Africa subsahariana: un nuovo mercato su cui investire - Il-Cubo

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Africa subsahariana: un nuovo mercato su cui investire - Il-Cubo
Civica Scuola Interpreti e Traduttori
Mediazione linguistica R III anno
Africa subsahariana:
un nuovo mercato su cui investire
Elena Fort
Milano, Gennaio 2015
Indice
Introduzione
Pagina 3
Povertà: uno dei problemi maggiori e come combatterlo
Pagina 5
Economia in espansione
Pagina 7
Scambi con il resto del mondo: gli obiettivi dell’Italia
Pagina 10
Scambi con il resto del mondo: il ruolo della Cina
Pagina 12
Cina: perché investire in Africa?
Pagina 15
Sitografia
Pagina 20
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Introduzione
Descrivere l’economia africana è un compito per certi versi difficile in quanto delle 54 nazioni (alle
quali bisognerebbe aggiungere anche dei territori appartenenti a nazioni europee) di cui è composto il
continente, 25 sono considerate tra le più povere al mondo. Difatti in alcuni di questi paesi il livello di
povertà assoluta è tale da non essere nemmeno sufficiente per i bisogni di una persona, mentre in altri è
abbastanza per condurre una vita normale. Ci sono poi paesi, dove il livello di vita della popolazione e
basso, che sono ricchi di risorse minerarie che possiedono un valore di mercato superiore al PIL. È
infatti vero che l’Africa è un continente ricco di risorse come minerali, legno e petrolio, ma gli scambi
con il resto del mondo non sono sempre così semplici a causa dell’instabilità dei governi, della povertà
delle infrastrutture, della corruzione e dell’impatto che il virus HIV/AIDS ha sulla popolazione
lavorativa. Alcuni paesi più poveri e organizzazioni come L’Oxfam (Oxford Commitee for Famine
Relief) sostengono che le leggi del commercio internazionale siano ingiuste nei confronti dei paesi
sottosviluppati e a favore di quelli ricchi poiché essi vendono i prodotti convenzionati alle nazione
sviluppate ad un prezzo inferiore rispetto ai produttori locali. Accusano inoltre L’Organizzazione
mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO) di forzare le nazioni sviluppate ad aprire i
loro mercati al resto del mondo, senza però far in modo da abbassare le tasse sulle importazioni ed
esportazioni dei paesi ricchi. In risposta a queste accuse la WTO dice che i paesi che registrano un
basso reddito ricevono dei trattamenti speciali come ad esempio l’esenzione dall’applicazione di alcune
regolazioni che invece vengono messe in atto per i paesi ricchi.
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Nella seguente figura possiamo vedere meglio la fragilità statale nell’africa subsahariana appena
descritta:
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Povertà: uno dei problemi maggiori e come combatterlo
Per quanto riguarda i paesi più poveri, possiamo attualmente identificare un denominatore comune: i
conflitti. È infatti critica la situazione nella regione dei Grandi Laghi poiché tutti gli indici economici e
di sviluppo umani sono crollati negli ultimi anni. Senza contare che la mancanza di piogge stagionali,
la caduta dei prezzi internazionali di cotone e altri prodotti agricoli e la dipendenza da monoculture
hanno causato gravi perdite ai paesi del Sahel.
La povertà è di certo uno dei problemi maggiori dell’Africa e la maggior parte dell’Africa sub
Sahariana si classifica tra gli ultimi posti secondo la Banca Mondiale per il Prodotto Nazionale Lordo
(per persona e all’anno) che in Etiopia e Burundi è addirittura di solo 90$ per persona. Persino
all’interno di regioni con un Prodotto Nazionale Lordo più alto (come ad esempio Gabon e Botswana)
si registra un tasso di povertà tra alcune zone della popolazione.
