Demenze - Gruppo di Ricerca Geriatrica
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In caso di mancato recapito rinviare al C.P.R. Roma Romanina stampe per restituzione al mittente previo pagamento rese ISSN 1127-3909 TRIMESTRALE - ANNO X NUMERO 4 DICEMBRE 2007 Demenze Demenze Direttore Marco Trabucchi Direttore responsabile Andrea Salvati Segretaria di redazione Lorenza M. Saini Area pubblicità Patrizia Arcangioli, responsabile [email protected] Area marketing e sviluppo Area Nord Italia: Antonietta Garzonio, responsabile [email protected] Roma: Fabio Regini [email protected] Progetto grafico Grazia Mannoni Autorizzazione Tribunale di Roma n. 384 del 30/7/1998 Prezzo a copia € 3,50 Abbonamento annuo € 10,00 (tre uscite) Il giornale viene inviato in omaggio ad un indirizzario di specialisti predisposto dall’Editore. L’IVA condensata nel prezzo di vendita, è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma, lett. c), D.P.R. 633/72 e D.M. 29/12/89. È vietata la riproduzione parziale o totale di quanto pubblicato con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. Finito di stampare nel mese di novembre 2007 Stampa LITOGRAFICA ’79 - Roma Gli articoli firmati esprimono esclusivamente l’esperienza degli Autori. La pubblicazione dei testi e delle immagini pubblicitarie è subordinata all’approvazione della direzione del giornale ed in ogni caso non coinvolge la responsabilità dell’Editore. Ai sensi del Decreto Legislativo 30/06/03 n. 196 (Art. 13) informiamo che l’Editore è il Titolare del trattamento e che i dati in nostro possesso sono oggetto di trattamenti informatici e manuali; sono altresì adottate, ai sensi dell’Art. 31, le misure di sicurezza previste dalla legge per garantirne la riservatezza. I dati sono gestiti internamente e non vengono mai ceduti a terzi, possono esclusivamente essere comunicati ai propri fornitori, ove impiegati per l’adempimento di obblighi contrattuali (ad es. le Poste Italiane). 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Bellelli 7 LAVORI ORIGINALI L’anziano affetto da demenza in unità di cura intensiva E. Mossello, M. Boncinelli, M. Baccini, M.C. Cavallini, N. Marchionni I trattamenti terapeutici nella demenza grave F. Mangialasche, P. Mecocci 13 17 TERAPIA FARMACOLOGICA Trattamento farmacologico a lungo termine nella malattia di Alzheimer: uso di galantamina G. Zappalà 26 STRUMENTI DI LAVORO Clinica e strumenti di valutazione nella demenza grave A. Bianchetti NEWS A cura di C. Mattanza e S. Boffelli 30 36 LA PULCE La nuova diagnosi della malattia di Alzheimer Una proposta di rivalutazione dei criteri NINCDS-ADRDA A cura di S. Boffelli 38 RECENSIONE I vecchi e la depressione A cura di S. Boffelli 39 Demenze LA RIABILITAZIONE NEL DECADIMENTO COGNITIVO Giuseppe Bellelli INTRODUZIONE La riabilitazione delle persone affette da decadimento cognitivo rappresenta oggi una nuova frontiera della scienza medica, ed in particolare di quella riabilitativa. Fino a qualche anno fa, la diagnosi di demenza costituiva in modo più o meno esplicito una chiara controindicazione al ricovero nei reparti di riabilitazione. Oggi, invece, la necessità di dare risposte articolate ad una tipologia di utenti in rapida espansione fa sì che un numero sempre maggiore di pazienti affetti da varie forme di decadimento cognitivo, ed in varie fasi di gravità, afferisca a questi reparti. In questo senso, la pressione crescente esercitata dagli ospedali per acuti per una dimissione in tempi rapidi dei pazienti ricoverati (in funzione del sistema di tariffazione a DRG) rappresenta un potente induttore di trasferimenti nei reparti riabilitativi delle persone con decadimento cognitivo. Queste, infatti, sono, per caratteristiche cliniche, molto più esposte al rischio di sviluppare sindromi ipocinetiche ed altri eventi clinici avversi, che finiscono con il ritardare o rendere impossibile il ritorno al domicilio (Ottenbacher et al., 2004). ATTIVITÀ FISICA E PREVENZIONE DELLA DISABILITÀ FISICA E DELLA DEMENZA Un dato sempre più consolidato in letteratura è che l’attività e l’esercizio fisico sono in grado di prevenire la comparsa di disabilità fisica e di declino