Corrosione e protezione del composito Al 6061 T6/Al O p in

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Corrosione e protezione del composito Al 6061 T6/Al O p in
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P. Traverso, V. Romairone, M. Fassin
I compositi a base di alluminio sono materiali tecnologicamente avanzati con elevate proprietà fisico
meccaniche e sono considerati un’alternativa alle sue leghe tradizionali per l’utilizzo in campo marino.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di studiare l’influenza di alcuni parametri caratteristici
del composito Al 6061 T6/Al2O3p sul comportamento alla corrosione marina e testare il potere protettivo
e antifouling di alcuni rivestimenti organici di nuova generazione, per un impiego in campo navale.
I dati ottenuti per il materiale non protetto dai diversi tests, in accordo fra loro, hanno evidenziato
un attacco corrosivo inferiore quando il contenuto di particelle di allumina aumenta e quando
il composito è ottenuto mediante processo di estrusione. In prossimità della fase rinforzante, inoltre,
non sono stati evidenziati inneschi di corrosione localizzata, altrimenti presenti nella matrice.
Le prove effettuate con coatings a bassa energia di superficie hanno mostrato un marcato effetto
anticorrosivo e antivegetativo, in particolare per i rivestimenti siliconici, in grado di incrementare
e mantenere le performances del substrato.
Memorie
Corrosione e protezione del composito
Al 6061 T6/Al2O3p in ambiente marino
Parole chiave: corrosione, materiali compositi, rivestimenti, ecocologia, caratterizzazione materiali
INTRODUZIONE
P. Traverso, V. Romairone, M. Fassin
C.N.R.-I.S.MAR. – Sezione Tecnologie Marine (Genova)
Memoria pervenuta il 10 febbraio 2006
MATERIALI STUDIATI E METODI SPERIMENTALI
Nella prima parte di questo lavoro è stato testato il comportamento alla corrosione in acqua di mare di quattro differenti tipi di materiale composito, avente come matrice una lega
di alluminio 6061 T6 e come rinforzante particelle di allumina, denominati come:
A – composito con un contenuto del 10% (v/v) di particelle
di Al2O3, ottenuto da un processo con fase finale di colatura;
B – composito con un contenuto del 10% (v/v) di particelle
di Al2O3, ottenuto da un processo con fase finale di
estrusione;
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Nella vasta categoria dei materiali compositi a matrice metallica (MMCs) quelli a base di alluminio e rinforzati con
particelle non metalliche rivestono un ruolo di particolare rilievo a causa:
- della significativa quantità prodotta;
- del grande numero di possibili applicazioni;
- della “facilità” di attuazione del processo produttivo;
- del favorevole rapporto fra le caratteristiche tecnologiche
e il prezzo;
- della possibilità di effettuare lavorazioni meccaniche secondarie in maniera non dissimile alle leghe di alluminio.
Questi materiali sono costituiti da un sistema eterogeneo,
nel quale la fase non metallica è dispersa in una lega a base
di alluminio. Essi, in linea teorica, possono essere modulati
a seconda dell’applicazione, variando qualitativamente e
quantitativamente i parametri relativi alle diverse componenti (1,2). Tale caratteristica li rende particolarmente adatti
per usi specialistici, ad esempio in contesti aeronautici o automobilistici. Di recente sono stati anche proposti come materiali strutturali per l’utilizzo in ambiente marino, in alternativa alle leghe di alluminio convenzionali.
La microstruttura, più eterogenea delle leghe massive, può
però portare a rapido degrado nel caso di ambienti fortemente aggressivi (3,4).
Affinché i materiali compositi vengano utilizzati in modo
affidabile è quindi necessario valutare attentamente l’aspetto corrosionistico, analizzando dettagliatamente sia il materiale, sia l’interazione con l’ambiente in cui verrà utilizzato
(5-11). In particolare, l’attacco localizzato a cui sono suscettibili in soluzioni contenenti cloruri può essere ridotto mediante l’applicazione di rivestimenti protettivi o opportuni
agenti inibitori (12-14).
Per un utilizzo di tipo navale un rivestimento ha solitamente
il duplice compito di ridurre l’intensità dell’attacco corrosi-
vo e contemporaneamente evitare l’adesione di micro e macro organismi marini (fouling).
I coatings di nuova generazione da noi testati sono detti “a
bassa energia di superficie”, o anche “non-stick” e “fouling
release” e sono in grado di esplicare il loro effetto antifouling
grazie a fenomeni fisici risultando perciò totalmente ecocompatibili (15-17). Essi sono in genere caratterizzati da una
bassa energia di superficie, un limitato modulo elastico, una
buona adesione, un elevato potere protettivo e sono esenti da
biocidi (ad esempio da composti organostannici). In questo
contesto le nuove direttive internazionali in ambito “IMO”
(International Marittime Organization), che bandiscono l’utilizzo di prodotti contenenti organostannici, hanno incrementato l’interesse per questo tipo di rivestimenti che, sicuramente dal punto di vista ecologico, potrebbero essere i successori ideali dei prodotti tradizionali ad effetto chimico (18).
Lo scopo di questo lavoro è stato:
1. lo studio dell’influenza di alcuni parametri (contenuto di
fase rinforzante e tipologia del processo produttivo) caratteristici del materiale composito Al 6061 T6/Al2O3p
sul comportamento alla corrosione marina, in modo da
poterne valutare l’applicabilità e l’affidabilità in forma
non protetta;
2. la valutazione del potere protettivo e antifouling di due
rivestimenti organici a bassa energia di superficie, uno
siliconico e l’altro perfluorurato, ipotizzandone un utilizzo in campo nautico.
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C – composito con un contenuto del 20% (v/v) di particelle
di Al2O3, ottenuto da un processo con fase finale di colatura;
D – composito con un contenuto del 20% (v/v) di particelle
di Al2O3, ottenuto da un processo con fase finale di
estrusione.
La composizione nominale (in peso) della lega di alluminio
era la seguente:
Mg % Fe % Si % Cu % Zn % Mn % Cr % Ti % Al %
0.95
0.78 0.50
0.35
0.25
0.15
0.15
0.15
Rim.
I campioni utilizzati erano costituiti da dischi del diametro
di 15 mm e dello spessore di circa 1.5 mm. I provini venivano lucidati con carte abrasive fino al grado 800; in particolare quelli utilizzati per l’analisi della microstruttura sono stati inglobati in resina acrilica, sottoposti a un ciclo standard
di lucidatura della superficie con sospensioni diamantate fino a granulometria di 1 µm. Successivamente tutti i campioni sono stati sgrassati con metanolo, risciacquati con acqua
deionizzata e infine asciugati con aria.
Gli esperimenti sono stati condotti in laboratorio a 25°C in
acqua di mare naturale (salinità 3.5%, pH = 8.2, D.O. = 6.5
ppm), a pressione atmosferica e condizioni fluodinamiche
statiche.
Le prove sperimentali si sono articolate in prove elettrochimiche e di libera corrosione, dopo diversi tempi di immersione dei provini nella soluzione corrosiva.
I tests elettrochimici sono consistiti in polarizzazioni potenziodinamiche (anodiche e catodiche con una velocità di
scansione di 250 mV/h) in corrente continua, mediante le
quali sono state determinate la velocità di corrosione media
(dopo 2 ore di esposizione) e la suscettibilità alla corrosione
localizzata (dopo 2 ore, 5 e 15 giorni di esposizione).
Quest'ultimo parametro è stato misurato polarizzando anodicamente il campione, fino ad ottenere un brusco aumento
della corrente anodica, corrispondente al potenziale a cui avviene la rottura del film di protezione superficiale e indicato
come Ep. Al di sopra di esso ci troviamo in una zona di pitting, dove avviene la nucleazione dei siti di corrosione puntiforme. La differenza tra Ep ed Efc (potenziale di libera corrosione) è generalmente definita come intervallo di passività
RPit; in questo range non avviene la nucleazione dei siti di
innesco e quindi il campione risulta totalmente esente da fenomeni di attacco corrosivo localizzato. Subito dopo aver
raggiunto il valore di Ep, il potenziale del campione viene
abbassato gradualmente fino a che la curva (E, i) di ritorno
non incrocia la corrispondente curva di andata. Il valore del
potenziale all'intercetta tra le due curve è stato definito come
potenziale di protezione dal pitting Epp e la differenza tra
questo valore ed il potenziale di equilibrio è stata definita
come intervallo di passività perfetta PPd, nel quale il materiale è immune da corrosione localizzata ed i siti di attacco
eventualmente preesistenti vengono disattivati dalla deposizione dei prodotti di corrosione che si formano sulla superficie metallica, proteggendola da ulteriore dissoluzione.
Le prove di libera corrosione sono state condotte per un periodo di tempo variabile tra 5 e 60 giorni. Attraverso questo
tipo di test è stata misurata la perdita di peso dei campioni,
sommando la quantità di alluminio presente in soluzione
sotto forma di prodotti di corrosione solubili con quella presente nei prodotti di corrosione aderenti alla matrice metallica, opportunamente disciolti con una metodologia che consente di mantenere inalterato il substrato (19). La determinazione quantitativa dell’alluminio è stata effettuata mediante
spettrofotometria per assorbimento atomico.
I prodotti di corrosione sono stati caratterizzati mediante
spettrofotometria fotoelettronica a raggi X (XPS). Le analisi
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XPS sono state compiute utilizzando come sorgente di eccitazione la radiazione Kα del Mg (E=1253.6 eV) e gli spettri
sono stati ottenuti ad un vuoto migliore di 10-7 mbar, con un
angolo di rilevamento normale alla superficie. Il picco del
C1s (Binding energy, B.E. = 284.8 eV) ha costituito lo standard interno, sempre presente perché dovuto a contaminazione superficiale e utilizzato per valutare e compensare gli
effetti di caricamento dei campioni.
Informazioni relative alla morfologia, il tipo e l’entità dell'attacco corrosivo sono state ottenute con l’ausilio di un microscopio metallografico (OM), accessoriato con un sistema
di analisi di immagine e un microscopio a forza atomica
(AFM), lavorando in modalità “contact” con una sonda in
Si3N4 su un’area di 70x70 µm.
Nella seconda parte del lavoro è stata focalizzata l’attenzione sui rivestimenti a bassa energia di superficie (siliconici e
perfluorurati) applicati su campioni di materiale composito
A, aventi le seguenti caratteristiche chimico-fisiche:
Spessore
Rugosità
Durezza
rivestimento rivestimento rivestimento
(µm)
Ra (µm)
(Brinell)
Rivestimento
perfluorurato
145
0,9
62
Rivestimento
siliconico
200
0,3
<10
Lega Al 6061
T6/Al2O3p
-
4,0
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Tabella 1 – Caratteristiche chimico-fisiche dei rivestimenti testati.
Table 1 – Chemical-physical characteristics of tested coatings.
Si sono effettuate misure elettrochimiche di impedenza di
elettrodo in laboratorio e prove mediante spettrofotometria
IR e microscopia ottica, prima e dopo esposizione diretta in
campo, presso il pontile galleggiante situato in prossimità
della Stazione Marina dell’I.S.MAR.-Sezione di Genova.
Sono state compiute inoltre misure di angolo di contatto sui
due rivestimenti e sulla lega tal quale, mediante un apposito
sistema misuratore di angolo di contatto.
Dall’analisi globale dei dati ottenuti, sono stati valutati il
potere protettivo, il degrado e le proprietà antifouling di
questi coatings di recente formulazione.
Nella misura d’impedenza d’elettrodo si sovrappone al valore del potenziale di lavoro un segnale sinusoidale di piccola
ampiezza e di frequenza variabile per decadi da 10 kHz a 10
mHz. Per ciascuna frequenza si determinano le componenti
in fase e sfasata di 90° rispetto alla tensione sinusoidale. Le
due componenti, quella in fase, corrispondente alla parte
reale resistiva Z’, e quella in quadratura, ovvero la componente immaginaria capacitiva Z”, vengono rappresentate nel
diagramma polare di Nyquist, frequentemente utilizzato in
quanto rivela a prima vista il tipo di processo che si verifica.
Spesso viene considerato anche il formalismo grafico di Bode, in cui il modulo dell’impedenza (come log |Z|) e l’angolo di fase (come Φ, theta) vengono plottati in funzione della
frequenza (come log ω); ciò risulta particolarmente utile
quando abbiamo a che fare con processi aventi variazioni
della scala di impedenza molto elevate.
Il vettore impedenza risulta la componente di due vettori
(parte reale Z’ e parte immaginaria Z”) il cui modulo è descritto dalla relazione:
|Z| = (Z’2 + Z”2 ) 1/2
Tale modulo può essere, almeno in prima approssimazione,
considerato rappresentativo della resistenza alla corrosione
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Fig. 1 – Rappresentazione grafica di una misura d’impedenza
secondo i diagrammi di Bode e di Nyquist.
Fig. 2 – Modello fisico relativo a una goccia di liquido su un
substrato solido.
