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 Ripercorre i “segni” onirici e ribelli di uno dei movimenti culturali più vivaci del XX secolo, attraverso l’opera grafica di alcuni dei suoi maggiori esponenti, la mostra Joan Miró e i surrealisti. Le forme, i sogni, il potere, promossa e ospitata dal MARTE di Cava de’ Tirreni (Salerno) dal 21 febbraio al 20 giugno 2016. L’itinerario espositivo, curato da Marco Alfano, presenta un variegato corpus litografico significativo della visione del gruppo eterogeneo di artisti raccolti intorno al Manifesto pubblicato da André Breton nel 1924, a partire dal “più surrealista dei surrealisti”, Joan Miró (1893‐1983). Oltre trenta le opere grafiche dell’artista catalano esposte, eseguite tra gli anni Cinquanta e Settanta, molte delle quali destinate ad illustrare opere letterarie, e selezionate tra l’immensa mole che Miró ha realizzato in più di quaranta anni di pratica dell’incisione intesa quale terreno privilegiato di sperimentazione. Tutte provenienti da una importante collezione privata italiana, dal Centenaire Mourlot (1953) alle litografie della serie Ubu Roi di Alfred Jarry (1966), dalla serie di Je travaille comme un jardinier (1963), fino a Colpir sense nafrar, del 1981, offrono un’esaustiva panoramica del lavoro grafico dell’artista catalano e del suo processo linguistico creativo. Ad esse si collegano altre trenta opere di nomi importanti del gruppo surrealista: dal “metafisico” Giorgio de Chirico al sulfureo Salvador Dalí, dal rivoluzionario André Masson all’ideatore del frottage Max Ernst, dal belga René Magritte al tedesco Hans Bellmer, dal cileno Roberto Sebastián Matta al cubano Wifredo Lam. L’esposizione concentra il suo interesse su tre motivi fondamentali che saldano la ricerca dell’artista catalano alla poetica surrealista. L’itinerario infatti è suddiviso, come evidenzia il sottotitolo, in tre tracciati: la necessità della forma, vale a dire l’esigenza avvertita costantemente da Miró e dagli altri artisti in mostra di dare vitalità immaginativa alla forma plastica e al tempo stesso all’oggetto, provando a svelarne la natura misteriosa; la materia dei sogni, che si richiama alla funzione immaginativa rappresentata dall’inconscio e dal sogno, collocata al centro del pensiero di Breton, sollecitato dalle teorie psicanalitiche; ed infine, la natura del potere, intesa quale riflessione corrosiva verso quei dispositivi utilizzati dall’autorità, contro le sue ambigue maschere, partendo dall’importante serie miroiana dedicata ad Ubu Roi, capolavoro di Alfred Jarry, autore incluso da Breton tra i “precursori” del Surrealismo. Il tracciato espositivo prevede inoltre una sezione specifica dedicata alle tecniche calcografiche, dove il visitatore, tramite una serie di video‐tutorial degli archivi RAI, potrà intendere con semplicità la ricchezza delle principali tecniche utilizzate nelle opere esposte in mostra, dalla puntasecca all’acquaforte dall’acquatinta alla litografia. Ad arricchire la visita diverse iniziative collaterali promosse per il pubblico di tutte le età. Si va dai laboratori artistico‐espressivi, per avvicinare anche i piccolissimi alla poetica e alla pratica del movimento d’avanguardia, alle visite guidate teatralizzate, per introdurre i visitatori nei pensieri e nelle storie più recondite delle opere. La stessa giornata di apertura al pubblico dell’esposizione sarà impreziosita dal debutto della produzione drammaturgica dell’Antico fa Testo “SPAZIO BIANCO. Mirò: un surrealista sulla scala dei sogni” scritta e diretta appositamente per l’iniziativa espositiva da Francesco Puccio. La mostra, che gode del patrocinio del Comune di Cava de’ Tirreni ed è realizzata grazie al sostegno del Main Sponsor Tecnocap e al contributo di Arti Grafiche Boccia, BPER Banca, Sicme Energy e Gas, Alden e di altri sponsor privati, sarà visitabile a partire da domenica 21 febbraio tutti i giorni, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 20 (ultimo accesso ore 19.30), sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle ore 21 (ultimo accesso ore 20.30). Il costo del biglietto è di € 6,00, ridotto € 4,00. Diversi i pacchetti agevolati previsti, dallo SPECIALE FAMIGLIA al costo di € 15,00 (genitori e 2 figli dai 6 ai 14 anni), al pacchetto SCUOLE. Visite guidate su prenotazione. Per informazioni e prenotazioni: 089 9485395 ‐ 333 6597109, www.surrealistimarte.com. Il MARTE è in corso Umberto I, 137 ‐ 84013 Cava de' Tirreni (SA). Per Ulteriori Informazioni alla Stampa JaG communication / Gilda Camaggio 089 9952614 – [email protected] Dalle note del curatore Miró, i surrealisti e l’inquieta forma del potere di Marco Alfano Si dovrà finalmente riconoscere che la tendenza a guardare l’esperienza di Joan Miró quale fenomeno limitato al campo dell’emozione soggettiva, dell’abbandono lirico, ha impedito a intere generazioni di valorizzare appieno una delle esperienze creative più straordinarie del XX secolo. Oggi, una più attenta considerazione della storiografia alle sue radici culturali, come ad esempio quella di Agnès de la Beaumelle in occasione della mostra al Beaubourg di Parigi nel 2004, ha finalmente affrancato Miró dalla fama di pittore infantile, di un artista “giocoso”, apparentemente facile; è un’etichetta cucitagli addosso dallo stesso teorico del Surrealismo, André Breton [….]. Giulio Carlo Argan iscrive pienamente l’artista catalano nella poetica surrealista, quale inventore di sistemi di segni dotati di chiarezza e semplicità, della “finzione” dell’innocenza […] «segni e colori che alludono a una realtà cosmica in movimento continuo, a un agitarsi di tensioni, di correnti di forza, in un mondo perennemente in formazione e quindi non determinato né determinabile nella fissità degli oggetti». Il Surrealismo, infatti, «proponeva d’utilizzare una formula ‐ è quanto annota Tiziana Migliore in un recente libro ‐ che attraverso il montaggio di singoli elementi realistici conduce alla negazione del realismo» (come nell’arte preistorica, appunto), scomponendo «gli elementi‐chiave in uno spazio ultra‐
dimensionale»; come il sogno, dunque ‐ Ceci est la couleur de mes rêves, scriveva Miró ‐, che a differenza del linguaggio cosciente è il luogo aperto alla molteplicità del senso, alla sue possibili interpretazioni. Ma a differenza dei surrealisti che partono dai residui del visibile, Miró proverà a delineare una nuova grammatica; era proprio tale recupero d’un’infanzia primigenia del linguaggio che irritava Breton. Joan Miró inventa quindi una lingua per figure ‐ l’amico Raymond Queneau li definisce miroglifici ‐ che non si manifesta quale scrittura privata o una particolare cifra stilistica, «ma un linguaggio per tutti, visibile e dicibile, che recupera le qualità sensibili e affettive del rapporto con le cose». Migliore, nel suo libro, descrive la riscoperta dell’infanzia del mondo di Miró come un lavoro “semantico” sul linguaggio figurativo, innanzitutto sulle “parole” che, «usurate, hanno perso energia figurativa e potere di significare». […] È un elemento che non distanzia l’esperienza creativa di Miró ‐ dichiarava che si era interessato ai surrealisti, perché «non considerano la pittura fine a se stessa» ‐ dal Surrealismo, dal momento che il processo linguistico miroiano è attivato dalla profondità onirica, come è noto collocata al centro del pensiero di Breton, sollecitato dalle teorie psicanalitiche, a partire dall’apparire della Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud (1900). Ma proprio su questa lettura che contrappone spiritualità e terrestrità, si è divisa la critica, anche più recente; già Queneau avvisava che niente in lui è “sofisticato” come negli altri surrealisti: «Sotto le sue dita non è affatto il frutto che si cambia in stella, piuttosto l’astro che diventa patata o radice. È un surrealismo contadino, terriero» […] Questa dimensione terrestre, “lavorativa”, sarà uno degli aspetti che prova a saldare la natura celeste e quella terrena, su cui si fonda la scommessa della costruzione dell’idioma di Miró, che è il risultato di un lavoro assiduo sulla forma, dove il livello della configurazione figurale e di contenuti, appare completamente reinventato. Ed è proprio all’interrogarsi di Miró sul mistero e sul “potere” delle immagini, che rivolge l’attenzione l’attuale esposizione Joan Miró e i surrealisti. Le