recensione prof. Andrea Maia

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recensione prof. Andrea Maia
Andrea Maia
Un romanzo tra storia, amori, gastronomia
Riflessioni critiche sul romanzo di Gianni GARRINO:
Il cioccolato, le donne, Garibaldi e l’Arcangelo Michele
Gianni Garrino, già industriale di successo, ha voluto mettersi alla prosa in un
campo diverso dal suo, quello della narrativa storico-romanzesca, e lo ha fatto con
esiti decisamente interessanti. In una forma espressiva semplice e concreta, che
l’autore stesso definisce da “lettere commerciali” (ma già Stendhal sosteneva di
scrivere usando la lingua del Codice napoleonico) ha costruito un vasto romanzo
storico, che inizia e si conclude ricollegandosi ad opere famose, riferendosi ad un
manoscritto (anzi due, un quaderno di ricette ed uno di notazioni autobiografiche)
sulla scia di illustri esempi, da Manzoni al Nome della rosa di Umberto Eco. La
vicenda ha al suo centro un certo Matteo Giribaldi, nizzardo esperto di pasticceria e
cioccolatiere esimio, che inventa il cioccolato da mangiare – fino ad allora esisteva
solo quello da bere – e che collabora, a Torino con Caffarel, per costruire la prima
fabbrica di cioccolato “solido”.
La vicenda si svolge attraverso tutto l’Ottocento, in particolare dagli anni venti
fino agli anni ottanta, seguendo le vicende di Matteo, un giovane intelligente, operoso
e coraggioso e insieme sognatore e non privo di una vena di misticismo (collegato a
dipinti, sogni e visioni), un uomo che realizza pienamente la propria vita sia negli
aspetti creativi, lavorativi ed economici, sia in quelli amorosi ed erotici (come già
suggerito fin dalla copertina, in cui domina un particolare del dipinto La nuda di
Giacomo Grosso, conservato alla GAM di Torino.
In questo libro, che non è per nulla un “mattone” come l’Autore scherzosamente
lo definisce nel Commento finale, ma che, nonostante le 600 pagine e una trama
complessa ed intricata, si legge agevolmente, incuriosendo e stimolando il lettore. Io
l’ho letto con interesse, trovandolo affascinante e riuscito, ed ho apprezzato alcune
tematiche che mi hanno decisamente coinvolto: sono le vicende amorose ed erotiche,
la tematica del viaggio come scoperta ed avventura, la passione – che condivido con
l’Autore - per la città di Torino, la tematica del cioccolato ed in genere l’aspetto
gastronomico. Molto abilmente tracciato è anche lo sfondo storico, con una serie di
incontri e di coinvolgimenti indiretti: gustosissimi i ritratti di un Cavour quindicenne
discolo e ribelle, di un Gioberti non ancora prete e già avversato dai Gesuiti, di una
Marchesa di Barolo che sta iniziando la sua missione umanitaria, di un Cottolengo
ancora canonico del Corpus Domini; interessanti anche le apparizioni del cugino
Giuseppe Garibaldi, che riapproda a Nizza tra un’avventura e l’altra…
Vediamo alcuni di questi aspetti.
La tematica amorosa ed erotica
Presente in tutta l’opera, si manifesta soprattutto nella storia d’amore e di
matrimonio di Matteo ed Agnese, finemente costruita partendo dal primo incontro, a
Vescavo, dove Matteo è andato col padre ad acquistare legname dal padre di lei. La
nascita del sentimento dei due adolescenti (16 anni lui, 15 lei) è tutta affidata allo
sguardo (pag.38):
Matteo non diceva nulla, guardava.
Agnese non diceva più nulla, guardava.
Si guardavano negli occhi, diritto.
Poi (nelle 200 pagine che mancano al matrimonio) più volte i due giovani pensano
l’uno all’altro (dopo i brevi e rari incontri), con passionali riferimenti erotici (es. pag.
44):
E cercava di indovinare il corpo nudo di Agnese, le lunghe gambe, la schiena e quei
piccoli seni di porcellana.
E fu assalito dalla voglia di toccarla e di baciarla, come mai aveva provato con le
donne.