cognitivo. Pubblicato nel dicembre 2006 sulla prestigiosa rivista Journal of Gerontology Medical and Biological Sciences (The life study investigators, 2006), lo studio LIFE-P (Lifestyle Interventions and Independence for Elders Pilot Study) ha randomizzato 424 pazienti anziani (età 70- 89 anni) sedentari ed a rischio di disabilità, a due differenti regimi di intervento (attività fisica ad intensità moderato-elevata vs. intervento educativo di promozione della salute nell’anziano), dimostrando un chiaro vantaggio a favore del primo. In particolare, a 6 e 12 mesi, il gruppo randomizzato ad attività fisica di intensità moderata manteneva un miglior punteggio allo Short Physical Performances Battery (SPPB a 6 mesi = 8,7 ± 0,1 vs = 8,0 ± 0,1, p < ,001; SPPB a 12 mesi = 8,5 ± 0,1 versus 7,9 ± 0,2, p < ,001, rispettivamente) in confronto al gruppo allocato al solo intervento educativo. Nel gruppo randomizzato ad attività fisica di intensità moderato-severa miglioravano significativamente anche le prestazioni motorie nel percorrere 400 metri ed, al termine dell’osservazione, si registrava una minor incidenza di disabilità motoria (definita come incapacità nel percorrere, camminando, 400 metri) (Hazard ratio = 0,71, 95% intervalli di confidenza = 0,44-1,20). Per quanto concerne il rapporto tra esercizio fisico e rischio di sviluppare decadimento cognitivo, l’Honolulu-Asia Aging Study (Weuve et al., 2004), che ha arruolato 2.257 uomini, di età compresa tra 71-93 anni, ha dimostrato che esiste un rapporto di tipo “dose-effetto”: il rischio di decadimento cognitivo aumenta di quasi due volte in coloro che praticano una blanda attività fisica (camminare in media 400 m al giorno), in confronto ad individui, di pari età e sesso, che, invece, riescono a praticare un’attività fisica più sostenuta (in media 3,2 km al giorno). L’effetto sembra anche associato alla velocità: tanto più è veloce il cammino, tanto minore è il rischio di sviluppare demenza. A questo proposito, il Sydney Older Persons Study (Waite et al., 2005) ha dimostrato che soggetti con impairment cognitivo (ma non demenza) e minor velocità dell’andatura al momento della valutazione iniziale, avevano una maggiore probabilità di convertire a demenza nei successivi 6 anni, rispetto a soggetti con impairment cognitivo ma senza deficit DEMENZE - ANNO X - N. 4 - 2007 - PP. 7 - 12 review UO Riabilitazione Polifunzionale Specialistica Casa di Cura “Ancelle della Carità”, Cremona Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia 7 review Demenze 8 dell’andatura.Anche la durata dell’attività fisica sembra giocare un ruolo determinante. Nel Nurse’s Health Study (Weuve et al., 2004), condotto su 121.700 donne, è stata dimostrata una correlazione significativa tra durata dell’attività fisica e stato cognitivo. La migliore prestazione cognitiva era associata ad un consumo energetico di 5.2 MET/ora/settimana. Nello stesso studio, un’attività fisica regolare riduceva del 20% il rischio di deterioramento cognitivo, corrispondente ad un guadagno di circa tre anni rispetto al declino cognitivo atteso in funzione dell’età. Più recentemente, uno studio svolto dal Group Health Cooperative di Seattle ha arruolato oltre 1700 persone cognitivamente integre e con età maggiore di 65 anni. Larson e collaboratori hanno dimostrato che anche una blanda attività fisica, purché svolta regolarmente, può ritardare la comparsa di demenza e di malattia di Alzheimer (i benefici erano evidenziati già per attività fisica comprendente 15 minuti di camminata a passo sostenuto, per tre volte a settimana) (Larson et al., 2006). LA RIABILITAZIONE NELLA PERSONA CON DETERIORAMENTO COGNITIVO L’efficacia degli interventi riabilitativi nel soggetto con deterioramento cognitivo è ancora oggetto di discussione. Studi che abbiano affrontato questa tematica sono ancora scarsi e di piccole dimensioni, o hanno seri problemi di interpretazione dei risultati. Ad esempio, risulta alquanto difficile discriminare quanto, in termini di efficacia dell’intervento, sia da ascrivere al trattamento delle patologie determinanti disabilità e delle comorbilità associate, e quanto invece