forme, i sogni, il potere, presentando trenta opere grafiche di Miró, provenienti da una importante collezione privata italiana […]. Joan Miró comincia ad interessarsi all’incisione già negli anni trenta a Parigi, con importanti collaborazioni editoriali, dalle illustrazioni per L’Arbre des voyageurs di Tristan Tzara (1930), ai lavori per la rivista “Cahiers d’Art”, fino alle prime esperienze alla puntasecca con Louis Marcoussis (1938). L’attività grafica, sospesa per quasi dieci anni, sarà ripresa a New York, nell’Atelier 17 di Stanley William Hayter. Dal 1948, di nuovo a Parigi, Miró si dedicherà assiduamente alla litografia a colori, nell’atelier di Fernand Mourlot; è un momento testimoniato dalla rara litografia Centenaire Mourlot (1953) eseguita per commemorare il centenario della celebra stamperia parigina, famosa per essere stata il punto di riferimento dei più importanti artisti del XX secolo, da Matisse a Chagall, da Braque a Picasso e Giacometti. In quest’opera, come in dipinti coevi quali Le sourire aux ailes flamboyantes (1953), sulla superficie scabra dello sfondo, ottenuto con una preparazione a spazzola della lastra litografica, si ritrova sintetizzato buona parte di quel repertorio miroglifico, delle sue figure “organiche” e “cosmiche”, le più riconoscibili, come, ad esempio, l’occhio, il sole, l’uccello, la stella. Nel 1954 alla XXVII Biennale di Venezia viene conferito a Miró il Gran Premio Internazionale per la Grafica. Nel ’55 abbandona la pittura per dedicarsi intensamente alla ceramica e alla grafica; riprenderà a dipingere solo nel 1959, in anni che lo vedono perfezionare grazie all’amico Artigas la tecnica di lavorazione della ceramica, dove Miró, come nelle tecniche dell’acquaforte e della litografia, controlla tecnicamente la materia a livelli mai prima raggiunti. Inoltre, nel 1956, l’artista ha coronato un sogno: a Palma di Maiorca, abbandonata definitivamente Barcellona, si è fatto costruire un atelier appositamente progettato dall’architetto Josep Lluís Sert. Del 1963 è la pubblicazione, per le edizioni della rivista “XXe Siècle”, del testo autobiografico Je travaille comme un jardinier, scritto nel 1959: il volume sarà corredato da litografie originali e una prefazione dello storico dell’arte Yvon Taillandier. Si tratta di una serie di litografie dove Miró, sempre disposto a mettersi in discussione, cerca di sfuggire al registro delle figure primigenie, che rischiava di imprigionarlo in una cifra troppo riconoscibile. Il tentativo ora è quello di assecondare un’espressività di estrema libertà formale, che non significa per l’artista l’adesione ad un’astrazione fondata su elementi geometrici, che per Miró non poteva condurre ad alcuna “liberazione spirituale”. Sarà necessario intendere in questo senso anche questo testo dove Miró descrive il suo modo di lavorare, rappresentando il suo quotidiano lavoro d’artista come quello di un giardiniere, che coltiva la sua terra con le “forme”, “semi” che una volta piantati e coltivati con pazienza produrranno i loro “frutti”. «Lavoro come un giardiniere o un vignaiolo. Le cose vengono lentamente. Il mio vocabolario di forme, per esempio, non l’ho scoperto tutto in una volta; si è formato quasi a mia insaputa. Le cose seguono il loro corso naturale. Crescono, maturano. Bisogna innestare. Bisogna irrigare». Si tratta di una metafora elaboratissima, dove si rivela la complessità di un mondo immaginativo che desidera una negazione dell’individualità, che esalta l’anonimato, che significa per Miró diventare «realmente un uomo», liberarsi «del proprio falso io». […] Miró lascia intendere che tale destino riguarda l’artista moderno; egli stesso non può far altro che affidare il proprio “lavoro”, e la propria salvezza, all’anonimato, che «mi permette di rinunciare a me stesso, ma rinunciando a me stesso giungo ad affermarmi maggiormente»; tutte le epifanie poetiche, anche il tentativo di “metaforizzare” il senso della forma, «rimane coniugazione di una lingua che si dissolve nell’istante stesso in cui si mostra». Il processo creativo di Miró, che parte dall’analisi della fallibilità razionale e luminosa della forma, mettendone alla prova la positività, tramite un processo di destrutturazione d’origine surrealista, si rivela in altre opere presenti in mostra: esso emerge in Homenaje a Josep Lluís Sert, una litografia a colori (qui esposta anche nella versione in nero), eseguita in occasione della consegna da parte dell’architetto catalano del progetto per la sede della Fundació Miró di Barcellona nel 1972; ma anche in due litografie, tratte dal libro Oda a Joan Miró, che Joan Brossa ‐ uno dei fondatori della rivista “Dau al Set” e dell’omonimo gruppo artistico ‐ gli dedica in occasione dell’ottantesimo compleanno, nel 1973. Agli ultimi anni di Miró sono anche riferibili litografie come Montroig (1974), e Grand Palais Paris, eseguita nello stesso anno in occasione della vasta retrospettiva ospitata al museo parigino. Del 1975 è la serie Joan Miró litografo II, eseguita per il secondo volume del catalogo ragionato delle litografie di Miró, che raccoglie le opere realizzate tra il 1953 e il 1963; così come San Lazzaro et ses amis (1975), una litografia composta in omaggio al critico e mercante Gualtieri di San Lazzaro, fondatore della rivista e delle Edizioni “XX siècle”. In tutte queste opere si assiste ad una progressiva semplificazione del gesto espressivo, il colore è limitato dal segno immediato e violento del nero: un nero definitivo, cahier d’ombres che testimonia un silenzio, quasi raggelante, suggerito a Miró dalla propria mistica negativa. Il processo di sintesi è favorito dalla tecnica, dall’uso di colori direttamente sulla pietra litografica, che avvicina il modo di lavorare a quello della pittura. D’altro canto, segni e materia diventano linguaggio oggettuale in Le troubadour, un’acquaforte e acquatinta a colori, datata 1976, che risente di processi immaginativi derivati dal Surrealismo: il calco di un cavatappi, preso direttamente sull’oggetto, è trascritto sulla lastra, tramite il segno nero, cui s’aggiungono successivi sviluppi cromatici. Nel 1966 l’editore Tériade pubblica l’Ubu Roi di Alfred Jarry, illustrato da tredici litografie a colori di Joan Miró. L’opera teatrale, pubblicata e messa in scena nel 1896, ebbe un ruolo cruciale nel successivo sviluppo del Surrealismo e del Dadaismo. In effetti non era la prima volta che il maestro catalano si confrontava con il testo dell’Ubu Roi, che conosceva già dagli anni venti, ed aveva realizzato disegni e manifesti per una rappresentazione parigina dell’opera nel 1937. Esiste quindi una serie di disegni, datati 1953, che precede la realizzazione della più famosa serie grafica. […] Le tavole dell’Ubu Roi, tra le opere più brillanti dell’intero corpus litografico di Miró, introducono quel tema del potere inteso quale riflessione corrosiva verso quei dispositivi utilizzati dall’autorità, contro le sue ambigue “maschere”. Primo capitolo del “ciclo di Ubu”, l’Ubu Roi è una parodia di Macbeth con riferimenti che toccano anche l’opera di Rabelais. Père Ubu, personaggio che oscilla tra il parodistico e il grottesco, è dispotico, capriccioso ed infantile e possiede un umorismo sbracato e grossolano, caratteristiche queste che lo rendono uno dei più lucidi prototipi del dittatore del XX secolo. È un elemento non estraneo alla scelta di Miró, che associa al burattino creato da Jarry la figura del despota in patria: Francisco Franco. L’identificazione è sostenuta dall’ironica costatazione dell’infamia ilaro‐tragica di Ubu, dalla sua natura di tiranno libertario […]. Il carattere “rivoluzionario” del Surrealismo si rivela quale avvio del progressivo tentativo di liberazione dell’uomo da quei processi di sopraffazione messi a punto dalla precisione “tecnologica” del potere (quella che Foucault chiamava “biopolitica”), e che si rivela anche oggi, innanzitutto nell’intento di un controllo – come ha rivelato Agamben ‐ nella limitazione dell’effettiva proprietà del proprio corpo. Tale processo di biologizzazione della politica, negli anni dei surrealisti, troverà una manifestazione senza precedenti nella politica (razzista) del Nazismo. È in questo senso che sarà da intendere il recupero, evocato da Breton, di una visione artistica che non fosse contaminata dalla ragione, asservita