CORNELIO Giallo paglierino

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CORNELIO Giallo paglierino
GIALLO PAGLIERINO
Colore giallo paglierino, aspetto limpido, valori nella norma.
Davide appallottolò il referto dell’ospedale, decidendo che non valeva la pena di passare dal suo
medico.
Eppure continuava a sentirsi stanco, in quel periodo, maledettamente stanco.
-Saranno stati tutti quegli antibiotici a stangarmi – disse senza accorgersene a voce alta.
Marina, la sua segretaria, annuì solidale: - Ammazzano quelli! Cerca di fare il pieno di vitamine,
adesso, e vedrai che ti riprendi subito-.
Gli vennero in mente le litanie di sua madre sul mangiar sano e, per scacciarle, si infilò la giacca in
lino grigio chiarissimo e scese a prendersi un caffè fuori.
Milano cuoceva al sole di fine estate e lui camminò rasentando i muri per mendicare un po’
d’ombra.
Raggiunto il bar più lontano dalla sede, che aveva il pregio di essere anche il peggiore della zona, ci
scivolò dentro. Si sedette al bancone e subito si tolse la giacca, guardandosi prima in giro con
circospezione. I capi stavano rientrando in massa ritemprati dalle ferie e l’aspetto impeccabile dei
responsabili dei vari uffici era un obiettivo imprescindibile per tutti loro.
Si guardò intorno, pur essendo non più ora di colazione e non ancora tempo di aperitivi, il locale era
strapieno.
Verso il fondo, seduta da sola a un tavolino e intenta a polverizzare una brioche, notò una donna che
indossava un top giallo dalla scollatura esagerata. A lui quel colore piaceva solo sulle nere, ancora
ancora sulle mulatte, la tipa invece era di pelle molto chiara e la tonalità accesa non le donava per
niente. I capelli le cascavano piatti ai lati del viso magro ed erano di un biondo moscio, gli
richiamarono subito alla mente il colore delle sue urine.
Distrasse lo sguardo, che nel frattempo gli era scivolato sul solco dei suoi seni, mascherato solo da
un laccio in cuoio intrecciato, e attirò l’attenzione del barista.
-Un caffè ristretto, per favore, Gianni -.
L’uomo gli fece un cenno di assenso ma non gli preparò niente, era solo in quel momento a servire,
era chiaro che ci sarebbe voluto un po’.
Davide si predispose a una paziente attesa e ritornò con lo sguardo sulla donna.
Stava allentando i cordoni di uno zaino da scuola, che aveva appoggiato sulla sedia accanto. La vide
estrarne un astuccio e un piccolo diario e subito se ne stupì, non gli era sembrata così giovane da
poter essere ancora una studentessa.
-Eccoti il caffè, scusa eh, ma c’è un casino stamattina -. Gianni gli avvicinò la ciotola con tutti i tipi
di dolcificante e Davide si fece servire anche una brioche, sperando di caricarsi di un po’ di energie
in più.
Quando si rigirò, la biondina aveva lasciato il locale. La intravide, anche se ormai lontana, era
intenta a scendere nella Metro.
Notò che non aveva lo zaino, lanciò d’istinto un’occhiata al tavolino dove era seduta e gli sembrò
che fosse piazzato tra le gambe della sedia.
“Voglia di studiare saltami addosso” sghignazzò tra sé e sé.
Oppure, si diede dello scemo nel pensarlo ma intanto si affrettò a pagare e a uscire dal bar, l’aveva
abbandonato di proposito quel maledetto zaino.
Tornò in ufficio a passo lesto e cercò di concentrarsi sul lavoro, sentendosi un idiota allarmista.
Poco dopo lo avvisarono che c’era un cliente in portineria che lo stava aspettando. Recuperò la
giacca scocciato, chiedendosi chi mai potesse essere di così importante da non degnarsi di fare
qualche piano in ascensore, il nome non gli era familiare.
In quel momento, una tremenda esplosione mandò in frantumi i vetri della finestra che dava sulla
piazza e fece andare in tilt gli allarmi delle auto posteggiate nelle vicinanze.
