Cultura d`impresa e geopolitica
Transcript
Cultura d`impresa e geopolitica
© SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya Cultura d’impresa e geopolitica∗ Jean-Marc de Leersnyder∗∗ 1. Economia di mercato e geopolitica Il momento di grande tensione internazionale che stiamo vivendo, ed il rischio che la prima potenza mondiale si trovi coinvolta in una guerra, aprono nuovamente la questione dell’impatto della geopolitica sulla sfera economica e sulle strategie d’impresa. Un certo spirito tradizionalista o forse una certa miopia, tendono ad escludere l’impresa dall’ambito della geopolitica, con l’eccezione, indubbiamente rilevante, della difesa e del settore petrolifero. In una tale ottica manichea, la geopolitica rappresenterebbe il campo privilegiato per gli attori pubblici (gli Stati, le organizzazioni governative, le organizzazioni internazionali) o per gli attori rappresentativi del settore non-profit (le organizzazioni non governative). Le imprese, in tal modo, non avrebbero altro da fare che subire le conseguenze della situazione geopolitica senza poter reagire o avere influenza su tale situazione. Ora, l’impresa è diventata uno dei maggiori autori della geopolitica in quanto mantiene, rispetto alle problematiche mondiali, una propria razionalità; così il risultato dei giochi degli attori, e cioè le imprese, non manca certo di avere degli effetti e una notevole influenza sulla situazione geopolitica. Due fattori hanno contribuito al confinamento della geopolitica al di fuori dal campo della strategia d’impresa: il disinteresse delle imprese rispetto alla politica in generale, e il disimpegno degli Stati nei confronti del mercato. L’impresa ha per lungo tempo cercato di vivere al riparo delle preoccupazioni geopolitiche, come se i mercati fossero degli spazi commerciali protetti, delle oasi di pace e prosperità, preservate dalle evoluzioni e dagli choc geopolitici. Ecco perché non rientra nelle abitudini di un’impresa studiare o cercare il modo di anticipare le evoluzioni politiche o militari, così come non è d’uso nei comportamenti dei dirigenti partecipare a tali giochi geostrategici. La reazione più classica, di fronte a una situazione di forte tensione internazionale, generalmente è l’attesa o il ripiegamento se le attività o a fortiori il personale sono minacciati. L’intelligence economica è riuscita ad imporsi da una decina d’anni ma, troppo spesso, si è sviluppata al di fuori delle funzioni cosiddette “nobili” dell’impresa (strategia, finanza, marketing). ∗ Tradotto su autorizzazione, da Defence Nationale, Parigi, aprile 2003. ∗∗ Professore di Marketing Internazionale, Associate Dean Executive MBA, HEC, Jouy en Josas. Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya Gli Stati, dalla fine del comunismo e dal fallimento delle economie pianificate, hanno sempre cercato di svincolarsi dalle operazioni economiche e commerciali. L’ampliamento geografico del liberalismo e la generalizzazione delle privatizzazioni, come quella dei settori strategici quali il trasporto, l’energia o le telecomunicazioni, hanno lasciato pensare che la legge di mercato gestisse da sola le relazioni internazionali. Anche l’attività militare si privatizza e si vedono prosperare imprese multinazionali che provvedono agli Stati o alle fazioni come mercenari. L’outsourcing si diffonde nelle attività di difesa, negli Stati-canaglie, ma sembrerebbe anche nei paesi strutturati e democratici1 . Economia di mercato, svincolamento degli Stati e libero scambio sembrano essere le virtù cardinali che caratterizzano il mondo contemporaneo. La coincidenza storica dell’adesione quasi universale a questi tre valori conta molto nell’accelerazione del processo di mondializzazione, almeno per quanto riguarda il periodo compreso fra la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre 2001. Da allora, sembrano comparire alcuni segni di un cambiamento: lo Stato federale americano si è lanciato nel soccorso delle compagnie aeree a partire dall’11 settembre, ed il ritorno al protezionismo rappresenta una minaccia permanente. Si noterà in proposito che il commercio dei grandi prodotti agricoli è rimasto al sicuro dal fenomeno della generalizzazione delle pratiche