sia da ascrivere al trattamento fisioterapico riabilitativo. Il paziente demente, infatti, ha una maggior probabilità di sviluppare, durante l’ospedalizzazione, una serie di eventi clinici avversi (Doraiswamy et al., 2002) che possono significativamente compromettere lo stato funzionale. In linea con questa asserzione, dati non ancora pubblicati dal nostro gruppo, riferiti ad una popolazione di anziani ricoverati in un reparto di riabilitazione geriatrica, evidenziano una strettissima correlazione tra delirium (che può comparire in seguito ad una riacutizzazione di patologia somatica) e prestazioni funzionali misurate con test di performances oggettivi (Trunk Control Test e scale).Alla comparsa di delirium anche lo stato funzionale peggiora in modo significativo per poi recuperare lentamente i livelli premortosi dopo che il delirium è stato risolto. I dati sono in accordo con precedenti segnalazioni di Marcantonio e collaboratori che avevano trovato un’analoga correlazione, utilizzando tuttavia scale di misurazione soggettiva dello stato funzionale (Kiely et al., 2006). In assenza di instabilità clinica, il ruolo esercitato dal decadimento cognitivo sull’outcome funzionale è controverso. In uno studio pubblicato sul British Medical Journal, che ha incluso oltre 240 pazienti anziani operati per frattura di femore, gli Autori riportarono un’associazione inversa tra gravità del deterioramento cognitivo ed efficacia del trattamento riabilitativo (Huusko et al., 2000). Anche Lieberman e colleghi avevano dimostrato che l’efficacia del trattamento riabilitativo è associata in modo indipendente e significativo ad un ridotto punteggio al MMSE, con una probabilità di successo del trattamento riabilitativo 20 volte inferiore nei soggetti dementi (Lieberman et al., 1996). Più recentemente, un trial randomizzato e controllato pubblicato sugli Archives of Physical Medicine and Rehabilitation (Faber et al., 2006) ha dimostrato che un’attività fisica di moderata intensità può esercitare un’efficacia preventiva nei confronti delle cadute soltanto in soggetti robusti o “pre-fragili” ma non nei soggetti anziani fragili, suggerendo indirettamente l’inefficacia del trattamento in presenza di una consolidata disabilità. Di segno opposto, uno studio statunitense su 58 pazienti con frattura di femore ricoverati in una struttura riabilitativa, dimostra che i 35 soggetti con impairment cognitivo avevano la stessa probabilità di essere dimessi al domicilio con uno stato funzionale (punteggi FIM) sovrapponibile a quello dei 23 pazienti senza impairment cognitivo, suggerendo indirettamente che la demenza non costituisce di per sé una barriera al trattamento riabilitativo (Goldstein et al., 1997). Sulla stessa linea, un lavoro di Rozzini e collaboratori ha evidenziato che l’efficacia dell’intervento riabilitativo è indipendente dalla gravità GIUSEPPE BELLELLI del decadimento cognitivo (Rozzini et al., 1997). A parziale supporto di questi ultimi studi, una recente metanalisi di 30 studi clinici randomizzati (19702003), per un totale complessivo di 2020 soggetti, sembra dimostrare l’efficacia del trattamento riabilitativo anche in soggetti affetti da decadimento cognitivo (Heyn et al., 2004). QUALE TIPO DI TRATTAMENTO RIABILITATIVO NELLA DEMENZA? Il rapporto tra intensità di trattamento riabilitativo e performances cognitive è argomento di vivace dibattito scientifico negli ultimi anni. Si potrebbe infatti ipotizzare che la presenza di deterioramento cognitivo possa condizionare il recupero funzionale non tanto mediante un’influenza diretta sulle performances fun- zionali, quanto attraverso una minor partecipazione del paziente al progetto riabilitativo. Due studi sembrano supportare tale ipotesi. Uno studio pubblicato nel 2002 sul Journal of American Geriatric Association riguardava un gruppo di 70 anziani ricoverati in un’unità di riabilitazione geriatrica. Gli Autori dimostrarono che livelli differenti di comorbilità somatica si associavano a differenti tipologie di interventi riabilitativi proposti dal terapista della riabilitazione (Bellelli et al., 2002). In particolare, tanto maggiore era il grado