Fig. 1 – Graphic representation of an impedance measurements
according to Bode’s and Nyquist’s diagrams.
Fig. 2 – Physical model relating to a liquid drop on a solid
surface.
nel formalismo grafico di Nyquist. Utilizzando la rappresentazione grafica di Bode nel quale log |Z| è riportato in funzione della frequenza (log ω), possiamo considerare il valore asintotico massimo di |Z| raggiunto per i bassi valori della
frequenza, come indice del potere protettivo di un rivestimento (vedi figura 1).
Per quanto riguarda la determinazione dell’angolo di contatto, essa ci fornisce informazioni sull’energia libera di superficie del coating, una delle principali caratteristiche del film
protettivo non tossico.
Secondo Duprè (20):
che si possono dosare quantità di liquido con precisione inferiore al centesimo di µl (nel nostro caso 2 µl di acqua
deionizzata), a seconda della siringa che vi si monta. Si
aziona tramite un controllo manuale o tramite interfaccia remota. Un'interfaccia direttamente dal computer pilota le
quantità di liquido da dosare.
Il motorino è tenuto tramite un'asta e la siringa viene posizionata sopra un traslatore micrometrico su cui si posa il
campione da analizzare. Questo permette traslazioni nelle
tre direzioni spaziali. A un lato del traslatore è fissato il diffusore di luce che illumina il piano d'appoggio del traslatore.
La luce viene prodotta da un diffusore a LED che garantisce
una migliore stabilità nell'intensità e potenza diffusa. Di
fronte al diffusore è montata una telecamera; tramite questa
si riprende l'evolversi nella forma della goccia quando si
inietta o si aspira liquido e permette di acquisire immagini.
Le immagini acquisite, riportate sul computer, vengono analizzate da un programma che, fittando la forma della goccia,
fornirà automaticamente il valore dell'angolo di contatto.
Fls = Vgs + Vgl - Vls
dove:
Fls = forza necessaria per il distacco
Vgs = energia libera di superficie
Vgl = tensione di superficie del liquido
Vls = tensione interfacciale liquido/solido
La forza richiesta per separare un liquido da un solido è
quindi uguale alla somma dell’energia libera di superficie e
della tensione di superficie del liquido, meno la tensione interfacciale solido/liquido.
Pertanto minore è il valore dell’energia libera di superficie
del rivestimento polimerico e minore è la forza per staccare
il liquido dal solido e conseguentemente migliori saranno le
proprietà antifouling (minor numero di organismi marini
adesi e, quelli adesi, più facilmente staccabili).
L’energia libera di superficie è comunemente evidenziata e
calcolata mediante la goccia, di uno o più liquidi a caratteristiche note, dispensata sul film da esaminare. In questo sistema, formato dall’interfaccia di tre fasi: liquido/solido, liquido/gassoso, solido/gassoso, viene misurato l’angolo di
contatto “θ” delimitato dalle interfacce liquido/solido, liquido/gassoso (21) (vedi figura 2).
L’equilibrio del sistema è dato dalla formula (22):
Vgs – Vsl = Vgl cosθ .
La tabella 2 mostra i principali parametri ottenuti dai tests
elettrochimici sui campioni dopo 2 ore di esposizione in acqua di mare.
Materiale
composito
icorr
µA cm-2)
(µ
Ecorr
(mV)
Rp
Ω cm2)
(kΩ
A
B
C
D
0.053
0.041
0.033
0.032
-763
-780
-880
-834
120
164
217
228
Elettrodo di riferimento: SCE.
Tabella 2 – Parametri elettrochimici ottenuti dalle curve di
polarizzazione potenziodinamiche sui campioni di materiale
composito dopo 2 ore di esposizione in acqua di mare.
Table 2 – Electrochemical parameters obtained by
potentiodinamic polarization curves on composite samples after 2
hours of exposition in seawater.
In particolare, possiamo osservare che i valori della densità
di corrente di corrosione (icorr) e della resistenza di polarizzazione (Rp) rivelano un più basso attacco corrosivo (e similare in intensità) sui campioni contenenti un più alto contenuto di fase rinforzante (C e D).
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L’ampiezza dell’angolo di contatto θ è perciò strettamente
correlata all’energia libera di superficie, ovvero tanto maggiore sarà l’angolo di contatto, e in linea generale, tanto più
bassa risulterà l’energia libera di superficie.
Sperimentalmente, il liquido in esame viene dosato tramite
una siringa micrometrica comandata da un motorino che
preme o tira il suo stantuffo. Il motorino è tarato in modo
RISULTATI E DISCUSSIONE
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La tabella 3 illustra gli intervalli di passività e di passività
perfetta per i diversi tipi di materiale composito ottenuti per
tempi di immersione di 2 ore, 5 e 15 giorni.
Materiale
composito
Tempo di
esposizione
Rpit (mV)
(Ep-Efc)
Epp (mV)
(Epp-Efc)
A
2h
5gg
15gg
75
100
115
35
-25
0
B
2h
5gg
15gg
105
132
172
43
70
39
C
2h
5gg
15gg
128
186
207
90
111
100
Fig. 4 – Spettro XPS nella regione del rame, ottenuto su un
composito A prima (a) e dopo (b) 15 giorni di esposizione in
acqua di mare.
D
2h
5gg
15gg
131
200
223
88
117
104
Fig. 4 – XPS spectrum in Cu area, obtained on A composite before
(a) and after (b) 15 days of exposition in sea water.
Elettrodo di riferimento: SCE.
Tabella 3 – Intervallo di passività (RPit) e di passività perfetta
(Epp) per i campioni di materiale composito in funzione del tempo
di esposizione in acqua di mare.
Table 3 – Passivity range (RPit) and perfect passivity (Epp) for
composite samples versus exposition time in seawater.
Dalla tabella 3 è possibile osservare che in acqua di mare, dove
sono ovviamente presenti ioni cloruro, tutti i compositi esaminati sono suscettibili di corrosione localizzata; in particolare:
- il composito A ha un significativo dominio di passività,
ma l’intervallo di passività perfetta è molto ristretto;
- i compositi B, C e D rivelano un notevole e crescente range di passività (che raggiunge il valore di 223 mV per il
composito D), unitamente a un ampio dominio di passività perfetta.
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Fig. 3 – Grafico della perdita in peso in libera corrosione,
espresso come Al (µg/cm-2), ottenuto per i diversi campioni di
materiale composito dopo 5, 15, 30 e 60 giorni di esposizione in
acqua di mare.
Fig. 3 – Graph of free corrosion weight loss, expressed as Al
(µg/cm2), obtained for several specimens of composite material
after 5, 15, 30, and 60 days of exposition in sea water.
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In accordo con i dati elettrochimici, il grafico della perdita
di peso (figura 3) indica che i compositi C e D sono soggetti
a un limitato, e comparabile, attacco corrosivo, mentre fra i
campioni A e B è presente una marcata differenza.
L’esame al microscopio ottico rivela che i campioni contenenti il 20% di fase rinforzante presentano un numero minore di aree di corrosione localizzata. Su di esse inoltre l’attacco risulta essere di entità minore. Probabilmente un maggior
numero di particelle di allumina disperse nella matrice crea
una barriera fisica che ostacola la propagazione della corrosione localizzata. Questa forma di attacco non ha inizio all’interfaccia fra la matrice e le particelle bensì nella matrice
stessa. Ciò può essere correlato con una microstruttura non
omogenea della lega di alluminio, ad esempio per la presenza di fasi Al-Cu in quanto il rame è un elemento di aggiunta
nella lega Al 6061 T6 (23).
Le analisi XPS mostrano che la composizione dello strato
superficiale è costituita principalmente da ossidi, ossicloruri
e cloruri di alluminio. Nel dettaglio, un maggiore contenuto
in Cu è stato rilevato sui campioni sottoposti a corrosione rispetto a quelli non esposti in acqua di mare. La differenza
più alta è stata riscontrata per il campione A, come visibile
in figura 4. Questo fatto potrebbe confermare la presenza di
composti intermetallici Al-Cu che possono agire come catodo, inasprendo il fenomeno corrosivo nella matrice per effetti di tipo galvanico.
I compositi ottenuti per colatura (in particolare il tipo A), os-
Fig. 5 – Immagine AFM 3D di un composito di tipo A non
sottoposto a corrosione.
Fig. 5 – AFM 3D image of A type composite not submitted to
corrosion.
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Table 4 – Electrode impedance spectrometry
measurements results; value of the impedance module
(|Z|) for various exposition times, for A composite and
for two different kind of coatings.
MATERIALE
Rivestimento siliconico
Rivestimento perfluorurato
Lega Al 6061 T6/Al2O3p
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Tempo
di esposizione
Ω cm2)
|Z| (Ω
Composito A
Ω cm2)
|Z| (Ω
Rivestimento
Perfluorurato
Ω cm2)
|Z| (Ω
Rivestimento
Siliconico
4h
1gg
3gg
6gg
1,1 E4
1,9 E4
2,0 E4
3,0 E4
5,6 E9
4,7 E9
3,2 E9
3,2 E9
6,3 E10
6,3 E10
1,2 E11
1,2 E11
Angolo
di contatto (°)
112,0
115,5
92,5
Memorie
Tabella 4 – Risultati delle misure d’ impedenza
d’elettrodo; valore del modulo di impedenza (|Z|) per
diversi tempi di esposizione, per il composito A e per
due diversi tipi di rivestimenti.
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Tabella 5 – Valori di angolo di contatto ottenuti sui
due rivestimenti e sul substrato con acqua
deionizzata.
Table 5 – Contact angle values obtained on coatings
and on substrate with deionized water.
Fig. 6 – Spettri infrarossi effettuati su materiale
composito protetto da un rivestimento siliconico
prima e dopo 1 mese di esposizione in mare.
Fig. 6 – Infrared spectra made on composite material
protected by a silicone coating, before and after 1
month of sea exposition.
Fig. 7 – Provino in materiale composito tal quale (-a)
e dopo applicazione di un rivestimento perfluorurato
(-b) e di uno siliconico (-c); prima e dopo immersione
di 1 mese in acqua di mare naturale.
Fig. 7 – Composite material samples without coating
(-a) and after application of perfluorurate coating
(-b) and of silicone coating (-c); before and after one
month of immersion in seawater.
corrosione localizzata.
In tabella 4 compaiono i risultati delle misure d’impedenza
d’elettrodo, effettuate sul composito A tal quale e rivestito
dai due tipi di coating a bassa energia di superficie esaminati.
Come si può facilmente osservare, benché entrambi i rivestimenti rivelino un alto potere protettivo nei confronti del
substrato il valore del modulo di Z è di un ordine di grandezza maggiore per il rivestimento siliconico dopo un giorno di
immersione e aumenta a due ordini di grandezza dopo 3
giorni di immersione rispetto al rivestimento perfluorurato.
Tale proprietà si mantiene praticamente inalterata anche per
lunghi tempi di immersione, come hanno rivelato le osserla metallurgia italiana
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servati mediante microscopia ottica, evidenziano un gran
numero di porosità, macro e micro cavità e una distribuzione poco omogenea della fase rinforzante. Spesso sono visibili agglomerati di particelle che hanno la tendenza a raggrupparsi le une alle altre. Al contrario, i campioni ottenuti
mediante processo di estrusione mostrano un’omogenea distribuzione del rinforzo (senza una significativa presenza di
agglomerati) e assenza di porosità e di macro e micro difetti.
In particolare, nella figura 5 è possibile vedere un difetto fisico su un composito di tipo A non sottoposto a corrosione,
evidenziato mediante microscopio a forza atomica. Questa
micro cavità può agire come sito di innesco per fenomeni di
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vazioni al microscopio ottico e le analisi mediante spettrofotometria infrarossa. In particolare, esaminando gli spettri
non si notano significative variazioni dei picchi correlabili
alla composizione chimica superficiale al crescere del tempo di esposizione (figure 6).
Questo comportamento è indice di una elevata inerzia chimica del rivestimento, che non mostra né un degrado temporale significativo, né un insediamento di organismi marini.
Il diverso insediamento del fouling è già macroscopicamente visibile dopo 1 mese di immersione (figura 7); sul campione non protetto è riscontrabile una cospicua presenza di
insediamento di balani, serpulidi e di alghe (figura 7-a); tale
fouling risulta presente in forma minore sul campione rivestito dal coating perfluorurato (figura 7-b), e praticamente
assente, sul rivestimento siliconico (figura 7-c).
In tabella 5 sono riportati i valori degli angoli di contatto misurati per gocce d’acqua sui diversi provini. Tenendo presente la correlazione esistente tra l’angolo di contatto e l’energia di superficie di un materiale (ad angolo di contatto
maggiore corrisponde una minore energia superficiale), ci si
attendeva un buon comportamento antifouling da parte di
entrambi i rivestimenti, ma leggermente migliore da parte di
quello perfluorurato.