Il saluto in un incontro successivo propizia un contatto delle mani: (pag. 51):
Si salutarono e Matteo e Agnese si diedero la mano. Ma non fu un saluto normale. Le
due mani si strinsero forte e per un bel po’ non si staccarono.
Ho fatto alcuni esempi per far vedere la gradualità e l’attenzione con cui l’autore
analizza questa storia d’amore, che approderà al matrimonio, rafforzato dalla presenza di un forte erotismo: un amore-passione che continuerà per tutta la vita. Ma
nell’ardente giovinezza di Matteo (giovane forte e bello e amato e ricercato da ragazze e donne più mature di lui) numerose sono le esperienze erotiche, prima con le
commesse della pasticceria di Monsieur Ange, poi con altre donne mature di Nizza,
compresa una baronessa russa ninfomane.
Ma oltre all’amore per Agnese, durante il giovanile soggiorno torinese ci sarà un’altra
forte passione: quella per Enrichetta di Salmour, una nobildonna vedova con cui avrà
una tumultuosa relazione, causando un legame fortissimo al quale egli non avrebbe
saputo sottrarsi; ma sarà lei a troncarlo, dopo aver conosciuto il canonico Cottolengo
e aver trovato la sua vocazione di carità (diventerò suora, al servizio degli umili e degli infelici), consentendo a lui di risolvere il dilemma che da tempo lo dilaniava (pag.
227):
… Enrichetta lo aveva stregato, lo affascinava, si era data a lui con tutta la passione
di una donna matura… Poi si affacciava il volto di Agnese e il suo cuore si riempiva
di tenerezza, per il suo sguardo pulito e furbetto, per il suo volto di madonna e il suo
corpo di cerbiatta e sentiva che l’amava e si sentiva in colpa per averla tradita.
Ma adesso c’era lei, Enrichetta, pronta, perfetta, ideale, appassionata e desiderabile
fino allo spasimo e forse amava anche lei, ma era un altro amore.
Matteo non sapeva più cosa pensare, diviso tra queste due donne magnifiche ed eccezionali, l’una diversa dall’altra. Concluse che Agnese era un angelo che non si
poteva toccare per via del voto ed Enrichetta era la grande passione, che si era data
senza riserve, e lui era fortunato di possedere questi due tesori, lui ancora così giovane e neppure ricco.
A Torino, chiamato dal Caffarel che ha sentito parlare dei progressi del
cioccolatiere nizzardo verso la produzione del cioccolato “da mangiare”, giunge attraverso un viaggio in carrozza, avventuroso e narrato nei particolari, tappa per tappa:
e quella del viaggio è un’altra delle tematiche fondamentali di questo romanzo.
I VIAGGI
Partendo da Nizza, i viaggi di Matteo prima gli consentono di conoscere la contea, spesso insieme ad Agnese, come nel percorso che li porta fino alla Madonna
delle Fontane, con i suoi splendidi affreschi sulla Passione; poi, da solo, fino alla
valle delle Meraviglie ed al Monte Saccarello (collegato anche al suo destino finale)
dal quale contempla la vallata del Tanaro, la pianura, ed , oltre essa, le Alpi che cingono il Piemonte e Torino, città prima sognata e poi ardentemente amata. Il viaggio
serve a rispondere ad uno degli aspetti del carattere di Matteo. Si tratta della sua insaziabile curiosità il suo desiderio di conoscere ed apprendere, sia nel campo lavorativo ed economico (che lo spinge a progredire e a diventare un abile imprenditore) sia
nella ricerca di paesaggi, luoghi, persone, idee che gli consentano di allargare il suo
orizzonte, di arricchire la sua mente, sia… nel campo amoroso, come già abbiamo
accennato. Sulla personalità e sulle esperienze di Matteo si regge la struttura del romanzo: è sempre lui in centro di interesse, il giovane solido di corpo e di spirito, bello
ed attraente per le donne che lo incontrano, poi uomo concreto e abile nel costruire
con l’impegno ed il lavoro la sua fortuna, consapevole e legato alla sua terra nizzarda,
colpito nel profondo – come il cugino Giuseppe -, dalla decisione sabauda di lasciare
alla Francia la sua terra, infine saggio vegliardo che ripercorre (non più in carrozza,
ma in treno, gli itinerari della giovinezza), riscoprendo con nostalgia e facendo scoprire alla moglie, la città che lo aveva affascinato nei suoi vent’anni. Il viaggio per lui
significa una strumento di conoscenza ed anche, nella contemplazione dei paesaggi,
dei luoghi, delle città, una esperienza interiore ed estetica, un arricchimento per
l’anima. E durante i viaggi, sostando in alcuni luoghi particolari (chiesa di santa Maria delle Fontane, Monte Saccarello, Museo Egizio di Torino, Cappella della Sindone,
Sacra di San Michele) egli prova le sue esperienze interiori collegate alle visioni
dell’Arcangelo Michele, di San Giovanni Evangelista, dell’Apocalisse e dell’Aquila
(che danno a questi episodi del libro una patina sacrale e misteriosa, una suggestiva
vibrazione religiosa). Questo aspetto attenua, per così dire, la granitica solidità del
protagonista, che si confronta con la sensibilità, l’interesse per la lettura e lo studio di
Agnese, carattere femminile che si accorda e si integra con quello di Matteo: per
usare la terminologia pascaliana, nell’incontro tra i due si armonizzano l’esprit de
géometrie del protagonista maschile e l’esprit de finesse di quello femminile.