di comorbilità, tanto minore era la complessità degli esercizi proposti, suggerendo indirettamente che la comorbilità esercitasse in qualche modo un effetto induttore di “semplificazione” del trattamento riabilitativo (Tab. 1). In un altro studio, all’interno di un gruppo di anziani ricoverati in reparto riabilitativo dopo intervento chirurgico per frattura di femore, 80 sono stati sottoposti ad un trattamento fisioterapico con protocolli di intervento già predefiniti e standar- review Demenze Tabella 1. Caratteristiche cliniche, funzionali e cognitive di 80 pazienti anziani ricoverati consecutivamente in un reparto di Riabilitazione Geriatrica dopo stratificazione per comorbilità e stato funzionale (scala di Tinetti) all’ingresso. Età Sesso femminile, n (%) Body Mass Index (kg/cm2) Livelli serici di albumina (mg/dl) Charlson Index Numero di farmaci Durata della degenza (giorni) Mini Mental State Examination Geriatric Depression Scale (15 items) Instrumental ADL (funzioni perse) Barthel Index Delta Tinetti (miglioramento dimissione-ingresso) Numero totale di procedure fisioterapiche Rehabilitative Procedure Index # Bassa comorbilità Elevata comorbilità Tinetti 0-12 Tinetti 13-28 (n = 24) (n = 26) Tinetti 0-12 Tinetti 13-28 (n = 17) (n = 13) 74,5 ± 12,6 18 (36,0) 25,8 ± 4,5 3,5 ± 0,4 1,5 ± 1,0 5,0 ± 2,0 19,4 ± 6,0 24,7 ± 3,7 4,4 ± 3,2 2,0 ± 2,3 47,0 ± 17,4 16,6 ± 4,6 7,6 ± 2,5 21,3 ± 14,5 71,5 ± 8,9 17 (34,0) 27,2 ± 4,5 3,5 ± 0,2 1,5 ± 1,1 4,5 ± 1,4 16,0 ± 5,4 27,0 ± 2,6 4,4 ± 4,0 2,3 ± 2,2 71,2 ± 13,3 6,0 ± 8,0 5,3 ± 3,1 13,6 ± 16,3 77,8 ± 7,2 9 (30,0) 23,4 ± 4,6 3,5 ± 0,5 6,1 ± 1,7 5,4 ± 1,5 27,0 ± 9,5 17,0 ± 9,7 5,2 ± 4,1 5,7 ± 2,7 29,7 ± 22,5 6,5 ± 5,8 6,7 ± 2,3 11,6 ± 10,9 76,0 ± 9,1 5 (16,7) 24,4 ± 7,2 3,5 ± 0,6 5,1 ± 1,7 4,3 ± 1,6 18,3 ± 3,7 22,1 ± 3,6 6,0 ± 3,4 4,2 ± 2,4 66,4 ± 10,0 4,9 ± 2,6 4,7 ± 1,9 8,1 ± 5,1 9 p ,41 ,14 ,18 ,99 ,000 ,24 ,000 ,000 ,54 ,008 ,000 ,000 ,003 ,02 I dati sono rappresentati come media ± deviazione standard se non specificato altrimenti. Bassa comorbilità = Charlson Index 0-3; Elevata comorbilità = Charlson Index ≥ 4. P = significatività all’ANOVA; # indica il livello di complessità ed intensità delle procedure fisioterapiche ed è stato ottenuto moltiplicando il numero totale di procedure per un livello predefinito di complessità /durata della degenza. Modificata da Bellelli et al., 2002. LA RIABILITAZIONE NEL DECADIMENTO COGNITIVO review Demenze 10 dizzati (Bellelli et al., 2007). Utilizzando come proxy di intensità del trattamento riabilitativo il numero degli esercizi effettuati, gli Autori osservarono un’associazione inversa tra performances cognitive ed intensità riabilitativa. Sebbene non si possa escludere che la minor intensità del trattamento fosse dovuta in qualche modo ad una più elevata fragilità biologica degli individui, che venivano sottoposti ad un minor numero di procedure riabilitative, è tuttavia anche plausibile l’ipotesi che il deficit cognitivo abbia condizionato la relazione con il fisioterapista. In altri termini, l’incapacità di costruire una relazione partecipativa tra fisioterapista e paziente avrebbe portato a sottotrattare i pazienti più compromessi dal punto di vista cognitivo. Se così fosse, sarebbe necessario ed urgente individuare protocolli di intervento differenziati sulla base delle prestazioni cognitive dei soggetti anziani, per evitare che il sottotrattamento dipenda dall’inadeguatezza dei protocolli riabilitativi proposti. In genere, infatti, l’approccio riabilitativo è desunto dall’esperienza acquisita su individui più giovani e non compromessi dal punto di vista cognitivo e ciò pone seri problemi in termini di appropriatezza del trattamento. Il rilievo è peraltro assolutamente in linea con un precedente studio di Lenze e collaboratori, nel quale è stata osservata una correlazione tra la partecipazione del soggetto al trattamento riabilitativo (misurata con la Pittsburgh Rehabilitation Participation Scale) ed i punteggi ai test di performances cognitiva (MMSE) e ad una scala di depressione (Hamilton Rating Scale) (Lenze et al., 2004). Tanto più compromesse le funzioni cognitive e più elevati i sintomi