Insieme ai colleghi si precipitò verso le scale, dove si stavano riversando anche tutti gli altri
dipendenti dei vari uffici presenti nel palazzo.
Dalla hall si sbucava in Piazzale Lodi. Era in pieno caos, macchine abbandonate, di traverso, la
gente che ci correva in mezzo, che stazionava smarrita nella grande aiuola centrale.
Gli sembrò di capire che il punto dell’esplosione fosse verso l’Hotel Major, il Best Western dove la
sua azienda ospitava abitualmente tutti i consulenti e i visitatori che arrivavano dall’estero. C’era
l’entrata della Metro, lì vicina, rifletté ancora più allarmato Davide.
Le voci si rincorsero per più di un’ora, poi la versione che sembrò prevalere su tutte, fu quella di
una tremenda fuga di gas. Il traffico, seppur limitato a due sole direzioni, riprese a scorrere. Davide
ritornò dentro l’edificio, sfinito dal caldo.
Con la coda dell’occhio, nella hall ancora deserta notò una signora dai tratti familiari, che lo stava
fissando con un bel paio di occhi chiari.
La riconobbe quasi subito, anche se il top supersexy aveva lasciato il posto a un’elegante camicetta
in seta bianca.
I capelli erano raccolti in modo ordinato sulla nuca, la studentessa attempata e distratta era sparita.
-Dottor Visentin?- lo interpellò, con tono professionale.
Davide si avvicinò, chiedendosi se fosse stata lei il cliente che lo aspettava prima in portineria:
- Sì, sono io, mi dica pure- rispose, abbottonandosi la giacca e tendendole la mano.
La donna contraccambiò la stretta di mano in modo deciso, poi estrasse dalla piccola borsetta che
portava a tracolla un tesserino di riconoscimento.
Nel giro di un quarto d’ora, Davide aveva l’agenzia popolata di Fiamme Gialle.
Nel frattempo aveva fatto rimuovere i vetri rotti e aveva avvisato la Direzione Centrale della
perquisizione in atto. Era preoccupato a prescindere, pur non avendo impostato operazioni
particolari un qualcosa che non andava l’avrebbero comunque trovato, ne era sicuro.
In più si sentiva stanco e forse di nuovo febbricitante, quella maledetta influenza estiva non voleva
abbandonarlo.
L’ispettore della Finanza, ex studentessa fuori corso in giallo, gli chiese un colloquio.
La invitò nel suo studio e si chiusero dentro.
Iniziò una specie di interrogatorio serrato, a cui lui cercò di rispondere in modo chiaro, mostrando
aperta collaborazione, così come gli avevano appena suggerito dalla Sede.
Intanto che la osservava prendere appunti, però, la curiosità nei suoi confronti cresceva.
Lei continuava a interpellarlo su argomenti precisi e lui continuava a reprimere le domande che
avrebbe invece voluto farle di rimando: per quale motivo si trovava al bar quella mattina vestita in
quel modo vistoso? Doveva attirare lo sguardo di qualcuno? O doveva distrarre da qualcosa? Per
quale ragione aveva abbandonato lo zaino?
A un certo punto gli sembrò che la vescica gli scoppiasse. Ottenne un time out e mentre si liberava
si chiese se non fosse stato il caso di recuperare le sue analisi dal cestino, senza destare i sospetti dei
finanzieri, e di andarsene a farselo dire da un medico, che andava tutto bene.
Tornando dal bagno, la vide intenta a fissare stanca fuori dalla finestra e le propose uno spuntino al
bar per staccare un attimo. Era l’una passata, i suoi uomini erano appena andati in pausa e il
maresciallo accettò subito.
Fu al bar che il cerchio, in un certo qual modo, si chiuse.
Lui osò e la riportò in quello in cui l’aveva vista, lei annuì e sorrise.
Lo zaino non c’era più, il locale non era saltato per aria. Non gli spiegò nulla, ma otto mesi dopo si
sposarono.
Confetti gialli, in onore all’Arma.