LIRICA, ALLEGORIA E STORIA NELLA CANZONE TRE DONNE
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LIRICA, ALLEGORIA E STORIA NELLA CANZONE TRE DONNE
LIRICA, ALLEGORIA E STORIA NELLA CANZONE TRE DONNE INTORNO AL COR MI SON VENUTE ROSARIO SCRIMIERI Universidad Complutense de Madrid Asociación Complutense de Dantología Queste considerazioni hanno per scopo riflettere sullo statuto poetico della canzone Tre donne intorno al cor mi son venute e valutare la sua posizione nello sviluppo della scrittura poetica di Dante. Procederò progressivamente dalle definizioni più generiche a quelle più specifiche. 1. Come punto di partenza, Tre donne si inserisce nella tradizione del genere lirico. In senso puramente tecnico, il genere lirico ha origine da un’enunciazione in prima persona di un soggetto enunciativo reale; non è mimesi, non è creazione di un’apparenza di realtà nel senso aristotelico del poiein, dove il linguaggio si usa come strumento mimetico della realtà. Il genere lirico appartiene all’ambito del legein, della parola e dell’enunciazione dove il linguaggio non dà origine a degli io fittizi (Hamburger 1995). Il verbo «dico», ripetuto due volte nella prima strofa della canzone (vv. 7 e 18), è l’indizio linguistico di un soggetto reale che si presenta nell’ambito del legein, del parlare e del dire di se stesso; è un verbo in cui si proietta il soggetto di un’enunciazione di realtà, nel senso che quest’ultima proviene da un soggetto enunciativo non fittizio né finto. Non è necessario ricordare, in questo ordine d’idee, il ruolo determinante che il genere lirico ha svolto nella nascita della nozione di soggetto nella letteratura volgare. Ricordiamo qui la frequenza di questo verbo nel libro della Vita Nuova («e propuosile di dire» (XIV, 10); «matera de lo mio parlare» (XVIII, 9) (Scrimieri 1999). 73 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE 2. Tre donne si inserisce nella tradizione del genere lirico dell’allegoria d’Amore. La prima strofa situa la figura del dio nel centro del cuore e della vita del poeta. La signoria di Amore concerne dunque sia il soggetto dell’enunciato, rappresentato metonimicamente dal cuore («ché dentro [al cor] siede Amore» (v. 3)) e dall’espressione «la mia vita» («lo quale [Amore] è in segnoria de la mia vita» (v. 4)), sia il soggetto dell’enunciazione, proiettato nel discorso dall’esplicito atto del dire: «dico quel ch’è nel core» (v. 7), «ché sanno ben che dentro è quel ch’io dico» (v. 18). Intorno a Amore, signore assoluto, si svolge la scena allegorica rappresentata dalla canzone. Dante si presenta innanzitutto come poeta d’amore, dato che Eros continua ad essere il principio dinamico della sua psiche e il definitore della sua identità poetica. Ricordiamo, in questo senso, l’ultimo sonetto della Vita Nuova che chiude un itinerario poetico esistenziale dove Amore è la spinta del movimento ascendente dell’immaginazione e dell’intuizione del poeta: «intelligenza nova, che l’Amore / piangendo mette in lui pur su lo tira» (vv. 3-4). Nello svolgimento dell’opera dantesca la Vita Nuova rappresenta la conquista di una identità che definirà Dante per sempre. Da questa condizione di poeta d’amore, nucleo fondante della sua identità, si sviluppa, allargandosi e arricchendosi, la sua capacità creativa. La canzone mantiene l’amore come principio dinamico, ma si tratta di un amore, come abbiamo ricordato a proposito dell’ultimo sonetto del libello, che genera una nuova comprensione; di un eros che ha riconosciuto e integrato, come si vedrà, nuovi contenuti, etici e filosofici. Dante, d’altra parte, non solo propone l’identità d’amore come tratto definitorio della propria identità, ma anche di quella del ricevente ideale della sua canzone: «‘l fior, ch’è bel di fori / fa disïar ne li amorosi cori» (v. 100); «li amorosi cori» sono i destinatari della sua canzone. E, come accade nella conclusione della Vita Nuova dove i destinatari non coincidono più con il circolo ristretto dei fedeli d’amore, anche qui il ricevente ideale della canzone viene dilatato e identificato con ogni uomo «amico di virtù» (v. 97). 74 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... 