La comparazione di tali dati con l’esame visivo dei provini,
immersi per un mese in acqua di mare e mostrati in figura 7,
risulta discordante con le suddette considerazioni. Le foto
evidenziano infatti un più alto livello di inibizione all’insediamento del fouling per il rivestimento siliconico rispetto a
quello perfluorurato. Questo può essere spiegato dal fatto
che il potere antifouling di un rivestimento dipende non solo
dal valore dell’energia libera di superficie, ma anche da altri
parametri, quali per esempio lo spessore del film, la rugosità
e il modulo elastico, come evidenziato anche da Brady (24).
In questo contesto, infatti, il coating siliconico mostra globalmente caratteristiche chimico-fisiche migliori, che portano ad un miglior comportamento antifouling, di quello perfluorurato.
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CONCLUSIONI
1) I dati elettrochimici relativi a tutti i materiali compositi
testati evidenziano come l’intervallo di passività sia più
alto per i compositi del tipo A, rispetto alla matrice costituita dalla lega di alluminio 6061 T6, del valore dell’ordine dei 50 mV (25). In accordo con questo andamento, la perdita di peso della lega è circa maggiore del
10% del composito di tipo A. Noi possiamo affermare
quindi che da un punto di vista corrosionistico, i compositi rinforzati con particelle di Al2O3 possono essere
considerati un’alternativa alla lega di alluminio convenzionale.
2) Tutti i compositi esaminati evidenziano una marcata suscettibilità alla corrosione localizzata in presenza di ioni
cloruro. L’incremento di tenore di fase rinforzante e il
processo di estrusione sembrano ridurre gli effetti dovuti all’aggressività dell’ambiente. Si possono ipotizzare
alcune motivazioni che diano origine a tale fenomeno:
- la superficie esposta della matrice è inferiore. Di conseguenza la nucleazione dei pits e la possibilità di accoppiamenti galvanici è ridotta;
- le particelle possono agire come barriera fisica, così
da contrastare la propagazione della corrosione localizzata.
Il processo di estrusione influenza in modo più evidente
i compositi con minor contenuto di fase rinforzante; la
sua azione risulta essenziale nel ridurre i difetti quali
porosità e micro e macro cavità, permettendo di ottenere una più omogenea dispersione delle particelle nella
matrice.
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3) La composizione chimica dello strato di corrosione superficiale, ottenuta mediante analisi XPS, è risultata
qualitativamente e quantitativamente simile per tutti i
campioni. La sola differenza significativa era relativa al
più alto contenuto in rame rilevato sul composito A, rispetto ai campioni B, C e D. Questo aumento potrebbe
essere correlato alle fasi Cu-Al, che potrebbero diminuire la resistenza alla corrosione del materiale a causa di
un incremento dell’effetto galvanico.
4) Le prove elettrochimiche di impedenza di elettrodo condotte sui materiali compositi rivestiti con due coatings a
bassa energia di superficie (uno siliconico e uno perfluorato) evidenziano una eccellente protezione nei confronti del fenomeno corrosivo, in particolare da parte
del rivestimento siliconico.
5) Le potenziali proprietà antifouling dei due rivestimenti
sono state esaminate attraverso prove di angolo di contatto. Queste, effettuate con acqua, mostrano buoni risultati (alti angoli di contatto e quindi bassa energia libera di superficie) per entrambi i coatings, ma un miglior risultato è rinscontrabile per il coating perfluorato
rispetto a quello siliconico. Le immagini scattate ai provini rivestiti, dopo un mese di immersione in acqua di
mare, evidenziano però migliori proprietà antifouling da
parte del coating siliconico. Questa apparente discordanza è spiegata dal fatto che una bassa energia libera di
superficie è una condizione necessaria, ma non sufficiente per determinare le proprietà antifouling che risultano influenzate anche da altri parametri caratteristici
del rivestimento.
BIBLIOGRAFIA
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A.S. HAMDY, A.M. BECCARIA, T. TEMTCHENKO,
Surf. Coat. Technol. 155 (2002) p.155.
C
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CORROSION AND PROTECTION OF Al 6061 T6/Al2O3p
IN MARINE ENVIRONMENT
Keywords:
corrosion, composite materials, coatings, ecology,
materials characterization
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22) V. ROMAIRONE, Via Mare 4 (2004) p. 18.
23) S.C. GILL, W. KURZ, Acta Metall. Mater. 43 (1995)
p.139.
24) R. F. BRADY Jr, PCE 5, n° 8 (2000) p. 42.
25) A.M. BECCARIA, G. POGGI, D. GINGAUD, G. CASTELLO, Br. Corros. J. 29 (1994) p.65.
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zed corrosion areas.
XPS analyses showed that superficial layer is mainly composed of oxides, oxy-chlorides, and aluminium chlorides. In
particular, a larger quantity of Cu was detected on corrosion samples with respect to unexposed ones. In figure 4 this
Cu quantity difference, on A composite, before and after 15
days of exposition in seawater, was visible.
Casting composites (in particular A type), observed by optical microscopy, showed a great porosity, macro and micro
pits, and a small homogenous distribution of the reinforcing
phase.Extruded samples showed an homogenous distribution of the reinforcing phase, without agglomerates, pits or
defects. Figure 5 is an image made by an atomic force microscope and showed a micro-defect on uncorroded A composite, a possible starting site of localized corrosion.
Tests for evaluating protective properties of low surface
energy coatings, also called “non stick” or “fouling release” coatings (silicone and perfluorurate based), on composite materials essentially consisted in electrochemical measurements (EIS) (figure 1) and in analyses by IR spectrophotometry and optical microscopy. Tests were carried out before and after sample immersion in natural sea water. Results
(shown in tab. 4) pointed out that both coatings guarantee a
very high protection from corrosion. Indeed Z module value
is one order of magnitude larger after one day of immersion
and two order of magnitude larger after 6 days of immersion
for the silicone coating than for the perfluorurate.
The protective power of the silicone coating resisted for
long immersion time, as documented by microscope observations and infrared spectrophotometry analyses. In detail,
no significant variation in IR peaks, nor variation in chemical surface composition appeared (see figure 6). This behaviour indicates a coating characterized by an elevated chemical inertia.
Potential antifouling properties of silicone and perfluorurate coatings were also examined by contact angle measurements (figure 2). Good results were obtained for both coatings, but a larger contact angle, that could be associated to
a lower surface energy, resulted for perfluorurate coating
(see tab. 5).
Figure 7 macroscopically revealed the antifouling protection of these coatings. In these images (taken after 1 month
of immersion of coated samples in sea water) it could be noted that the silicone coating acted better than perfluorurate.
This behaviour may be explained by the fact that other parameters (the thickness of the film, the elastic module and roughness) are equally important to determine coating antifouling power.
la metallurgia italiana
53
10/2006
Aluminium composites are technologically advanced materials with elevated physical mechanical properties. They
can be considered an alternative to conventional aluminium
alloys for offshore applications.
In this work the behaviour of four different types of composites, having aluminium alloy 6061 T6 as matrix and aluminium particles as reinforcing, was studied. The composites
were different in aluminium particle contents and in productive processes (i.e. casting or extrusion). Protective and antifouling properties of two new generation organic coatings
(see Tab. 1) were also studied.
Experimental tests consisted in electrochemical and free
corrosion measurements after different immersion times in
natural sea water.
Electrochemical tests consisted in anodic and cathodic polarizations. Corrosion rate (after 2 hours of immersion) (see
Tab. 2) and localized corrosion susceptibility (after 2 hours,
5 and 15 days of immersion) (see Tab. 3) were obtained.
In particular corrosion current density (icorr) and polarization resistance (Rp) showed a lower corrosive attack on
samples containing more reinforcing phase.
In table 3 it is possible to note that all samples tested were
susceptible to localized corrosion in presence of chloride
ions. In particular: A composite (10% v/v Al2O3, obtained by
casting process) had a significant passivity domain, but a
very limited perfect passivity range; B (10% v/v Al2O3, obtained by extrusion process), C and D composites (20% v/v
Al2O3, respectively obtained by casting and extrusion process), revealed a wide and increasing passivity domain, together with a vast perfect passivity range.
Free corrosion tests had a variable time range (between 5
and 60 days) which allowed a sample weight measurements.
Figure 3 shows aluminium weight loss values versus immersion times for all tested composites. It can be noted that C
and D composites were subject to a slight corrosive attack.
A and B composites showed a higher weight loss.
Corrosion products were characterized by X-ray photoelectron spectroscopy (XPS). Morphology information, corrosive attack type and entity were obtained by metallographic
microscopy (OM) and by atomic force microscopy (AFM).
Optical microscopy analysis revealed that composites with
reinforcing phase at 20% showed a lower number of locali-
I
Memorie
18) G. SWAIN, PCE 4, n° 7 (1999) p. 18.
19) A.M. BECCARIA, E. MOR, G. POGGI, Werst. und
Korr. 34 (1983) p.236.
20) E. LINDER, Biofouling 6 (1992) p. 457.
21) V. ROMAIRONE, P. TRAVERSO, Pitture e Vernici
European Coatings 18 (2005).
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E. Mosca
Prendendo spunto dalla pubblicazione della nuova edizione della norma ISO 4498,
sono qui riassunte le indicazioni essenziali per una corretta esecuzione delle prove di macro
e microdurezza sui componenti sinterizzati metallici e sui metalli duri, ed è ampiamente commentata
la loro interpretazione, tenuto conto che la struttura di questi materiali presenta aspetti talmente
peculiari da aver richiesto la stesura di norme apposite, che sono pertanto richiamate nella bibliografia
insieme con quelle di carattere generale.
In particolare lo scopo è quello di fornire elementi per una corretta impostazione dell’assicurazione
qualità in campo industriale: in questo modo si può instaurare tra fornitore ed utilizzatore un rapporto
i cui termini siano reciprocamente accettabili, senza equivoci.
Memorie
Sinterizzati:
considerazioni sulle prove di durezza
Parole chiave: metalli, metallurgia delle polveri, collaudi e controlli, norme e statistiche
INTRODUZIONE AI METODI DI PROVA
Enrico Mosca
MACRODUREZZA (DUREZZA APPARENTE)
Nel caso dei sinterizzati la presenza della porosità residua
modifica l’interpretazione dei dati di durezza ricavati con le
prove tradizionali Brinell, Rockwell e Vickers introducendo
il concetto di durezza apparente: a parità di microstruttura la
durezza è tanto più bassa quanto maggiore è la porosità, in
termini pratici quanto minore è la densità.
la metallurgia italiana
35
10/2006
Tra i vari metodi a disposizione dell’assicurazione qualità,
la prova di durezza, per rapidità, semplicità d’esecuzione,
carattere non distruttivo e costo veramente contenuto, ha
un’eccezionale importanza per l’utilizzatore, purché ne faccia un uso corretto. La prova è applicabile a tutti i materiali
usati per la produzione di componenti meccanici e quindi
anche ai sinterizzati [1], adattando loro i metodi generali di
prova: a garanzia di una corretta determinazione, accanto a
norme generiche ne sono state elaborate di specifiche [2],
data la peculiarità della struttura.
Dal punto di vista delle proprietà d'impiego la durezza è proposta per identificare il comportamento del componente riguardo a:
- Resistenza a trazione (Rm) e carico al limite di deformazione permanente (Rs). Nel caso degli acciai compatti la correlazione è valida con buon’approssimazione per
strutture che devono essere omogenee per l'intera sezione
(nessuna differenza tra superficie e cuore) e presentarsi
nello stato ricotto, normalizzato o bonificato; invece non è
valida per strutture oggetto di incrudimento e per quelle
temprate, eventualmente rinvenute a bassa temperatura:
esistono comunque delle tabelle di conversione.
Riguardo ai componenti allo stato solo sinterizzato e omogenei dal punto di vista struttura e distribuzione della porosità, la durezza può essere usata per una stima indiretta e
approssimativa di Rm e, per inciso, (interessa il fornitore!)
della qualità della sinterizzazione.
Nel caso della prova col penetratore Vickers è stata proposta la prova di durezza strumentata che richiede uno strumento in grado di rilevare e registrare istante per istante il
valore della forza e della profondità di penetrazione durante
l’intera durata d’applicazione del carico (vedi norma DIN
50359-1, -2, -3): la prova (durezza universale) [3] presenterebbe numerosi vantaggi (tra i quali p. es. la determinazione
del modulo elastico). Recentemente sono state definite le
modalità d’interpretazione dei dati quando applicata ai sinterizzati [4], ma per ora non ci sono norme ad hoc.
- Resistenza all'usura. La correlazione è valida per quasi
tutte le forme con cui l'usura si manifesta, in particolare
nel caso dell'usura abrasiva.
Il meccanismo del fenomeno riguarda lo strato superficiale del pezzo: a parità di durezza intrinseca dello stesso e in
assenza di lubrificazione, il comportamento dei sinterizzati non si discosta significativamente da quello dei materiali compatti aventi la stessa composizione e struttura.