all’utilità sociale, al sistema di potere. Teorico e sperimentatore estremo del corpo è Hans Bellmer, che in gioventù a Berlino frequenta giovani artisti come John Heartfield e George Grosz; dal 1933 inizia il suo progetto di realizzare «ragazze artificiali», adolescenti a grandezza naturale; un progetto che intende opporsi al nazismo, esprimendo il proprio dissenso nei confronti di doveri imposti dal regime, rinunciando a qualsiasi attività che avesse la pur minima utilità e rispettabilità sociale. Rappresentate con forme mutanti e in pose non convenzionali le sue bambole perverse sono una critica al culto del corpo perfetto dominante al tempo in Germania. […] Uno degli elementi fondanti il processo rivoluzionario surrealista è indicato da Breton nella necessità del rivelarsi dell’oggetto artistico, al di fuori della razionalità, in una «obiettivazione dell’attività onirica». Pittore tra i più rivoluzionari, André Masson emancipatosi dal linguaggio cubista, tenderà a convertire il procedimento, suggerito da Breton, della scrittura automatica in libera scrittura di forme. Nelle due litografie in mostra, Astri e volti e Figura, dimostra una rarefazione formale che investe anche il soggetto, distendendo nello spazio stelle e volti, e un corpo scrutato sin nei suoi interni meandri, nei termini d’una libertà di composizione che riguarda anche l’aspetto grafico. […] Nell’inchiesta del 1939 era stato Breton ad avvertire che la pratica dell’automatismo riscuoteva un nuovo interesse da parte di artisti più giovani, come nel cileno Roberto Sebastián Matta e il cubano Wifredo Lam. Nelle opere di Matta si assiste alla sintesi tra segni d’origine surrealista e una esuberante immaginazione che attinge all’arte primitiva. Le litografie La grande invariante e Frappe le marteau qui frappe, datate 1973, e la serie Vivante mortalité, dello stesso anno, rivelano un’iconografia brulicante, tuttavia equilibrata dal punto di vista compositivo, di un conflitto tra organico e inorganico, tra uomo e macchina (cui non è estraneo il dettato duchampiano), che narra il controllo del potere tecnologico sulla libera espressione dei corpi. È grazie a Picasso che Lam entra in contatto con il gruppo dei surrealisti ed in particolare con Breton e Max Ernst; è un linguaggio il suo che tenta di evocare, secondo procedimenti surrealisti, quei caratteri del primitivismo, dei motivi derivati dalla scultura africana, in particolare il simbolismo delle maschere tribali. Ma più che rifarsi ad un arcaismo imitativo delle forme, il tentativo è quello di attingere ad una realtà psichica archetipica, dove allo studio delle forme dell’arte primitiva si sostituisce l’energia incontenibile di forze primigenie. La formula che André Breton utilizza per riassumere il Surrealismo, non senza allusione ironica nella richiesta d’una definizione da dizionario, è ben nota: «Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di qualsiasi preoccupazione estetica e morale». È Salvador Dalí, sin dal 1929, sin dalla collaborazione con Luis Buñuel alla sceneggiatura di Un chien andalou, ad imporsi quale protagonista dei funzionamenti e segreti di tali processi onirici e allucinatori propri dei surrealisti, elaborando in seguito il metodo “paranoico‐critico”; in Vénus, una puntasecca datata 1974, le allusioni erotiche rimandano al corpo della sua compagna e musa Gala, già moglie del poeta Paul Éluard, secondo una particolare sintassi allegorica dell’ansia generata dal desiderio sessuale; in altre due opere, datate 1976, come Élie montant sur le char de feu e Saint Georges et le dragon, ad acquaforte e puntasecca, emerge uno dei caratteri più noti dell’iconografia personale di Dalí, che lo induce all’identificazione con figure di profeti ispirati, o santi guerrieri; in questo caso con la figura di San Giorgio, protettore della sua terra, la Catalogna. L’attenzione ai processi onirici emerge in alcune traduzioni in litografia di sue celebri opere pittoriche, come nella Madonna di Guadalupe o in Leda atomica, che si richiamano alla funzione immaginativa rappresentata dall’inconscio e dal sogno, al centro delle riflessioni di Breton a partire dal Manifesto del ’24 (il Surrealismo è fondato sulla “onnipotenza del sogno”, scrive). Anche Miró segue impulsi spontanei o onirici, attingendo al profondo della coscienza, in alcune opere notturne di grandissimo fascino, da Le delire du couturier, bleu, rouge, vert, una litografia a colori datata 1969, a Barrio chino (1970) e in Nocturn catala, un’acquaforte del 1971. Il più importante antecedente dell’esperienza surrealista è rappresentato da Giorgio de Chirico. A Parigi, già negli anni venti, gli enigmi delle piazze, il senso di mistero d’ansia e d’attesa, l’incongrua combinazione di oggetti fuori scala dei suoi dipinti, affascinavano il gruppo dei giovani surrealisti […]. In Sole e luna in una stanza, una litografia a colori del 1969, il tema del sole e dalla luna spenti in cielo e accesi in una stanza, s’incontra in Giorgio de Chirico già nel 1930, in occasione di una serie di litografie dedicate ad un’edizione dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire. Se da un lato l’ironia appare l’elemento dominante tutta la scena, nel filo che collega la luna e il sole accesi nella stanza ai loro “doppi” spenti, dall’altro la inquieta apparenza del nero rimanda alla morte, implicando una lettura onirica, tragica. L’opera di Max Ernst, per sintesi di metafore freudiane e mitografie personali, per la sperimentazione linguistica, gioca un ruolo fondamentale nel movimento surrealista. Affascinato dalla lettura di Sigmund Freud, Ernst è tra i surrealisti l’autore più attento al linguaggio dell’inconscio, al problema della trasposizione delle esperienze oniriche. E se in Tout en un plus (1971) il riferimento è alla scrittura automatica, nell’acquatinta Oiseau sur fond jaune, dello stesso anno, l’artista ricorre alla granitura della superficie della lastra, trasponendo un motivo decorativo dai toni dorati, di grande raffinatezza, che ricorda sperimentazioni ibride da lui introdotte, come nella tecnica del frottage. Da quando Michel Foucault s’interessò alle immagini di René Magritte, dedicandogli il fondamentale saggio Questo non è una pipa (1973), la complessa questione della “finzione” rappresentativa di Magritte ha investito non solo l’ambito ristretto della comunicazione figurativa; non è un caso che il gruppo surrealista di Breton considerasse importante l’opera del pittore belga che, già a partire dal 1926, può essere considerata rivoluzionaria per i suoi elementi di automatismo e destrutturazione linguistica […]. Delle opere esposte in mostra (una serie di litografie a colori, datate 1968, tratte da celebri dipinti), in La leçon de musique il senso di mistero e l’ambiguità sono rafforzati dal titolo (da considerarsi quale elemento fondamentale dei poemi visuali magrittiani), che intromette l’idea di suono o di rumore, evocata dall’orecchio umano e dalla campana, arricchendo così gli elementi di destrutturazione linguistica d’origine surrealista. Per intendere il significato di L’œil, che raffigura l’occhio destro della compagna dell’artista, Georgette, si dovrà fare riferimento al titolo originario del dipinto del 1932‐35: Objet peint: Œil, allusivo alla nominale riduzione dell’individuo ad oggetto attuata dalla rappresentazione. Infine, in Le 16 septembre, tratto da un dipinto del 1956 (vicino a L’empire des lumièrs, di due anni prima), la falce della luna risplende impossibile attraverso la massa oscura di un albero, contro l’imminente cielo dell’alba. Cenni biografici Joan Miró nasce a Barcellona il 20 aprile 1893. All’età di quattordici anni frequenta l’Accademia di Belle Arti di Barcellona. Tre anni dopo trova lavoro come contabile; ma colpito da esaurimento nervoso abbandona il commercio e riprende gli studi d’arte, frequentando dal 1912 al 1915 l’Escola d’Art di Francesc Galí. Nel 1917 incontra Francis Picabia e l’anno dopo tiene la sua prima personale nella galleria del mercante d’arte José Dalmau, a Barcellona. Nel 1920 si reca per la prima volta a Parigi dove incontra Pablo Picasso. Da allora divide il suo tempo tra Montroig, in Spagna, e Parigi, dove frequenta i poeti Tristan Tzara e Max Jacob e partecipa alle attività dada. Nel 1921 Dalmau gli organizza la prima personale a Parigi, alla Galerie La