3. In primo luogo, le riflessioni sulla figura retorica della personificazione nel capitolo XXV della Vita Nuova, possono costituire il riferimento teorico di questa prima definizione dello statuto poetico della canzone come allegoria d’Amore. Il poeta in quella sede sostiene la possibilità per il poeta volgare di usare il metodo classico della personificazione. Mette così in chiaro che la sua poesia d’amore può anche presentarsi «sotto vesta di figura o di colore rettorico»; e circa il suo significato, potrebbe e saprebbe «denudare le sue parole di cotale vesta» per mostrare il suo «verace intendimento»; sono parole di complicità con il «primo amico» per dimostrare che nella propria poesia, come in quella cavalcantiana, amore e pensiero possono stare insieme. Nella canzone l’asse allegorico che presiede la rappresentazione visibile -sceneggiatura del mondo interiore invisibile- è dunque la figura di Eros. In secondo luogo, il Convivio può essere considerato un ulteriore punto di riferimento teorico dello statuto poetico di questa canzone, definita come allegoria d’Amore. Il problema che riguarda l’applicabilità del Convivio all’interpretazione della nostra canzone, in questo caso alla definizione del suo statuto poetico, è la datazione di quest’ultima rispetto al trattato: ci si chiede se all’epoca della composizione della canzone Dante avesse già scritto o almeno avesse in mente le proposte sulla filosofia d’amore contenute nel trattato III, iii. In questo senso, condividiamo la tesi di Umberto Carpi (2004) secondo cui la canzone non risale ai primissimi tempi dell’esilio (Contini parla del 1302), ma la inquadra tra il 1305 e il 1306, quando Dante vuole mostrarsi di nuovo come guelfo nero, dopo il breve patto coi ghibellini e i feudatari delle montagne. Alla fine del 1304 si allontana da quel patto e ritrova una «rete guelfa» (Carpi 2004). Per questo motivo, non è coerente pensare che prima di questa data -nei primissimi tempi dell’esilio il poeta si trova infatti tra coloro che preparano un esercito per rientrare a Firenze- potesse scrivere una canzone sul pentimento e la richiesta di perdono (cfr. Umberto Carpi in questo stesso volume). Se la data della canzone dunque si situa tra il 1305 e il 1306, è possibile affermare la sua contemporaneità o 75 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE quasi contemporaneità con il Convivio, datato tra il 1305 e il 1307. Com’è noto, in questo trattato Dante, guidato dalla filosofia, procede all’allargamento del concetto d’amore: ribadisce prima di tutto la sua volontà di non rinnegare l’esperienza della Vita Nuova (Conv. I, i, 16); inoltre, coerente con la sua identità originale di poeta d’amore, sviluppa il motivo dell’unicità dell’amore nel trattato terzo, dove spiega che «ciascuna cosa /…/ ha ‘l suo speziale amore», e secondo questo amore si ordina ogni natura; così «per la quinta e ultima natura, cioè vera umana o, meglio dicendo, angelica, cioè razionale, ha l’uomo amore a la veritade e a la vertude; e da questo amore nasce la vera e perfetta amistade /… / de la quale parla lo Filosofo ne l’ottavo de l’Etica, quando tratta de l’amistade» (Conv. III, iii, 1; 11). Queste parole implicano l’allargamento del concetto d’amore e dunque anche del contenuto dell’allegoria d’Amore. La «signoria d’Amore», che nella canzone regge la vita del soggetto, letta in questa prospettiva non si limita solo a quell’amore che sottomette i «fedeli d’amore», ma comprende quell’altro per «la veritade e la vertude», quello che regge gli «amici di virtù». La canzone sottintende così un’idea allargata del concetto e della poetica d’Amore: di conseguenza anche tutte le sue metafore e le figure erotico-sessuali sono da leggere in chiave allegorica filosoficomorale; queste figure vanno al di là della lettera poetico-amorosa cortese, consacrata dal paradigma del Roman de la Rose o del De Amore di Cappellano. Dal nostro punto di vista, il discorso erotico della canzone costituisce il livello letterale di un discorso sull’amore impostato secondo le premesse del Convivio, come accade nelle canzoni contenute in questo trattato. 4. Tre donne è una allegoria d’Amore dove Dante innesta l’allegoria morale della tradizione allegorica cristiana: la psychomachia, che può essere letta tanto in senso individuale come collettivo. Questa allegoria si sviluppa lungo le quattro prime strofe della canzone. Partendo da un io reale, non fittizio, che «dice» di se stesso, il dramma interno invisibile dell’io viene proiettato in una 76 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... fabula, in una «bella menzogna» sotto la quale si nasconde la verità del dramma reale. È presente qui ciò che caratterizza l’allegoria originaria cristiana: il bellum intestinum1; ma «mentre è vero che il bellum intestinum è alla radice di tutta l’allegoria, non è meno vero che solo l’allegoria più cruda –cito Lewis- lo rappresenterà come una battaglia campale. Le astrazioni devono la vita al conflitto interiore, ma, una volta che sono venute alla luce, il poeta deve armarsi di un compasso e disporre la materia più artisticamente se vuole avere successo» (Lewis 1967: 67). In Tre Donne si parla di una guerra e di una sconfitta accadute nel passato e dell’annuncio, da parte di Amore, di una futura vittoria; sconfitta e vittoria che possono rimandare allegoricamente a un tempo-spazio interno e individuale, oppure esterno e collettivo, e anche mitico. Lo spazio-tempo della rappresentazione allegorica non è dunque quello della battaglia, ma quello successivo a una sconfitta: il lamento dei vinti, esuli e poveri, unito al riconoscimento da parte del dio Amore della propria inattività: «ecco l’armi ch’io volli; / per non usar, vedete, son turbate» (vv. 61-62). Dal punto di vista metapoetico, queste parole potrebbero anche essere lette come un rimprovero per il poeta d’amore delineato dal Convivio, un poeta che secondo le idee di questo trattato si è mantenuto purtroppo passivo quando si trattava di affrontare i problemi politico-civili del suo tempo. 