- Resistenza a pressioni localizzate (alla deformazione
plastica). E' insita nel modo stesso con cui la durezza è
determinata.
Il meccanismo del fenomeno riguarda la propagazione
della deformazione inizialmente elastica e poi plastica del
materiale a partire dallo strato superficiale a contatto col
penetratore [5, 6]: occorre ricordare che nel caso dei materiali compatti la deformazione avviene a volume quasi costante, perciò si può verificare risalita di materiale rispetto
alla superficie in prova in corrispondenza del perimetro
dell’impronta, mentre nei sinterizzati si ha densificazione
locale a spese della porosità residua, generalmente senza
alcuna risalita e accompagnata eventualmente da microfratture, tanto più evidenti quanto più fragile è la struttura
della matrice e maggiori le dimensioni dell’impronta rispetto alle dimensioni e distribuzione dei pori.
In Europa, in base ai carichi di prova, le durezze sono state
definite in passato come segue:
- Macrodurezza: prove eseguite con carichi di 9,81 N (al
limite 4,9 N) o superiori, applicati ai.vari tipi di penetratori in uso.
- Microdurezza: Prove eseguite con carichi di 0,98 N (o al
limite 1,96 N) o inferiori (prove Vickers e Knoop); i valori della durezza tendono a crescere quanto più basso è il
carico di prova.
- Durezza a carico ridotto: Prove (Vickers o Knoop) eseguite in casi particolari, con carichi compresi nell'intervallo macro e microdurezza.
Negli USA, per le prove di microdurezza, la ASTM E 384
specifica il campo 0,0098-9,81 N.
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A titolo d’esempio la fig. 1 riporta i valori di durezza
Vickers letti su campioni di ferro puro sinterizzato in funzione della densità e del carico di prova.
In dipendenza della forma del penetratore e del carico applicato su di un singolo campione, il microvolume interessato
dall’impronta includerà un numero variabile di pori. La norma ISO 4498 tiene conto di ciò nel prescrivere opportune
condizioni di prova, secondo il tipo di penetratore e il carico
ad esso applicabile, come risulta dalla tabella 1.
Inoltre, e a differenza degli acciai compatti, non è possibile
convertire tra loro i valori tra le diverse scale di durezza: in
caso di confronti è pertanto indispensabile mantenere la
stessa scala.
La norma prescrive di considerare la prova HV5 come prova
di riferimento per tutti i materiali purché abbiano proprietà
uniformi nella sezione, scegliendo poi le condizioni di prova
più opportune, secondo il livello di durezza con essa stabilito.
In caso di dubbio vanno scelte le scale del campo di durezza
inferiore.
MACRODUREZZA
Classe
di durezza
HV 5
Condizioni di prova
15 – 60
HV 5 (5 kg, piramide di diamante)
HBS 2,5 / 15,625 / 30
HRH (60 kg, sfera Ø 3,175 mm)
> 60 – 100
HV 5
HBS 2,5 / 31,52 / 15
HRH
HRB (100 kg, sfera Ø 1,5875 mm)
> 100 – 200
HV 5
HBS 2,5 / 62,5 / 10
HRF (60 kg, sfera Ø 1,5875 mm)
HRB
> 200 - 400
HV 10 (10 kg, piramide di diamante)
HBW 2,5 / 187,5 / 10
HRA (60 kg, cono di diamante)
HRC (150 kg, cono di diamante)
> 400
HV 20 (20 kg, piramide di diamante)
HBW 2,5 / 187,5 / 10
HRA
HRC
Note:
- I carichi sono espressi in kilogrammi forza (kgf)
- HBS sta per prova Brinell con sfera di acciaio (nel nostro caso il diametro
è 2,5 mm), mentre HBW sta per lo stesso tipo di penetratore, però con
sfera di metallo duro
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Tabella 1 – Controllo della durezza sui sinterizzati: condizioni di
prova indicate nella norma ISO 4498.
Fig. 1 – Sinterizzati con matrice di ferro puro: andamento delle
durezze Vickers in funzione della densità e del carico di prova.
Fig. 1 – Sintered parts with pure iron matrix: plot of Vickers
hardness as a function of density and test load.
Fig. 2 – Distribuzione dei valori di durezza Vickers in un
campione di:
________ Acciaio compatto
_ _ _ _ _ _ Sinterizzato
Table 1 – Checking hardness on sintered parts: test conditions
indicated in ISO Standard 4498.
Fig. 2 – Distribution of Vickers hardness values in a sample of:
________ Solid steel
_ _ _ _ _ _ Sintered steel
Ovviamente, come in tutte le misure, i dati relativi alle durezze eseguite sullo stesso campione sono affetti da dispersione; nella fig. 2 se ne mostra la distribuzione, con evidente
differenza tra campioni di materiale compatto e sinterizzato:
nel caso di quest’ultimo e a parità di struttura la durezza
massima è più bassa e l’asimmetria della distribuzione si
manifesta verso valori inferiori a quello modale.
Nel caso del sinterizzato la forma della distribuzione è tanto
più asimmetrica quanto più elevata è la porosità e basso il
carico di prova, in particolare nelle prove di microdurezza:
in questo caso, per quanto si cerchi di centrare una zona ap-
parentemente priva di pori, non è possibile rilevare presenza
e distribuzione dei vuoti sotto la superficie e questo spiega
la presenza nel diagramma di valori anormalmente bassi, anche quando l’impronta sarebbe geometricamente accettabile
I consigli riguardo alle prove da indicare nelle specifiche sono i seguenti.
Acciai:
- HRB (oppure HBS o HRF) per acciai solo sinterizzati oppure ossidati in vapore (attenzione: in questo caso la durezza diminuisce con l’aumentare della densità!);
- HRA oppure HRC per acciai sinterizzati temprati;
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la metallurgia italiana
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Caratteristica
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Campo dei
valori di Ripetibilità Riproducibilità
riferimento
Durezza HV5
50 – 100
200 – 300
9
35
15
63
Durezza HRB
20 – 45
80 – 100
4
5
9
9
Durezza HRA
20 – 30
55 – 73
3
3,5
5
4
Tabella 2 – Ripetibilità e riproducibilità di valori di
macrodurezza.
Table 2 – Repeatability and reproducibility of microhardness
values.
Prove di durezza BRINELL (ISO 6506)
• Durezza espressa come rapporto tra il carico applicato
(kgf) e la superficie dell’impronta (calotta sferica, mm2),
rilevata a partire dal diametro d
• Campo di validità: 0,6 < d < 1,5 mm (HB con sfera 2,5
mm)
• Spessore minimo del campione: 8 x profondità impronta
permanente
• Distanza tra bordo e centro impronta: > 2,5 d (Fe, Cu) e
> 3 d (Al)
• Distanza tra centri impronte: > 4 d (Fe, Cu) e > 6 d (Al)
Prove di durezza VICKERS (ISO 6507-1)
• Durezza espressa come rapporto tra carico applicato (kgf)
e superficie dell’impronta (mm2)
• Campo di validità: universale
• Spessore minimo del campione: 1,5 x d (d = semisomma
delle due diagonali)
• Angoli dell’impronta: chiaramente definiti
• Lati dell’impronta: senza apprezzabili distorsioni
• Asimmetria dell’impronta: ≤ 5% (su superfici bombate è
possibile applicare coefficienti di correzione, vedi la norma)
• Distanza tra bordo e centro impronta: > 2,5 d (Fe, Cu) e >
3 d (Al)
• Distanza tra centri impronte (d rilevata sull’impronta più
grande): > 3 d (Fe, Cu) e > 6 d (Al)
Il controllo industriale della macrodurezza può essere eseguito anche con le prove Rockwell superficiali usando le
scale 15N, 30N, 45N (penetratore a cono di diamante) e le
scale 15T, 30T, 45T (penetratore a sfera 1,5875 mm); non
esiste una norma specifica (quella generica è la ISO 1024),
perciò nel caso dei sinterizzati deve esserci accordo tra fornitore ed utilizzatore sulla gestione e interpretazione di queste prove.
MICRODUREZZA (DUREZZA VERA)
Le prescrizioni della norma ISO 4498 riguardo ai carichi da
utilizzare nelle prove di microdurezza sono riportati nella tabella 3.
Lo scopo è di definire la durezza intrinseca della matrice del
sinterizzato, quale potrebbe essere rilevata su di un materiale compatto di uguale composizione e struttura e quindi indipendente dalla densità, perciò la microdurezza è definita
convenzionalmente durezza vera.
Le prove devono essere condotte in modo da escludere per
quanto possibile l’influenza dei pori, centrando col penetratore zone della superficie apparentemente prive di pori affioranti.
la metallurgia italiana
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10/2006
Prove di durezza ROCKWELL (ISO 6508)
• Valori della durezza: sono in relazione inversa con la
profondità dell’impronta, che viene misurata
• Campi di validità delle varie scale:
HRA 20-88
HRC 20-70
HRB 20-100 (HRB ≤ 115, con sfera in metallo duro)
HRF 60-100
HRH 80-100
• Spessore minimo del campione: 10 x profondità impronta permanente
• Distanza tra bordo e centro impronta: > 2,5 d (minimo
1 mm)
• Distanza tra centri di impronte: > 4 x d (minimo 2 mm)
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Memorie
- HRA ed eventuale HV0,1 o HV0,2 su acciai sinterizzati
carbocementati o carbonitrurati; profondità di indurimento determinabile con traversi di durezza HV0,1 o HK0,1,
come per gli acciai compatti;
- HV0,1 – HV1 su acciai nitrocarburati o nitrurati.
Nel caso delle leghe di rame sinterizzate specificare la HRH
e per quelle di alluminio ancora la HRH o la HRE.
Tenendo conto del fatto che la dispersione dei dati aumenta
col diminuire del carico di prova, nel determinare la durezza
apparente è consigliabile utilizzare il carico massimo consentito da spessore del campione e ampiezza della zona su
cui eseguire l’impronta.
La norma ISO 4498, Annex B, riporta a titolo informativo i
dati di ripetibilità e riproducibilità delle prove Rockwell eseguite in USA su campioni di alcuni materiali sinterizzati in
accordo con la ASTM E 691 (dalle prove risulta che i valori
sono specifici per ogni materiale e la rispettiva condizione
strutturale!). Viene anche fornita la ripetibilità delle macchine di prova in sede di controllo coi blocchetti di taratura, e
infine la ripetibilità delle prove sui medesimi blocchetti.
In esperienze locali (condotte in 7 enti diversi, come specificato nella norma ISO 5725, su campioni appositamente preparati) si sono registrati i valori indicati nella tab. 2.
La determinazione della macrodurezza è soggetta ad alcune
regole:
• controllare periodicamente durometri e penetratori: verifiche coi blocchetti di taratura, certificati da laboratori accreditati;
• la durezza apparente è rilevabile non solo sui materiali
aventi durezza uniforme nella sezione ma anche su quelli
sottoposti a trattamenti di cementazione o a tempra ad induzione;
• l’uso di scale diverse da quelle indicate (pezzi sottili, aree
di prova limitate, il pezzo può deformarsi) è possibile, ma
va concordato fra fornitore ed utilizzatore;
• la scala da usare, il campo di durezza ed eventuali accorgimenti durante il controllo vanno concordati in sede di
collaudo;
• i campioni in prova devono essere piani e senza bave (appoggio corretto sull’incudine del durometro) e la superficie pulita e preparata se necessario con carta abrasiva
180-240;
• la prova di durezza entro certi limiti può essere usata per
verificare differenze locali di densità;
• si prescrive di eseguire il collaudo industriale su di un numero minimo di 5 pezzi; la durezza apparente è espressa
come media aritmetica di cinque impronte valide;
• non è permesso derivare direttamente valori di resistenza
meccanica a partire dai valori della durezza;
• nel rapporto di prova fare sempre riferimento alla norma
utilizzata e specificare tutti i dettagli indispensabili all’identificazione dei campioni
Riguardo all’esecuzione pratica delle prove le principali indicazioni sono le seguenti (vedere le norme per avere il quadro completo!).
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Memorie
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MICRODUREZZA
HV 0,05
HV 0,1
HV 0,2
HK 0,1
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Tabella 3 – Microdurezza:
condizioni di prova.
Table 3 – Microhardness:
test conditions.
Fig. 3 – Confronto tra distribuzione dei pori e dimensione
d’ipotetiche impronte (densità 6,5 g/cm3).
Fig. 3 – Comparison between pore distribution and size of
hypothetical indentations (density 6,5 g/cm3).
A HV5 = 150
C HV0,1 = 150
B HV5 = 750
D HV0,1 = 750
Fig. 4 – Confronto tra distribuzione dei pori e dimensione
d’ipotetiche impronte (densità 7,2 g/cm3).
Fig. 4 – Comparison between pore distribution and size of
hypothetical indentations (density 7,2 g/cm3).