Licorne e nel 1923 l’artista partecipa al Salon d’Automne. Nel 1924 aderisce al gruppo surrealista. Del 1925 è la personale alla Galerie Pierre dove, nello stesso anno, partecipa anche alla prima mostra dei surrealisti. Nel 1928 visita i Paesi Bassi, dove inizia una serie di dipinti ispirati ai maestri olandesi e realizza i primi papier collé e collage. Del 1929 è la sua prima esperienza nel campo della litografia; le sue prime stampe risalgono al 1933. All’inizio degli anni trenta esegue composizioni scultoree surrealiste con inserzioni di pietre dipinte e oggetti vari. Nel 1936 lascia la Spagna a causa della guerra civile; vi ritornerà solo nel 1941. Dagli anni quaranta vive stabilmente a Mallorca, terra d’origine della madre, e a Montroig. Nel 1941 il Museum of Modern Art di New York allestisce un’importante retrospettiva del suo lavoro; nello stesso anno inizia a lavorare la ceramica con Josep Lloréns Artigas e, dal 1954 al 1958, ad occuparsi di stampe. Nel 1958 riceve il Guggenheim International Award per le decorazioni murali del palazzo dell’UNESCO a Parigi; l’anno successivo riprende a dipingere, iniziando una serie di tele di grandi dimensioni. Negli anni sessanta si dedica intensamente alla scultura monumentale. Nel 1974 il Grand Palais a Parigi allestisce un’importante retrospettiva; nel 1978, al Centre Georges Pompidou di Parigi, espone oltre cinquecento opere in occasione di una vasta retrospettiva. Muore a Palma di Maiorca il 25 dicembre 1983. Hans Bellmer è nato a Katowice (Polonia) il 13 marzo 1902. Agli inizi degli anni venti studia ingegneria al Politecnico di Berlino, dove frequenta giovani artisti come John Heartfield e George Grosz. Nel 1924, abbandonati gli studi, si mantiene con lavori saltuari grazie alle abilità tecniche acquisite come tipografo, disegnatore industriale e grafico pubblicitario. Dal 1933 inizia il suo progetto di realizzare «ragazze artificiali» raffiguranti adolescenti a grandezza naturale, che lo renderà famoso; è un progetto pensato per opporsi al fascismo ed esprimere il proprio dissenso nei confronti di doveri imposti dal regime, rinunciando a qualsiasi attività che avesse la pur minima utilità e rispettabilità sociale. Rappresentate con forme mutanti e in pose non convenzionali le sue bambole sono una critica al culto del corpo perfetto dominante al tempo in Germania. Il suo lavoro sarà considerato con interesse dalla cultura parigina, specie dal gruppo dei surrealisti e da André Breton. Nel 1935 visita Parigi, dove ha contatti con Paul Éluard. Costretto a tornare a Berlino per assistere la moglie malata di tubercolosi, nel 1936 le sue opere sono dichiarate arte “degenerata” dal Partito Nazista. Nel 1938 si stabilisce definitivamente a Parigi, dove negli anni della guerra prende parte alla resistenza, falsifica passaporti ed è rinchiuso al Camp des Milles di Aix‐en‐Provence. Nel 1949 pubblica Les jeux de la Poupée, con un testo di Paul Éluard e una serie di fotografie originali colorate a mano. Muore a Parigi il 23 febbraio 1975. Salvador Dalí nasce a Figueras (Catalogna, Spagna) l’11 maggio 1904. Nel 1921 frequenta la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid dove stringe amicizia con il poeta Federico García Lorca e Luis Buñuel. Nel 1925 tiene la prima personale alla galleria Dalmau di Barcellona. Nel 1926 viene espulso dall’Academia e l’anno successivo si reca a Parigi, dove incontra Pablo Picasso. Nel 1929 collabora con Buñuel al film Un Chien Andalou. Tornato a Parigi nello stesso anno, Joan Miró lo introduce nel gruppo surrealista, dove stringe rapporti con Tristan Tzara e Paul Éluard. È allora che Dalì incontra André Breton e Gala, sua futura compagna e musa (Gala era allora moglie di Éluard). In questo periodo esegue i suoi primi dipinti surrealisti, e per tutti gli anni trenta collabora a diverse pubblicazioni illustrando le opere degli scrittori e dei poeti dell’omonimo movimento. Nel 1933 tiene la sua prima personale negli Stati Uniti, alla Julien Levy Gallery di New York. Nel 1934, a causa delle sue idee politiche, viene allontanato dal gruppo surrealista. Nel 1940, con lo scoppio della guerra, si rifugia negli Stati Uniti. Nel 1941 il Museum of Modern Art di New York gli dedica una retrospettiva. Nel 1942 pubblica l’autobiografia La vita segreta di Salvador Dalí ed espone alla M. Knoedler and Co. di New York. Ritorna in Europa nel 1948 e si stabilisce in Spagna a Port Lligat. Retrospettive della sua opera sono allestite nel 1954 a Roma a Palazzo Pallavicini, e nel 1964 a Tokyo, Nagoya e Kyoto. I temi ricorrenti nella pittura, come nell’incisione, sono la donna, il sesso, la religione. Nel 1971 inaugura a Cleveland il Salvador Dalí Museum, che nel 1982 si trasferisce a Saint Petersburg (Florida). Nel 1980 un’importante retrospettiva si tiene al Centre Georges Pompidou di Parigi, e le sue opere sono esposte alla Tate Gallery di Londra. Muore a Figueras il 23 gennaio 1989. Giorgio de Chirico nasce da genitori italiani a Vólos (Grecia) il 10 luglio 1888. Dal 1900 studia all’Istituto Politecnico di Atene e frequenta corsi serali di disegno dal nudo. Nel 1906 si trasferisce a Monaco dove frequenta l’Akademie der Bildenden Künste. In questo periodo si interessa all’arte di Arnold Böcklin e Max Klinger, agli scritti di Friedrich Nietzsche e Arthur Schopenhauer. Nel 1909 si reca a Milano e nel 1910 a Firenze. Nel 1911 si stabilisce a Parigi, dove partecipa al Salon d’Automne del 1912 e del 1913 e al Salon des Indépendants del 1913 e del 1914. Frequenta assiduamente il poeta Guillaume Apollinaire, grazie al quale incontra, tra gli altri, Constantin Brancusi, André Derain, Max Jacob. A causa dello scoppio della guerra ritorna in Italia; nel 1915 viene ricoverato all’ospedale militare di Ferrara, dove nel 1916 incontra Filippo de Pisis e l’anno seguente Carlo Carrà. Nel 1918 si trasferisce a Roma, dove allestisce la sua prima personale alla Casa d’Arte Bragaglia nell’inverno del 1918‐1919. È tra fondatori del gruppo “Valori Plastici” con il quale espone alla Nationalgalerie di Berlino. Nella prima metà degli anni venti vive tra Roma e Firenze. Nel 1921 tiene una personale alla Galleria d’Arte di Milano; nel 1924 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. In questi anni, le sue opere rivelano un interesse per le tecniche degli antichi maestri (pittura a velature, tempere, etc.); anche gli artisti surrealisti si mostrano sensibili alla sua “pittura metafisica” che prefigura per Breton quella del loro movimento. Nel 1925 ritorna a Parigi dove espone alla Galerie l’Effort Moderne di Léonce Rosemberg, alla Galerie Paul Guillaume nel 1926 e nel 1927, e in quest’ultimo anno anche alla Galerie Jeanne Bucher. Nel 1928 la Arthur Tooth Gallery di Londra e la Valentine Gallery di New York allestiscono sue personali. Nel 1929 disegna le scene e i costumi per Le Bal, messo in scena dalla compagnia dei Balletti Russi di Sergej Diaghilev; nello stesso anno esce il suo libro Hebdomeros. Negli anni successivi elabora disegni per il balletto e l’opera; continua a esporre in Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone. Nel 1945 viene pubblicata la prima parte del libro Memorie della mia vita. Muore a Roma, dove risiedeva da oltre trent’anni, il 20 novembre 1978. Max Ernst nasce a Brühl (Germania), il 2 aprile 1891. Nel 1909 si iscrive all’Università di Bonn per studiare filosofia, ma presto abbandona questo indirizzo per dedicarsi totalmente all’arte. In questo periodo i suoi interessi sono rivolti alla psicologia e all’arte degli alienati. Nel 1911 stringe amicizia con August Macke e si unisce al gruppo Rheinische Expressionisten di Bonn. Espone per la prima volta nel 1912, alla Galerie Feldman a Colonia, città nella quale può ammirare, lo stesso anno, le opere di Vincent van Gogh, Paul Cézanne, Edvard Munch e Pablo Picasso presenti alla mostra Sonderbund. Nel 1913 visita Parigi, incontra Guillaume Apollinaire e Robert Delaunay, e partecipa all’Erster Deutscher Herbstsalon. Nonostante il servizio militare prestato durante la prima guerra mondiale, Max Ernst riesce a dipingere e a esporre nel 1916 alla galleria Der Sturm di Berlino. Ritornato a Colonia nel 1918, l’anno seguente comincia a realizzare i suoi primi collage e fonda con Johannes Theodor Baargeld il gruppo Dada di Colonia, che avrà vita breve, al quale si uniscono Jean