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GIORGIO
PERLASCA
GIUSTO TRA LE NAZIONI
Quella di Giorgio Perlasca è una storia vera, appassionante come un
romanzo di avventure. Perlasca è stato infatti un magnifico
impostore, un italiano qualunque che, nella Budapest dell’ultima
guerra, spacciandosi per console spagnolo, riuscì a salvare dallo
sterminio oltre 5000 ebrei.
Fascista convinto, aveva combattuto in Spagna come volontario per
Franco. Arrivato in Ungheria in qualità di commerciante di carni, era
rimasto bloccato a Budapest dall'8 settembre. Internato insieme ad
altri Italiani, era riuscito a fuggire e si era trovato nella capitale
ungherese nel vortice finale della guerra, solo e senza documenti.
Aveva trovato rifugio nella sede diplomatica spagnola
e dall'ambasciatore aveva ricevuto un falso
passaporto e si era messo al servizio di un programma
umanitario di salvataggio degli ebrei, che la Spagna
conduceva insieme ad altre legazioni di paesi neutrali
e alla Croce Rossa Internazionale.
L’AMBASCIATA SPAGNOLA A BUDAPEST
Per quasi mezzo secolo non ha mai cercato
pubblicità né chiesto riconoscimenti per ciò che
aveva fatto. Ma c’è di più: la sua opera umanitaria
in favore degli Ebrei del ghetto internazionale non
sarebbe forse mai venuta alla luce, se alcune
donne ungheresi, ragazzine all’epoca, non
avessero insistito a cercare il loro salvatore dopo
le prime fallimentari ricerche in Spagna; perché
Perlasca si era finto tanto bene spagnolo, da
ingannare tutti quanti l’avevano conosciuto:
nazisti ed ungheresi, russi ed ebrei stessi.
Dopo la fuga da Budapest dell’allora
ambasciatore di Spagna Sanz Briz, Perlasca fece
l’impossibile: sfornò migliaia di documenti falsi,
dal salvacondotto alle lettere di protezione,
organizzò e difese otto case rifugio per gli ebrei
altrimenti destinati alla deportazione, strappò
donne e bambini dai rastrellamenti e dai treni
della morte pronti a partire per i campi di
sterminio.
Il documento redatto a mano (1) e a macchina (2) con le
credenziali che accreditano Giorgio Perlasca come diplomatico
dell’ambasciata spagnola in Ungheria, presentato al ministero degli
esteri d’ Ungheria nel novembre 1944.
1
2
Salvacondotto collettivo famiglia Harsanyi
Documento rilasciato dal finto console spagnolo Giorgio Perlasca che attestava la
cittadinanza spagnola e il diritto all’ospitalità in case protette affittate dall’ambasciata
spagnola che godevano dell’extraterritorialità.
Perlasca: un italiano che, con astuzia e decisione, seppe inventarsi
una nuova vita ed una carica diplomatica: Insomma, una vera faccia
tosta, seppure a fin di bene.
Tutto cominciò un giorno del 1944….
Parole tratte da un’intervista realizzata da Giorgio Perlasca:
«Rientrando quella stessa mattina dal ministero degli interni dove ero
andato a cambiare la cittadinanza da italiana a spagnola, quando sono
arrivato davanti alla legazione, ho visto che c’era una moltitudine di
gente fuori nell’androne, nel cortile, nei corridoi.
Ho domandato: “Cosa succede?”
“Sono tutti Ebrei che chiedono protezione, però noi non possiamo far
niente. L’unico cristiano è Sanz Briz, ma è un diplomatico di carriera e
certe cose ritiene di non poterle fare”.
Dopo pochi minuti, ci ho pensato sopra e ho detto: “Se avete bisogno
di un cristiano per organizzare questa protezione, io mi metto a
disposizione.
E così ho cominciato.»
a delle a e de i c i i i
e lasca e a s lit
a
ta e a e ime ti e ci c sta e ma a c e
i lessi i e sie i e c side a i i e s ali
Sanz Briz
Il 21 aprile del 1945, al momento della partenza per l’Italia, una
rappresentanza dei protetti della casa al numero 35 di Szent
Istvan Park, consegnò a Giorgio Perlasca una lettera di
ringraziamento.
Dal tenore della lettera si comprende come l’azione di Giorgio
Perlasca non si era limitata alla semplice concessione del
salvacondotto, ma come in quei 45 giorni sia stato presente
giorno dopo giorno, ora dopo ora, nelle case protette per
salvaguardare gli ebrei dalle incursioni dei Nylas e per
organizzare raccolta e distribuzione dei viveri.
Molto toccanti e significative le parole usate dai protetti come
ringraziamento per averli curati, assistiti e confortati in quei
momenti di disperazione.
Il testo della lettera:
Signore,
èc
dis iace e c e a
e diam c e lasciate l’
e ia e ie t a e
in Italia, vostra Patria. In questa occasione desideriamo esprimere
l’a ett la ic
sce a e la stima di a ie mi liaia di eb ei e se itati
dai nazisti tedeschi e dai nylas ungheresi, e che trovarono protezione
presso la Legazione di Spagna. Mai, mai dimenticheremo che non solo
avete lavorato giorno e notte, instancabilmente, perchè fossimo
sistemati e avessimo del cibo, ma vi siete occupato della salute degli
a ia i dei malati c
a te e e a im ssibile d’es ime e a a le
Non dimenticheremo mai che tante volte avete incoraggiato i disperati,
a ete a it ell’escl si
st i te esse c la iù a de sa e a
il più grande coraggio quando la nostra situazione era disperata e
sappiamo quante volte avete rischiato sicurezza e vita per salvarci dalle
mani degli assassini. Mai il vostro nome mancherà nelle nostre
preghiere e pregheremo Dio affinchè vi benedica, perchè solo LUI vi
può ricompensare.