10/2006
A HV5 = 150
C HV0,1 = 150
B HV5 = 750
D HV0,1 = 750
E’ sconsigliabile utilizzare la HV0,05 ai fini dell’assicurazione qualità, perché soggetta a difficoltà di lettura delle impronte e ad eccessiva dispersione dei valori.
La microdurezza Vickers è ancora espressa come rapporto
tra il carico applicato (kgf) e la superficie dell’impronta
(mm2).
Nel caso della microdurezza Knoop (simbolo HK, seguito
dal carico sul penetratore), a differenza della Vickers,la durezza è espressa come rapporto tra il carico applicato in kgf
e la superficie proiettata dell’impronta, in mm2.
Le fig. 3 e 4 mostrano le dimensioni delle impronte rispetto
38
la metallurgia italiana
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alla distribuzione dei pori sulle superfici di sinterizzati a base ferro, con due diversi livelli di densità; i perimetri delle
impronte sono stati tracciati in funzione di due diversi ipotetici valori di durezza che si sarebbero potuti rilevare con la
lettura al microscopio: gli esempi chiariscono nei vari casi le
possibili interazioni impronte/pori.
Il controllo della microdurezza di solito è eseguito per accertare il risultato di processi d’indurimento, essenziale ai fini del comportamento tribologico dei pezzi, in particolare
della loro resistenza ad usura. La prova HK0,1 può essere
impiegata in luogo della HV0,1: è stato affermato che potrebbe presentare una dispersione minore rispetto alla
Vickers, grazie alla minore profondità di penetrazione e al
fatto che si legge la lunghezza della sola diagonale maggiore, ma questo è valido se la porosità è limitata e non finemente distribuita; i sinterizzati ottenuti a partire da polveri
ridotte invece che atomizzate sono più problematici da sottoporre alla prova Knoop!
Eseguendo le prove sullo stesso campione i valori della microdurezza tendono a crescere con la diminuzione del carico
sul penetratore (vedi fig. 1) e, nei campioni con uguale struttura ma diversa densità, la microdurezza tende a diminuire
con l’aumentare della porosità.
E’ importante ricordare che i microdurometri devono essere
posizionati su tavoli antivibranti, altrimenti c’è il rischio
concreto che il valore della microdurezza sia alterato per effetto delle accelerazioni (variazioni di carico) impresse al
penetratore durante la formazione dell’impronta.
Dal punto di vista dell’assicurazione qualità non è possibile
dare valori di riproducibilità a causa di:
• differenze nella preparazione superficiale dei campioni;
• soggettività nella lettura delle impronte: nel leggere la stessa impronta spesso c’è discordanza tra i diversi operatori;
• soggettività nella decisione se scartare o conservare valori
(apparentemente dubbi o troppo bassi) da inserire poi nei
calcoli.
I problemi si hanno anche nella determinazione della ripetibilità: la dispersione è elevata ed è dell’ordine di 50 HV su
strutture omogenee e sale a 90 HV su quelle non omogenee,
come verificato sperimentalmente da diversi operatori su
campioni di durezza intorno a 650 HV. Infatti, l’altro motivo
di perplessità è la disomogeneità strutturale dei pezzi sinterizzati da polveri elementari o polveri prelegate per diffusione; temperatura e durata della sinterizzazione sono insufficienti per realizzare l’omogeneizzazione completa della
struttura ed il fenomeno è particolarmente evidente p.es. negli acciai legati sinterizzati e poi temprati, in cui possono
trovarsi isole con struttura martensitica insieme con altre
aventi invece struttura austenitica; in questo caso l’attacco
metallografico può essere d’aiuto.
La determinazione della microdurezza è soggetta ad alcune
regole:
• c’è accordo internazionale sul modo di eseguire le prove
(vedi anche ISO 4516 per quanto riguarda precauzioni,
modalità d’applicazione dei carichi, ecc.) ma non sulla loro interpretazione, da concordare tra fornitore ed utilizzatore: in caso di contestazione le prove devono essere eseguite sullo stesso campione;
• è indispensabile la preparazione metallografica della superficie (vedi ISO TR 14321), in modo da evidenziare la
presenza di pori superficiali; eventuale attacco metallografico per identificare localmente la struttura, in particolare nel caso di disomogeneità;
• controllare periodicamente il microdurometro (verifica
coi blocchetti di taratura), sia i penetratori (assenza di
scheggiature)
• la microdurezza è rilevabile su tutti i materiali sinterizzati,
inclusi quelli sottoposti a trattamenti d’indurimento superficiale (cementazione, tempra ad induzione, trattamenti laser); nel caso in cui i sinterizzati siano sottoposti a rivesti-
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Posizionamento delle impronte Vickers
(d = semisomma delle due diagonali)
• Profondità dell’impronta (~1/7 d) < 1/3 dello spessore dello strato da caratterizzare, supposto omogeneo
• Angoli dell’impronta: chiaramente definiti e senza segni
di sfondamento
• Lati dell’impronta: senza apprezzabili distorsioni
• Asimmetria dell’impronta (differenza tra le due diagonali): contenuta entro il 5%
• Distanza tra bordo e centro impronta: > 2,5 x d
• Distanza tra i confini della fase metallica segnati dai pori e
centro impronta: > 2,5 x d
• Distanza tra centri impronte: > 2,5 x d (diagonale dell’impronta più grande)
• Distanza tra angoli dell’impronta e un poro oppure confine di un rivestimento > 2,5 x d.
Le diagonali dell’impronta dovrebbero essere misurabili con
una precisione migliore di ± 0,5 µm (secondo ISO 4507), e
questo dipende dall’ottica del microscopio montato sul microdurometro. Per avere un errore di lettura relativo ≤ 5% la
norma ISO 4516 propone d ≥ 16 µm, ma la ISO 4498 consiglia invece di scegliere il carico in modo che l’impronta abbia d ≥ 20 µm.
Con la limitazione dei 20 µm i valori massimi leggibili diventerebbero:
HV0,05 = 231 (220 – 243)
HV 0,1 = 463 (441 – 488)
HV 0,2 = 927 (882 – 975)
Tra parentesi sono indicate le dispersioni per effetto dell’errore di lettura (± 0,5 µm) ammesso dalla norma ISO 4507.
DUREZZA DEI METALLI DURI
Tra i vari materiali sinterizzati i metalli duri rappresentano
un caso particolare: essi sono caratterizzati da una struttura
in cui c’è assenza pressoché totale di pori (la cui presenza
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sarebbe a scapito della qualità e quindi delle prestazioni
nell’impiego) e, nell’eseguire le prove, il livello di durezza
particolarmente elevato ha richiesto l’elaborazione di norme ISO specifiche, che tengono conto della precisione di
lettura (entro 0,2 o meglio 0,1 HRA) e della preoccupazione di evitare danni al penetratore data l’elevatissima pressione specifica sulla punta del cono o della piramide di diamante.
Le principali indicazioni sono le seguenti (vedere le norme
per avere il quadro completo).
Prova Rockwell (HRA, ISO 3738/1)
• Verificare periodicamente durometri e penetratori; verifiche (media di tre letture) coi blocchetti di taratura: differenza ammessa ± 0,5 HRA
• I blocchetti di taratura devono essere preparati e calibrati
come indicato nella norma ISO 3738/2
• Preparare la superficie in modo da ottenere una rugosità
Ra ≤ 0,2 µm, rimuovendo da essa uno strato di almeno 0,2
mm, senza alterare la struttura
• Raggio di curvatura della superficie ≥ 15 mm, altrimenti
realizzare un piano di almeno 3 mm di larghezza
• Spessore del campione ≥ 1,6 mm
• Parallelismo entro 1% tra piano di prova e quello dell’incudine del durometro
• Distanza tra due impronte o tra un’impronta e il bordo del
campione: ≥ 1,5 mm
La durezza HRA del campione è data come media aritmetica
di almeno tre impronte, arrotondata a 0,2 (0,1) HRA.
Prove Vickers (ISO 3878)
• Verificare periodicamente durometri e penetratori come
indicato nella ISO 146
• Preparare la superficie (vedi ISO 4505) rimuovendo da essa uno strato di almeno 0,2 mm, senza alterare la struttura
• Spessore del campione: ≥ 1 mm
• Carichi di prova: da HV1 a HV50; preferibile HV30, ma
attenzione a convertire i valori in altre scale (in particolare
HRA)!
• Distanza tra centri di due impronte ≥ 3 x d (semisomma
delle due diagonali dell’impronta più grande), e tra centro
impronta e bordo ≥ 2,5 x d
La durezza Vickers è data come media di almeno tre impronte, arrotondata a 10 HV.
Esistono tabelle non ufficiali di conversione tra HRA e
HV30: data l’assenza di norme di riferimento vanno utilizzate con prudenza e a parità di composizione e struttura!
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Raccolta dei dati
I durometri moderni sono equipaggiati in modo da applicare
i carichi in modo pressoché automatico, come previsto nelle
norme; le letture basate sulla determinazione della profondità dell’impronta o della sua area in proiezione sono digitalizzate e pertanto elaborazione e archiviazione dei dati è facilitata e meno soggetta ad errori: dal punto di vista del tecnico che li raccoglie, l’affidabilità è legata alla sua professionalità ed alla diligenza con cui segue le prescrizioni operative contenute nelle norme e tiene conto delle peculiarità
della struttura dei sinterizzati.
Interpretazione dei dati
Chi deve decidere quanto la durezza sia in relazione con il
comportamento in opera dei pezzi oggetto del controllo deve farlo evitando di attribuire ad essa un significato oltre
quello che essa sia in grado di fornire.
In genere la durezza concorre con altre proprietà fisico meccaniche ad offrire al progettista il quadro di riferimento.
la metallurgia italiana
39
10/2006
Posizionamento delle impronte Knoop
(D = diagonale maggiore; d = diagonale minore; d )
• Profondità dell’impronta (1/30 D) < 1/3 dello spessore
dello strato da caratterizzare, supposto omogeneo
• Angoli e lati dell’impronta: vedi Vickers
• Distanza tra bordo e centro impronta oppure tra centri impronte in direzione perpendicolare a D: 50 µm
Rispetto alla lettura dell’impronta Vickers, la Knoop presenta
maggiore imprecisione nella misura di D, poiché in corrispondenza di essa gli spigoli dell’impronta sono meno definiti.
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menti chimici (galvanici, CVD) oppure fisici (PVD, bombardamento ionico) valgono le indicazioni della norma
ISO 4516.
La microdurezza è data come media aritmetica di cinque impronte valide; è tuttavia consigliabile escludere dai calcoli i
valori palesemente bassi. E’ quindi opportuno disporre di un
numero maggiore d’impronte, per scartare quelle sospette.
Nel caso in cui occorra verificare la profondità d’indurimento, la norma da seguire è la ISO 4507 ed è preferibile adottare la prova HK0,1 rispetto alla HV0,1, in quanto nel caso di
quest’ultima l’errore nella determinazione delle diagonali
dell’impronta può diventare significativo oltre 500 Vickers,
se il potere risolutivo dell’ottica a disposizione è al limite di
quanto previsto dalla norma.
A titolo d’esempio, la norma ISO 4498 fornisce la ripetibilità r e riproducibilità R delle prove HV0,1 (r = 42,9 e R =
177,8) e HK 0.1 (r = 22,4 e R = 76) su campioni di durezza
intorno a 700.
Riguardo all’esecuzione pratica delle prove di microdurezza
(norma ISO 4498), le principali indicazioni sono riportate qui
di seguito (vedere le norme per avere il quadro completo!).
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Durezza come specifica a disegno
Nel caso dei sinterizzati è essenziale ricordare che la presenza più o meno rilevante dei pori obbliga ad introdurre il concetto di durezza apparente, nuovo per chi è abituato a specificare questa caratteristica nel caso dei materiali compatti: la
durezza apparente è funzione della densità e, a parità di
struttura, è in ogni modo inferiore a quella che si sarebbe rilevata in assenza di pori.
E’ opportuno che il progettista concordi col fornitore il tipo
di prova, la zona del pezzo da sottoporre al controllo e infine
il valore da indicare a disegno.
Nel caso in cui il progettista fosse interessato alla durezza
intrinseca della matrice, a disegno deve specificare la microdurezza; in questa circostanza i valori sono in pratica
uguali a quelli che sarebbero stati prescritti per strutture
compatte.
BIBLIOGRAFIA
1. ASSINTER – Guide to the quality assurance of sintered
parts, Torino, 2000
2. Prove di durezza sui sinterizzati. Norme ISO specifiche:
- 4498 Sintered metal materials, excluding hardmetals.
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- 4507 Sintered ferrous materials, carburised or carbonitrided. Determination and verification of case hardening depth by a micro-hardness test
- 3738/1 Hardmetals. Rockwell hardness test (scale A).
Part 1. Test method
- 3878 Hardmetals. Vickers hardness test
Norme ISO generiche – Prove Rockwell
- 6508 Metallic materials. Hardness test. Rockwell test
(scales A-B-C-D-E-F-G-H-K)
- 3738/2 Hardmetals. Rockwell hardness test (scale A).