di libero scambio. Il Forum di Porto Alegre del 2003 ha messo particolarmente in evidenza la rivendicazione dei paesi in via di sviluppo per uno smantellamento dei sistemi di protezione e di sovvenzione che caratterizzano l’agricoltura europea quanto quella americana. Un tale disimpegno da parte dello Stato come attore economico paradossalmente si accompagna ad un eccesso di vigilanza della potenza pubblica sugli interessi economici e commerciali delle imprese dal momento in cui operano al di fuori del territorio nazionale. Avviene tutto come se si assistesse ad una vera e propria schizofrenia da parte degli Stati, che non intendono più essere azionisti, né vendere sigarette, fiammiferi, posti aerei o comunicazioni telefoniche ma, allo stesso tempo, si sentono offesi quando una sanzione unilaterale tocca i produttori di formaggio Roquefort o di mostarda di Dijon, in Europa; o di carne agli ormoni, di banane o di cereali geneticamente modificati, negli Stati Uniti. Fu sotto l’amministrazione Clinton che venne messo a punto il concetto di sicurezza economica, che afferma che “la difesa degli interessi economici è al centro della politica estera degli Stati Uniti” 2 . La geopolitica è fondamentalmente un’analisi fra territorio, spazio e area politica. Almeno in questo modo venne definita agli inizi del Ventesimo secolo. L’analisi dei rapporti fra spazio e strategia merita di essere intrapresa anche da parte dell’impresa. La strategia d’impresa si sviluppa entro uno spazio ormai riconfigurato. Una simile riconfigurazione è il risultato di tre fattori: la situazione geopolitica, la mondializzazione ed il comportamento delle imprese internazionali stesse. 2. La geopolitica delimita lo spazio Così, si costituiscono raggruppamenti regionali (come l’Unione Europea oggi composta di 15 paesi e domani di 25) e scompaiono imperi (il blocco dell’Est dopo la caduta del comunismo). Domani, nei confronti dell’Oriente, una nuova Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya carta delle influenze commerciali, e quindi di fette di mercato, sarà il risultato di un intervento americano. La distribuzione dei PSA (Production Sharing Agreement) ne subirà le conseguenze. Gli effetti sulle imprese sono notevoli perché tali accordi fra una compagnia petrolifera e uno Stato danno diritto all’impresa di inserire in bilancio le riserve controllate in questo modo, con tutte le implicazioni di borsa che si possono immaginare. 2.1 La geopolitica come determinante dei mercati Quando la Cecoslovacchia si è divisa in due parti, fra la Repubblica Ceca e la Slovacchia, il commercio mondiale è numericamente aumentato di un montante calcolabile nella notte dal 31 dicembre 1992 al primo gennaio 1993. In effetti, una transazione commerciale fra Praga e Bratislava ha ottenuto in una notte lo statuto di esportazione ed è stata registrata dall’OMC come tale. La decolonizzazione (negli anni ‘60), la dislocazione della Yugoslavia e dell’URSS, per esempio, hanno portato alla creazione di un numero notevole di nuovi Stati. Una tale “proliferazione di stato”3 , per riprendere l’espressione consacrata, non ha soltanto effetti sulla balcanizzazione politica di alcune regioni del mondo. Essa ha delle forti conseguenze sulla configurazione dei mercati mondiali, ben al di là dell’impatto statistico fondamentalmente aneddotico, sul commercio mondiale che sembra, in fondo, essere sfuggito agli economisti. È raro, in effetti, leggere analisi sulla crescita del commercio mondiale che facciano un qualche riferimento a questo fenomeno. La guerra fredda ha segmentato l’universo commerciale nell’arco di quarant’anni, al punto che il GATT4 che produceva le statistiche sul commercio mondiale aveva l’abitudine di indicare l’insieme dei paesi a economia pianificata in una rubrica statistica speciale chiamata “Paesi dell’Est”. Le guerre fanno nascere o scomparire i mercati che tendono ad affrancarsi dai dati demografici ed economici per essere invece determinati dai dati geopolitici. Quali sono gli effetti dei conflitti sui mercati? Dal lato della domanda, generalmente si osserva un concentrarsi delle spese per quanto riguarda i prodotti di prima necessità. La domanda tende verso prodotti e marche