Fig 2 - Africa’s Income
Fonte: World Bank, World Development Indicators database, 2005
Ma per comprendere bene le ragioni della povertà, dobbiamo fare un passo indietro e ripensare al
colonialismo e al successivo processo di decolonizzazione che hanno causato un blocco nello sviluppo
delle società africane, provocando spesso una retrocessione nei processi produttivi e ostacolando il
libero movimento e scambio di persone e cose. Oltretutto i primi governi indipendenti hanno ceduto al
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dispotismo e alla corruzione rampante, senza contare poi che secondo alcuni economisti l´Africa non
avrebbe ancora avuto il tempo di assimilare processi culturali tali da garantire e favorire uno sviluppo
rapido. Questo perché il processo di miglioramento economico, avviene in modo rapido per quanto
riguarda la parte tecnologica, mentre si richiede un tempo più lungo per l´assimilazione ed il
mutamento da parte della forza umana. Questo sottolinea la linearità dello sviluppo umano e la
necessità di uno sviluppo equilibrato in paesi emergenti, proprio per permettere a tutta la popolazione
di accedere ad un più alto tenore di vita e non solamente a delle minoranze. È quindi necessario
secondo alcuni attivisti che leggi relative al debito, all’assistenza sanitaria e al commercio debbano
essere riformate in modo da aiutare più regioni africane ad uscire dalla povertà. Per quanto riguarda il
debito è stata avviata nel 1996, congiuntamente dal Fondo Monetario Internazionale (International
Monetary Fund, FMI) e dalla Banca Mondiale (World Bank), l’iniziativa Heavily Indebted Poor
Countries (HIPC “nazioni povere pesantemente indebitate”) con lo scopo di aiutare i paesi più poveri
nel mondo portando il loro debito pubblico ad un livello sostenibile. Di questo programma fanno parte
38 nazioni considerate come particolarmente bisognose (delle quali 32 si trovano nell’Africa
subsahariana) che hanno l’obbligo di seguire precise politiche di buon governo così come stabilito dalla
Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Questo programma è stato oggetto di critiche a
causa dei criteri eccessivamente restrittivi per l’ammissione delle nazioni povere (difatti ci sono molti
più paesi che dovrebbero rientrare in questa iniziativa) e per il fatto che alcune di queste misure che le
nazioni devono adottare per essere ammesse al programma, non riducono il debito ma anzi,
contribuiscono all’impoverimento di tali nazioni. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, secondo
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Cooperation and Development, OECD), l’Africa riceve solamente un terzo degli aiuti forniti dai governi
per il mondo e anche questi aiuti hanno delle condizioni che vanno rispettate. Ad esempio i governi
dovrebbero rendere effettive alcune politiche, ma anche contribuire all’economia del paese donatore
acquistando beni e servizi da esso. Secondo la Banca Mondiale questi aiuti sanitari sono più efficienti,
e meno soggetti a corruzione, se legati ad un governo sviluppato e quindi ancora una volta viene
sottolineata l’importanza della necessità di sviluppo di parte dei governi. La campagna Make Poverty
History (“fai che la povertà diventi storia”, MPH) ha fatto richiesta al G8 di aumentare la somma
destinata ai paesi dell’Africa di 50 miliardi di dollari all’anno e di far rispettare l’impegno che i paesi
sviluppati si sono precedentemente presi di dare il 0.7% del loro Prodotto Interno Lordo in aiuti.
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Economia in espansione
I paesi dell’Africa subsahariana attraversano una fase di straordinaria espansione economica. Dalla
metà degli anni novanta, i loro tassi di crescita hanno iniziato a stabilizzarsi per poi raggiungere
risultati via via più ragguardevoli nel decennio successivo. Dopo il 2,1% medio annuo registrato nel
1990-1999 – un dato già trainato verso l’alto dalle performance della seconda parte del decennio –
l’area subsahariana ha infatti più che raddoppiato il passo della propria crescita, riportando un 4,7% per
il successivo periodo 2000-2012. Sei delle dieci economie che, a livello mondiale, hanno marciato più
rapidamente nel decennio 2001-2010 sono paesi subsahariani, con tassi medi attorno o al di sopra
dell’8%. Nel 2012, la regione ha riportato un tasso di crescita (4,2%) superiore a quello medio dei
BRIC (3,8%). Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale prospettano una ulteriore crescita del
5,0% nel 2013 e del 6,0% nel 2014, al di sopra non solo dei modesti 1,2% e 2,0% attesi per le
economie avanzate, ma anche del 4,5% e 5,1% stimati per le economie emergenti e in via di sviluppo
nel loro complesso.
Esistono quindi anche alcune aree di forte sviluppo, di distribuzione della crescita in modo trasversale,
e anche di successo su larga scala tanto da rendere possibile il paragone con quelle occidentali per
quanto riguarda i livelli di vita e, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, tra le venti
economie in più rapida crescita nel 2014-2018, una su due si troverà a sud del Sahara. Non
dimentichiamoci però dei paesi del Nord Africa che risultano come più sviluppati, assieme al Sudafrica
(come si può vedere da entrambe le Figure 1 e 2 alle pagine ), perché sono oramai legati
economicamente e in modo trasversale all´Unione Europea, le loro economie sono più stabili, il
turismo è più alto e l’HIV/AIDS è meno diffusa.
Tuttavia non si tratta di mercati facili per via delle ragioni già prima esposte (corruzione, instabilità
politica, lacune infrastrutturali,…) ma si tratta di un’immagine in parte ingannevole perché molti del 49
paesi a sud del Sahara hanno compiuto e continuano tutt’oggi a compiere grandi passi avanti in termini
di stabilizzazione politica e sviluppo economico.