depressivi, tanto minore era la collaborazione del paziente al trattamento riabilitativo ed il recupero funzionale alla dimissione. IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO NEI SOGGETTI quelle abilità (cognitive) che consentono alle persone di creare obiettivi, conservarli in memoria, controllare le azioni, prevedere gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi. Non servono per compiere attività routinarie, ma sono necessarie nelle situazioni nuove e non familiari: sono modalità di risposta non iper-apprese. Le disfunzioni esecutive possono essere riscontrate anche in soggetti apparentemente integri dal punto di vista cognitivo, ad esempio con un punteggio al Mini Mental State Examination >25/30. Lo studio denominato InChianti ha dimostrato un’associazione inversa tra capacità esecutive e prestazioni funzionali. In questo studio, che ha arruolato oltre 900 soggetti anziani residenti al proprio domicilio, la velocità del cammino e la capacità di superare gli ostacoli erano dipendenti dall’integrità di queste funzioni misurate con il Trail Making test (Ble et al., 2005). Precedentemente (Lundin-Olsson et al., 1997) Lundin-Olsson aveva valutato l’effetto di un semplice test (Stop walking when talking), sul rapporto fra mente e funzione: consiste nel porre una domanda al paziente che deambula ed osservare se mentre risponde tende ad arrestare il cammino. Il test era in grado di predire il rischio di cadute a 6 mesi in modo indipendente e statisticamente significativo. Dati non ancora pubblicati si riferiscono alla nostra esperienza clinica su una popolazione di soggetti di varia età, sottoposti ad intervento chirurgico di sostituzione protesica di ginocchio (con un punteggio di MMSE >25/30 all’arruolamento). In questi pazienti un deficit nelle funzioni esecutive predice l’incapacità di utilizzare correttamente gli ausili nel cammino ed è associato al tipo di ausilio prescritto alla dimissione (più grave l’alterazione più ampio il supporto necessario). Anche in quest’ambito si attendono studi futuri in grado di verificare la possibilità di modificare l’outcome riabilitativo, esercitando un trattamento riabilitativo sulle funzioni esecutive. CON DECADIMENTO LIEVE Recentemente la letteratura scientifica si è occupata anche di un altro interessante argomento correlato al decadimento cognitivo, e cioè del rapporto tra performances funzionali (ed outcome riabilitativo) e disfunzioni esecutive. Sono definite funzioni esecutive LA RIABILITAZIONE NEI SOGGETTI CON DETERIORAMENTO COGNITIVO AVANZATO Nelle forme di demenza severa i problemi sono molteplici e di non facile soluzione. Non sono stati GIUSEPPE BELLELLI accertati né gli elementi clinici per orientare la prognosi funzionale né quale approccio da parte del clinico e del riabilitatore sia più conveniente. In linea con queste affermazioni, un interessante articolo recentemente pubblicato sugli Annals of Long Term Care (Davis et al., 2007) descrive il caso di una paziente ultranovantenne, affetta da deterioramento cognitivo di grado severo e ricoverata in un reparto di riabilitazione a seguito di frattura di femore. La persona, inizialmente assegnata ad un reparto di lungodegenza per pazienti non deambulanti (“non mobile ward”) sulla base di una valutazione prognostica basata su un mix di informazioni (età, gravi comorbilità, decubiti ad entrambe le caviglie, dismetria degli arti inferiori e presupposta incapacità a collaborare all’intervento riabilitativo) veniva successivamente rivalutata con un differente approccio finalizzato ad ottenerne la collaborazione e riabilitata con successo dal punto di vista motorio. A distanza di un anno la paziente era in grado di deambulare autonomamente con supervisione. Il caso pone in rilievo alcuni aspetti di gestione pratica -clinica e riabilitativa- che possono rivestire un ruolo molto rilevante nei pazienti con demenza severa, come recentemente sottolineato (Bellelli et al., in press). Il primo aspetto riguarda la capacità di ottenere la collaborazione del paziente. Sebbene non invariabilmente, i pazienti affetti da demenza severa hanno sovente difficoltà di comprensione