L’aspetto mistico e religioso si incarnerà nella figlia minore Jasmine, che si farà
suora di clausura in un convento di Marsiglia, mentre la maggiore, Margherita, sposerà un Lord scozzese. Il che propizierà ancora viaggi: quelli brevi tra Nizza e Marsiglia, per ritrovare nella figlia suora la serenità di una scelta mistica, e quelli più lun-
ghi e ancora avventurosi fino al Regno Unito, nel mondo dorato dell’aristocrazia inglese nell’epoca vittoriana.
Ma il viaggio fondamentale nel libro è quello a Torino, narrato all’inizio della
seconda parte del romanzo, dedicata al soggiorno biennale (1824-26) del giovane
nella capitale dei Savoia, nel terzo decennio dell’Ottocento. Nei due anni torinesi
Matteo ha anche l’occasione di fare un viaggio in Svizzera, fin sul lago di Losanna, a
Vevey, per visitare il Caillet, amico di Caffarel, il primo svizzero che vendeva il
cioccolato “a pezzi”.
La città amata: Torino
L’episodio che forse nel romanzo più mi ha colpito e coinvolto, è quello
dell’arrivo di Matteo a Torino e la sua prima visione, dall’interno, della città: un percorso iniziatico e un vero e proprio incontro d’amore, in cui si avverte che il sentimento che legherà il protagonista alla città prediletta, è anche quello cha l’autore
prova per la stessa città, che è la sua.
Mi ha coinvolto in particolare questo aspetto (una città visitata ed insieme
amata) perché in questi ultimo anni ho dedicato la mia attenzione a Torino (mia città
d’elezione, anche se non di nascita, in quanto son vissuto e ho lavorato in essa da oltre quarant’anni) e in quanto ho scritto tre libri sulla città, uno sui percorsi letterari in
essa (Torino strade e pagine) e due su due suoi quartieri: il Centro e Cit Turin
(quest’ultimo uscirà a meta di questo mese, presso l’editore Graphot).
Ecco la narrazione dell’ingresso nella Contrà Nova (oggi via Roma) Pag. 151:
… si trovarono a percorrere una strada diritta, che Caffarel disse essere la Contrada
Nuova, che i francesi durante l’occupazione avevano chiamato Rue du Mont Viso,
perché aveva sul fondo proprio quella grande montagna. Da ambo i lati c’erano negozi di lusso e botteghe grandi e piccole e la vita ferveva animata.
Quasi all’improvviso di trovarono sul retro di due chiese uguali e vicine, solo divise
dalla strada, come due gendarmi e di fronte a loro si aprì una piazza bellissima, con
i palazzi dai due lati perfettamente uguali, cinta da portici maestosi, di colore giallo
ocra.
Torino non avrebbe potuto dargli un migliore benvenuto.
… Sotto i portici e in tutta la piazza c’era un brulicare di gente, la più diversa.