Per quanto riguarda il Sudafrica è da considerarsi un’economia in espansione, con il 60% del Prodotto
Interno Lordo della regione sub sahariana, poiché è stato in grado di riprendersi dal regime
dell´apartheid e di porre la basi per la nascita e crescita di una nuova economia coinvolgendo anche i
paesi vicini. Alcuni esempi sono Mozambico e Angola, i colossi di lingua portoghese, che gravitano
attorno all’economia sudafricana e che stanno cercando di migliorare le proprie infrastrutture per una
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ancora più completa collaborazione con il Sudafrica. Dobbiamo però tenere in considerazione che il
Sudafrica ha ancora un tasso di disoccupazione elevato e un livello di sicurezza sociale da elevare,
senza contare il fatto che ci sarebbero necessari dei miglioramenti nella pianificazione dello sviluppo
nazionale (problema portato alla luce dai recenti problemi per la produzione e la distribuzione
dell´energia elettrica). Nonostante questo il Sudafrica si trova al primo posto nella scala dei tre paesi
più ricchi ed in espansione seguito da Nigeria e Kenya.
La Nigeria, al secondo posto tra le economie più forti del continente, è nella lista dei prossimi possibili
paesi emergenti con Messico, Indonesia e Turchia (i cosiddetti paesi Mint).
In Kenya ad esempio si sono visti ritmi di crescita molto sostenuti negli ultimi anni: tra il 2002 e il
2007 il paese è cresciuto dal 3,5 al 6,5 % annuo en in questo paese il 2% della popolazione detiene il
controllo del 60% delle risorse, mentre il 15% appartiene alla classe media e il rimanente 83% vive
sotto il livello virtuale di povertà.
Anche le nazioni insulari come le Seychelles, Riunione, Mauritius, e Capo Verde possono essere
considerate economie di successo in quanto, in particolar modo il governo di Mauritius, sia riuscito a
far uscire il paese dalla dipendenza per il mondo agricolo e ne ha favorito l´industrializzazione
promuovendo la crescita del settore dei servizi e quello delle tecnologie moderne.
Anche Etiopia, Tanzania e Ghana hanno avuto un ruolo importante nella crescita regionale
sorprendente e sostenuta oramai da quindici anni, che ogni anno registra risultati sempre più in
aumento: come possiamo notare dalla Figura 3 è stato registrato un 4,7% annuo per la regione tra il
2000 e il 2012.
Fig. 3
Fonte: Banca Mondiale, World Development Indicators
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Nella figura 4 invece troviamo la rappresentazione dei paesi africani in un cosiddetto mondo “a quattro
velocità” dove i paesi classificati come “benestanti” (affluent) sono quelli che la Banca mondiale
identifica come paesi ad alto reddito pro capite, ovvero pari o superiore a $9.265 per gli anni 1990 e a
$12.276 per gli anni 2000. I paesi “convergenti” (converging) sono quelli che hanno registrato tassi di
crescita almeno doppi rispetto ai paesi OCSE/OECD ad alto reddito, ovvero tassi pari o superiori a
3,75% per gli anni 1990 e 1,8% per gli anni 2000. I paesi “in difficoltà” (struggling) sono quelli a
medio reddito ($755 < reddito < $9.265 nei 1990, $1.006 < reddito < $12.275 nei 2000) che hanno
registrato tassi di crescita meno che doppi rispetto ai paesi OCSE/OECD ad alto reddito. I paesi poveri
(poor) sono quelli a basso reddito (≤ $755 nei 1990, ≤ $1.006 nei 2000) che hanno registrato tassi di
crescita meno che doppi rispetto ai paesi OCSE/OECD ad alto reddito.
Figura 4
Fonte: OECD, Perspectives on global development, 2012
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Scambi con il resto del mondo: gli obiettivi dell’Italia
Al giorno d’oggi sono diverse le ragioni che spingono paesi a prendere seriamente in considerazione le
opportunità economiche che i maggiori mercati africani offrono. Dal punto di vista del commercio
possiamo dire che gli scambi con il resto del mondo sono esplosi negli anni recenti e non si tratta
solamente di esportazioni verso la Cina, ma anche verso Turchia, Brasile, India, Corea del Sud e paesi
arabi. Per quanto riguarda invece altri stati come Francia, Inghilterra e Stati Uniti, essi stanno
riscoprendo di recente un interesse, che era diminuito durante gli anni ’90, per quest’area. È inoltre
importante ricordare che il mercato africano rappresenta un mercato potenziale molto interessante
anche per le imprese italiane e dal punto di vista economico possiamo trovare dei tratti comuni. Infatti
il modello italiano di sviluppo industriale, con il ruolo centrale delle Pmi, dei distretti industriali, delle
cooperative, si sposa perfettamente con le aspirazioni dei paesi subsahariani di passare dalla crescita
alla trasformazione strutturale delle loro economie. Questo sicuramente intensifica le relazioni
economiche con paesi africani promettenti come Senegal, Ghana, Nigeria, Angola, Sudafrica,
Mozambico, Kenya ed Etiopia. Ulteriori punti di vantaggio sono i tre settori in maggior crescita
italiani: i beni di consumo del made in Italy, il settore agroalimentare e le costruzioni infrastrutturali.
