L`ultimo porcaro - Corpo Forestale dello Stato

Transcript

L`ultimo porcaro - Corpo Forestale dello Stato
ALIMENTAZIONE / Specie da salvare
L’ULTIMO PORCARO
L’avventura controcorrente di un allevatore di maiali della
rara Cinta Senese, una razza già raffigurata negli affreschi
del Quattrocento e che ora, grazie anche alla Forestale si
cerca di salvare
di Stefano Cazora
e verdi montagne della Sabinashire, così viene ormai chiamata da tutti la ridente contea di Casperia in quel di Rieti,
custodisce un segreto meraviglioso dai contorni ancestrali. In
questo scampolo di campagna, meta di romani ma anche di
frotte di olandesi e inglesi in cerca di pace a due passi dalla
capitale, Roberto Colletti, l’ultimo porcaro, alleva maiali bradi, cinte
senesi doc.
Novello romantico Robin Hood e reazionario della modernità ha
fatto una scelta radicale: vivere in armonia con la natura pur cercando da ciò di ricavare un, seppur modesto, sostentamento per la
propria famiglia.
L
30 - Il Forestale n. 43
Allevatore-cacciatore, arcaico epigono di una
cultura sparita, è il vero signore incontrastato di
queste aspre montagne che si affacciano su prati
di un verde intenso dove la campagna romana
cede gradualmente al dolce movimento disordinato tipico delle valli umbre. Come il mitico
eroe inglese combatte solitario una guerra personale. Suoi nemici sono i ritmi globalizzanti e
consumistici. Mal sopporta tutte quelle regole
che vanno contro la natura.
Roberto ha iniziato con i cavalli, poi sono arrivate le pecore e i bovini e ora è la volta delle
cinte senesi. “Cercavo una razza che fosse molto
simile al maiale scuro autoctono che allevava
mio nonno. Ma da queste parti era scomparso.
Poi ho saputo che vicino Siena il Corpo forestale dello Stato allevava una specie simile: la cinta
senese. Ho acquistato allora un verro e cinque
scrofe. Oggi sono una cinquantina”. Ma non è
facile allevare maiali allo stato brado. È un
impegno enorme. Ogni giorno Roberto con un
vecchio fuoristrada si arrampica sulle strette
mulattiere sopra Casperia e raggiunge i pascoli
di montagna dove abbondano radici e ghiande
e dove le cinte, la cui alimentazione viene di
tanto in tanto integrata solo da mangimi naturali, vivono libere sotto l’occhio vigile di Roberto,
della moglie Giuseppina e dei figli Francesco e
Veronica, tutti accomunati, volenti o nolenti,
dalla stessa passione.
Il Forestale n. 43 - 31
Intanto la storia dei maiali liberi si è sparsa e
ogni giorno agli uffici del comune del piccolo
paesino arrivano telefonate per avere notizie su
come rintracciare Roberto e le sue cinte. “Mi
chiamano da tutta Italia e anche dall’estero per
vedere i maiali dall’inconfondibile cintura bianca. Qui non ci sono capannoni alienanti ma solo
qualche piccolo recinto con delle tettoie di
legno dove la sera, non sempre, i maiali trovano ricovero”. Sono animali splendidi, molto più
docili e intelligenti del classico large white che
si alleva ormai ovunque in modo intensivo. Si
adattano alla carenza di acqua e al terreno sassoso. Il tempo a Casperia scorre più lento che
altrove e anche la vita dei maiali è più lunga.
Non vengono macellati mai prima di un anno.
“Molti mi hanno chiesto di vendere qualche
esemplare, ma non mi fido. Chissà che fine
farebbero. Dovrei conoscere bene l’acquirente.
Ma non so. Un giorno forse, si vedrà. Pur avendo comprato gli animali in un allevamento del
Corpo forestale ho avuto qualche problema a
farli certificare dall’associazione allevatori di
Siena. Forse erano un po’ gelosi – dice sorridendo Roberto – Ma poi finalmente
all’associazione di Perugia ho trovato delle persone molto disponibili e competenti che mi
hanno aiutato e che mi seguono dandomi consigli utili”.