Part 2. Preparation and calibration of standard test
blocks
- 716 Metallic materials. Hardness test. Verification of
Rockwell hardness testing machines (scales A-B-C-DE-F-G-H-K)
- 1024 Metallic materials. Hardness test. Rockwell superficial test (scales 15N-30N-45N-15T-30T-45T)
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SINTERED METAL MATERIALS:
COMMENTS ON HARDNESS TESTING
Keywords:
metals, powder metallurgy, testing and inspection, standards
This paper discusses the importance of hardness tests from
an engineering point of view, pointing out how to consider
the use of hardness values in relation with the behaviour of
PM components in service, taking into account the residual porosity and possible lack of homogeneity in their
structure.
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- 1079 Metallic materials. Hardness test. Verification of
Rockwell superficial hardness testing machines (scales
15N-30N-45N-15T-30T-45T)
Norme ISO generiche – Prove Brinell
- 6506 Metallic materials. Hardness test. Brinell test
- 410 Metallic materials. Hardness test. Tables of Brinell
hardness values for use in tests made on flat surfaces
- 156 Metallic materials. Hardness test. Verification of
Brinell hardness testing machines
Norme ISO generiche – Prove Vickers
- 6507/1 Metallic materials. Hardness test. Vickers test.
Part 1: HV5 to HV100
- 6507/2 Metallic materials. Hardness test. Vickers test.
Part 2: HV0,2 to less than HV5
- 409/1 Metallic materials. Hardness test. Tables of
Vickers hardness values for use in tests made on flat
surfaces. Part 1: HV5 to HV100
- 409/2 Metallic materials. Hardness test. Tables of
Vickers hardness values for use in tests made on flat
surfaces. Part 2: HV0,2 to less than HV5
- 146 Metallic materials. Hardness test, Verification of
Vickers hardness testing machines
- 640 Metallic materials. Hardness test. Calibration of
standard test blocks to be used on Vickers hardness testing machines
Norme ISO generiche – Prove di microdurezza
- 6507/3 Metallic materials. Hardness test. Vickers test.
Part 3: less than HV0,2
- 4516 Metallic and related coatings. Vickers and Knoop
microhardness tests
- 2639 Steel. Determination and verification of the effective case depth of carburised and hardened cases
Norma DIN 50359: Universal hardness testing of metallic materials. Part 1: Test method. - Part 2: Verification
of testing machines. – Part 3: calibration of reference
blocks
G.F. Bocchini, G. Silva – Sviluppo ricerche presso il Politecnico di Milano (risultati in corso di pubblicazione)
ASM Handbook Vol 8 – Mechanical testing ed evaluation – ASM International, Materials Park, Ohio, 2000,
197-287
G.E. Dieter, Mechanical metallurgy, Mc Graw-Hill,
1988, 325-337
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Having taken the ISO standard 4498 as the starting point,
hardness testing conditions are examined underlining their
interpretation as regards both the so called apparent hardness and especially microhardness, and giving comments
useful both to the technicians carrying out the tests and to
inspectors involved in quality assurance: from an industrial
point of view only in this way it seems possible to establish a
correct relationship between suppliers and users. A summary of test conditions and rules regarding common PM
materials and hardmetals are also given: in order to have
full reference on this subject all ISO standards relevant to
this subject and published up to now are listed.
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Ahmed Y. M. Z., Riad M. I., Sayed A. S., Ahlam M. K., Shalabi M. E. H.
There are many factors which control the porosity of the final object during preparation of porous
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Correlation between factors
controlling preparation of porous copper
via sintering technique
using experimental design
copper compact using PM (powder metallurgy) technique.
The amount of filler material, its type, sintering temperature, sintering time and the pressure
of compaction were recognized as the most important parameters. In this investigation, naphthalene was
used as filler material during porous copper preparation. Also, the correlation between these parameters
and the porosity degree of the final object was developed with the aid of 2N factorial design experiments.
It was found that the amount of naphthalene represents the most important parameter controlling
the porosity degree in the final object.
Key words: Porous copper, Powder metallurgy, Porosity, Naphthalene, Factorial design
INTRODUCTION
Over the past few decades, metals containing a number of
voids (pores) have been studied and interest is growing in
development for different industrial applications. Since, the
importance of developing of such materials arises from its
unique properties of low density and high specific surface
area [1-5]. These porous metals provide specialized products for applications, such as filtration, fluid flow control,
self-lubricating bearing, battery electrodes, etc.
There are various processes that could be used in preparation of porous metal such as vapor deposition, solid- gas eutectic solidification (GASAR) method [6,7], casting, and
powder metallurgy (PM) [8]. The PM process was proved to
be the most economic, feasible and promising technique in
manufacturing of porous metal parts. Also, with using such
technique there are almost no constrain considering complexity of the outer shape and geometry of the final porous
metal object. PM techniques comprise foaming of the precursor prepared by compacting of powdered metal or alloy;
whereas the pore forming gas is developed during melting
of this precursor from admixed foaming agent [9]. The powder must be thoroughly compacted in order to seal the particles of foaming agent. This avoids the premature release of
the gas on heating. PM porous metal can be prepared with
gradiently variable pore size and also with preferred orientation of pores. Unfortunately, the mechanical properties of
such materials are in many cases very poor, particularly under tensile loading [10-12]. Accordingly, it is important to
control the various parameters affecting the porosity, pore
size and morphology as well as the mechanical properties of
the produced object. These affecting factors are the sintering
temperature, the sintering time, the pressure of compaction
Sayed A. S., Ahlam M. K.
Faculty of Science, Helwan University, Cairo, Egypt.
Paper presented on March 9, 2006
la metallurgia italiana
41
10/2006
Ahmed Y. M. Z., Riad M. I., Shalabi M. E. H.
Central Metallurgical Research and Development Institute, Cairo, Egypt.
as well as the amount, type, size of the foaming agent.
The preparation of porous metal was an interesting subject
for many investigators. Leong and Liu [13] used copper
powder of 63µm average size mixed with Emultex D64,
which is a water-based binder. This produced like a paste
feedstock which was then compacted in a mold container to
obtain rectangular specimens and sintered at 800°C and
1000°C. The authors indicated that the advantage of these
sintered wicks appears to be attributed to the existence of
smaller pores with the controllability of porosity, and pore
size that optimize heat pipe performance.
Zhao et al. [14] illustrated that Cu foams with porosity in
the range 50–85% and cell sizes in the range 53–1500µm,
had been manufactured by blending, compaction and sintering of Cu and K2CO3 powders followed by removal of
K2CO3.
Zhao et al. [15] found that the cell morphology and size of
the final Al-foam closely match those of the NaCl particles
which used as foaming agent particles. The green porosity
decreased with increasing compaction pressure and NaCl/Al
ratio, where the foam porosity is 2–4% higher than the initial volume percentage of NaCl.
Takage and Yamauchi [16] indicated that the sublimable solid substance powder could be added to form pores having a
predetermined diameter of 1 to 600µm in the porous body.
The kind of the sublimable substance is not particularly restricted, so far as it is easily sublimated at a temperature of
200 to 800°C without any substantial residue being left. At
least one member selected from camphor, menthol and
naphthalene is ordinarily used as the sublimable substance.
Laptev et al. [17] used ammonium bicarbonate and carbamide powders as the filler materials for producing porous Ti
parts. As both carbamide and ammonium bicarbonate decompose at 200°C, the porous metal structure is prone to
collapse before strong bonding between the metal particles
is formed at the sintering temperature. It is also hard to control the cell shape because of the significant shrinkage involved. Another problem of this method is that the decomposition of the filler material release environmentally damaging
gases.
This paper presents the results of a simple experimental designed (2N factorial design experiment) used in studying the
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Table (1) – Size
distribution of
copper powder.
Tabella (1) –
Distribuzione
delle dimensioni
delle polveri di
rame.
Fig. 1 – XRD of delivered copper powder (a = copper).
Fig. 1 – XRD della polvere di rame (a = copper).
effects of different controlling parameters on the preparation
of porous copper metal compacts. Also, the correlation
between the studied parameters and the degree of porosity,
and pore morphology resulting in the final sintered object
are investigated.
Table (3) – Matrix of eight experiments.
Tabella (3) – Matrice di otto esperimenti.
EXPERIMENTAL WORK
Raw Materials
Copper powder.
The copper powder used in this investigation was delivered
from Ghatwary medical Borg El-Arab EL-Gedida (Egypt)
Co. The grain size distribution of copper powder is shown in
table 1 and the XRD Pattern of the copper powder was determined used Brucker AXS-D8 Advance and shown in Fig.
1, from which it is clear that the copper is the main element
of this powder.
Naphthalene.
The naphthalene powder was delivered from O.S.S. laboratory of pure chemical powder of 128.17g/ml molecular weight. The particle size of naphthalene powder was found to
be -160 + 125µm.
The Procedure
Copper powder was thoroughly mixed with varied amounts
of Naphthalene powder. A certain amount of the produced
mixture was uni-axially pressed with 75-300 MPa compaction pressure range to reach the desired height and diameter
of 18 mm and 15 mm respectively for the compacted mixture. After compaction, the green copper compact is then heated for three hours at a temperature of 350°C to completely
remove the naphthalene binder at this temperature (i.e. debinding). Then the temperature was allowed to rise to the
desired sintering temperature at a rate of 5°C/min.
Equation (1) was used for evaluating the degree of porosity
of the copper powder compacts [5].
Experimental Design
In the present work the experimental design method (2N factorial design) used to carry out a relationship between the
different parameters affecting the porosity degree of the porous copper compacts. The factors controlling the porosity
degree are sintering temperature, sintering time, compaction
pressure and amount of naphthalene. Since the number of
factors studied are four and according to the equation (2),
for the 2N factorial design, the number of experiments will
be 16 experiments. Table (2) shows the level of the parameters, where X1 represent the sintering temperature, X2 represent the sintering time, X3 represent the compaction
pressure and X4 is the amount of naphthalene. For the 16
experiments a matrix illustrated in Table (3). Table (4) will
be used to describe the conditions of each experiment where
Y will be the porosity degree obtained for each experimental
condition. Equation (3) shows the general empirical formula
describe the effect of a certain parameters (sintering temperature, sintering time, compaction pressure and amount of
naphthalene) on a certain phenomena (the porosity degree of
the sintered porous copper compacts). Where, the X1, X2,
X3 and X4 are factors effecting on the degree of porosity of
the sintered compacts and ao, a1, a2, …… represents the
coefficients of the equation it can be estimated from the Table (3) after carried out the experiments by multiplied the
matrix of the results (Y) by each matrix of the factors. X1,
X2 …, is called the X codes while the actual X could be obtained using equation (4).
No. of experiments =2N,
where N= the no. of factors
(2)
(1)
(3)
The apparent density of the individual specimen was calculated from a measurement of its weight and volume for each
configuration.
(4)
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Table (2) – Levels of factors.
Tabella (2) – Livello dei fattori.
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Where the Xi is the actual value of any factors, ∆Xi is the
interval showing in the Table (2) and Xo is the base value of
X (factor) equal the average value of X.
RESULTS AND DISCUTION
Effect of naphthalene content and sintering temperature
It is worth to note that the proportion of copper powder and filler material was critical in order to produce a homogeneous and
smooth feed stock [13]. Inadequate amount of the naphthalene
in the mixture would cause a difficulty during molding, where
the mixture would not flow easily and cracks would form during debinding due to the expansion of vapor trapped in the
voids. So the adequate weight ratio of the copper powders to
the naphthalene for producing sintered compacts having porosity from 20 to 50% should be determined experimentally.
Effect of the amount of naphthalene content on the total porosity of sintered copper compact produced at constant compaction pressure of 75 MPa and sintered at different temperatures
(800-1000°C) while keeping the sintering time constant at 15
min is illustrated in Fig. 2. From these figure, it is clear that at
any constant sintering temperature the increase of naphthalene content leads to an increase in the porosity of sintered copper compact because removal of naphthalene is accompanied
by formation of pores. Thus the increase of naphthalene contents in the fresh mixture is responsible for the increase of the
total porosity of the final sintered compacts.
The scanning electron microscope (SEM) micrographs
Fig. 2 – Effect of sintering temperature and naphthalene content
on the total porosity of copper compact. (The compression load =
75 MPa, and the sintering time = 15 min.).
Fig. 2 – Effetto della temperatura di sinterizzazione e del
contenuto di naftalene sulla porosità totale della polvere
compattata. (Carico di compressione = 75 MPa. tempo di
sinterizzazione = 15 min.).
shown in Fig. 3, of the sintered copper compacts produced
at naphthalene content of 1% and 7% proved that increasing
of the naphthalene contents leads to an increase in the total
porosity of the final sintered compacts.
