La scomparsa di un`amica
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La scomparsa di un`amica
esperienze La scomparsa di un’amica di Guido Miglietta, o.s.j. Ex alunni di una classe di liceo, a distanza di quarant’anni dal nostro esame di maturità, ci siamo trovati insieme perché la nostra compagna di scuola, la più brava e preparata, un’artista di teatro, a 58 anni è morta. L’incontro svela un vissuto di senso profondo, di speranza e unità. C on un’improvvisa telefonata, un compagno di liceo che non sentivo da anni mi informa che la nostra carissima compagna di liceo è morta, e mi chiede se posso partecipare al funerale il giorno seguente in un paesino dell’Italia del nord, a cinquecento chilometri da Roma. Al dolore per la notizia – proprio lei, F. era morta! – si unisce il disagio di non potere andare, pieno di impegni come ero per il giorno seguente, e il dispiacere di deludere la richiesta di chi mi aveva chiamato. Ne è nato uno scambio di e-mail tra compagni di classe – abbiamo finito la scuola trentanove anni fa – e da parte mia un breve emozionato commento su un giornale online della città dove lei era conosciuta per il suo teatro. Il compagno che mi ha avvisato si è trovato solo al funerale, distante cento chilometri dalla nostra città: nessuno di noi aveva potuto partecipare; certo c’erano i famigliari, il marito, la compagnia teatrale che lei aveva fondato. Cosa fare di più, insieme alla preghiera nell’Eucaristia? Dopo cinque anni passati insieme a scuola, dai 13 ai 18 anni, non avevo più saputo quasi nulla di lei. Alla cena del trentesimo dalla maturità, nel 2004, eravamo seduti accanto a tavola e lei raccontò che era andata in pensione e, finalmente, si poteva dedicare alla passione della sua vita: il teatro. La vita non ti permette di fare quello che sogni – diceva così – e bisogna crearsi gli spazi: finalmente la pensione. Senza civetteria, con la sua solita eleganza, aveva detto questo. Lei infatti si sottovalutava, si nascondeva dietro le parole. Gli dissi che ero interessato a vedere uno spettacolo della compagnia teatrale che aveva fondato ed ero disposto a viaggiare da Roma per farlo e parlarne su di un mensile di cui mi occupavo. Rare ma continue, da Un anno esatto dopo la sua morte, grazie al compagno che mi aveva telefonato, ci siamo organizzati. Ci siamo trovati una mattina di domenica nella nostra città – io ero arrivato da Roma la sera prima – tutti insieme, e siamo partiti con le macchine per andare al cimitero a novanta/cento chilometri di distanza. Ci spingeva il rispetto, la devozione, il dovere verso di lei: un po’ tutto questo e qualcosa di più. Entrammo nel piccolo cimitero disteso su un leggero promontorio tra i rilievi, le colline leggermente ondulate del paesaggio circostante. Era un luminoso mezzogiorno, e ci disponemmo in cerchio, diritti in piedi guardandoci tra di noi, 11 esperienze quel momento mi arrivavano le e-mail delle rappresentazioni teatrali che la sua compagnia offriva; mi faceva piacere il fatto che mi ricordasse. «Mi organizzerò e andrò», mi dicevo. Invece, ecco la notizia che... era morta. Sempre brava, di una bellezza gentile, la migliore nel rendimento scolastico; donna intelligente e discreta, ottima nelle interrogazioni e umile, il che le donava eleganza di comportamento. Dai 13 ai 18 anni le ragazze sembrano molto più grandi dei ragazzi loro coetanei e così era anche nella nostra classe; inoltre si aggiungeva il fatto che c’erano 20 ragazze e 8 ragazzi, oltre alla mia timidezza, il timore di entrare in relazione: tutti fattori sfavorenti le tante cose che le avrei voluto dire e chiedere. In una scuola media abbastanza tradizionale, lei parlava di letteratura contemporanea e teatro, andava a una scuola di dizione. Nell’uso dei congiuntivi era impareggiabile. «Come risolverà la frase?». Mi chiedevo mentre leggeva in classe il componimento che la professoressa di italiano le aveva fatto presentare: tranquilla, lei concludeva il periodo in modo perfetto. Sorpreso mi dicevo: «Certo, si può dire anche Stupiva che un ragazzo così!». Impareggiabile nell’uso del “ne” e del “vi”, la timido come me “perfezione” della lingua italiana. L’esperienza con i gen in quegli anni mi aveva dato parlasse e argomentasse, coraggio di prendere parte alla vita della scuola, per in assemblea, di il bene comune e in un periodo politicamente molto uguaglianza e di unità. caldo, il che mi aveva qualificato nelle assemblee di istituto. Stupiva che un ragazzo timido come me parlasse e argomentasse, in assemblea, di uguaglianza e di unità. Era questo un frutto di Chiara Lubich e del suo ideale dell’unità, sulla personalità non solo mia ma dei gen in genere. Allora già sentivo, e ora sento ancora di più, di amare questi miei compagni, di volere loro bene perché sono stati a me affidati, lo sono veramente. All’esame di maturità F. uscì con il voto migliore. Cosa farà poi? Dove andrà a studiare? Fu una dei tre/quattro di noi che lasciò la nostra città per gli studi universitari. Lei andò in un’università un poco distante, e scelse