C’erano gruppi di soldati, di preti, di frati, di suore, cittadini e leganti e dame con
abiti dalla grande circonferenza e larghi cappellini, gentiluomini a xcavallo, carrozze e calessi…
E il percorso nella città continua, mentre Matteo nota la forma a scacchiera del
centro, la grande piazza Castello e la facciata di una bellezza quasi fiabesca di Palazzo Madama, Palazzo Reale e l’ardita cupola della cappella della Sindone;
l’itinerario che Caffarel fa percorrere al giovane amico nizzardo riguarda via Dora
Grossa (oggi via Garibaldi) diritta a perdita d’occhio ed approda, dopo la svolta a destra del fiacre, in piazza Paesana (oggi Savoia) alla pensione che ospiterà il protagonista per due anni. Di qui Matteo partirà per raggiungere la progettata fabbrica del
cioccolato di Caffarel (alla Pellerina), per conoscere la vita della città, per raggiungere (a Borgo Nuovo) il palazzo di Enrichetta di Salmour, il suo grande amore-passione a Torino.
La Storia e … la gastronomia
Sullo sfondo delle vicende di Matteo, appaiono personaggi e vicende della
grande storia, suggestive e per così dire “riscoperte” dallo sguardo del protagonista.
Fatti, personaggi, eventi del Piemonte tra gli anni venti fin oltre l’unificazione italiana si snodano sotto lo sguardo curioso di Matteo, che ha l’occasione di incontrare
personaggi importanti (come, già si diceva, Cavour, Gioberti, la Marchesa di Barolo,
Giuseppe Garibaldi, che è suo cugino) e sente parlare di altri da chi li conosce: il
cupo Carlo Felice, che non ama Torino e tende a fuggire da essa, il principe di Carignano, futuro Re e Italo Amleto, quel suo figlio sanguigno e sempre alla ricerca di
femmine, ma coraggioso e non privo di fiuto politico, che diverrà primo Re d’Italia,
continuando a farsi chiamare secondo… Matteo assiste poi agli accadimenti, lieti e
tristi, della unificazione italiana, pagandone sulla sua pelle le conseguenze: condividerà, con il suo celebre cugino, l’amarezza di veder divenire straniera la terra natale e
sarà uno degli undici che votarono contro l’unione di Nizza con la Francia e vedrà
separati da confini la sua terra e quella dove aveva incontrato il suo amore della vita.
Un ultimo aspetto che mi piace in questo romanzo è quello della gastronomia. E
non mi riferisco soltanto alla precisione tecnica con cui sono seguiti gli esperimenti
volti a trasformare il cioccolato da semplice bevanda (come era da due secoli), in un
cibo da usare sotto forma di tavolette solide, ma anche alle pagine in cui si descrivono cene o pranzi, e non in modo generico, ma con l’attenzione di un esperto di culinaria, una “buona forchetta” come si usa dire. Esemplare in questa direzione è il capitolo (pag. 127) intitolato Bagna caoda. Esso è ambientato in una osteria torinese,
nella contrada del Gambero d’oro, dove Matteo si trova con un gruppo di amici ed
amiche (c’è anche Enrichetta, la sua amante torinese) a consumare una cena di magro, descritta nei minimi particolari e e che inizia con il tipico piatto piemontese a
base di aglio, olio e acciughe; seguito da un buon brodo di ortaggi e da una torta
rustica di mele grattugiate, cotte insieme a burro, farina di mandorle e di mais, uova e
polvere di cacao. Ma la cucina è costantemente presente, e questo aspetto mi piace
tanto, dato che anch’io sono un appassionato di cucina nei libri (ho studiato tale
aspetto in Boccaccio, Joyce e ne Le cronache di Narnia di Lewis) e Araba Fenice ha
appena pubblicato un mio piccolo romanzo gastronomico, intitolato Gente di collina
e ambientato nel Monregalese.
Anche questo aspetto ha contribuito a farmi apprezzare un libro in cui si tiene
conto e si mettono in risalto tanti aspetti della nostra cultura e tradizione: le nostre
città, la capacità della nostra gente di lavorare, ingegnarsi, intraprendere, i nostri personaggi del passato e le loro vicende, la tradizione religiosa che ha creato santuari e
chiese di rara bellezza e, - perché no ?- i sapori che i nostri antenati ci hanno tramandato nei piatti di una cucina straordinariamente varia e gustosa.