di livello meno prestigioso. Dal lato dell’offerta, si assiste all’insorgere di un settore informale: piccoli commerci, punti vendita mobili, installazioni precarie, mercati d’occasione, importazioni parallele, mercato nero e di contrabbando. Generalmente, le multinazionali, gestite più efficacemente, guadagnano quote di mercato rispetto ai concorrenti locali rovinati. Le sanzioni economiche, come quelle che l’ONU impone all’Iraq (petrolio contro alimenti) favoriscono l’emergere delle pratiche di baratto e di commercio triangolare. Infine, il dopoguerra e la ricostruzione successiva generano nuovi mercati, spesso colossali e dotati di finanziamenti associati. 2.2 Le sanzioni economiche impattano sulle strategie d’impresa Le sanzioni economiche costituiscono uno strumento importante per la politica estera, a metà strada fra la diplomazia e l’utilizzo della forza. Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya L’efficacia delle sanzioni è abbondantemente dibattuta. Si fa giustamente notare che esse toccano in primo luogo le popolazioni civili, e l’impatto che hanno sulle imprese è senza dubbio irrilevante rispetto ai costi che subiscono gli uomini e le donne. Non di meno, le imprese sono ugualmente ostaggio di tali sanzioni, il cui carattere e le disposizioni pratiche che ne discendono sono essenzialmente economiche. Bisognerebbe entrare in una tipologia più dettagliata di queste sanzioni, e distinguere quelle emanate dal Consiglio di Sicurezza da quelle decise dagli Stati, le sanzioni multilaterali e le sanzioni unilaterali. Sono queste ultime, ed in particolare l’embargo, che hanno il maggior numero di conseguenze sulle transazioni commerciali private e, quindi, sulle strategie delle imprese internazionali. Quello che colpisce in queste misure è il loro carattere sempre più extraterritoriale. Quando un Paese come gli Stati Uniti definisce delle sanzioni, cerca di coinvolgervi altri stati allo scopo di aumentarne l’efficacia, ma anche, da un punto di vista più cinico, al fine di condividere il fardello delle conseguenze negative fra più paesi per evitare che solo le imprese americane vengano penalizzate. Una legge come la legge americana chiamata D’Amato-Kennedy rappresenta un buon esempio delle conseguenze commerciali a proposito delle decisioni politiche. In nome della lotta contro il terrorismo internazionale e della difesa della pace e della sicurezza internazionale, la legge D’Amato-Kennedy limita la capacità dell’Iran di sfruttare, di estrarre, di raffinare o di trasportare attraverso gli oleodotti le risorse petrolifere. La legge D’Amato sanziona gli investimenti esteri in Libia e in Iran superiori ai 40 milioni di dollari. Gli Americani, sotto la pressione dell’Unione Europea, hanno dovuto rinunciare a far applicare tale legge al di fuori degli Stati Uniti, nel caso di un’impresa petrolifera francese. Attraverso l’impatto che hanno sulle relazioni commerciali, le decisioni di embargo trasformano il rischio politico in un rischio commerciale dal momento in cui la sanzione scelta nelle controversie internazionali è di ordine economico. Anche se l’embargo è la sanzione economica più conosciuta, ne esistono in realtà molte altre: la limitazione delle importazioni e delle esportazioni, il congelamento dei beni all’estero, l’aumento dei diritti doganali, la rottura delle relazioni diplomatiche, il rifiuto dei visti, il blocco dei crediti o ancora l’annullamento delle relazioni aeree. Gli Stati Uniti utilizzano ampiamente l’arma delle sanzioni economiche nella loro politica estera. Il Congresso americano stima che le sanzioni economiche americane stabilite in quattro anni (1997-2000) tocchino 61 paesi, il 42% della popolazione mondiale, il 19% del mercato mondiale all’esportazione. Gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni economiche unilaterali un centinaio di volte a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le più celebri restano quelle concernenti l’isola di Cuba, e se l’HelmsBurton Act fa oggi scuola è perché al suo carattere unilaterale si aggiunge una nuova dimensione: l’extraterritorialità. The Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act, più noto sotto il nome di Helms-Burton Act, è un