5. Le riflessioni del Convivio II, i, 3-4, intorno all’allegoria dei poeti, possono essere il riferimento teorico della seconda definizione della canzone intesa come allegoria filosofico-morale. Secondo i critici è probabile che l’autore avesse in mente di introdurre questa canzone nel penultimo trattato del Convivio dove intendeva parlare della giustizia. In questo trattato Dante si proponeva anche di toccare il problema dell’interpretazione allegorica: «e perché questo nascondimento fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mostrerà» (II, i); il Convivio venne però interrotto al quarto trattato e i due problemi citati, essenziali per interpretare questa canzone -quello della giustizia e quello dell’allegoresi- resteranno privi del commento approfondito del poeta. 77 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE Come accade per le canzoni del Convivio, che Dante intende interpretare seguendo il modo dei poeti (Conv. II, i, 4) –ma non esclude la possibilità di applicare talvolta il canone quadripartito dell’allegoria dei teologi (Conv. II, i, 15)2, e afferma, rispetto alla terza canzone, che il suo senso letterale non rimanda a nessun altro senso (Conv. IV, i, 10), visto che essa «si intese a rimedio così necessario» qual era quello della definizione corretta della nobiltà e «non era buono sotto alcuna figura parlare, ma conveniesi per via tostana questa medicina, acciò che fosse tostana la sanitade» (Conv. IV, i, 10)-; si può così interpretare la canzone Tre donne, in particolare le prime quattro strofe, secondo il canone bipartito dell’allegoria dei poeti: esse hanno un senso letterale «che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sone le favole de li poeti» (II, i, 3), e un senso allegorico, «quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna» (II, i, 4). Il primo congedo della canzone ribadisce chiaramente questo statuto allegorico dove il poeta sottolinea la dialettica del nascondimento e della mostrazione («panni» vs «parti nude») dell’allegoria. In questo senso, è interessante osservare come Nardi neutralizzi tale dialettica considerando la canzone non allegorica «perché la prima delle tre donne discacciate dal consorzio umano si palesa per sorella di Venere, e quindi figlia di Giove, cioè, per Dante, di Dio; e dichiara di esser Dirittura, ossia la Giustizia eterna, da cui nacque /…/ la giustizia o legge naturale. Come riflesso di questa nell’onda del fiume /…/ nacque poi la legge umana» (Nardi 1960: 17). Questo ragionamento sul significato nascosto sotto le figure delle donne è ritenuto sufficiente da Nardi per considerare il senso letterale della canzone come letterale puro, proprio come accade in una canzone strettamente dottrinale. Nardi lascia però all’oscuro molti aspetti delle quattro prime strofe; e nel primo congedo il significato allegorico del «dolce pome /…/ per cui ciascun man piega», « ‘l fior, ch’è bel di fori». 78 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... 6. Tre donne inserisce nella quinta strofa la scrittura dell’io e della storia. Al genere lirico dell’allegoria d’Amore, in cui Dante ha innestato l’allegoria filosofico-morale, fa seguito nella quinta strofa la scrittura autobiografica3. Il dio Amore è la figura connettiva fra i due diversi tipi di scrittura: «E io, che ascolto nel parlar divino» (v. 73), ma la presenza del dio praticamente svanisce di fronte alla forza della sequenza «E io» che costituisce, come dice Contini, «il pernio ideale della lirica» (Alighieri 1965a: 173). Dante ci mostra adesso apertamente la proiezione del suo dramma di esule sulle tre donne e sul resto de «li alti dispersi», anche se mette subito in evidenza, in un conciso verso, la diversità del suo atteggiamento rispetto a quello delle tre donne: non è tanto il pianto e la richiesta di consolazione, quanto la coscienza della dignità e dell’onore della sua condizione di esule: «E io, che ascolto nel parlar divino / consolarsi e dolersi / così alti dispersi, / l’essilio che m’è dato, onor mi tegno» (vv. 72-75). 