Già con il Governo Letta, il ministero degli Esteri ha avviato una serie di iniziative per la promozione
dei rapporti con i mercati dell’area e dal 13 al 14 ottobre 2014 si è tenuta una conferenza Italia-Africa
volta a spronare maggiormente le relazioni economico-commerciali tra il nostro paese e la regione
subsahariana. Dal momento però che mancano le risorse e gli strumenti a disposizione degli altri paesi
che ricorrono ad analoghi incontri in questi anni (dalla Cina all’India, dalla Francia agli Stati Uniti), è
indispensabile che l’obiettivo di questa e di simili iniziative abbia per l´Italia un orientamento diverso.
È quindi fondamentale che siano le stesse imprese italiane, in particolar modo le Pmi, a diffondere una
maggiore coscienza che i mercati subsahariani sono sempre più mercati di frontiera su cui puntare.
Quindi la necessità per l’Italia di ripensare e rinnovare le proprie relazioni con l’Africa subsahariana
origina da tre principali ragioni: la prima è un dato strutturale, ovvero la relativa prossimità geografica
della regione subsahariana; la seconda è legata alla fase storica che l’Italia attraversa e alla possibilità
di contribuire al rilancio dell’economia nazionale ‘agganciandola’ maggiormente all’espansione
economica africana in corso; mentre la terza è l’opportunità di svolgere un ruolo nell’indirizzare i
processi di sviluppo e di governance a livello globale, proponendosi come partner dei paesi africani
nell’identificazione e implementazione di strategie di sviluppo sostenibili da un punto di vista
economico, politico, sociale e ambientale.
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A sua volta, l’esigenza di rinnovamento ruota attorno a tre cardini: il primo è quello della diplomazia
della crescita (la crescita economica africana può aiutare l’economia dell’Italia e al tempo stesso trarre
beneficio da un aumento della presenza economica italiana); la seconda direttrice è quella della
stabilizzazione politica e della sicurezza nel continente (su questo fronte l’Italia deve pensare ad un
ruolo da declinare soprattutto in chiave multilaterale, con un forte contributo di leadership solo su
questioni limitate); la terza direttrice è quella della cooperazione e del sostegno allo sviluppo africano,
rispetto a cui l’Italia può ritrovare il proprio ruolo nel farsi promotrice di uno sviluppo sostenibile che
abbracci, accanto alla dimensione economica, anche quella sociale, ambientale e culturale.
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Scambi con il resto del mondo: il ruolo della Cina
Il buon rapporto tra Cina e Africa è il risultato del consolidamento di un'amicizia tradizionale
prolungatesi nel tempo. In effetti, già all'epoca della guerra fredda gli aiuti cinesi sono stati molto
generosi e i paesi africani in lotta per l'indipendenza e in cerca di uno sviluppo economico hanno
sempre potuto contare sull'appoggio del governo cinese. Per contraccambiare, i paesi africani hanno
sostenuto attivamente la riunificazione della Cina e la sua presenza nelle Nazioni Unite.
Nell'aprile del 1955 si è tenuta la Conferenza afro-asiatica a Bandung (in Indonesia), in occasione della
quale il leader cinese ha incontrato per la prima volta e direttamente i leader africani. L'anno successivo
invece
l’Egitto
ha
riconosciuto
la
Repubblica
Popolare
Cinese,
instaurando
subito
le
relazioni diplomatiche. Dopodiché dal dicembre del 1963 al giugno del 1965, il primo ministro Zhou
Enlai ha visitato l’Africa tre volte, ha presentato i Cinque Principi di Coesistenza Pacifica e gli Otto
Principi di materia di Aiuti economici ed Assistenza tecnica, sia per i paesi africani che per quelli arabi
Le relazioni Cina-Africa vengono ulteriormente sviluppate dal 1979 fino al 2009 quando la Cina
diventa, per la prima volta, il partner commerciale più̀ importante per l'Africa. Nel 2010 ha raggiunto
126, 9 miliardi di dollari e da quell'anno il tasso di crescita media annuale del commercio ha raggiunto
il 28%. Secondo le autorità̀ di Pechino, gli investimenti hanno invece il compito di ottimizzare la
struttura commerciale africana, di potenziare la gestione aziendale, di collaborare nella tutela
dell’ambiente, di rafforzare lo scambio culturale e di promuovere la localizzazione aziendale (per
ampliarne la cooperazione internazionale). Nel 2000, da quando è stato fondato il Forum sulla
Cooperazione Cina-Africa, questo organismo è diventato una strategica piattaforma di dialogo ed un
meccanismo efficace di cooperazione.