Legge. La sua scelta fece a me, a noi, molta meraviglia. Perché Legge? Perché scegliere la carriera di notaio? Con che prospettiva? Forse perché era intelligente e concreta, tanto da dare concretezza al suo ideale, il teatro, così che lei a un certo punto si trasformò, come poi fece, da fruitrice critica con un hobby di attrice a una professionista: ecco il salto che fece, e con successo professionale, tanto che non mancarono i riconoscimenti e la notorietà. esperienze 12 vicino alla sua tomba. Tra compagni di scuola non ci si può mentire e possiamo solo aprirci a condividere un vissuto profondo. «Guido, io non credo che ci sia una vita dopo la morte. Non credo che ci sia una vita dopo questa. Tu che ne dici?». La mia compagna, la bruna – una donna profonda, comunicativa, solleva la domanda. «Voglio sapere quello che pensi»: è un’invocazione o una condivisione? Altre e altri considerano opportuna la sua domanda. Perché lo chiedono a me? Me lo chiedono forse perché mi sono fatto prete e religioso quando nessuno se l’aspettava. «Tu cosa rispondi?»: sento la domanda diretta come quelle a Gesù per metterlo alla prova, ma qui non è tanto per questo, quanto per trovare una risposta. Siamo in piedi in cerchio, 18 compagni di classe vicino a F. che è morta. Non è questa la domanda all’esperto, non ci sono abituato. Viene in mente la parola di vita: «Siate sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi». I miei compagni, le mie compagne sono indifferenti, atei, sono cristiane e cristiani perché non possono dirsi non cristiani come dice Benedetto Croce. Sono certo sofferenti. Sono loro il mio Popolo di Dio. Prima di rispondere sento il dolore profondo per la mia compagna morta, come avverto il dolore di quest’altra compagna, che mi interroga, e sento la sua domanda, con un’aggiunta: «Perché lei? Perché il suo sogno è stato stroncato, il dolore per la vita infranta? Perché non c’è più per noi?». Il dolore di lei che mi interroga è anche il mio, il nostro, così come la ricerca Io non credo che ci sia di senso. Io non sono esente e lo dico, lo pronuncio forte «io non sono esente dalla domanda e dal buio una vita dopo la morte. dentro. Io non sono esente, io ce l’ho questo dolore». Mi Non credo che ci sia rendo conto che sono avvertito non come uno “contro” una vita dopo questa. ma come uno “con”, uno insieme ai miei compagni e compagne, un mediatore, uno messo proprio lì a dire Tu che ne dici? quello che mai avevo preparato. Quello che custodivo dentro il cuore, mi sembra, l’ho tirato tutto fuori, “mi sembra” dico perché tutto era spontaneo, niente era organizzato. Avrò parlato anche di Gesù, del suo “Perché”? So che l’ho abbracciato, nel dolore mio e dei miei compagni. Abbiamo cominciato a ricordare F., uno ha dispiegato un foglio e ha letto una poesia, un’altra ha pronunciato una preghiera, una un discorso diretto e altri dei ricordi. Ho saputo che lei, F., ha passato il dolore della malattia che l’ha portata alla morte, gli ultimi nove mesi, da sola. Soltanto in una lettera, all’amico che mi ha avvisato della sua morte, aveva fatto un accenno: «Sono malata e sembra che la vita mi stia portando via tutti i miei sogni...»: riferimento delicato per non agitare il nostro compagno, inoltre descriveva un tramonto dalla sua finestra proprio nel paesaggio dove noi eravamo immersi. Un accenno detto con molto riserbo, ma la sentivamo vicino a noi. Eravamo fortemente uniti tra noi, tanto che ho invitato a darci le mano per pregare insieme il “Padre nostro”, la preghiera di Gesù, includendo nel cerchio dove F. è sepolta. Guardavo i miei compagni che pensavo indifferenti, gli atei forse, e tutti insieme stavamo pregando, uniti, il “Padre nostro”: alcuni con lo sguardo in basso, concentrati. La nostra preghiera oltrepassava ogni confine e limite di tempo ed eternità. 13 esperienze Abbiamo scattato poi una foto di noi, che mi emoziona ogni volta che la rivedo. Mi sembra la prova che abbiamo ricevuto una grazia: siamo tutti sorridenti, gioiosi, vicino alla tomba di F., tanto che la foto ha fatto scandalo. Qualcuno dei nostri compagni, che non ha potuto partecipare, vedendo questa foto ha commentato: «Voi siete pazzi! Come potete andare in un cimitero e fare una foto di questo tipo, dove siete tutti sorridenti? Queste cose non si fanno in un cimitero!». Uno dei nostri compagni, quello che era stato al funerale l’anno prima, ci ha raccontato che lì tutti erano molto tristi: la compagnia teatrale della nostra compagna era presente al completo e, proprio al cimitero, uno di loro aveva parlato per tutti dicendo che non avevano alcuna intenzione di riproporre una famosa pièce che rappresenta il funerale di un regista; tanto che si chiusero in un mutismo assoluto senza alcuna comunicazione. È facile comprenderli. Avevano perduto la loro maestra, avevano perduto la loro regista. La nostra compagna però si è presa la sua rivincita con noi, i suoi compagni e le sue compagne, diventati i personaggi veri di un assoluto teatro della vita dove un Autore ci ha sollevati, vissuto con passione e amore.