6.1. La sequenza «e io» è anche presente in altre Rime che precedono da vicino Tre donne4. Così nel sonetto Due donne in cima de la mente mia / venute sono a ragionar d’amore (Alighieri 1965a: 112) -Bellezza e Virtù, come si dirà nella prima terzina-, il soggetto fa parte della scena allegorica: «e io, merzé del dolce mio signore, / mi sto a piè de la lor signoria» (vv. 7-8). Nella sestina CII, Amor, tu vedi ben che questa donna, la sequenza «e io» è il nesso tra la prima e la seconda strofa, la prima centrata sulla rappresentazione della crudeltà della donna-pietra, la seconda sulla sofferenza d’amore del soggetto: «E io, che son constante più che petra / in ubidirti per bieltà di donna / porto nascoso il colpo de la petra» (vv. 13-15). In questi due casi «e io», sempre nell’ambito dell’allegoria d’Amore, è la cerniera tra la rappresentazione oggettivata del conflitto interiore e la presenza esplicita nell’enunciato del soggetto; ma nella canzone la sequenza «e io» indica un salto qualitativo, un allargamento dello statuto poetico della lirica, poiché innesta nell’allegoria politicomorale, non solo determinati aspetti della soggettività, ma anche frammenti autobiografici e della storia. 79 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE In questo allargamento si trova il nodo delle nostre riflessioni, perché questa canzone segna un momento importante nell’itinerario della scrittura poetica di Dante. Ciò che va sottolineato in questa strofa è l’innesto nell’allegoria filosofico-morale di un episodio della vita del poeta -l’esilio-, figura che si può considerare metonimica della storia. L’esilio, è stato detto, è la conditio sine qua non dell’identità poetica e dell’opera dantesca, e in concreto della Commedia. Questa strofa include inoltre aspetti soggettivi riguardanti la passione politica e l’amore di Dante per Firenze, come pure la presenza di una colpa e di un pentimento; passione politica che si rappresenta come fuoco che consuma (vv. 85-87), un’immagine che secondo me segnala la differenza tra questa passione e l’amore di cui parla il poeta all’inizio della canzone, interpretato alla luce del Convivio (III, iii). 7. Per quanto concerne il riferimento teorico-poetico di questa strofa si può far capo alle riflessioni del Convivio (II, i, 4), quando l’autore, parlando della natura del senso letterale dell’allegoria dei poeti, menziona il modo diverso in cui i teologi considerano questo senso: «Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti». Qui si sta parlando dell’allegoresi, dell’allegoria esegetica d’origine cristiano-biblica, ma le sue parole possono essere applicate anche all’allegoria retorica, al modo di coniare nuovi significati. Siccome Dante dice poter combinare il canone bipartito dell’allegoria dei poeti e quello quadripartito dell’allegoria dei teologi (II, i, 15) nell’interpretazione delle canzoni del Convivio, fermo restando sempre il loro senso letterale come fittizio -tranne, come abbiamo detto, nella terza canzone- si può inferire che anche nella sua scrittura poetica pensa di poter combinare i due modi del senso letterale: quello dei poeti e quello dei teologi, di cui si dice nel Convivio. Di conseguenza e riguardo allo statuto poetico della nostra canzone, nella quinta strofa il senso letterale non è più fittizio, non è più una «bella menzogna» sotto cui si nasconde una verità, ma una storia reale; la lettera è portatrice di una verità oggettiva sulla quale si può fondare il significato allegorico della canzone. Quanto di 80 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... oscuro si percepisce in quest’ultima strofa non è la conseguenza della sua condizione di allegoria, ma della mancanza di dati referenziali a disposizione del lettore per decodificare il referente, soprattutto quando si riferisce al motivo della colpa e del pentimento. 8. Sono molte le conseguenze che derivano dalla natura ibrida della nostra canzone. In primo luogo, dal punto di vista dell’enunciazione lirica, l’innesto della quinta strofa nelle prime quattro significa l’innesto dell’autobiografia e della storia nel genere lirico. In questo genere il rapporto tra poesia e vita, tra letteratura e realtà è marcato dal paradosso che implica l’atto di enunciazione lirica; da un lato, l’enunciazione lirica è un’enunciazione di realtà, poiché procede da un soggetto reale, non fittizio né finto, ma dall’altro, la “realtà” dell’atto di enunciazione lirica non è equiparabile a quella di un testo biografico o storico. L’enunciazione lirica «non cerca di realizzare una funzione in un contesto di realtà, non è orientata verso l’oggetto» (Hamburger 1995: 181 -la traduzione è mia-); l’oggetto enunciato in essa è il campo dell’esperienza del soggetto enunciativo. Qui risiede la contraddizione inerente all’enunciazione lirica: essa procede da un soggetto reale vincolato a un oggetto, ma simultaneamente il soggetto situa la sua enunciazione ai margini della realtà, ai margini di qualsiasi funzione in un contesto oggettivo (Hamburger 1995: 182-183). Non accade così in questa canzone dove Dante situa esplicitamente la sua lirica e se stesso in un contesto di realtà concreto, l’esilio, vincolato con altri uomini che giudica, sollecita e a cui parla. Il poeta vuole che la sua canzone compia una funzione in un contesto storico concreto. Il genere lirico trabocca oltre i suoi limiti. Questa operazione preannuncia, secondo me, quanto accadrà nella Commedia, impostata fin dall’inizio nella scrittura in prima persona di un io il cui nome, ad un certo momento, si palesa come quello dell’autore5, garanzia dell’autenticità del racconto che inserisce la Commedia nella historia. 