chiaro esempio di “boicottaggio di secondo grado”: uno Stato A cerca di impedire ai cittadini residenti all’estero di un paese B di commerciare con uno Stato C o di investirci. Producendo degli effetti di extraterritorialità, questa legislazione americana ha sconvolto le regole del diritto internazionale e quelle del gioco concorrenziale internazionale. In nome dei valori universali come la democrazia, i diritti dell’uomo, la lotta contro il terrorismo o la prevenzione della proliferazione di Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya armi di distruzione di massa, alcuni Stati, per mezzo di decisioni unilaterali di embargo, pretendono di sottrarre ad altri Stati il diritto di partecipazione agli scambi commerciali ed economici. Il ragionamento alla base di una tale applicazione extraterritoriale di sanzioni è che, dal momento in cui un’impresa di un paese terzo sviluppa un flusso di affari con un paese “boicottato”, ciò rinforza la capacità di questo paese di nuocere agli interessi del paese che ha deciso la sanzione. 3. La globalizzazione crea nuovi spazi Non è questo l’ambito più adatto per addentrarsi in un dibattito sulla mondializzazione, né di aggiungere ad una lista già cospicua un tentativo di definizione del fenomeno. Ricordiamo solamente che ciò che distingue la mondializzazione dall’internazionalizzazione (sarebbe più corretto dire l’inter-nazionalizzazione) è, propriamente, che nella mondializzazione lo Stato Nazione non è più l’entità spaziale pertinente. In altri termini, la mondializzazione ha generato nuovi spazi all’interno dei quali attori pubblici o privati, tradizionali o nuovi, leciti od illeciti, ecc., mettono in opera le proprie strategie usufruendone su base mondiale. Oltre ad essere un modo per rimettere in causa lo Stato Nazione, la mondializzazione è una vera e propria riconfigurazione dello spazio. Lo spazio di uno Stato rimane ma è indebolito da trasferimenti di sovranità, da alcuni elementi di potere regale (la moneta, la fiscalità, i diritti doganali...) verso nuove entità, o per mezzo di una confutazione del principio di territorialità delle leggi sotto l’influenza delle leggi comunitarie o delle decisioni nazionali di applicazione ritenuta universale, come le sanzioni economiche citate più indietro. Spazi sovra-statali hanno quindi visto la luce del giorno. La loro diversità proibisce di designarli con un nome o un concetto unico (cos’hanno in comune l’Unione Europea e il Mercosur?). La creazione di spazi regionali si collega a sua volta a circostanze naturali (prossimità geografica, linguistica, culturale), a sinergie fra i sistemi produttivi dei paesi coinvolti, ma soprattutto a volontà politiche d’integrazione. La formazione di simili insiemi regionali, zone di libero scambio o unioni economiche, costituisce ciò che gli economisti chiamano effetto di profitto insperato per le imprese. Tali accordi conducono alla creazione di mercati vasti ed unificati. Con la formazione del Mercosur, l’Argentina, il Brasile, il Paraguay, il Cile, l’Uruguay e la Bolivia sono diventati veri e propri meccanismi strategici per le imprese. Attraverso i loro accordi commerciali, questi paesi formano una zona che assembla le economie teoricamente con le migliori performance dell’America del Sud. È perché tale insieme si è strutturato che le imprese, in particolar modo le industrie automobilistiche, hanno deciso di investire. Lo stesso spazio geografico, senza gli accordi commerciali, non avrebbe avuto il medesimo potere di attrazione. L’esistenza di una tassa doganale comune permette a tale insieme di “piccoli paesi” nel senso della teoria economica internazionale, cioè quelli la cui domanda non ha influenza sui prezzi internazionali, di raggiungere la taglia critica di un “grande paese” le cui variazioni della domanda hanno potenzialmente influenza sui corsi mondiali. Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya La mondializzazione è anche la capacità degli attori di muoversi all’interno di nuovi spazi, autonomi rispetto agli stati, e nei quali le regole del gioco, e singolarmente le regole di diritto ispirate al principio della territorialità, non si applicano. Attraverso questi nuovi territori e spazi autonomi, indipendenti dagli Stati, si può citare internet, o cyberspazio. Si conosce la difficoltà di regolarizzare e di controllare i siti su internet; ma per l’impresa, internet è un vettore favoloso. Ha permesso infatti lo sviluppo dell’e-business e in particolar modo dell’ecommerce. L’esplosione della bolla della nuova economia non ha messo fine all’e-business. Ne ha semplicemente ammortizzato gli eccessi. Per la prima volta nella storia della relazioni commerciali, grazie a internet, si risponde al mercato internazionale attraverso una tecnica assolutamente mondiale. Fino ad oggi si mettevano in opera delle tecniche per rispondere ad un mercato sempre più mondiale. Con internet, lo strumento è finalmente proporzionato al tipo di problema posto: è mondiale. I mercati finanziari sono anch’essi un terreno di manovra “a-territoriale” sui quali le imprese dispiegano le proprie attività e la propria immaginazione. Ma non sono lo sole: si conosce l’utilizzo che ne sanno fare le organizzazioni mafiose e le organizzazioni terroriste attraverso le attività di imbiancamento o di annerimento. 3.1 La proliferazione e la disseminazione nel commercio estero Si sa che la crescita delle relazioni economiche internazionali si è accompagnata con una forte crescita in potenza degli scambi di beni immateriali. Questo fenomeno di dematerializzazione del commercio mondiale ingloba le prestazioni dei servizi transfrontalieri, le cessioni di proprietà industriali e intellettuali, i flussi di tecnologie, e più in generale gli scambi virtuali. Tale dematerializzazione degli scambi e il contenuto sempre più immateriale e virtuale dei prodotti scambiati, hanno notevolmente aumentato gli ambiti di quelli che si chiamano i “prodotti sensibili”. Per mezzo del licencing, del franchising e con gli accordi di subappalto o di outsourcing, gli accordi di compensazione commerciale (countertrade) e di offset, il rischio di trasferimenti indesiderati di competenze e di tecnologie cresce notevolmente. Le tecniche moderne di commercializzazione internazionale sono generatrici di “fughe tecnologiche” involontarie. In materia di flussi tecnologici, la situazione geopolitica recente (fine degli scontri Est-Ovest e disorganizzazione dei paesi un tempo sviluppati su un’economia di Stato), ha instaurato la comparsa di una nuova forma di “commercializzazione”. Accanto agli scambi di tecnologie fra paesi sviluppati e ai trasferimenti, che caratterizzano i flussi dai Paesi sviluppati verso Paesi in via di sviluppo, sono apparse nuove transazioni fra Paesi emergenti sotto forma di disseminazione e di proliferazione. Bisogna aspettarsi che un tale modo di “commercializzazione” si estenda a prodotti meno “sensibili” rispetto ai prodotti strategici per i quali è comparso. La diffusione del Viagra nei Paesi in via di sviluppo è certamente emblematica rispetto ad un simile approccio commerciale. Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya Tabella 1: Modalità di diffusione internazionale della tecnologia Paesi sviluppati Paesi emergenti Paesi sviluppati Paesi emergenti Scambi di tecnologie Trasferimenti di tecnologie Scambi inesistenti Disseminazione e proliferazione 3.2 Società civile e spazio economico Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e dei mezzi di trasporto ha portato all’intensificarsi dei flussi culturali che concorrono alla creazione di movimenti di opinione internazionali. L’accesso del grande pubblico ai nuovi media ha favorito la creazione di uno spazio pubblico senza frontiere. È questo lo spazio che, la cosiddetta “società civile”, ha saputo occupare al punto da acquisire un vero e proprio status sulla scena politica diplomatica e geopolitica internazionale. Si osserverà che queste organizzazioni, che denunciano le conseguenze di una mondializzazione e cercano di lottare contro di essa, non giungono a far conoscere la loro causa se non grazie alla globalizzazione. La globalizzazione dei mezzi di comunicazione ha fornito una tribuna mondiale alle organizzazioni no-global! È risaputo da molto tempo che la creatura finisce sempre per rivoltarsi contro il suo creatore. Il concetto di società civile, introdotto da Hegel nei ‘Principi di filosofia del