Ma volendo analizzare più attentamente la storia delle relazioni e degli scambi commerciali tra la Cina
e l'Africa, possiamo individuare tre importanti fasi storiche può̀ essere ricondotta a tre importanti fasi
storiche: la prima va dagli anni Cinquanta sino alla fine degli anni Settanta, la seconda dalla fine degli
anni Settanta sino alla fine degli anni Novanta e la terza dal 2000 al 2013. Durante la prima fase
vediamo l'avviamento delle moderne relazioni grazie una fase iniziale di sviluppo economico che
accomuna i due paesi. In occasione della prima Conferenza afro-asiatica del 1955 a Bandung il premier
cinese Zhou Enlai ha incontrato i rappresentanti di Egitto, Etiopia, Liberia, Libia e Sudan. Nel maggio
del 1956 è stato il governo de Il Cairo a stabilire per primo le relazioni diplomatiche con la Cina e
nell’ottobre del 1959 la Guinea è invece il primo paese dell’Africa sub-sahariana a definirle. La
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seconda fase invece è stata caratterizzata da un indirizzamento dei rapporti politici verso le più̀ concrete
relazioni economiche e commerciali. Infatti nel maggio del 1996, il presidente Jiang Zemin ha visitato
Kenya, Egitto, Etiopia, Mali, Namibia e Zimbabwe, avanzando una proposta (articolata su cinque punti
specifici) per lo sviluppo delle relazioni. Durante queste prime due fasi e dal momento dell'istituzione
delle relazioni diplomatiche negli anni Cinquanta, il governo di Pechino ha proposto una numerosa
serie di rapporti ufficiali tra i quali: i Cinque Principi di Coesistenza Pacifica (dicembre 1963) e gli
Otto Principi in materia di Aiuti economici ed Assistenza tecnica per i paesi africani e arabi (gennaio
1964), i Quattro principi per sviluppare la cooperazione economica e tecnologica con i paesi africani
(1982) e nel 1992 ha presentato i Sei principi essenziali per migliorarne i rapporti. Nel 1996 ha
presentato le Cinque proposte per la cooperazione globale; nel gennaio del 2096 ha pubblicato “La
politica della Cina in Africa” ed infine nel dicembre del 2010, un altro Libro Bianco intitolato “La
cooperazione economica e commerciale Cina-Africa". Ne "La politica della Cina in Africa sono
contenuti i principi e gli obiettivi della politica in Africa secondo le autorità di Pechino: sincerità̀ ,
amicizia ed uguaglianza (La Cina aderisce ai Cinque Principi della Coesistenza Pacifica, rispetta la
scelta indipendente per lo sviluppo dei paesi africani e sostiene lo sforzo degli stessi per diventare più̀
forti attraverso l’unità); beneficio reciproco e prosperità̀ comune (la Cina sostiene l’impegno dei paesi
africani per lo sviluppo economico e la costruzione delle nazioni, svolge la cooperazione in varie forme
nello sviluppo economico e sociale, promuove la comune prosperità̀ della Cina e dell’Africa); sostegno
reciproco e stretto coordinamento (la Cina intende rafforzare la cooperazione con l’Africa presso le
Nazioni Unite e negli altri sistemi multilaterali, sostenendo le proprie esigenze e le proposte di
entrambi, continuando a promuovere presso la comunità internazionale la necessità di prestare
attenzione alla pace ed allo sviluppo in Africa); imparare gli uni dagli altri per ricercare lo sviluppo
comune. (la Cina e l’Africa impareranno ed attingeranno reciprocamente le esperienze di governo e
sviluppo, rafforzeranno gli scambi e la cooperazione in materia di istruzione, scienza, cultura e salute.
La Cina sosterrà̀ gli sforzi dei paesi africani tesi a rafforzare le proprie capacità ed esplorerà̀ insieme a
questi paesi la strada dello sviluppo sostenibile).
Per quanto riguarda invece la terza fase è sostanzialmente un rafforzamento della collaborazione tra i
due paesi tanto che nel 2013 la Cina arriva a stabilire relazioni diplomatiche con 50 paesi africani
(mancano ancora all'appello Burkina Faso, Sao Tome e Principe, lo Swaziland e il Gambia); le parti
diventano "all-weather" amici e la relazione tra gli stessi viene definita "sulla corsia veloce". Nel 2000 i
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paesi africani creano, assieme alla Cina, il Forum sulla Cooperazione (Focac) e nel gennaio del 2006 il
governo di Pechino ha proposto formalmente di stabilire e sviluppare una nuova partnership strategica
con i paesi africani.