81 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE Dal punto di vista dell’allegoria, il passo compiuto da Dante in questa canzone annuncia quello che compierà in modo pieno nella Commedia. Come poeta, in accordo con la tradizione classica, disponeva dell’allegoria in verbis, che si risolveva nei due sensi, letterale e allegorico. D’altra parte, aveva il modello delle Sacre Scritture dove Dio «restringeva in un singolo nodo indispensabile verbum, res e signum» (Baránski 1987: 88): il modello dell’allegoria in factis «operante sul piano della semantica del reale» (Baránski 1987: 88). In Tre donne Dante non fa ancora coesistere «in un singolo nodo indispensabile verba, res e signa»; dal punto di vista testuale, la res rimane scissa, affidata solo all’ultima strofa, ma lascia già intravedere cosa sarà la scrittura dell’allegoria in factis della Commedia, che del resto aveva lasciato intravedere nella Vita nuova. Lì, la trascrizione dal libro della memoria implicava già l’operazione di conferire significato alla res, secondo la dialettica del tunc e del nunc, senza che i fatti del passato perdessero la loro valenza sul piano esistenziale storico a causa del loro significato più profondo (Scrimieri 1999). Non dimentichiamo, in questo senso, le parole del dio Amore riferite a Beatrice nel capitolo XXIV: «E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore per molta somiglianza che ha meco» (XXIV, 5). Dopo questo capitolo, il dio Amore non compare più nella prosa del libello, quasi volesse farci intendere che da quel momento Beatrice, una donna concreta e reale, è diventata una figura tipologica dell’amore6. La dialettica tra allegoria in verbis e allegoria in factis presuppone la dialettica fabula-historia. In Tre donne, la prima parte della canzone (le prime quattro strofe) è fabula; la seconda (quinta strofa), historia; fabula e historia non si sovrappongono in un’unità di scrittura, ma si susseguono giustapposte. E in questo senso si possono spiegare i due congedi della canzone: il primo si potrebbe rapportare alla parte della canzone scritta al modo dei poeti, e il suo senso letterale, oltre a riferirsi alla dialettica occultazionemostrazione dell’allegoria in verbis, manterrebbe la fictio della scena allegorica iniziale; il secondo congedo invece si potrebbe correlare 82 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... alla seconda parte della canzone, la quinta strofa, scritta al modo dei teologi; il senso letterale di questo congedo, come quello della strofa, apparterrebbe alla storia, in concreto alla vicenda autobiografica dell’esilio, e tale historia sarebbe il fondamento di ulteriori messaggi politico-morali. Nella canzone non si verifica quella trasformazione di cui parla Baránski (1987) a proposito del canto I dell’Inferno dove i primi versi che si presentano come fabula, come finzione, cioè come allegoria in verbis, si trasformano a metà del canto in historia, a causa dell’imbricazione che Dante riesce a fare dei due modi di scrittura7. Questa imbricazione di fabula e di historia e l’effetto trasformatore di quest’ultima sulla prima non ha luogo nella nostra canzone, dove la quinta strofa non possiede quella capacità retroattiva su quelle che la precedono. Il poeta mantiene dialetticamente in equilibrio la struttura bipartita della canzone e i suoi due modi diversi di scrittura; i due congedi, uno chiaramente riferibile all’allegoria in verbis e l’altro all’ allegoria in factis sono la prova di tale dialettica. Ragioni interne e strutturali potrebbero così spiegare la presenza dei due congedi, e perderebbe peso l’ipotesi delle due diverse date della scrittura, l’idea dell’aggiunta del secondo in data posteriore alla stesura della canzone, come ha sostenuto parte della critica. In quest’ordine di idee, Raffaele Pinto, nella discussione successiva al mio intervento, ha osservato che ogni singolo congedo punta verso un diverso destinatario: il primo è quello ideale, sono gli «amici di virtù»; il secondo è quello storico, sono i politici del tempo di Dante, coinvolti nello stesso conflitto civile8. 