Arp ed altri artisti. Nel 1921 espone per la prima volta a Parigi, presso la Galerie Au Sans Pareil. Nel 1924 è tra i firmatari del “Manifesto del Surrealismo” con Paul Éluard e André Breton; partecipa a tutte le esposizioni del movimento e nel 1925 crea i primi “frottages”. Nel 1929 pubblica il suo romanzo‐collage, La Femme 100 têtes, e l’anno dopo collabora con Salvador Dalí e Luis Buñuel al film L’Age d’or. All’inizio degli anni trenta viaggia in America, dove espone per la prima volta alla Julien Levy Gallery di New York nel 1932 e partecipa alla mostra Fantastic Art, Dada, Surrealism, allestita nel 1936 al Museum of Modern Art di New York. Nel 1939, viene imprigionato in un campo di detenzione francese perché considerato nemico straniero. Due anni dopo fugge negli Stati Uniti con l’aiuto di Peggy Guggenheim che sposerà nel 1941. Dopo il divorzio dell’anno successivo, sposa Dorothea Tanning e si trasferisce in Francia nel 1953. L’anno seguente vince il Primo Premio alla Biennale di Venezia. Nel 1975 il Museo Solomon R. Guggenheim di New York gli dedica un’importante retrospettiva presentata in seguito al Musée National d’Art Moderne di Parigi. Ernst muore a Parigi il primo aprile del 1976. Wifredo Lam nasce a Sagua la Grande (Cuba), l’8 dicembre del 1902, ottavo figlio di un ricco commerciante cinese ottantaquattrenne e di una madre di origini afro‐europee. Nel 1916 si iscrive all’Accademia di Belle Arti “San Alejandro” dell’Avana, dove studia fino al 1923, anno in cui parte per la Spagna, dove risiede per 14 anni. Nel 1931 la prima moglie, Eva Piriz, e il figlio muoiono di tubercolosi. Nel 1936 si unisce alle forze repubblicane nella lotta contro Franco. Nel 1938 si stabilisce a Parigi, dove conosce Picasso che lo introduce agli amici pittori, poeti e critici d’arte: Miró, Braque, Éluard, Léger, Matisse, Tzara; l’anno seguente tiene la sua prima mostra personale alla Galerie Pierre. Nel 1940 Lam lascia Parigi per Marsiglia, dove con altri surrealisti e con André Breton risiede a Villa Air‐Bel. Nel 1941 lascia l’Europa per Cuba imbarcandosi con Breton e altri 300 artisti e intellettuali per la Martinica. Prima del rientro a Cuba, i passeggeri saranno internati a Trois Îlets. Nel 1947 si stabilisce definitivamente a Parigi, trascorrendo lunghi periodi in Italia, lavora con artisti del gruppo CoBrA, in particolare ad Albissola Marina dove per iniziativa di Asger Jorn e Édouard Jaguer viene organizzato un incontro internazionale di scultura e ceramica. Lo stile di Lam è una sintesi delle sue numerose esperienze pittoriche e dei lunghi viaggi: al segno simile ai graffiti primitivi si mescolano gli influssi cubisti e surrealisti. Muore a Parigi l’11 settembre 1982. René Magritte nasce a Lessines (Belgio) il 21 novembre 1898. Nel 1910, il padre Léopold, mercante, si stabilisce a Châtelet dove sua madre Adeline due anni dopo morirà gettandosi nel fiume Sambre. Dal 1916 al 1918 studia all’Académie Royale des Beaux‐Arts di Bruxelles. Espone per la prima volta nel 1920 al Centre d’Art di Bruxelles. Dopo il servizio militare del 1921 lavora come disegnatore in una fabbrica di carta da parati. Nel 1923 partecipa con El Lissitzky, László Moholy‐Nagy, Lyonel Feininger e il belga Paul Joostens a una mostra al Cercle Royal Artistique ad Anversa. Nel 1925 dipinge il primo quadro surrealista: Le Jockey perdu (Il fantino perduto). Nel 1927 tiene una personale alla Galerie Le Centaure di Bruxelles e in seguito lascia la capitale belga per stabilirsi a Le Perreux‐sur‐Marne, nei dintorni di Parigi, dove frequenta il gruppo surrealista di Paul Éluard, André Breton, Jean Arp, Joan Miró e Salvador Dalí. Nel 1930 ritorna in Belgio dove tiene una personale al Palais des Beaux‐Arts di Bruxelles. Nel 1936 espone a New York, e nel 1938 a Londra. Nel corso degli anni quaranta espone alla Galerie Dietrich di Bruxelles. Nel 1965 si reca negli Stati Uniti in occasione di una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York. Muore a Bruxelles il 15 agosto 1967. André Masson nasce a Balagny‐sur‐Oise (Francia) il 4 gennaio 1896. Studia pittura all’Académie Royale des Beaux‐Arts di Bruxelles e all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux‐Arts di Parigi. Nel 1914, chiamato sotto le armi sarà gravemente ferito al petto e inviato in convalescenza a Parigi. Nel 1922 incontra D.‐H. Kahnweiler, che sarà il suo mercante fino al 1931. Nel 1924 tiene la prima personale alla Galerie Simon di Kahnweiler a Parigi. Nello stesso anno conosce André Breton e si unisce al gruppo surrealista, al quale rimane legato fino al 1928. Nel primo periodo surrealista, Masson sperimenta diverse tecniche di «automatismo», legate cioè a fattori casuali, come la tecnica delle macchie di colla, sabbia e d’olio gocciolate sulla tela. Realizza inoltre illustrazioni per libri e i suoi lavori vengono regolarmente pubblicati sulla rivista “La Révolution Surréaliste”. Nel 1925 partecipa alla prima esposizione surrealista, alla Galerie Pierre di Parigi. Dopo la rottura con i surrealisti sviluppa diversi linguaggi: dalle tematiche violente ed erotiche espresse in un linguaggio astratto, ai paesaggi, i “massacri” e, dopo un soggiorno in Spagna dal 1934 al 1936, i soggetti spagnoli. Nel 1933 disegna scene e costumi per i Ballets Russes, lavorando, in seguito, per il teatro, l’opera e il balletto. Nel 1936 torna a Parigi e l’anno successivo si riconcilia con i surrealisti. Nel 1941 lascia la Francia occupata dai tedeschi e si stabilisce in America, a New Preston, Connecticut. Durante la sua permanenza in America espone con altri artisti in esilio, come alla mostra inaugurale della galleria Art of This Century di Peggy Guggenheim a New York. Nel 1943 rompe nuovamente e definitivamente con Breton e con il Surrealismo. L’artista ritorna in Francia nel 1945 dove, negli anni seguenti, dipinge sia paesaggi che opere astratte, e prosegue nell’esplorazione della tematica violenta ed erotica dei primi anni. Nel 1950 pubblica la raccolta di scritti Plaisir de peindre. Nel 1965, su sollecitazione di André Malraux, decora il soffitto dell’Odéon, Théâtre de France, di Parigi. Nel 1976 il Museum of Modern Art di New York allestisce una sua retrospettiva. Muore a Parigi il 27 ottobre 1987. Roberto Sebastián Matta nasce a Santiago del Cile l’11 novembre 1911. Dopo gli studi di architettura all’Universidad Católica di Santiago, si reca a Parigi nel 1934 per lavorare come apprendista nello studio dell’architetto Le Corbusier. Verso il 1935 incontra il poeta Federico García Lorca, Salvador Dalí, André Breton e nel 1937 abbandona l’atelier di Le Corbusier per aderire al movimento surrealista. Nello stesso anno i suoi disegni sono esposti alla mostra dei surrealisti alla Galerie Wildenstein di Parigi. Nel 1938 inizia a dipingere ad olio, realizzando una serie di paesaggi fantastici intitolati inscapes (Paesaggi interiori) o “morfologie psichiche”. Nel 1939 lascia l’Europa e si stabilisce a New York dove frequenta gli altri surrealisti emigrati, fra i quali Max Ernst, Yves Tanguy, Masson e André Breton. Nel 1940 tiene la prima personale alla Julien Levy Gallery di New York. Durante gli anni quaranta la sua pittura anticipa l’Espressionismo astratto, influenzando molti artisti della Scuola di New York, in particolare Pollock, Gorky e Motherwell. Verso la fine della guerra elabora immagini sempre più mostruose, in cui la presenza di forme bio‐meccaniche rivela l’influenza di Duchamp, incontrato nel 1944. Nel 1948 rompe con i surrealisti, e nel 1953 si stabilisce a Roma. Nel 1956 realizza una pittura murale per il palazzo dell’UNESCO a Parigi; l’anno seguente il Museum of Modern Art di New York gli dedica una retrospettiva. Muore a Civitavecchia, il 23 novembre 2002. LE OPERE IN MOSTRA  Le forme 01. J. Miró, Senza titolo, 1972 ‐ pastelli colorati mm. 235x165 02. J. Miró, Centenaire Mourlot, 1953 ‐ litografia a colori mm. 500x650 03. J. Miró, Fundaciò Juan Miró, 1975 ‐ litografia a colori mm. 458x568 04. J. Miró, Fundaciò Juan Miró, 1975 ‐ litografia originale a colori mm. 458x568 05. J. Miró, Homenaje a Josep Lluis Sert, 1972 ‐ litografia a colori mm. 750x580 06. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x760 07. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x760 08. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x760 09. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x760 10. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1964 ‐ litografia a colori, mm. 560x760 11. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x740 12. J. Miró, Je travaille comme un jardinier, 1963 ‐ litografia a colori mm. 560x740 13. J . Miró, Je travaille comme un jardinier,1963 ‐ litografia a colori mm. 560x740 14. J. Miró, Oda a Joan Miró, 1973 ‐ litografia a colori mm. 870x610 15. J. Miró, Le troubadour, 1976 ‐ acquaforte a colori mm. 530x720 16. J. Miró, Homenaje a Josep Luis Sert, 1972 ‐ litografia mm. 750x580 17. J. Miró, Joan Miró litografo, 1975 ‐ litografia a colori mm. 310x240 18. J. Miró, Joan Miró litografo, 1975 ‐ litografia a colori mm. 310x225 19. J. Miró, Joan Miró litografo, 1975 ‐ litografia a colori mm. 310x225 20. J. Miró, Joan Miró litografo, 1975 ‐ litografia a colori mm. 310x225 21. J. Miró, Montroig, 1974 ‐ litografia a colori mm. 715x570 22. J. Miró, Grand Palais Paris, 1974 ‐ litografia a colori mm. 690x520 23. J. Miró, Oda a Joan Miró, 1973 ‐ litografia a colori mm. 863x595 24. J. Miró, San Lazzaro et ses amis, 1975 ‐
