato dalla Cordisco
S.r.l. con la denominazione “Fiorella del Gargano”. La denuncia di ingannevolezza
dell’etichetta del formaggio prodotto dalla società Cordisco si fondava sul fatto che lo
stabilimento della società produttrice è situato nel comune di S. Paolo di Civitate, cioè
fuori del territorio del Gargano, e che il latte utilizzato non proveniva da allevamenti siti
nel Gargano ma nelle province di Foggia, Benevento e Campobasso.
L’archiviazione è stata motivata dalla insussistenza di “elementi grafici ed espressivi
che inducano a supporre una specifica derivazione territoriale legata al luogo di
lavorazione o alla provenienza del latte utilizzato” 9, oltre alle circostanze che il nome
“Fiorella del Gargano” non gode di tutela come IGP, DOP o STG, e che sulla
confezione è specificamente indicato il luogo di produzione.
Anche stavolta il TAR del Lazio, con sentenza dell’8 novembre 2011 n. 8533 10, ha
rovesciato la decisione dell’ACGM, osservando che non c’è bisogno di specifici
“elementi grafici ed espressivi” che inducano il consumatore a supporre la derivazione
territoriale del prodotto dal Gargano, quando è la stessa denominazione del prodotto
(“fiorella del Gargano”) che evoca, con immediatezza, la provenienza del prodotto dal
Gargano. Inoltre, non neutralizza siffatta evocazione il fatto che sulla confezione del
prodotto risulti il luogo dello stabilimento di produzione, anche per via del fatto che un
consumatore medio può ignorare che il comune di S. Paolo di Civitate sia all’interno o
al di fuori dell’area geografica del Gargano. Infine, per l’ingannevolezza della
denominazione non occorre che la provenienza geografica del prodotto sia associata
a un particolare suo pregio, né tanto meno a denominazioni d’origine o geografica
(8) Il provvedimento n. 15770 del 27.7.2006 è pubblicato in Dir. giur. agr. alim. e amb., 2007, p. 418, con
nota di S. Masini, Perseverare non è (sempre) diabolico: l’origine dell’olio resta quella delle olive.
(9) Già nel caso “Lardo di Arnad” l’AGCM aveva dato rilevanza, oltre alla raffigurazione della chiesetta
del comune di Arnad, al fatto che le confezioni di lardo comune commercializzato dalla società Arnad
Le Vieux s.r.l. avevano un’etichetta le cui modalità grafiche (stessi colori e analoghi rilievo e carattere
tipografico di stampa) potevano indurre i consumatori a confonderlo con il lardo a denominazione di
origine protetta Lard d’Arnad (provv. 12207 del 10.7.2003).
(10) V. infra.
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protette, dato che l’art. 21 del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo)
dichiara ingannevole l’utilizzata denominazione geografica che non sia vera.
Quello che però ci piace sottolineare è che il TAR del Lazio ha “bacchettato” l’AGCM
quando ha affermato che “la circostanza stessa che un competitor, a fini promozionali,
abbia ritenuto vantaggioso evocare un collegamento tra il proprio prodotto e la regione
in cui operano i ricorrenti, avrebbe dovuto indurre l’Autorità ad effettuare ulteriori
approfondimenti, risultando la fattispecie sicuramente degna dell’apertura di un
procedimento di infrazione”.
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La sentenza del T.A.R. Lazio
T.A.R. Lazio, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 8553 – Pres. Giovannini - Est. Martino –
Fed.Prov.Coldiretti Foggia e P.Salcuni (Avv.ti Albisinni e Amorosino) contro: Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato (Avv.ra dello Stato), e Caseificio Antonio Cordisco s.r.l.
Produzione, commercio e consumo – Concorrenza – Prodotti Alimentari – Etichettatura
– Pubblicità ingannevole
La denominazione di un prodotto ha una inequivocabile funzione semantica evocando, con
immediata suggestione, la provenienza del prodotto da una specifica area geografica di
produzione.
E’ ingannevole l’utilizzazione, per un prodotto alimentare che abbia altra origine, di una
denominazione che richiami l’area del Gargano, che in quanto area ambientale protetta e
regione di lunga tradizione agricola e casearia, può evocare nel consumatore una percezione
di prodotto di particolare pregio.