9. A proposito della quinta strofa di questa canzone, in realtà non si può parlare strictu sensu di allegoria in factis, ossia di applicazione su di essa del canone quadripartito dell’interpretazione biblica. Il soggetto storico che la scrittura «al modo dei teologi» ha introdotto nel testo sotto la forma del pronome io, è in potenza fondamento di significati allegorici ma, a mio avviso, il soggetto rimane ancora nella schiettezza del suo senso letterale storico, su cui 83 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE confluiscono certamente i valori allegorico-morali delle prime quattro strofe, proiettati sulle personificazioni delle donne-virtù e del dio Amore. Credo che in questa strofa si rimanga nell’ambito della storia “secolare”9 e che Dante inserisca sotto la lettera della verità storica altre verità filosofico-morali; come nell’allegoria dei poeti queste verità si nascondono sotto la «bella menzogna» della favola. Il tempo rappresentato in questa strofa è quello della storia della vita dell’autore, inserita in quella dei suoi contemporanei, ma questo tempo non si percepisce alla luce del senso allegorico dei teologi, vale a dire nell’ottica della salvezza grazie alla redemptio Christi, ma di una verità filosofico-morale, come accade nell’allegoria dei poeti. Si tratta di una verità di tipo “secolare”, di ordine umano, che in nessun modo va intesa come contrapposta a quella cristiana, bensì assimilata ad essa. Nella quinta strofa e nel suo corrispondente congedo, il passato e il presente della storia del soggetto, sentiti disforicamente come peso e mancanza, si costituiscono nel fondamento di un senso allegorico-morale, al margine, a mio avviso, della dimensione escatologica e di un soprasenso anagogico. E rispetto al tempo futuro, solo i primi due versi del secondo congedo hanno un significato prospettivo, fanno riferimento a una possibile azione futura del soggetto, proiettato metonimicamente nella sua canzone. In questi due versi: «Canzone, uccella con le bianche penne; / canzone, caccia con li neri veltri» (vv. 101-102), le immagini usate da Dante rendono oscuro il loro significato ma, come ho detto, l’oscurità della lettera, legata a una verità della storia, deriva sia dalla nostra difficoltà di individuare i fatti storici e biografici a cui Dante fa riferimento, sia, come ha dimostrato Carlos López Cortezo, dal nostro disconoscimento di aspetti del referente, in questo specifico caso l’arte della falconeria. Nella scena allegorica della prima parte della canzone scritta al modo dei poeti, l’opposizione fra il tempo presente della sconfitta e il tempo futuro della vittoria è più netta. Riguardo alla storia, le parole del dio Amore aprono la dimensione mitica e archetipica del tempo: «se noi siamo or punti, noi pur saremo» (vv. 70-71); «e pur tornerà 84 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... gente che questo dardo farà star lucente» (vv. 71-72). Il significato di questi versi, a mio avviso, non è allegorico nel senso escatologico dell’allegoria dei teologi, ma in quello utopico dell’allegoria dei poeti. Come ho detto, l’io lirico della canzone trabocca oltre i suoi limiti e penetra nello spazio dell’autobiografia e della storia. È un’operazione simile a quella della prosa del Convivio nel genere del trattato, dove l’autore intende trasmettere un’esperienza personale di saggezza, nata dall’integrazione di amore e di filosofia. Nel Convivio la scrittura autobiografica si innesta in quella dottrinale, il trattato nella storia di una vita; in questo senso, ricordiamo gli appelli all’autorità di Agostino e di Boezio per giustificare il parlare di sé: «Movemi timore d’infamia, e movemi desiderio di dottrina dare la quale altri veramente dare non può» (Conv. I, ii, 14). Dopo queste parole, Dante si permette di scrivere su se stesso e nei trattati primo (iii, 3-6) e secondo (xii, 1-7) farà un autoritratto paradigmatico dell’uomo in esilio. Questi brani del Convivio così come la canzone Tre donne, appartenenti all’ambito del dire, del legein e non del poiein, sono esempi di come la scrittura dell’io si fa strada nella letteratura volgare. Nel caso di Dante, la radice di questa scrittura è una mancanza, il vuoto generato dall’esperienza dell’esilio10. L’esilio, figura metonimica della storia, è l’origine della scrittura autobiografica nell’opera dantesca, e come vuoto e mancanza si lega nella canzone, in maniera archetipica, al motivo della colpa. L’autore stabilisce una relazione di causa-effetto tra le proprie azioni e gli eventi negativi della storia che l’hanno fatto esule e povero ramingo. La sua autobiografia si costruisce dunque intorno al vuoto inerente alla condizione di esule e da questa condizione cercherà il suo posto nella storia; si può così spiegare l’emergenza di quest’ultima nella sua scrittura: nella nostra canzone, nel Convivio e nella Commedia. 