litografia a colori mm. 515x395  I sogni 25. J. Miró, Midi le trefle blanc, 1968 ‐ acquaforte a colori mm. 177x135 26. J. Miró, Nocturn Catala, 1972 ‐ acquaforte a colori mm. 297x473 27. R. Magritte, Le 16 septembre, 1968 ‐
acquaforte a colori mm. 150x100 28. R. Magritte, L’oeil, 1968 ‐ acquaforte a colori mm. 173x144 29. R. Magritte, La lecon de musique, 1968 ‐ acquaforte a colori mm. 150x101 30. R. Magritte, L’art de vivre, 1968 ‐ acquaforte a colori mm. 140x110 31. S. Dalí, Leda atomica ‐ litografia su carta mm. 750x550 32. S. Dalì, Madonna di Guadalupe ‐ litografia a colori mm. 655x425 33. G. De Chirico, Il trovatore, 1969 ‐ litografia a 7 colori su carta Japon mm. 575x450 34. G. De Chirico, Sole e luna in una stanza, 1969 ‐ litografia a colori mm. 710x510 35. J. Miró, Le delire du couturier, bleu, rouge, vert, 1969 ‐ litografia a colori mm. 1260x865 36. J. Miró, Barrio Chino, 1970 ‐ acquaforte ed acquatinta mm. 605x900 37. J. Miró, Archipel sauvage, 1970 ‐ acquaforte e acquatinta mm. 590x920 38. M. Ernst, Tout en un plus un, 1971 ‐ vernice molla su carta China mm. 567x375 39. M. Ernst, Oiseau sur fond jaune, 1971 ‐ acquatinta mm. 564x373 48. H. Bellmer, Senza titolo, 1972 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm. 600x500 49. R. S. Matta, Vivante mortalite, 1973 ‐ acquaforte acquatinta a colori mm. 475x320 50. R. S. Matta, Vivante mortalite, 1973 ‐ acquaforte acquatinta a colori mm. 475x320 51. R. S. Matta, Vivante mortalite, 1973 ‐ acquaforte acquatinta a colori su carta mm. 475x 320 52. W. Lam, Senza Titolo, 1979 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm . 500x660 53. W. Lam, Senza Titolo, 1979 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm. 500x 660 54. W. Lam, Senza Titolo, 1979 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm. 500x660 55. W. Lam, Senza Titolo, 1979 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm. 500x660 56. A. Masson, Figura, 1973 ‐ litografia a colori mm. 600x430 57. A. Masson, Astri e volti, 1973 ‐ litografia a colori mm. 350x295 58. J. Miró, Ubu Roi (Chez le roi de Pologne), 1966 ‐ litografia originale mm. 413x628 59. J. Miró, Ubu Roi (Chez le roi de Pologne), 1966 ‐ litografia a colori mm. 413 x 628 60. J. Miró, Ubu Roi (Chez le roi de Pologne), 1966 ‐ litografia in nero mm.413 x 628  Il potere 40. J. Miró, Les guetteurs, 1964 ‐ litografia originale a colori mm. 900x610 41. J. Miró, Colpir sense nafrar I, 1981 ‐ litografia a colori mm. 960x728 42. S. Dalí , Venus, 1974 ‐ puntasecca su carta mm. 755x565 43. S. Dalí , Elia, 1975 ‐ acquaforte e puntasecca acquerellata a mano mm. 570x770 44. S. Dalí , St. Georges et le dragon, 1974 ‐
acquaforte puntasecca acquerellata a mano mm. 570x670 45. R.S. Matta, Frappe le marteau qui frappe, 1973 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm. 550x750 46. R. S. Matta, La grande invariante, 1973 ‐
acquaforte acquatinta su carta, mm. 550x750 47. H. Bellmer, Les marionettes, 1968 ‐ acquaforte acquatinta su carta mm 320x285 I LABORATORI CREATIVI e LE VISITE TEATRALIZZATE La mostra Joan Miró e i surrealisti. Le forme, i sogni, il potere è un’occasione unica per avvicinare anche il pubblico più giovane all’esperienza creativa di uno dei movimenti culturali più significativi del XX secolo, non soltanto attraverso la visita all’esposizione. Ben quindici le diverse attività didattiche proposte che hanno già catturato l’attenzione del pubblico scolastico interregionale: con grande anticipo rispetto all’apertura, oltre cinquemila gli studenti delle Scuole di ogni ordine e grado provenienti non solo da tutta la Campania, ma anche da Lazio, Puglia e Calabria, hanno già aderito all’iniziativa. Diversi i laboratori artistico‐espressivi per bambini, a partire dai 2 anni, e ragazzi di ogni fascia di età, condotti da esperti dell’Area Educational del MARTE e da professionisti di arte‐terapia, teatro, danza e tecniche incisorie. I più piccoli potranno cimentarsi con le “MACCHIE…D’ARTE” (dai 2 anni in su, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto per la mostra), per creare effetti e combinazioni di forme e colori sorprendenti, con il “DISEGNO SURREALISTA” (dai 2 anni ½ in su, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) per realizzare un disegno collettivo passandosi di mano in mano un elaborato creativo, oppure, ancora, con il LABORATORIO DI DANZA CREATIVA (dai 3 anni in su, durata 45 minuti, costo € 35 per gruppo, max 25‐30 partecipanti, escluso il costo del biglietto) per sperimentare l’uso del corpo come principale strumento comunicativo. Per provare ad essere “CONCRETAMENTE MIRÓ” (dai 3 anni in su, durata 60 minuti, costo € 7,00 per partecipante, max 25‐30 partecipanti, incluso il costo del biglietto) i bambini dovranno invece scegliere un soggetto dalle opere in mostra e realizzarlo con diversi materiali e tecniche. I procedimenti tipici del surrealismo sono al centro dei laboratori “CIELO E STELLE” (4‐8 anni, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) in cui si potrà creare il proprio firmamento con la tecnica del grattage, “ERNST E IL FROTTAGE” (4‐13 anni, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) pensato per far conoscere e sperimentare i passaggi dello sfregamento ideato dall’artista, e il LABORATORIO DI CALCOGRAFIA (dai 10 anni in su, durata 45 minuti, costo variabile in base al numero dei partecipanti) in cui si potranno scoprire e sperimentare le tecniche dell’incisione, la puntasecca, l’acquaforte, la stampa calcografica. Alla pratica del recupero dei materiali sono ispirati i laboratori “RICICLO…COME MIRÒ” (4‐10 anni, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) in cui i bambini proveranno a riprodurre una o più opere in mostra con scatoline polimateriche, oggetti vari e tavolette tattili, e “GLI OMINI DI MIRÓ” (5‐8 anni, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) dove, dopo aver analizzato come l’artista catalano disegnava la figura umana, i partecipanti potranno realizzarne una liberamente con materiale da riciclo, carta e colori. Le potenzialità del segno, l’analisi dell’opera e la riflessione sul valore stesso della composizione sono il fulcro dell’attività “DAL SEGNO AL DISEGNO” (dai 5 anni in su, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto) incentrata sulla complessità processo creativo; è invece una sfida a scomporre e reinventare le opere in mostra il laboratorio “ARTE A SOQQUADRO” (dai 5 anni in su, durata 45 minuti, costo incluso nel biglietto). Con il “T‐SHIRT LAB!” (dai 6 anni in su, durata 45 minuti, costo € 6,00 per partecipante, max 25‐30 partecipanti, escluso il costo del biglietto) ognuno potrà divertirsi a personalizzare con colori e pennelli la propria maglietta in stile surrealista e, al termine del laboratorio, ritrovarsi un simpatico souvenir da portare via con sé. Punta al lavoro a quattro mani, invece, “SCARABOCCHIO A DUE” (dai 10 anni in su, durata 45 minuti, costo € 30 per gruppo, max 25‐30 partecipanti, escluso il costo del biglietto) in cui a coppia si dovranno incrociare le tracce di un disegno, condividere e colorare gli spazi creati per realizzare una composizione collettiva. Gli aspiranti creativi potranno ideare uno slogan sociale o una pubblicità con il “COLLAGE SURREALISTA” (dai 