La circostanza stessa che un competitor, a fini promozionali, ritenga vantaggioso evocare un
collegamento tra il proprio prodotto e la regione in cui operano i concorrenti, deve indurre
l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad effettuare ulteriori approfondimenti,
risultando la fattispecie sicuramente degna dell'apertura di un procedimento di infrazione.
(Omissis)
1. E' impugnato un provvedimento di archiviazione per "manifesta infondatezza" adottato
dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell'art. 4, comma 5, D.P.R. n.
5
284 dell'11.7.2003, regolamento recante norma sulle procedure istruttorie di detta Autorità in
materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
Ai sensi della disposizione appena richiamata, se la richiesta di intervento dell'Autorità, "risulta
manifestamente infondata od inammissibile per difetto di legittimazione del richiedente od in
caso di mancato rispetto del termine assegnato di cui al comma 2, l'Autorità provvede alla sua
archiviazione, dandone comunicazione al richiedente".
Giova altresì richiamare, in quanto dirimente ai fini della decisione della presente controversia,
il testo dell'art. 21 del d.lgs. n. 206/2005, nella versione applicabile ratione temporis, recante i
criteri di valutazione dell'ingannevolezza di una pubblicità.
In particolare, "Per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti
gli elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:
a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, l'esecuzione, la
composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo, gli
usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i risultati che si possono
ottenere con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli
effettuati sui beni o sui servizi [...].".
Nel caso di specie, l'Autorità, come già evidenziato in fatto, ha ritenuto che accanto
all'indicazione "Fiorella del Gargano" non sono collocati "elementi grafici od espressivi che
inducano il consumatore a supporre una specifica derivazione territoriale legata al luogo di
lavorazione o alla provenienza del prodotto utilizzato". Inoltre, ha valorizzato il fatto che " si
tratta di un prodotto che non gode di tutela come IGP o STG e che una specialità
gastronomica locale potrebbe essere realizzata, seguendo l'apposita ricetta, anche in zone
geografiche diverse da quella di origine, quale, nel caso di specie, la limitrofa Provincia di
Foggia.". In ogni caso "sulla confezione oggetto di contestazione è stato specificamente
indicato il luogo di produzione e confezionamento del prodotto".
2. I ricorrenti svolgono, in primo luogo, una censura di carattere procedimentale, lamentando
che, dopo la segnalazione fatta all'Autorità, non sia stata data loro alcuna comunicazione circa
l'avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento oggetto dell'odierna impugnativa.
Al riguardo è però agevole rilevare che, come correttamente evidenziato dalla difesa erariale,
la determinazione di archiviazione comporta che, appunto, alcun procedimento venga
effettivamente avviato.
In tale fase, come chiaramente descritto dall'art. 4 del cit. D.P.R. n. 284 del 2003, viene
soltanto operata una prima delibazione sulla sussistenza delle presunte violazioni al fine di
verificare la sussistenza quanto meno del "fumus" in ordine alle violazioni da contestare e
quindi dei presupposti per l'apertura dell'istruttoria. La fase preistruttoria (analogamente a
quanto avviene in materia di tutela della concorrenza), è quindi connotata da ampia informalità
e rispetto ad essa non trovano applicazione gli strumenti di partecipazione degli interessati al
procedimento.
In sostanza, in materia di pubblicità ingannevole, l'archiviazione di una richiesta di intervento
dell'Autorità esclude per definizione l'apertura del procedimento amministrativo, ponendosi in
alternativa a questa, e si colloca in una fase meramente pre-procedimentale, in relazione alla
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quale l'Autorità stessa non è gravata da oneri di preventivo contraddittorio mediante
comunicazione di avvio del procedimento (così TAR Lazio, sez. I, 5 ottobre 2004, n. 10186).
2. Nel merito, tuttavia, il ricorso è fondato.
2.1. Devono anzitutto condividersi i rilievi di parte ricorrente là dove fa notare che la
denominazione del prodotto segnalato ("Fiorella del Gargano") ha una inequivocabile funzione
semantica, evocando, con immediata suggestione, la provenienza del prodotto da una
specifica area geografica di produzione. E' perciò del tutto incomprensibile, l'affermazione
dell'Autorità, secondo cui, in tale denominazione, non vi sarebbero elementi espressivi "che
inducano il consumatore a supporre una specifica derivazione territoriale".