10. Per quanto riguarda l’emergenza dell’io e della storia nella scrittura poetica –Dante aveva fatto i primi passi nella prosa della Vita Nuova e poi del Convivio-, la canzone Tre donne è, a mio 85 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE avviso, di importanza cruciale. Nell’itinerario della sua scrittura poetica rappresenta un significativo tentativo di confluenza del genere lirico, dell’allegoria dei poeti e di quella dei teologi, di integrazione della personificazione astratta e della figura storica, e soprattutto dell’emergenza di se stesso come personaggio della propria scrittura poetica; il tutto è da considerare come una componente decisiva di quanto accadrà nella Commedia. Il fatto che prima di lui ci fosse il Roman de la Rose, poema impostato sull’allegoria d’amore, scritto in prima persona e con allusioni a personaggi storici – ma che non agiscono, non fanno parte dell’azione rappresentata-, il fatto che nel Tesoretto di Brunetto Latini si inseriscano elementi autobiografici e storici in una struttura fittizia, non toglie validità alle conclusioni sulla nostra canzone. Qui emerge in un modo nuovo il ruolo centrale dell’io poetico, e l’impressione rarefatta che possono darci le astrazioni delle prime quattro strofe svanisce di fronte all’atmosfera di concretezza e realtà che deriva dalla quinta strofa: qui il lettore si trova di fronte a un soggetto reale e alla sua storia. Dante si sta manifestando nella sua poesia come personaggio storico. 11. Questo personaggio storico diventerà figura tipologica nel senso dell’allegoria dei teologi, dell’allegoria in factis, nella Commedia. Diversi sono i passaggi del poema dove si inserisce la storia e la vita del poeta. L’episodio di Cacciaguida, impostato sulla tematica dell’esilio, si collega con la nostra canzone e può servire come esempio del modo in cui l’autore nella Commedia «restringe in un singolo nodo indispensabile» verba, res e signa. Qui Dante, figura «adempiuta», secondo Auerbach, proietta se stesso nell’eternità beata, grazie alla virtù teologica della speranza, ed è questo il senso dell’anagogia. Quest’ultima svela «le superne cose de l’etternal gloria» (Conv. II, i, 6): l’esilio dalla città terrena diventa figura dell’esilio degli uomini dalla patria celeste alla quale sono destinati a tornare. 86 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... Il discorso di Cacciaguida però parla anche del destino di Dante in termini umani, della sua storia e di quella dell’Italia, inserite nel quadro della storia universale, nell’ordine delle cose volute da Dio: «La contingenza, che fuor del quaderno / de la vostra matera non si stende, / tutta è dipinta nel cospetto etterno» (Par. XVII, 37-39), parole che conferiscono alle cose, persone ed eventi della Commedia lo stesso statuto di realtà dei fatti biblici e, di conseguenza, la loro partecipazione diretta alla storia della salvezza. La lettera del discorso di Cacciaguida ribadisce la condizione di esule di Dante, non «per ambage» ma «per chiare parole e con preciso latino» (Par. XVII, 31, 34-35): «Tu lascerai ogne cosa diletta /…/ Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui», poche frasi alle quali si aggiunge l’esperienza della «malvagia e scempia compagnia» (Par. XVII, 62) con cui il poeta si trovò a condividere quella dura condizione. In questo senso, se compariamo il ritratto che di sé ci dà il poeta nella quinta strofa della nostra canzone, relativa alla dimensione secolare della storia, con quello che ci propongono le parole di Cacciaguida, vediamo che nella Commedia il presente continua ad essere un vuoto; tuttavia a differenza della canzone, dove l’io si presentava nell’immanenza della storia secolare e dove la speranza di un possibile rinnovamento si proiettava solo nell’ambito utopico della scena allegorica, qui, nella Commedia, il vuoto attuale diventa un punto da cui Dante osserva il passato ed il futuro oltre lo stato di mancanza del tempo presente: nel passato egli ritrova la nobiltà di se stesso nella nobiltà degli antenati, e nel futuro scorge l’onore e la fama che gli verrano dalla scrittura del poema. Al tempo presente, che dovrebbe fondamentare la sua identità attuale storica, dedica pochissimi versi; il presente è soprattutto un punto di osservazione vuoto e strategico dove stanno la memoria e il desiderio: la historia del passato si risolve nella scrittura di quanto si è perso; e quella del futuro, nella scrittura della speranza nel rinnovamento politico e civile, ora fondato sulla redenzione cristica della storia. In quanto al senso morale, il terzo del canone quadripartito dell’allegoria dei teologi, si manifesta, come nella canzone, nella figura di Dante 87 LA BIBLIOTECA DE GRUPO TENZONE stesso, un uomo offeso dall’ingiustizia che con fermezza sopporta la prova; la famosa immagine del tetragono (Par. XVII, 23-24) sintetizza bene la qualità morale. NOTE 1 López Cortezo interpreta il livello allegorico-morale della canzone in primo luogo come bellum intestinum personale, e poi come conflitto storico civile (cfr. in questo stesso volume). Il significato morale della canzone avrebbe dunque una prima dimensione individuale e un’altra collettiva. 