Oltre ai principi prima elencati il presupposto fondamentale per la cooperazione Cina- Africa è il
principio dell’esistenza di un’unica Cina (Taiwan è una parte integrante del paese) poichè la
Repubblica Popolare Cinese è l’unico legittimo governo che rappresenta tutto il territorio. In effetti, la
politica estera cinese non è più quella che si fondava sulla vicinanza politica e ideologica con i paesi in
via di sviluppo (Pvs), ovvero quel solidarismo che aveva caratterizzato le relazioni africane nel secolo
scorso, ma si concentra di più sull’interesse nazionale della Cina, testimoniato dalla pubblicazione di
un documento ufficiale unilaterale per definire la propria politica africana. Inoltre, Pechino guarda con
maggiore interesse ai paesi ricchi di materie prime e quindi vede nel continente africano, oltre che un
importante partner internazionale, un grande mercato in via di espansione per la sua produzione di
manufatti. Infine, all'interno di importanti organizzazioni internazionali, come l'Onu o il Wto, un
rapporto così intenso potrebbe facilmente trasformarsi nel cosiddetto "voto di scambio", ovvero nella
accondiscendenza dei paesi più̀ poveri verso le direttive indicate da Pechino.
Sebbene i rapporti tra Cina e Africa vadano a gonfie vele, per istituzionalizzare il dialogo e la
concertazione in modo flessibile e pragmatico, dovrebbero essere adottati e perfezionati meccanismi
come i comitati bilaterali tra la Cina e i paesi africani, la consultazione politica tra i rispettivi ministeri
degli Affari esteri, i comitati di cooperazione commerciale ed economica e i comitati misti per la
scienza e la tecnologia.
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Cina: perché investire in Africa?
La Cina sta investendo miliardi di dollari in Africa per assicurare le risorse naturali necessarie alla
propria economia e affermare l'influenza politica di Pechino sui Paesi in via di sviluppo. Come già
accennato prima, l'interesse che la Cina nutre per il continente africano è da spiegare tenendo in
considerazione la vastità dei territori, la ricchezza di risorse naturali (in particolar modo le risorse
energetiche e minerarie) e l’enorme potenziale di sviluppo che l'Africa possiede. Riguardo l’ambito
economico, il governo cinese si impegna ad adottare progressivamente misure sempre più efficaci per
facilitare l'accesso dei prodotti africani nel mercato cinese, con la promessa di un regime agevolato per
alcuni beni provenienti dai paesi meno sviluppati dell'Africa, al fine di promuovere il commercio
bilaterale ed ottimizzare la struttura commerciale. Il governo cinese, oltre ad offrire prestiti agevolati
alle imprese cinesi in Africa in modo da incoraggiarne gli investimenti, favorisce anche i paesi africani
che vogliono investire in Cina: si impegna a continuare il perfezionamento e l’attuazione dell'Accordo
bilaterale sulla promozione e tutela degli investimenti e dell'Accordo contro la doppia imposizione con
i Paesi africani.
Ma, volendo analizzare più approfonditamente il ruolo degli investimenti cinesi in Africa, possiamo
notare che fondamentalmente l’oggetto di maggior interesse è il fornimento di petrolio e gas naturali.
Difatti molte regioni africane come Algeria (dove i cinesi si sono assicurati la gestione dei pozzi più
grandi del paese, inoltre Sinopec ha già firmato un contratto da 525 milioni di dollari per sviluppare il
giacimento di Zarzatine, nel sud dell'Algeria, e la China National Petroleum Corporation ha ottenuto un
contratto simile del valore di 350 milioni di dollari per importare il petrolio algerino), la Libia, la
Somalia, il Kenya (dove, dopo il passaggio di Hu Jintao nell'aprile del 2005, la Cina ha concluso nuovi
accordi per la ricerca di giacimenti petroliferi in Kenya, una regione in cui le compagnie occidentali
non vogliono più investire), il Mali e il Niger (dove la Cina finanzia un progetto di esplorazione di
giacimenti petroliferi), il Ciad (che ha deciso di abbandonare il fronte taiwanese e riallacciare i rapporti
diplomatici con la Cina appena ad agosto del 2006), i paesi del Golfo di Guinea (che producono 5
milioni di barili al giorno), la Costa d’Avorio (la cui esplorazione petrolifera è già stata indicata da
Pechino come zona di interesse per una futura cooperazione) e Camerun (al quale lo scorso anno la
Cina ha elargito un prestito di 2,5 milioni di yuan in cambio di accordi con imprese locali per
l'esplorazione di giacimenti petroliferi e di gas naturale), ma i più importanti sono Angola, Sudan e
Nigeria. In Angola, la società cinese Sinopec ha investito 3,5 miliardi di dollari in un partenariato con
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Sonangol per sfruttare i pozzi di petrolio offshore recentemente messi all’asta e ha in progetto la
costruzione di una raffineria da 3 miliardi di dollari. Il Sudan fornisce da solo il 7% di tutte le
importazioni cinesi di petrolio e il 50% della sua produzione finisce in estremo Oriente e beneficia dei
più consistenti investimenti nella regione. Tredici delle 15 compagnie petrolifere straniere presenti in
Sudan sono cinesi, la China National Petroleum Corporation (Cnc) possiede il 40% della Greater Nile
Petroleum Operating Company, che controlla i giacimenti petroliferi del paese, e ha investito 3 miliardi
di dollari nella costruzione di raffinerie e oleodotti. E proprio per difender egli interessi nel settore
petrolifero, la Cina ha aiutato il governo sudanese nella costruzione di tre industrie belliche. La Nigeria
è il terzo fornitore africano di prodotti petroliferi alla Cina e nel 2005 la Petro China ha concluso un
accordo da 800 milioni di dollari con la Nigerian National Petroleum Corporation per l'acquisto di 30
mila barili di petrolio al giorno per un anno.