V liate i e iam c se a e il st
ic d c
q ell’a ett
con cui noi racchiudiamo il vostro nome nei nostri cuori.
adite i e iam l’es essi e della
st a iù alta
considerazione.
La commissione della casa al 35 Szent Istvan Park
Il testo originale della lettera
TESTIMONIANZE DI SOPRAVVISSUTI
Prima testimonianza: Abraham Ronai, poi divenuto un
attore molto conosciuto, torna a visitare il palazzo
dell’ambasciata s a
la e ic da…
«Quando sono venuto qui avevo 12 anni. Mi ero tolto la stella
gialla e mi ero messo la divisa da boy scout. Qui c’era una scrivania
e dietro la scrivania una segretaria. Ero un ragazzino magro allora.
Al portone c’era un portiere grosso che non mi voleva far passare.
Gli dissi: “Ma tu non hai dei figli?” E allora lui: “ Sì, entra.”
La segretaria chiamò un uomo che scese da questa scala. Un
quarto d’ora dopo tornò con una lettera di protezione per me e per
tutta la mia famiglia. Io ero così felice: non sarei tornato umiliato
nel ghetto a morire di fame. Io non sapevo che era Perlasca. L’ho
saputo dopo perché sulla lettera c’era la sua firma
Ci mandarono in una casa che aveva la bandiera spagnola e quel
galantuomo di Perlasca veniva a portarci del cibo. Anche la polvere
di uovo mi ricordo, che per noi era come l’oro.»
Tratto da un’intervista a Abraham Ronai
Seconda testimonianza: la signora Weisz, poi divenuta
im ie ata e t ad tt ice dall’i lese ic da…
Tratto da un’intervista alla signora Weisz:
«Perlasca venne diverse volte e me lo ricordo per la gentilezza. Cose piccole e
cose grandi. A noi tutti dava aiuto perché era la prima volta che vedevamo
qualcuno che ci prendeva per mano senza chiedere niente, in tempi in cui era
la nostra patria ad essere diventata il nostro peggior nemico. Ci erano
diventati nemici il nostro vicino di casa, il compagno di scuola, le persone con
cui eravamo cresciuti e vissuti.
Vedere Perlasca fu per me un’esperienza meravigliosa, sufficiente per una vita
intera. Un essere umano che, in circostanze come quelle, restava un uomo e si
prestava a difendere delle persone che non conosceva e che nessuno
difendeva.
Non esagero se dico che è stato l’unico vero eroe che ho incontrato e questo
ricordo lo voglio conservare così. Spero di riuscire sempre a mantenerlo così
nella memoria.»
TERZA TESTIMONIANZA:
La signora Hoppe c e all’e ca a e a 16 a i insieme alla
madre trovò rifugio in una casa protetta dalla Legazione
spagnola. Nel dicemb e del ‘44 s tt i b mba dame ti t tti si
t as e i
i
a ca ti a A c ’essa ic da…
Tratto da un’intervista alla signora Hoppe:
«Stavo qui distesa. Quando si affacciavano i Nylas per cercare i
giovani e portarli via, mi coprivano con il carbone. Vivevamo nel
terrore. Perlasca veniva quasi tutti i giorni, ci portava da mangiare e ci
avvisava quando si avvicinavano i Nylas. A noi bambini veniva detto
che era un ambasciatore. Se non fosse stato per lui anche noi
avremmo trovato la morte sul Danubio. Perché nelle altre case, quelle
degli svizzeri e degli svedesi, gli ebrei venivano fatti uscire, portati
sulla riva del fiume e fucilati. In questa casa grazie a Perlasca fummo
veramente difesi. Non potrò mai dimenticare quello che ha fatto per
noi, poveri ebrei disgraziati.»
Il destino decise che la storia di Giorgio Perlasca venisse
conosciuta e ora il suo nome si trova a Gerusalemme, tra i Giusti
fra le Nazioni, e un albero a suo ricordo è piantato sulle colline
che circondano il Museo dello Yad Vashem.
La storia di Giorgio Perlasca dimostra come per ogni individuo è
sempre possibile fare delle scelte alternative anche nelle situazioni
e i i i c i l’assassi i è le e di stat e il e cidi
a te di
un progetto politico.
Le scarpe presso il Danubio
A chi gli chiedeva perché lo aveva fatto, rispondeva
sem liceme te: “
ma lei a e d la ssibilità di a e
qualcosa, cosa avrebbe fatto vedendo uomini, donne e bambini
massac ati se a
m ti se
l’ di e la i le a?
La stele dedicata a Giorgio Perlasca nel museo Yad Vashem di Gerusalemme
(Israele)
La storia di Giorgio Perlasca è stata raccontata in un libro, scritto
dal giornalista Enrico Deaglio, dal titolo: «La banalità del bene»
«Vorrei che questa vicenda fosse
ricordata dai giovani perché, sapendo
quanto è successo, sappiano opporsi a
violenze del genere, se mai dovessero
ripetersi»
Giorgio Perlasca
«Vedevo delle persone che venivano uccise e,
semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la
possibilità di fare, e ho fatto. Tutti, al mio posto, si
sarebbero comportati come me.»
Presentazione elaborata in occasione della
Giornata della Memoria sul tema «I Giusti»
dalla classe Terza B
a.s. 2014/2015
Docente: prof.ssa Piera Casella