2 «Sopra ciascuna canzone ragionerò prima la letterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegoria, cioè la nascosa veritade; e talvolta de li altri sensi toccherò incidentemente, come a luogo e a tempo si converrà» (Conv. II, i, 15). Baránski pensa che «non ci siano difficoltà a conciliare le due affermazioni, le quali non sono, come alcuni ritengono, “contraddittorie”. Intorno all’inizio del XIV secolo era già largamente diffusa l’opinione che un piccolo numero d’opere pagane, prima fra tutte la quarta Egloga di Virgilio, non potessero rientrare completamente nei confini dell’allegoria dei poeti» (Baránski 1993: 552). 3 È possibile che l’aperta dichiarazione del significato della canzone della quinta strofa sia una delle ragioni che hanno indotto Nardi a considerarla come non allegorica, nonostante le parole di Dante nel primo congedo a proposito della sua oscurità. Per Nardi il significato della prima parte (le prime quattro strofe) diventa palese alla luce della seconda (quinta strofa). Ma, come abbiamo detto, anche se il senso della canzone si chiarisce alla luce della quinta strofa, molti aspetti del significato restano irrisolti. 4 Seguo l’edizione delle Rime a cura di G. Contini (Alighieri 1965a). 5 In questo senso, è da menzionare l’intuizione di Leopardi che considerava la Commedia come appartenente al genere lirico: «La Divina Commedia non è che una lunga lirica, dov’è sempre presente in campo il poeta e i suoi affetti» (Zibaldone, 4417, 3, nov. 1828). 6 Gorni osserva che l’allusione a intertesti evangelici che permettono di stabilire l’analogia Beatrice-Cristo, consente anche di vedere in lei «un’autentica figura di Cristo in terra», fatto che induce l’autore a considerare che «non sia abusivo applicare anche al prosimetro la categoria di realismo dantesco teorizzato da 88 Rosario Scrimieri LIRICA, ALLEGORIA E STORIA ... Auerbach. Tanta, pur tra tante mistificazioni, è la verità della storia, proiettata in una dimensione escatologica» (Gorni 1996b: XLIV). 7 Baránski segnala il momento in cui la fabula del viaggio allegorico si scontra con la historia (1987: 89): dopo i primi sessantatré versi, dominati dall’allegoria tradizionale moralizzante, dal bellum intestinum, dall’ambiente della psychomachia con le figure convenzionali della selva, le fiere, il viaggiatore perduto –tutte finzioni che nascondono delle verità morali al modo dell’allegoria dei poeti-, Virgilio presenta se stesso con grande precisione storica, in contrasto con il tono astrattoallegorico precedente, e continua con una terzina (vv. 76-78) che allude agli eventi dei primi sessantatré versi come se facessero parte della stessa realtà storica da lui appena presentata (Baránski 1987: 90). A sua volta il viaggiatore-pellegrino si presenta come una persona reale e parla delle sue disavventure nei pressi del «colle» come di esperienze che possono stare alla pari con la sua carriera poetica e la sua relazione discipolare con Virgilio di cui ha appena parlato. Gli interventi di Virgilio e di Dante che imbricano la storia con «le belle menzogne» dei primi sessantatré versi fanno cambiare il carattere del canto e anche l’intera Commedia. «Non siamo più nel dominio della fabula –dice Baránski- ma nel mondo delle historiae e, in particolare, in quello della storia profana» (1993: 556). 8 Un’alternanza di diversi destinatari si verifica nella canzone XLI, Io sento d’Amor la gran possanza, solo apparentemente dotata di due congedi poiché, come Contini osserva, il primo congedo, la cui struttura coincide con quella delle altre strofe, è in realtà l’ultima strofa della canzone. Qui Dante parla ai destinatari ideali della sua canzone: «Se cavalier t’invita o ti ritene, /…/ [Canzon] espia, se far lo puoi, de la sua setta, / se vuoi saver qual è la sua persona: / ché ‘l buon col buon sempre camera tene» (vv. 87-91). Nel congedo vero e proprio Dante invia invece la sua canzone a personaggi storici concreti, benché velati: «Canzone, a’ tre men rei di nostra terra / te n’anderai prima che vadi altrove: / li due saluta, e ‘l terzo vo’ che prove / di trarlo fuor di mala setta in pria» (vv. 97-100). 9 Il termine historia riguarda il senso profano della storia in opposizione a quello divino delle Sacre Scritture. Nella Summa Theologica di Alessandro di Hales si dice: «aliter est historia in sacra Scriptura, aliter in aliis. In aliis enim historia significatione sermonum exprimit `singularia gesta´ hominum /…/». La storia delle «singularia gesta hominum» non escludeva la possibilità di un’interpretazione morale e persino allegorica (Baránski 1987: 90). 10 Anche nella Vita Nuova la spinta alla scrittura sulla propria vita nasce da un vuoto, da una mancanza: la morte di Beatrice. 89