Fig 5
Fonte: West East Corporation
Come già detto prima molti degli investimenti cinesi si concentrano sull’importazione di materie prime
come l’oro (dal Mali, Costa d’Avorio), alluminio e rame (Costa d’Avorio), cemento, fosfati e cotone
(Togo), cemento e minerali (Kenya).
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Ma non di poca importanza è anche il settore delle telecomunicazioni e delle tecnologie: il primo
satellite nigeriano per le telecomunicazioni è stato realizzato dalla China Great Wall Industry e
finanziato dalla banca cinese Eximbank (ed è stato lanciato nel 2007); la Cina sta da lungo tempo
corteggiando la Libia con investimenti in infrastrutture e nelle telecomunicazioni (è la cinese Zet che
sta fornendo il sistema di telefonia di terza generazione alla compagnia telefonica Libiana); in Tunisia
(sebbene sia un paese in cui la presenza cinese è ancora debole e gli scambi commerciali con il gigante
asiatico siano piuttosto marginali) si è dato il via alla costruzione di una rete di telefonia mobile; in
Egitto le grandi compagnie cinesi sono riuscite a strappare contratti milionari per la costruzione di
infrastrutture (500 milioni di dollari per un centro congressi alla periferia de Il Cairo) e acciaierie (da
100 milioni di dollari) finanziate dal governo egiziano e che utilizzeranno esclusivamente tecnologia
cinese; in Kenya invece lo scorso anno la Cina ha elargito prestiti per 36 milioni di dollari al governo
keniano per la modernizzazione dell'industria energetica; in Somalia imprese cinesi come la Huawei
investono nel paese per erigere le infrastrutture necessarie e fare ingresso nella telefonia mobile; così
come in Benin grandi aziende come Zet e Huawei forniscono le tecnologie per l'installazione di una
rete di telecomunicazioni Gsm e telefonia di terza generazione; infine per quanto riguarda il Togo
invece sono stati firmati accordi per la costruzione da parte della Cina di una centrale idroelettrica e di
altri progetti nel settore delle telecomunicazioni.
La Cina promuove, inoltre, la cooperazione nei settori agricolo, delle infrastrutture , del turismo e si
adopera per cercare di risolvere o ridurre i debiti dell’Africa nei propri confronti.
Per settore agricolo, assieme all’industria leggera, ci riferiamo al Mali (dove la Cina dal 1994 possiede
l'80% della più grande industria cotoniera del paese, la Comatex), la Tunisia (che nonostante sia priva
di grandi risorse naturali, è uno dei primi produttori tessili dell'Africa) e il Benin (dove imprese cinesi
hanno rilevato parti delle più importanti industrie del paese, da quella cotoniera a quella della pesca e
dell'agroalimentare).
Per quanto riguarda invece il settore delle costruzioni possiamo citare regioni come l’Algeria, la
Mauritania (alla quale è stato erogato un prestito senza rimborso di 4,5 milioni di dollari per la
costruzione di infrastrutture da parte di compagnie cinesi), l’Eritrea (importante inoltre per la vendita di
macchine industriali e prodotti medici), l’Etiopia (pur non avendo grosse potenzialità energetiche è,
assieme al Sudan, il principale beneficiario degli investimenti cinesi dopo che all’inizio del 2006 il
ministro del Commercio etiopiano aveva dichiarato che "la Cina è il partner più affidabile", e beneficia
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degli aiuti cinesi per le costruzioni di quasi tutte le infrastrutture, collegamenti stradali e ferroviari,
aeroporti ed altro ancora), l’Uganda (dove ad esempio la China Petroleum Pipeline Engineering
Corporation costruirà un oleodotto di 320 km per collegarla con il vicino Kenya), il Senegal (dove il
governo cinese ha appena annullato un debito di 20 milioni di dollari e accordato un prestito di 7
milioni di dollari per la costruzione di scuole, strade e centrali elettriche), il Mali, Somalia (che la Cina
intende ammodernare con la costruzione di infrastrutture, strade, porti e ferrovie), ma è il Marocco (il
cui valore di commercio con la Cina ha raggiunto 1,484 miliardi di dollari nel 2005) che gioca un ruolo
importante dal momento che i cinesi sono i primi costruttori di infrastrutture della regione, grazie alla
rapidità di esecuzione e al basso costo della mano d’opera. Inoltre nel 2005 i cinesi si sono aggiudicati
importanti gare d’appalto per la costruzione di case popolari e di reti ferroviarie in Marocco.