Né la forza suggestiva della denominazione può dirsi vinta dall'indicazione, riportata in
etichetta, circa il luogo di confezionamento del prodotto. Non solo infatti - come ancora
esattamente dedotto dai ricorrenti - il consumatore medio può ignorare che il Comune di S.
Paolo di Civitate è al di fuori del territorio del Gargano, ma è del tutto evidente che tale
indicazione non reca, in sé, alcuna informazione circa la provenienza della materia prima
utilizzata.
Al riguardo, comunque, l'Autorità non ha svolto alcun approfondimento istruttorio, né ha
verificato effettivamente l'esistenza di una "specialità gastronomica locale" che, seguendo l'
"apposita ricetta" potrebbe essere realizzata anche in zone geografiche diverse da quella di
origine.
Relativamente, poi, all'affermazione della difesa erariale secondo cui alla provenienza
geografica del prodotto non potrebbe essere associato un particolare pregio, osserva il
Collegio che il testo dell'art. 21, in precedenza riportato, è inequivocabile nel ricollegare la
valutazione di ingannevolezza alla sola "origine geografica o commerciale".
Anche in questo caso, comunque, non risulta che l'Autorità abbia condotto una qualche
istruttoria circa il pregio naturalistico dell'area del Gargano, là dove, invece, i ricorrenti hanno
comprovato che la zona in questione è una regione di lunga tradizione agricola e casearia,
oltre ad essere caratterizzata dalla presenza di rilevanti vincoli ambientali.
D'altro canto, la circostanza stessa che un competitor, a fini promozionali, abbia ritenuto
vantaggioso evocare un collegamento tra il proprio prodotto e la regione in cui operano i
ricorrenti, avrebbe dovuto indurre l'Autorità ad effettuare ulteriori approfondimenti, risultando la
fattispecie sicuramente degna dell'apertura di un procedimento di infrazione.
Quanto testé evidenziato, circa la possibile valenza decettiva del richiamo ad una specifica
origine geografica della materia prima, è poi confermato dai numerosi precedenti in materia
(puntualmente richiamati dai ricorrenti) resi dalla stessa AGCM ovvero dal giudice
amministrativo.
Tra questi ultimi giova richiamare, per la sua limpida chiarezza, la decisione del Consiglio di
Stato, n. 1254 del 6 marzo 2001, in tema di ingannevolezza di un noto marchio di olio
alimentare recante il richiamo ad una località caratterizzata dal particolare pregio della materia
prima.
In tale circostanza, confermando le primigenie valutazioni dell'Autorità, nonché le
argomentazioni della Sezione, il Consiglio ebbe a sottolineare che la dicitura in questione "può
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comportare una associazione logica tra il prodotto e la località geografica, che non può essere
esclusa invocando la diligenza dell'uomo medio o, tanto meno, la legislazione in materia di
denominazione di origine controllata. Ciò, perché, se è vero che l'apposizione della
denominazione di origine è chiaramente avvertita dal consumatore più avveduto come
garanzia della provenienza del prodotto da una determinata zona, non è vera l'affermazione
reciproca, che, cioè, l'assenza di detta denominazione sia di per sé avvertibile come
inequivoca manifestazione del fatto che la totalità del prodotto non provenga da una zona
particolare, essendo evidentemente diverse le categorie di consumatori che si rivolgono ai
prodotti DOC, da quelle che, pur sprovviste di nozioni specifiche circa la legislazione in
materia di denominazione d'origine, sono inclini, comunque, ad acquistare beni che presentino
un qualche pregio rispetto alla massa e che possono, quindi, percepire l'indicazione di Oneglia
quanto meno come maggiormente tranquillizzante circa la qualità, rispetto ad altri prodotti che
tale indicazione non rechino o ne rechino una diversa.".
3. In definitiva, per tutto quanto argomentato, il ricorso merita accoglimento, dovendo, per
l'effetto, annullarsi la determinazione impugnata.
(Omissis)
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