Fig. 3 – SEM micrographs for sinter copper compacts. (The sintering temperature 1000°C, sintering time 15 min. and compression load 75
MPa) a. 1% naphthalene; b. 7% naphthalene.
Fig. 3 – Micrografie SEM per i prodotti sinterizzati di rame. (Temperatura di sinterizzazione 1000°C, tempo di sinterizzazione 15 min.,
carico di compressione 75 MPa) a. 1% naftalene; b. 7% naftalene.
Fig. 4 – Micrografie SEM per i prodotti sinterizzati di rame. (Quantità di naftalene 7%, tempo di sinterizzazione 15 min., carico di
compressione 75 MPa) a. Sinterizzato a 800°C; b. Sinterizzato a 1000°C.
la metallurgia italiana
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10/2006
Fig. 4 – SEM micrographs for sinter copper compacts. (The amount of naphthalene added 7%, sintering time 15 min. and compression load
75 MPa) a. Sintered at 800°C; b. Sintered at 1000°C.
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On the other hand, selection of an appropriate sintering temperature is important during the processing of porous metal
compact. It was found that when the sintering temperature
was below 800°C, a completely intact compact could not be
produced at even higher designated holding time of 60 min
which leads to produce loose compacts. When the sintering
temperature was above 1000°C some parts of the compact
were softened which leads to inhomogeneous shape of the
sintered compact. Accordingly, the sintering temperature used
in this investigation was designed to be between 800-1000°C.
Also, from Fig. 2 it is clear that at any constant amount of
naphthalene content the increase of sintering temperature
leads to a decrease in the total porosity of copper compacts.
The decrease of the copper compact porosity with increasing sintering temperature could be attributed to the fact
that, powder particles become extensively more collated
[13]. Also it my attributed to that with increasing the sintering temperature a sound necks between powders is formed
and their growth owing to the active mass transfer, giving rise to an increase in the contact areas and a decrease in the
voids of the sample [18]. As shown in SEM micrograph,
Fig. 4, gaps between particles are minimized and spaces left
behind by the removal of naphthalene are filled up resulting
in greater shrinkage.
The correlation between the total porosity of the sintered
copper compacts (P %) and both of the sintering temperature
(X1, °C) and the naphthalene content (X4, %) when compaction pressure is 75 MPa and sintering time of 15 min is conducted and illustrated in the equation (5):
(5)
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ffect of naphthalene content and compaction pressure
The selection of suitable compaction pressure during formation of porous metal compact is very important. During the
formation of copper compacts it was noticed that, at compaction pressure below 75 MPa there was severe palling of
copper particles yielding an imperfect geometry [15] and
loose compact. Whereas at compaction pressure higher than
300 Mpa cracks were often induced in the samples, sometimes leading to complete fracture. Accordingly the range of
compaction pressure between 75-300 MPa was applied in
formation of copper compacts during this investigation.
The effect of both naphthalene content and compaction
pressure on the total porosity of copper compact was carried
out under constant sintering temperature of 800°C and constant sintering time of 15 minutes. The effect of both parameters on the total porosity is illustrated in Fig. 5. From these figures it is evident that at any constant amount of
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Fig. 5 – Effect of both naphthalene content and pressure of
compaction on the total porosity of copper compacts. (The
sintering temperature = 800°C and sintering time = 15 min.).
Fig. 5 – Effetto di contenuto di naftalene e pressione di
compattazione sulla porosità totale della polvere compattata.
(Temperatura di sinterizzazione = 800°C e tempo di
sinterizzazione = 15 min.).
naphthalene the increase of compaction pressure leads to a
decrease in the total porosity of the sintered copper compact. This may be due to the increase in the sintering rate
with increased dislocated population. Also, it may be due to
metal-metal contact formed during compaction, which was
increased with increasing compaction pressure. These metal-metal contacts are fused together in the subsequent sintering process and interconnected in metallic framework and
the expense of the voids present leads to a highly decrease in
the total porosity. This phenomenon could be more clarified
from the SEM micrograph as shown in Fig. 6. Also, at any
constant compaction pressure the increased amount of
naphthalene content makes the total porosity of the sintered
copper compact to increase.
The correlation between the total porosity of sinter copper
compact (P, %) and both the compaction pressure (X3, MPa)
and naphthalene content (X4, %) is conducted and illustrated
in the equation (6):
(6)
Effect of both naphthalene content and sintering time
The effect of sintering time and amount of naphthalene added on the total porosity of copper compacts were carried
out at 800°C sintering temperature and 75 MPa compaction
pressure.
Fig. 6 – SEM micrographs for sinter copper compacts. (The sintering temperature 1000°C, sintering time 15 min. and Naphthalene content
7%) a. 75 MPa compaction pressure; b. 300 MPa compaction pressure.
Fig. 6 – Micrografie SEM dei prodotti di rame sinterizzato. (Temperatura di sinterizzazione 1000°C, tempo di sinterizzazione 15 min. e
contenuto di naftalene 7%) a. pressione di compattazione 75 MPa; b. pressione di compattazione 300 MPa.
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la metallurgia italiana
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(7)
The general model for total porosity
of porous copper compact
From the previous results, it was found that the general
equation correlate the different controlling parameters with
Fig. 7 – Effect of both sintering time and naphthalene amount
added on the total porosity of copper compacts. (The sintering
temperature = 800°C and the compaction pressure = 75 MPa).
Fig. 7 – Effetto di tempo di sinterizzazione e quantità di naftalene
aggiunto sulla porosità totale della polvere compattata. (Temp. di
sinterizzazione = 800°C e pressione di compattazione = 75 MPa).
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the porosity degree of porous copper compacts is expressed
by equation (8):
(8)
Applications of this equation at the different experimental
condition (as illustrated in table 3 as well as for extra four
experiments out of the design (Table 5 shows the condition
of the extra four experiments and the obtained porosity at
each experiments)), for testing the validity of this equation
in correlating the different sintering parameters as well as
naphthalene content with the porosity degree of porous copper compacts was shown in Table 5. In this table the deviation between the experimental and theoretical values for the
porosity degree was recorded. The deviation between the
experimental and theoretical values was calculated using
equation (9). From this table it could be concluded that the
deviation between the experimental and theoretical results is
± 4% at most.
Memorie
The effects of these parameters on the total porosity of copper compact are illustrated in Fig. 7. It is clear that at any
constant amount of naphthalene content, the increase of sintering time is accompanied by a decreasing in the porosity
of copper powder compacts [13]. This may be due to the fact
that necking of copper particles is more pronounced with
longer sintering times resulting in smaller pore size and consequently smaller total porosity. The SEM micrograph, Fig.
8, proves that, increasing the sintering time, the texture becomes more homogeneous and the grain growth increased at
the expense of the pores formed as results of naphthalene
evaporation. Also, at any constant sintering time the increase of amount of naphthalene added leads to a significant increase in the total porosity.
The correlation between both sintering time (X2, min.) and
naphthalene content (X4, %) with the total porosity of copper compact (P, %) processed at constant temperature of
800°C with constant pressure of 75 Mpa, is expressed by the
equation (7):
U
(9)
Table (4) – Description of each experiment condition and the
degree of porosity obtained for each one.
Tabella (4) – Descrizione di ogni condizione sperimentale e grado
di porosità ottenuta.
Fig. 8 - Micrografie SEM per i prodotti di rame sinterizzato. (Temperatura di sinterizzazione = 1000°C, pressione di compattazione = 75
MPa, e contenuto di Naftalene 7%) a. tempo di sinterizzazione, 15 min. b. tempo di sinterizzazione, 60 min.
la metallurgia italiana
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10/2006
Fig. 8 – SEM micrographs for sinter copper compacts. (The sintering temperature 1000°C, Compaction load 75 MPa, and Naphthalene
content 7%) a. sintering time, 15 min. b. sintering time, 60 min.
Memorie
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3.
4.
5.
Table (5) – Description of extra four experiment condition out of
the design and the degree of porosity obtained for each one.
6.
7.
Tabella (5) – Descrizione di quattro ulteriori condizioni
sperimentali e grado di porosità ottenuta.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
Table (6) – Differentiation between experimental results values
and theoretical values.
Tabella (6) – Differenziazione fra valori sperimentali ottenuti e
valori teorici.
CONCLUSION
10/2006
From the obtained experimental results the following conclusions can be drawn:
1- Each of naphthalene content, sintering temperature, sintering time and compaction pressure, affect to a large extent,
both the total porosity of the final sintered object and its
morphology.
2- The amount of naphthalene; as filler material could be recognized as the most effective parameter during the preparation of porous copper compacts.
3- Using of an experimental design program (i.e. JUMPIN
program) is an effective tool for investigating of the effects
of these different parameters on the total porosity of the
porous copper, and the deviation between the theoretical
value and experimental results is in an acceptable range.
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1.
2.
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Cambridge University Press, UK, (1997).
M.F. Ashby, A. Evans, N.A. Fieck, L.J. Gibson, J.W. Hutchinson, H.N. and G. Wadley, "Metal Foams", But-
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la metallurgia italiana
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RELAZIONE FRA FATTORI CHE CONTROLLANO
LA PREPARAZIONE DI RAME POROSO MEDIANTE TECNICA
DI SINTERIZZAZIONE CHE UTILIZZA DESIGN SPERIMENTALE
Parole chiave: Rame e sue leghe, metallurgia delle polveri,
caratterizzazione materiali
Esitono diversi fattori che controllano la porosità finale del
prodotto durante la preparazione del rame poroso mediante
compattazione di polveri metalliche. La quantità e il tipo di
filler, la temperatura, il tempo di sinterizzazione, la pressione di compattazione sono tutti parametri molto importanti.
In questo studio è stato utilizzato il naftalene come filler per
la preparazione di rame poroso. Inoltre è stata valutata la
correlazione fra questi parametri e il grado di porosità del
prodotto finale con l’aiuto di un programma sperimentale di
design denominato JUMPIN. Si è osservato che la quantità
di naftalene rappresenta il più importante parametro che
controlla il grado di porosità del prodotto finale.
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G. F. Bocchini
Prima di spiegare il significato del termine corretto, in questo contesto, si espongono le influenze del
carbonio su microstrutture e proprietà degli acciai compatti. Le conoscenze metallurgiche di base hanno
evidenziato che le proprietà ottimali dipendenti dalle aggiunte di lega si possono ottenere solo mediante
un controllo preciso del contenuto di carbonio. Un confronto tra le tolleranze sul contenuto di C degli
acciai completamente densi e quelle ammesse negli acciai sinterizzati è molto sfavorevole per la
metallurgia delle polveri. Indipendentemente da questo paragone, un controllo preciso del contenuto di
carbonio è sempre un fattore critico per garantire sistematicamente delle proprietà meccaniche elevate.
Si esaminano i vincoli termodinamici sugli equilibri del carbonio durante la sinterizzazione e si discutono
le interazioni possibili tra l'acciaio ed un’atmosfera controllata di endogas da metano. La valutazione
delle proprietà fisiche dei singoli gas, a varie temperature, mostra che i loro comportamenti ed i loro
effetti possono essere molto differenti. Alcuni costituenti gassosi possono causare diminuzione o
arricchimento in carbonio, mentre altri non modificano gli equilibri. Nel caso di scambi chimici, durante
la sinterizzazione, che coinvolgono il carbonio, il profilo di temperatura in alcune zone del forno può
essere un fattore critico. Si analizzano infine alcuni schemi tipici di forni di sinterizzazione e se ne
approfondiscono le possibilità d’impiego per la corretta elaborazione di acciai e per il preciso controllo
del carbonio, delle microstrutture, delle proprietà meccaniche.
Memorie
Endogas da metano
e corretta sinterizzazione di acciai
Parole chiave: acciaio, sinterizzazione, metallurgia delle polveri, proprietà, trattamenti termici, metallurgia
INTRODUZIONE
Gian Filippo Bocchini
Consulente in metallurgia delle polveri, Rapallo (Genova)
Memoria presentata al 30° Convegno nazionale AIM, Vicenza 17-19 novembre 2004
la metallurgia italiana
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10/2006
Negli ultimi tre decenni i particolari meccanici sinterizzati,
se confrontati con quelli ottenuti mediante altre tecniche di
formatura paragonabili, idonee a produzioni di serie, hanno
fatto registrare tassi di crescita più elevati.
I fattori che hanno sostenuto la crescita includono miglioramenti significativi delle proprietà degli acciai sinterizzati,
favoriti da: materie prime migliorate, pressioni di pressatura
più elevate, introduzione della pressatura a caldo, sinterotempra, sinterizzazione ad alta temperatura. Gradualmente,
il divario fra le caratteristiche meccaniche degli acciai completamente densi e quelle dei migliori acciai porosi si restringe. In una prospettiva di medio termine non sembra
un’ipotesi azzardata prevedere che gli acciai della metallurgia delle polveri (P/M) saranno sostanzialmente equivalenti
a quelli convenzionali, non porosi. L'impiego diffuso delle
bielle sinteroforgiate supporta questa affermazione. Dovrebbe essere scontato che, parallelamente alla riduzione del divario nelle proprietà, anche i campi di tolleranza delle composizioni chimiche dei materiali sinterizzati ad elevate caratteristiche divengano sempre più simili a quelli degli acciai completamente densi.