e di espressione verbale, ed è pertanto necessario utilizzare un approccio comunicativo specifico. Il tono della voce e le espressioni non verbali, ad esempio, possono essere molto importanti per ottenere la partecipazione all’intervento riabilitativo. Allo stesso modo deve essere tenuto in considerazione che la capacità di mantenere l’attenzione per periodi prolungati è spesso compromessa e che i rumori dell’ambiente possono rappresentare elementi di distrazione e di interferenza sull’esecuzione del compito. È dunque buona norma proporre esercizi semplici e raccomandare un ambiente tranquillo in cui effettuare le sedute riabilitative. Potrebbe essere, ad esempio, indicato l’uso di schemi di trattamento ed orari più flessibili, prevedendo sedute di minor durata (per evitare che dopo 15 minuti il paziente si distragga e non collabori), da ripetersi più LA volte nell’arco della giornata per garantire l’intensività del trattamento. Un altro aspetto importante riguarda la tipologia degli esercizi a cui sottoporre i pazienti. È ormai evidente che trattamenti che richiedono compiti motori complessi potrebbero non essere ottimali per questi pazienti. Per i pazienti con “fear of falling syndrome” una recente segnalazione propone l’utilizzo del Body-Weigth Supported Treadmill (BWST) (Bellelli et al., 2006). Il BWST è un tapis roulant dotato di imbracatura (nella quale il paziente viene assicurato ed uno o due terapisti della riabilitazione hanno la possibilità, stando ai lati del tapis roulant, di controllare il camino del soggetto e controllarne lo schema del passo). L’efficacia del BWST è ampiamente dimostrata nella riabilitazione di persone con esiti di stroke e/o morbo di Parkinson, ma potrebbe rivelarsi molto interessante anche nei soggetti con demenza in fase avanzata in quanto permette di accorciare i tempi del carico, favorisce una maggior intensità di trattamento, a parità di tempo dedicato, e garantisce un buon confort al paziente riducendo la paura di cadere mediante l’imbracatura. review Demenze 11 CONCLUSIONI Nel prossimo futuro, chi lavora nell’ambito della disciplina riabilitativa si troverà ad intervenire su soggetti affetti da decadimento cognitivo. In quest’ottica, la capacità di individuare risposte concrete sul piano programmatorio e clinico rappresenterà uno snodo cruciale. La formazione teorica (sia nel campo delle demenze che nel campo della riabilitazione) dovrà sapersi coniugare con l’esperienza clinica, rifiutando atteggiamenti ageistici o di superficiale nichilismo terapeutico che ancora oggi, purtroppo, sono uno stigma di questa terribile malattia. Oggi, a distanza di un certo numero di anni da quando ci si è incominciati ad occupare del problema della riabilitazione nei soggetti affetti da decadimento cognitivo, sembrano profilarsi all’orizzonte nuovi scenari e sembra più vicina la comprensione dei meccanismi patogenetici che mettono in relazione la demenza e l’attività fisica. Inoltre sembrano più chia- RIABILITAZIONE NEL DECADIMENTO COGNITIVO Demenze review re anche le relazioni tra intervento riabilitativo e recupero funzionale. Restano aperti ancora molti interrogativi a cui fornire risposte adeguate sul piano umano, etico e clinico. Un compito difficile ma non impossibile per tutti coloro che credono in questa professione. BIBLIOGRAFIA Abbott RD,White LR, Ross GW, Masaki KH, Curb JD, Petrovitch H. Walking and dementia in physically capable elderly men. JAMA 2004; 292(12):1447-53. Bellelli G, Guerini F, Bianchetti A, De Palma D,Ther P,Trabucchi M. Medical comorbidity and complexity of the rehabilitative procedures for older patients with functional impairments. J Am Geriatr Soc 2002; 50(12):2095-6. Bellelli G, Guerini F,Trabucchi M. Body weight supported treadmill in the rehabilitation of severely demented elderly subjects with hip fracture: a case report. J Am Geriatr Soc 2006; 54(4): 717-8. 12 Bellelli G, Frisoni GB, Pagani M, Magnifico F, Trabucchi M. Does cognitive performance affect physical therapy regimen after hip fracture surgery? Aging Clin Exp Res 2007; 19(2):119-24. Bellelli et al. 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