32 - Il Forestale n. 43
Ma questo tipo di allevamento che conferisce
poi alla carne del maiale un sapore unico qualche problema ce l’ha. Devono essere sorvegliati
24 ore al giorno. A volte, specialmente di notte,
può capitare che qualche esemplare più intraprendete salti la recinzione e vada a grufolare
nelle tagliate del bosco. Ecco allora fioccare le
multe e i richiami. Puntare oggi su un tipo di
allevamento simile a questo, per quanto bislacco e antieconomico, potrebbe sembrare una
scelta di super nicchia per amatori capaci di
apprezzarne i risultati e disposti a pagare prezzi
più cari. Ma di fatto è quasi impossibile. Tra
leggi e regolamenti locali che limitano il pascolo, norme sanitarie e di vario genere, si capisce
che Roberto per superare ogni tipo di ostacoli si
arrangia come può. Aiuti finora non sono venuti da parte di nessuno. “Io vorrei rimanere
sempre in regola. Ma certi risultati non si possono ottenere applicando in modo stretto regole
nuove che si adattano ad un altro tipo di allevamento al chiuso. Forse il mio progetto potrebbe
trovare il sostegno di qualche ente pubblico, del
ministero dell’agricoltura, della regione o della
comunità montana. Potremmo studiare insieme
una forma di aiuto per mantenere nella legalità
un sistema arcaico di zootecnia”. Poi ci sono le
volpi sempre in agguato che qualche piccolo
riescono a portarlo via. Alla fine tra sanzioni,
Gli altri selvaggi
discussioni con i vicini, turisti impauriti
che pensano di aver visto branchi di cinghiali, spese varie, e soprattutto tempo
impiegato per accudire gli animali, rimane ben poco guadagno. Il risultato è però
qualcosa di eccezionale e lo hanno capito bene anche i norcini e i buongustai
della zona, che cercano ad ogni costo di
accaparrarsi qualche animale. E poi ci
sono i cercatori di sapori che vengono da
tutta Italia. Ma la risposta di Roberto è
sempre la stessa. “Calma, ci vuole tempo.
E poi non posso annientare l’allevamento. Mi sono impegnato con la Forestale a
mantenere la biodiversità e accrescere il
numero dei maiali. E così sto facendo.
Per ora non riesco a fare più di 30-40
prosciutti l’anno”. E’ un piccolo contributo per la diffusione di specie relitte e di
sapori inconfondibili sepolti ormai nella
memoria dei racconti.
Tra gli appassionati di questa razza c’è
Stefano Facioni, macellaio di Poggio
Mirteto vicino Casperia, già accanito
ricercatore di carni e salumi di qualità,
che con Roberto ha stretto una collaborazione preziosa, condividendo insieme
questa difficile avventura controcorrente.
Roberto alleva con amore quelle poche
cinte libere nei pascoli erbosi della sabina e Stefano ne ricava prosciutti, salami
dal gusto inenarrabile.
Basti pensare che il grasso è quasi più buono del
magro. Ma la caratteristica della cinta che ha
mangiato molta ghianda
allo stato brado è anche
quel sapore un po’
nociato, con qualche
sentore lontano di cioccolato e una carne soda
ma al tempo stesso tenera. Per pochissimi, solo
per gli amici, sono invece quelle cinte, forse
una o due l’anno, che
Roberto Colletti prepara
nel suo forno a legna.
Un incanto, niente a che
e la “cinta senese”, di cui sono rappresentati
quattro maialini nell’affresco del Buono e
Cattivo governo, di Ambrogio Lorenzetti, è la
razza di maiale allevato allo stato brado più nota in
Italia, all’estero i concorrenti non mancano.
Mangiano ghiande i maiali spagnoli che ci regalano
il prosciutto “Pata Negra” e stessa alimentazione
per i maiali che si incontrano in Corsica.
A dir la verità questi ultimi non disdegnano neanche
le castagne, di cui è ricca la Castagniccia, la regione a sud di Bastia. Il risultato è un prosciutto o una
coppa molto saporiti, che vengono tradizionalmente
affumicati e lasciati a stagionare in un apposito
locale detto rattaghiu.
S
vedere con la classica porchetta romana
o con il maialino sardo pur ottimi. Poi ci
sono le spuntature al sugo o alla brace, la
testina e, dulcis in fundo, i guanciali per
la vera pasta alla gricia con tanto pepe e
pecorino, rigorosamente in bianco.
Qui non si butta niente del prezioso
suino. Facioni si è attrezzato e si è fatto
costruire con dell’ottimo marmo di
Carrara un ampio recipiente dove prepara il lardo di cinta che non è di
Colonnata, è di Poggio Mirteto, ma assolutamente prelibato perché anche in
questo caso realizzato con cura e senza
fretta.
Anche i maiali
Cinta Senese
amano rotolarsi
nel fango per
pulire il vello.