diritto’, distingue tra vita civile e vita politica. Allora la società civile cercava di ridurre il ruolo dello Stato riportando alla sfera civile le problematiche della sfera politica, dimostrando così che l’interesse generale non poteva essere regolato dalla sola potenza pubblica. Per una sorta di sviamento dal concetto, oggi, invece, la società civile cerca di dimostrare al contrario che l’interesse comune e i meccanismi legati ai valori universali non devono essere lasciati agli interessi privati e alle imprese internazionali. Richiama a maggiori regolamentazioni in vista della difesa di valori che sarebbero minacciati dalle imprese internazionali. Reclamando più norme, la società civile chiede di più allo Stato. Le rivendicazioni contro gli organismi geneticamente modificati e la protezione dell’ambiente hanno messo in luce questo paradosso che non è che una conseguenza diretta della globalizzazione e del disimpegno degli Stati. L’emergere di una società internazionalizzata e mediatizzata, ma soprattutto organizzata e dotata di una riserva considerevole di fanti, reclutati più tra i giovani dei paesi sviluppati che tra i “dannati della terra”, fa nascere un nuovo rischio per le imprese: quello di essere il bersaglio di una campagna di denigrazione anzi di disinformazione. La società civile esercita ormai una potente sorveglianza sulle imprese: sulla qualità dei loro prodotti, sui loro processi produttivi, sulle norme sociali. Se gli Stati hanno le loro leggi, la società civile ha i suoi valori e i boicottaggi stanno alla società come le sanzioni giuridiche ed economiche stanno Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya agli Stati. Una campagna di disinformazione o di boicottaggio può per un’impresa costare più cara di una multa comunitaria o di una perdita di quote di mercato conseguente a un embargo. 4. La geopolitica delle imprese Anche le imprese sono arrivate a disegnare uno spazio mondiale che sia loro proprio. Esse hanno a lungo utilizzato la nazione o il paese come livello pertinente di aggregazione per definire i mercati o segmentare il mercato mondiale. Era comodo: si assimilava spazio nazionale e spazio sociale e culturale. L’organizzazione politica corrisponde solitamente a un’unità linguistica, una strutturazione amministrativa, un sistema educativo e uno spazio regolamentato. Con la globalizzazione, l’equazione “un paese=un mercato” non ha più senso strategico, poiché l’impresa ragiona in segmenti di mercato trasnazionali nei quali sono raggruppati i consumatori e i clienti che hanno attese comparabili, senza tener conto dei confini politici. Qui si sono creati ancora degli spazi commerciali autonomi in rapporto agli spazi politici come i mercati delle “diaspore” o delle comunità etniche. Il comunitarismo è forse una cura politica e sociale, ma costituisce anche un mercato. Gli ispanici rappresentano un mercato panamericano che le imprese di prodotti cosmetici per esempio sanno perfettamente capire e soddisfare con prodotti e marketing specifici. Queste strategie costituiscono dei contropoteri e delle considerevoli armi economiche in mano alle imprese che possono a volte cambiare l’aspetto del mondo. Ricordiamoci il ruolo rivestito dalle televisioni occidentali nella caduta del muro di Berlino e guardiamo come i processi di consumo occidentali stanno trasformando la Cina. I soldati hanno l’abitudine di dire “non si disinventa la bomba atomica”; potremmo aggiungere: “non si disinventeranno i jeans”. 5. Verso una diplomazia d’impresa Di fronte a questi rischi generati dall’instabilità del contesto geopolitico l’impresa può rispondere con due attività strategiche: l’anticipazione e la negoziazione. L’anticipazione consiste nella sorveglianza dell’ambiente, la veglia e l’intelligence economica. La negoziazione è la diplomazia di impresa. I diplomatici si lamentano a volte che gli interessi politici passino in secondo piano dietro ai principi di Realpolitik (che infatti sono principi di economia reale). Per simmetria le imprese dovrebbero dotarsi di competenze diplomatiche. All’arma della diplomazia economica messa in atto dagli Stati dovrebbe rispondere un management diplomatico, del quale restano da definire i limiti. Questa