13 anni in su, durata 45 minuti, costo € 30 per gruppo, max 25‐30 partecipanti, escluso il costo del biglietto). Ai ragazzi più grandi, infine, è rivolto il LABORATORIO DI TEATRO in cui si approfondiranno l’arte della scrittura scenica e della danza realizzando composizioni a partire da una lettura sensoriale del percorso espositivo (dai 16 anni in su, durata 90 minuti, costo € 85 per gruppo, max 25‐30 partecipanti, escluso il costo del biglietto). Particolarmente accattivanti le VISITE GUIDATE TEATRALIZZATE pensate non solo per i più piccoli e disponibili anche per gruppi o per singoli. Le tre aree tematiche del percorso espositivo fanno da spunto alle letture e ai racconti di attori professionisti che conducono i visitatori all’interno del processo creativo di Joan Miró e di altri esponenti del Surrealismo, soffermandosi non solo sull’osservazione delle opere in mostra ma anche sull’importanza che il movimento ha avuto nel corso del ‘900. Traendo spunto dall'attività illustrativa di Miró, reading letterario, arte visiva e interpretazione teatrale si fondono per un'esperienza divertente ed educativa con cui approfondire le tematiche in mostra. Alcune delle visite teatralizzate proporranno liberi adattamenti ispirati alle opere in esposizione curati da Giuseppe Basta, già interprete delle visite teatralizzate organizzate per la mostra "Marc Chagall. Segni e colori dell'anima", altro grande successo della stagione espositiva 2015 del MARTE. Attore e maestro di teatro, artista sensibile ed esperto nella formazione del pubblico giovane, Basta ha riversato la propria decennale esperienza, ispirata alla scuola di Jerzy Grotowski, nella costruzione di molteplici attività di sensibilizzazione alle arti: tra gli ultimi progetti, realizzati peraltro proprio in collaborazione con il comune di Cava de' Tirreni, ricordiamo “L’Apprendista lettore”, dedicato al libro e alla lettura e destinato alle Scuole di ogni ordine e grado. In questo viaggio nell'affascinante mondo del surrealismo la teatralizzazione curata da Basta si ispira ad alcuni passi del testo autobiografico Je travaille comme un jardinier in cui Miró descrive il suo lavoro d’artista al pari di quello di un giardiniere, ed all'opera degli altri maestri dei surrealismo pittorico in mostra al MARTE nella sezione 'I Sogni' con "L'Albero di Magritte" costruito intorno a uno dei capisaldi della produzione pittorica dell'artista belga. Tra i brani proposti non poteva mancare un riferimento a Ubu Roi, parodia sempre attuale del potere despota che Miró ha più volte illustrato e che viene riletta per il pubblico del MARTE con "Ubu cosa vuoi di più". Ai più piccoli è dedicata la rilettura giocosa dell’attrice Flavia D’Aniello che accompagnerà i bambini in un fantastico viaggio nel magico mondo di Miró per scoprire, tra canzoncine e spettacoli di pupazzi, le opere d’arte in esposizione. Per informazioni e prenotazioni – obbligatorie per le scuole – delle attività didattiche si può contattare la segreteria allo 089 9485395 o al 333 6597109, e‐mail [email protected]. Le Scuole hanno un costo riservato di € 3,50 per studente da lunedì al sabato. Il biglietto comprende l’ingresso alla mostra con la visita guidata teatralizzata e un laboratorio didattico a scelta tra quelli senza costi aggiuntivi. La visita guidata ha una durata di 45 minuti, mentre i laboratori ad essa associata hanno una durata variabile dai 45 ai 90 minuti. Per tutti i visitatori sono disponibili diversi tipi di VISITE GUIDATE. Il calendario delle visite sarà pubblicato online sul sito ufficiale della mostra. Il costo per le visite guidate per GRUPPI, disponibili in italiano e in inglese, è di € 100,00 (con un minimo previsto di 15 persone e un massimo di 25) escluso il costo del biglietto 'visitatore in gruppo' di € 4,00. Il costo per le visite guidate TEATRALIZZATE è di € 6,00 a persona (gruppo minimo di 10 persone). Per entrambe le tipologie di visite guidate è necessaria la prenotazione. L’Antico fa testo presenta SPAZIO BIANCO Mirò: un surrealista sulla scala dei sogni scritto e diretto da Francesco Puccio In prima assoluta sarà presentata al MARTE domenica 21 febbraio 2016 la nuova produzione della Compagnia L’Antico fa testo (www.anticofatesto.it) scritta e diretta da Francesco Puccio appositamente per la mostra Joan Miró e i Surrealisti. Le forme, i sogni, il potere. Il progetto di didattica e di ricerca teatrale sul mondo antico, “L’Antico fa testo”, nasce nel 2010 nel Centro di Studi Antropologici sul Mondo Antico dell’Università di Siena, da un’idea di Francesco Puccio, dottore di ricerca, regista e scrittore, con la consulenza scientifica di Donatella Puliga. Dal 2014 il progetto ha ottenuto il patrocinio del MIUR, inaugurando così un percorso di laboratori di formazione, diretti da Francesco Puccio e Claudia Lo Casto, in numerosi Istituti scolastici e Università. L’attività sarà arricchita quest’anno dalla realizzazione del I Festival de “L’antico fa scena”, presso il Museo delle Terme di Diocleziano di Roma, il 31 maggio e il 1 giugno 2016. Da questa esperienza e dalla riflessione che ne consegue sull’antropologia teatrale e sulla valorizzazione del patrimonio storico‐artistico nazionale, si muove anche il percorso della Compagnia che, a partire da un’indagine sul mito e sulla storia dell’arte, affronta i temi del mondo moderno, in una prospettiva di ricezione continua e consapevole dell’antico nella contemporaneità (www.anticofatesto.it). L’atmosfera onirica tipica del surrealismo fa da sfondo allo “Spazio Bianco”. Qui “si incontrano” i protagonisti, con le loro paure più segrete, le loro speranze irrealizzabili, i loro amori logoranti. Tre uomini, prima che artisti: Salvador Dalì, Joan Mirò e Federico Garcia Lorca. A loro è comune il destino di vivere in una Spagna dove la libertà è un lontano ricordo. Diverse le reazioni: la cocciuta immobilità di Lorca – perché nella presenza c’è l’esistenza, prima che nella dicotomia morte/vita; le andate e i ritorni di Dalì – non necessariamente in quest’ordine per colui che ha dissolto il tempo; il rifugio nella creazione ardita di Mirò – anche quando essa comporti l’assassinio della pittura. In un’atmosfera onirica è l’Arte in persona che sprona l’artista catalano a continuare l’indagine sulla sostanza dei sogni attraverso l’opera artistica che si frammenta nei colori della memoria: terra d’ombra, vermiglione, verde iris, zafferano. Non meno onirici sono lo scrosciare del mare, la brezza del meriggio e i teli bianchi stesi sulla sabbia rovente dove Dalì e Lorca intrecciano un sodalizio che va al di là dell’arte, oltre il genio, in quello spazio grigio che svela la parte più nuda di animi troppo spesso costretti a camuffarsi. Al pari delle vite ordinarie, anche quelle straordinarie sono destinate alla fine: passioni senza assuefazione e domande prive di risposta si arenano dinanzi a quella ordinatrice di destini e operaia di storie che è la Morte. Unica illusione, l’arte resta a guardarci dall’alto, sulla sommità, traballante ma tenace, della scala dei sogni. Regia, drammaturgia e testi sono di Francesco Puccio. Firma le coreografie Claudia Lo Casto. In scena: Giacomo Casaula, Antonio Coppola, Germana Di Marino, Claudia Lo Casto, Alessandra Ranucci, Rosario Volpe. Le musiche originali sono di Ernesto Tortorella, i costumi di Liliana Landi. Due le messe in scena previste, alle ore 19.00 e alle ore 21.00. Con un unico biglietto al costo di € 10 si potrà assistere allo spettacolo e visitare la mostra. Per informazioni e prenotazioni: 089 9485395 ‐ 333 6597109, www.surrealistimarte.com. CINEMA, TEATRO, MUSICA: LE INIZIATIVE COLLATERALI Tanti gli eventi organizzati a margine della mostra che arricchiranno l’iniziativa: tra teatro, cinema e musica, non mancheranno le opportunità per immergersi completamente nelle atmosfere oniriche del surrealismo. Ad accompagnare gli spettatori in un viaggio dal sapore magico saranno le performance narrative, performative e musicali di “Raccontare un quadro”, a cura di Francesco Puccio che, partendo dalla scelta di una delle opere del percorso espositivo, mira a raccontare l’arte attraverso il linguaggio composito e multiforme del teatro. In scena Francesco Puccio, Claudia Lo Casto ed Ernesto Tortorella. Quattro le repliche della performance‐esibizione previste il 6 marzo, il 3 aprile, l’8 maggio ed