In altro modo di investire nel continente africano è la vendita di armi ed equipaggiamenti militari che la
Cina svolge con il Sudan (dove non la Cina ha anche aiutato il governo sudanese nella costruzione di
tre industrie belliche), con la Liberia (la Cina infatti è stata accusata di aggravare il traffico di armi in
Liberia e negli Stati vicini della Costa d'Avorio e Sierra Leone, per ottenere in cambio le risorse
naturali della regione), ma principalmente con Eritrea ed Etiopia a causa del continuo conflitto tra le
due regioni.
Come risultato di tale politica, il volume dell’interscambio commerciale tra Cina ed Africa ha
raggiunto 106,8 miliardi di US $ nel 2008, con un incremento annuo del 33,5%. Nel 2008, le
esportazioni della Cina in Africa sono state 50,8 miliardi e le importazioni 56 miliardi (nel 2009,
petrolio, gas e minerali hanno rappresentato l’ 86% del totale). I principali partner africani degli scambi
sono Angola, Sudafrica e Sudan. Dal 2008, la Cina è al secondo posto nella classifica dei partner
commerciali dell’Africa. Alla fine del 2008, gli investimenti diretti esteri della Cina in Africa
ammontano a 7,8 miliardi di dollari, con un aumento previsto dell’80% per il 2009. Ciò riflette il
crescente potere economico della Cina in Africa, dove appare ben accolta. I paesi africani, inoltre,
presentano una domanda in crescita esponenziale per la costruzione di grandi infrastrutture e la Cina è
più che felice di poter sfruttare il potenziale di tale mercato. La Cina ha capito prima di tutti il
potenziale dell’area e in soli due anni la quota rappresentata dal continente sul totale del commercio
cinese è passata dal 2,2% (nel 2000) al 5,1% (nel 2012) – o verso altre economie avanzate o
emergenti. Come possiamo vedere dalla Figura 6, per Pechino stessa, ad esempio, su 198 miliardi di
18
dollari di scambi con la regione nel 2012, ben 85 miliardi erano di esportazioni verso l’Africa.
Fig. 6
Fonte: Unctad
In ogni caso, la Cina ha fortemente incrementato l'aiuto che fornisce ai paesi africani sotto diverse
forme: assistenza tecnica, donazioni, prestiti senza interesse e prestiti a condizioni preferenziali che
comportano un abbuono d'interesse e riduzioni del debito. Tuttavia, il gigante cinese non è membro del
Comitato di Aiuto allo Sviluppo dell'Ocse (che monitorizza l'aiuto internazionale concordato dai suoi
membri) e quindi non pubblica in modo sistematico gli importi e le condizioni dei suoi interventi.
L'aiuto della Cina all'Africa è comunque importante poiché nel 2006, la stima sul totale dei prestiti e
delle linee di credito si aggira sui 19 miliardi di dollari e i principali beneficiari sono l'Angola, la
Guinea Equatoriale, il Gabon, la Nigeria e la Repubblica del Congo. Anche se l'aliquota relativa alle
donazioni è bassa, la Cina ha nel 2005 annullato un importo di debito stimato intorno ai 260 milioni di
dollari per la Repubblica Democratica del Congo, l'Etiopia, il Mali, il Senegal, il Togo, il Ruanda, la
Guinea e l'Uganda
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Sitografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_dell'Africa
http://www.westeastcorporation.com/Ita_News_Approfondimenti_04_Detail.html
http://news.bbc.co.uk/2/shared/spl/hi/africa/05/africa_economy/html/poverty.stm
http://www.lavoce.info/archives/18287/i-bric-perdono-smalto-guardiamo-ai-mercati-africani/
http://www.oecd-ilibrary.org/sites/aeo-2014-sumit/index.html?contentType=%2fns%2fSummary&itemId=%2fcontent%2fsummary%2faeo-2014sumit&mimeType=text%2fhtml&containerItemId=%2fcontent%2fserial%2f19991029&accessItemIds
=
La Penetrazione Cinese In Africa, Daniele Cellamare, Nima Baheli,
http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/IASD/65sessioneordinaria/Documents/La_penetrazione_cinese_
in_Africa.pdf
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