diplomazia di impresa deve essere parte integrante della comunicazione internazionale d’impresa. L’impresa sa inviare un messaggio di carattere commerciale a un consumatore o a un cliente. Deve essere allo stesso modo capace di rivolgere un messaggio a contenuto diplomatico a uno Stato o ai suoi rappresentanti. Nel primo caso, fa legittimamente pubblicità, nel secondo, le si nega troppo spesso il diritto di fare diplomazia. La lobbying che si è tanto sviluppata in Europa in conseguenza dell’impatto delle decisioni della Commissione Europea sulla vita degli affari, è una manifestazione di questa Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca © SYMPHONYA Emerging Issue in Management www.unimib.it/symphonya intensa attività diplomatica dell’impresa. Questa lobbying può essere affidata a una struttura interna all’impresa o ad un ufficio specializzato, o delegata all’interno di un gruppo di pressione di cui fa parte l’impresa, che azionerà a sua volta uno studio di lobbying. In ogni caso, l’obiettivo è sempre lo stesso: si tratta di dominare il rischio di cambiamento della regolamentazione. La lobbying è stata a lungo mal vista in Francia. Ora a Bruxelles, i gruppi di lobby sono una fonte permanente di informazione per la Commissione che esternalizza così le attività di comunicazione. Si stima l’esistenza di 3000 gruppi di interesse a Bruxelles e di 500 rappresentanti di impresa, incaricati di questa missione. È stato addirittura creato un gradito statuto di “lobbysta”. Non bisognerebbe limitare la diplomazia internazionale dell’impresa agli attori statali o alle organizzazioni internazionali. Conviene estenderla agli attori della società civile. L’influenza crescente dei movimenti consumeristi fa gravare un rischio commerciale importante sulle imprese. Al fine di minimizzare questo rischio, molte imprese hanno deciso di integrare la loro politica di comunicazione con un’imposta sociale ed etica. Le imprese che hanno delocalizzato le proprie unità di produzione nei Paesi a basso costo di manodopera sono oggi desiderose di salvaguardare la propria immagine e di evitare campagne di boicottaggio in modo che non si scopra che fanno lavorare nelle fabbriche prigionieri o bambini con meno di quattordici anni. Di fronte al proliferare delle inchieste, delle indagini, delle campagne di informazione e disinformazione, tutte largamente diffuse dalla stampa, le imprese adottano codici di buona condotta, carte per conciliare etica e business. Dinnanzi a questi contro-poteri, le imprese internazionali hanno inventato una forma di diplomazia civile che talvolta è detta “cittadinanza”, o Corporate Social Responsibility, e che permette loro di prender parte al dibattito sociale, con l’ambiguità di una pratica che i sessantottini avrebbero definito di “recupero”. Gli Stati si invitano nei loro giochi concorrenziali. Di fronte a questa strategia di influenza commerciale ed economica che gli Stati mettono in atto per completare la loro politica di difesa e di sicurezza, le imprese devono dotarsi di una vera e propria diplomazia. La strategia internazionale dell’impresa è ripresa dalla geopolitica. Non c’è che un unico ambiente internazionale. La sfera commerciale non è distinta da quella politica. La geopolitica è la risultante dei giochi di tutti gli attori sulla scena internazionale. In questo teatro né gli Stati né le imprese possono pretendere di giocare da soli; ma non perdiamo di vista un principio essenziale: in materia politica, contrariamente a ciò che avviene in materia economica, il rischio non ha in sè alcun premio di rendimento. È pura perdita per l’impresa. Note 1 Richard Bunégas: “De la guerre au maintien de la paix: le nouveau business mercenaire”. Critique Internationale, Presses de Science Po, n°1, autunno 1998, p. 179-194. 2 Denis Lacorne: “Où est l’interet national américain?”, Critique Internationale, Presses de Sciences Po, n°8, luglio 2000, p. 97-116. 3 Pascal Boniface: “La prolifération étatique: un défi stratégique majeur”, Revue internationale et stratégique, n°37, primavera 2000, p. 59-64. 4 GATT: General Agreement on Tariffs and Trade. Edited by: ISTEI - Istituto di Economia d'Impresa Università degli Studi di Milano - Bicocca