il 5 giugno, durante gli orari dell’esposizione. Due i documentari selezionati e dedicati agli artisti in mostra: il 28 febbraio si potrà visionare “Dalì. Il re del surrealismo” che ripercorre in modo efficace la vita artistica del talento spagnolo, grazie anche a interventi di personaggi come la rock star Alice Cooper, suo partner artistico, Amanda Lear e Ultraviolet, sue muse e ispiratrici; il 27 marzo l’appuntamento invece è con “Magritte. Padre del realismo magico”, un´affascinante introduzione alla vita e all´opera del grande artista belga per comprendere più a fondo l´atmosfera di straniamento e di mistero che circonda le opere ed il pensiero di questo controverso personaggio, anche attraverso interviste rilasciate dall´artista e da sua moglie. Tra le iniziative correlata alla mostra anche un cineforum davvero ricco, con sei titoli scelti tra i più importanti dei Maestri del cinema surrealista. Si parte il 20 marzo con il secondo lungometraggio in carriera del regista Roman Polanski “Repulsion”, asfissiante opera di realismo fantastico e psicologico che racconta la storia della nevrotica Carol Ledoux, interpretata da Catherine Deneuve, e della sua ossessione per gli uomini. Il 10 aprile sarà la volta di “Velluto Blu”, il quarto film del visionario David Lynch che conduce gli spettatori nella cittadina spettrale e misteriosa di Lumberton, dove due giovani studenti spezzano la monotonia delle loro vite indagando su una macabra scoperta. Il terzo titolo in programma il 24 aprile è “Alice”, la più grande interpretazione di Mia Farrow diretta da un ispirato Woody Allen che traspone in chiave moderna l’eroina di Carroll al ritmo del jazz e del tango. Il 1 maggio l’appuntamento al cinema è con “L’angelo sterminatore”, surreale opera del messicano Luis Bunuel tratta da un’opera teatrale di Josè Bergamin. Il capolavoro d’esordio di David Lynch “Eraserhead”, una delle opere più complesse e psicoanalitiche che siano mai state tradotte su celluloide, è il titolo proposto il 22 maggio, mentre a chiudere la rassegna cinematografica sarà la visione felliniana della capitale “Roma” nelle sale del MARTE il 29 maggio. Tanto spazio anche alla musica, con cinque ammalianti appuntamenti: il 13 marzo la voce suadente di Maria Laura Jacobellis sarà accompagnata dalle note dolci del piano di Giuseppe Greco; il 17 aprile ancora un duo, stavolta dal sapore ancestrale ed esotico, con la marimba e il vibrafono di Maria Grazia Pescetelli e Giulio Costanzo. Il 15 maggio risuonerà il piano di Teresa Desiderio mentre il 12 giugno toccherà al duo sassofono e pianoforte formato da Michele D’Auria e Giuseppe Anello. Chiude gli spettacoli musicali, che avranno tutti luogo nella hall del MARTE, il quintetto Jazz di Marco De Gennaro ospite il 19 giugno. I TOUR TEMATICI E GLI ITINERARI DI TURISMO ACCESSIBILE Visitare Cava de’ Tirreni significa fare un viaggio fra arte e cultura, attraversando oltre un millennio di storia ricca di personaggi , opere e monumenti. In abbinamento alla mostra, il MARTE propone una serie di interessanti itinerari tematici all’insegna dell’arte, della tradizione e della buona cucina, per scoprire il territorio e le sue eccellenze. La formula prevede la visita nei luoghi di maggior interesse storico, artistico e paesaggistico, seguita da una visita guidata alla mostra. Tra le mete proposte la BADIA E LA CITTA’ DI CAVA DE’ TIRRENI, condensato di storia, cultura e opere d’arte: fondata nel 1011, la Badia è una meta di grande suggestione alla quale abbinare la visita del caratteristico borgo di Cava de’ Tirreni. Tra gli itinerari proposti, la DIVINA COSTIERA, da Amalfi con il suo Duomo, il Museo della Carta e le fabbriche di limoncello, ed, ancora, i Siti archeologici di Paestum ed Ercolano, ai quali è possibile abbinare un’esperienza naturalistica presso un’azienda agricola biologica, e gli scrigni medievali e i paesaggi suggestivi di SALERNO. Disponibili, inoltre, due itinerari della durata di mezza giornata dedicati al turismo accessibile realizzati in collaborazione con la cooperativa sociale Cava Felix. Tour pensati per consentire ai “clienti con bisogni speciali” di fruire del tempo libero in modo appagante, senza ostacoli né difficoltà, e quindi in condizioni di autonomia, sicurezza, comfort. I costi degli itinerari variano a seconda del percorso, della durata e del numero dei partecipanti. Per ulteriori informazioni su partenze, orari, quotazioni e maggiori dettagli occorre contattare la Segreteria Organizzativa ai seguenti recapiti: 089 9485395 / 3336597109, [email protected]. Possibilità di realizzare programmi personalizzati. IL MARTE, UN “PIANETA” CULTURALE TUTTO DA VIVERE
Un pianeta di esperienze tutte da vivere, un’officina in cui si incrociano arte e
teatro, musica e sapori, in un susseguirsi di esperienze in perfetta sintonia con l'unicità
della location: si connota sempre più come centro pulsante e di ricerca il MARTE acronimo di Mediateca Arte Eventi - modello esemplare di recupero e riconversione in
chiave contemporanea di un sito storico in struttura polifunzionale votata alla
multidisciplinarietà.
Salotto della città, punto di ritrovo, contenitore di eventi e animatore delle arti
contemporanee, il MARTE prosegue la propria mission di impresa culturale, attenta e
aperta anche agli stimoli del territorio e del suo giovane staff che dà, ogni giorno,
nuova linfa al progetto, d'intesa con i soci privati che hanno scommesso e investito
nell'officina.
Sempre attento alle più diverse declinazioni artistiche, in stretto contatto con le
realtà più attive sul territorio, tra eventi coreutici e performance musicali, appuntamenti
con il gusto e incontri di cinema e teatro, propone molteplici forme di intrattenimento
per nutrire il tempo libero e la vita culturale della Città di Cava de’ Tirreni e di tutta la
provincia. E non solo.
Punto di forza della programmazione del MARTE la grande arte in mostra tra
avanguardie pittoriche e fotografiche, dalle personali dei Maestri Sergio Fermariello,
Ernesto Tatafiore, Pietro Lista, succedutesi in questa stagione espositiva sotto il
Matronato delle Fondazione Donna Regina per le arti contemporanee, all’evento “MARTE
in DANZA” con la prima retrospettiva dedicata al maestro della fotografia Alessio
Buccafusca, fino alle esposizioni dedicate alle stampe d’arte e alle opere grafiche dei
grandi artisti del XX secolo, a partire da quella dedicata lo scorso anno a “Marc Chagall.
Segni e colori dell’anima” fino ad arrivare a “Joan Miró e i surrealisti. Le forme, i sogni,
il potere” attualmente in corso.
Ubicato nel cuore del borgo medievale di Cava de' Tirreni, a 8 km da Salerno e 42
km da Napoli, il MARTE scommette anche sulla propria posizione privilegiata per
proporsi come ponte e crocevia speciale per il flusso turistico nello splendido territorio
in cui sorge, sviluppando, in occasione dei grandi eventi espositivi, progetti speciali volti
alla promozione turistica dei più interessanti siti turistici circostanti e concentrando i
propri sforzi sulla creazione di una virtuosa sinergia territoriale.
Affacciato sul corso principale della città, a soli 500 metri dalla stazione ferroviaria e
a 3 km dallo svincolo autostradale, il MARTE si impone anzitutto allo sguardo per la
bellezza dell'edificio che conserva ancora l'originaria facciata tardo manierista, con
annessi elementi barocchi, della Chiesa di S. Giovanni Battista (1640 - 1650) e il portico
a tre arcate. Sviluppato su quattro piani e 2.500 mq di superficie, si compone di 3
Space, 2 Lab, 2 Gallery, 1 Sala Contemporanea, 1 Media/Zone libera e aperta tutti i
giorni, 1 Bookshop, 1 Caffè, 1 Roof Terrace. Ogni ambiente è concepito come
polivalente e indipendente dal punto di vista funzionale e tecnologico per adattarsi alle
più diverse esperienze culturali ospitabili. Tutti i giorni al MARTE sono fruibili la
Media/Zone per il coworking e lo studio con dieci postazioni pc e il servizio Mediateca,
il bookshop e il punto ristoro MARTE Caffè.
Il MARTE è in corso Umberto I, 137 - 84013 Cava de' Tirreni (SA). Orari di
apertura: dal lunedì al venerdì orario continuato dalle 8.30 all'1.00, sabato e domenica
dalle 8.30 alle 13 e dalle 16 all'1.00.
Per informazioni sugli eventi, le attività quotidiane, la disponibilità degli Space e
prenotazioni:
089
94
81
133,
www.marteonline.com,
facebook.com/martemediatecaarteeventi.