Sorprendentemente, un qualsiasi esame dei principali temi
di ricerca in cui sono impegnati studiosi e ricercatori di metallurgia delle polveri, sia nelle università che nei laboratori
delle industrie, rivela a stento una qualche attenzione o delle
ricerche specifiche dedicate ad una riduzione delle tolleranze sul contenuto di carbonio.
Questo palese “disinteresse” dipende da molte ragioni. Ogni
tentativo di ridurre i campi di tolleranza sul tenore di C degli
acciai sinterizzati richiede il rigetto di opinioni profondamen-
te radicate ed un approccio quasi rivoluzionario di verifica e
revisione di processi e di impianti di sinterizzazione ormai
consolidati. Dato questo stato di cose, è utile una raccolta delle informazioni disponibili ed un esame approfondito della situazione attuale, con la prospettiva di contribuire ad ogni possibile riduzione delle tolleranze sul tenore di carbonio.
L'analisi della letteratura tecnica accumulatasi ed un approccio specifico, basato su esperienza di produzione, dovrebbero contribuire al miglioramento dei processi industriali e degli impianti di sinterizzazione, con il risultato finale di una
minore dispersione delle proprietà degli acciai sinterizzati (o
“P/M”). Scopo di questo rapporto è quello di sensibilizzare
e coinvolgere la comunità della metallurgia delle polveri,
per avviare e sviluppare un sostanziale progresso tecnologico, nella consapevolezza dei problemi che potrebbero derivare, nel tempo, da una differenza ingiustificata delle specifiche sul carbonio. La forte differenza tra le specifiche può
spiegare le perplessità che diversi utilizzatori finali ancora
mostrano verso gli acciai P/M di elevate proprietà. Quelle
perplessità scaturiscono da parecchi processi di sinterizzazione, piuttosto comuni, che appaiono inadatti o approssimativi ai tecnici ed agli ingegneri degli utilizzatori, più abituati alla scelta, alle proprietà ed all’applicazione di acciai
completamente densi. Le incertezze e i dubbi scompariranno
gradualmente, via via che le tecniche e gli impianti di sinterizzazione saranno perfezionati e diventeranno più “corretti”, con il risultato di tolleranze più strette sul contenuto di
carbonio degli acciai P/M.
Per evitare ogni possibile malinteso, è necessario spiegare,
subito, quale significato debba essere attribuito alla parola
corretto nel contesto del presente rapporto. Fra vari significati elencati in 5 dizionari [1, .. , 5] la scelta si può restringere ai seguenti:
1. Esente da errori o difetti.
2. Valido; esatto.
3. Formulato con esattezza; Conforme alle regole …
4. Che rispetta le norme.
5. Oggettivamente valido.
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= 1284,6 x C% + 283,15 MPa, con R2 = 0,9934, per
l’acciaio temprato e rinvenuto;
Rs = 947,86 x C% + 253,64 MPa, con R2 = 0,9977, per
l’acciaio temprato e rinvenuto;
Rm = 1022,0 x C% + 145,40 MPa, con R2 = 0,9955 per l'acciaio normalizzato;
Rs = 297,5 x C% + 272,11 MPa, con R2 = 0,9943 per l'acciaio normalizzato.
Supponiamo che, per un contenuto nominale di C = 0,6%, il
campo di tolleranza vada da 0,57 a 0, 65%.
Corrispondentemente, dopo trattamento termico, Rm varia
fra 1015 e 1181 MPa, mentre Rs varia fra 794 e 870 MPa.
Le dispersioni totali, rispetto ai valori medi, sono: 15% su
Rm e 9% su Rs. Analogamente, se il campo di tolleranza per
un contenuto nominale di C = 0,35% varia da 0,32 a 0,39%,
Rm varia da 694 a 784 MPa, mentre Rs varia da 557 a 623
MPa e le dispersioni totali, sempre riferite ai valori medi,
sono: 12% su Rm e 9% su Rs. In tabella I [7] sono riportate
le tolleranze ammesse sulla composizione chimica di acciai
di qualità non legati, mentre, in tabella II, [8] sono riportate
le tolleranze ammesse sulla composizione chimica di acciai
speciali basso-legati, da impiegare dopo trattamenti di tempra e rinvenimento. Per confronto, le tolleranze che le normative più diffuse specificano per gli acciai della metallurgia delle polveri sono raccolte nelle tabelle III, IV, V [9, 10,
11, 12].
Per quanto concerne i materiali sinterizzati da utilizzare per
produrre componenti sinteroforgiati, lo standard MPIF 35,
[13], recita: “Il contenuto nominale di carbonio sarà come
specificato dall'acquirente. Salvo eventuali accordi diversi
tra acquirente e fabbricante, il contenuto di carbonio del
prodotto stampato a caldo sarà entro ± 0,05% del contenuto
di carbonio specificato”. Pertanto, la dispersione sul tenore
di carbonio varia da 50%, se la specifica richiede 0,20% C, a
27%, se la specifica richiede 0,75% C. Un semplice con-
Rm
Fig. 1 – Influenza del tenore di carbonio sulle proprietà di
resistenza a trazione di acciai ipoeutettoidici, non legati,
completamente densi. Da dati ASM.
Fig. 1 – Influence of carbon content on tensile strength properties
of fully dense unalloyed hypoeutectoidic steels. From ASM data.
La considerazione dell'acciaio completamente denso aiuta a
restringere la gamma di scelte dei significati.
La loro metallurgia di base evidenzia che la presenza di carbonio è una condizione essenziale per raggiungere elevate
proprietà meccaniche. Le aggiunte di lega sono necessarie,
per ottenere caratteristiche specifiche, ma i loro contributi
sono possibili e sfruttati al meglio solo se è presente il corretto tenore di carbonio.
La figura 1 (basata su dati ASM [6]), mostra l'influenza del
carbonio sulle proprietà tensili di un acciaio semplice,
ipoeutettoidico, completamente denso, in diversi stati strutturali. Le equazioni corrispondenti ai dati, ottenute mediante
analisi della regressione, sono
Tabella I –Tolleranze ammesse
sulla composizione chimica di
acciai compatti non legati.
Table I – Tolerances allowed
on chemical composition of
fully dense unalloyed steels
(“Melt” analysis). UNI EN
10083, Part 2.
Tabella II –Tolleranze
ammesse sulla composizione
chimica di acciai speciali,
compatti, non legati (Analisi di
fusione). UNI EN 10083,
Parte 1.
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Table II –Tolerances allowed
on chemical composition of
fully dense unalloyed special
steels (“Melt” analysis).
UNI EN 10083, Part 1.
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Tabella III – Tolleranze sulla
composizione chimica di
acciai sinterizzati. Norme
AFNOR (ISO) e DIN [9, 10].
Table III – Tolerances allowed
on chemical composition of
sintered steels. Standards
AFNOR (ISO) and DIN [9,
10].
Tabella IV – Tolleranze sulla
composizione chimica di
acciai sinterizzati.
Norma JIS Z 2550: 2000 [11].
Table IV – Tolerances allowed
on chemical composition of
sintered steels. Japanese
Industrial Standards, JIS Z
2550: 2000 [11].
possano influire sulle proprietà meccaniche. Per stimare, in
prima approssimazione, l'influenza di variazioni del contenuto di carbonio sulle proprietà a trazione degli acciai sinterizzati si deve innanzi tutto tener conto dell'influenza della
la metallurgia italiana
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fronto tra gli acciai completamente densi, o convenzionali, e
quelli sinterizzati, mostra che le tolleranze sui contenuti di
carbonio differiscono fortemente. Di conseguenza, può essere interessare cercare di valutare quanto queste differenze
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Tabella V – Tolleranze sulla
composizione chimica di
acciai sinterizzati. Norme
MPIF (Metal Powder
Industries Federation)
Standard 35: Material
Standards for P/M Structural
Parts, 2000 edition, [12].
Table V – Tolerances allowed
on chemical composition of
sintered steels. (Metal Powder
Industries Federation)
Standard 35: Material
Standards for P/M Structural
Parts, 2000 edition, [12].
densità. Per questo scopo si può impiegare la formula Rs =
R0*ρ3,4, proposta da Exner e Pohl [14]. Rs è la resistenza a
trazione dell’acciaio sinterizzato a densità relativa ρ, mentre
R0 è la resistenza a trazione dell’acciaio completamente
denso di uguale composizione e stato strutturale.
Pertanto, dopo tempra e rinvenimento a 425 °C, le proprietà
stimate sono: a densità di 6,8 g/cm3 (ρ = 0,866): Rs = 788,4
x C% + 173,8 MPa, a densità di 7,2 g/cm3 (ρ = 0,917): Rs =
967,5 x C% + 211,0 MPa.
Se le escursioni di densità e di carbonio si combinano nel
modo più sfavorevole i valori estremi possibili sono:
410,3 MPa a densità di 6,8 g/cm3 e 0,3% C,
791,5 MPa a densità di 7,2 g/cm3 e 0,6% C,
o, in forma succinta, il carico di rottura è 601 ± 32% MPa.
Mediante calcoli analoghi è stato valutato il carico di rottura
allo stato normalizzato, ottenendo 421 ± 34% MPa. Queste
valutazioni approssimate sono chiaramente penalizzanti per
gli acciai P/M (della metallurgia delle polveri), in qualsiasi
paragone di precisione delle proprietà con materiali completamente densi, perché l’ampiezza di dispersione è più che
doppia. Dato questo campo così ampio, ogni valore di progetto sicuro è influenzato negativamente. Il contributo della
18
la metallurgia italiana
tolleranza ammessa sul carbonio al campo di dispersione
delle proprietà è comparabile al contributo della densità.
Queste valutazioni, approssimate ma semplici, costituiscono
una minaccia, o almeno una pesante limitazione, per alcune
applicazioni di nuovi particolari P/M caratterizzati da esigenze precise e severe: per garantire il valore di proprietà
minimo molti particolari con materiali sovrabbondanti (e
“inutilmente” costosi) saranno la regola.
Questa affermazione può sembrare una considerazione sgradevole, ma è solo un ritratto impietoso della situazione corrente, un brusco richiamo alla realtà, magari un provvidenziale campanello d’allarme.
Com'è noto, la presenza di altri appropriati elementi di lega,
oltre al carbonio, migliora fortemente le proprietà degli acciai completamente densi. I parametri dominanti da cui dipendono le proprietà meccaniche sono le microstrutture tipiche che si formano al raffreddamento quando sono presenti
carbonio ed altri opportuni elementi di lega. Gli stessi effetti
positivi delle aggiunte di carbonio, oltre alle aggiunte di appropriati alliganti, debbono valere anche per gli acciai P/M
(porosi o non porosi). Per i materiali non completamente
densi, comunque, come già anticipato, si deve considerare
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Tabella VI – Proprietà dei
materiali sinterizzati
dipendenti da reticolo
cristallino, densità, tenore di
carbonio.
Table VI – Properties of
ferrous sintered materials
depending on crystal lattice,
density, carbon content.
Tabella VII – Stadi “unitari”
durante la sinterizzazione di
acciai.
Table VII – “Unit” stages of
steel sintering.
l'influenza della porosità.
Ormai da molto tempo è stato dimostrato che tutte le proprietà dei materiali porosi non dipendenti dalle caratteristiche del metallo base - cioè dal suo reticolo cristallino – sono
funzione della porosità [15, .., 19].
Pertanto, ogni esame delle proprietà dei materiali sinterizzati
dovrebbe consentire la distinzione tra quelle dipendenti solo
dal reticolo cristallino (ovviamente non soggette ad influenze
della porosità) e quelle dipendenti dalla porosità del materiale. Per completezza, è utile estendere la considerazione delle
variabili influenti anche al contenuto di carbonio. Gli effetti
corrispondenti sono esposti in tabella VI, che dimostra chiaramente gli effetti sostanziali del contenuto di carbonio sul
maggior numero di proprietà degli acciai porosi.
Ancora una volta, queste indicazioni mostrano che un campo ristretto del contenuto di carbonio si deve considerare come una richiesta basilare per ottenere livelli di elevata resistenza, definiti e ripetibili, negli acciai sinterizzati.
In questo modo si evitano anche gli eccessi di densità e di
composizione chimica, che fanno aumentare inevitabilmente, senza alcun vantaggio, il costo totale di produzione.
“STADI UNITARI” DI UN PROCESSO DI SINTERIZZAZIONE
la metallurgia italiana
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Come è noto anche alla maggior parte degli utilizzatori della
P/M, i processi di produzione degli acciai sinterizzati comprendono la preparazione delle miscele di polveri, contenenti quantità precise di grafite, seguita dalla formatura e dalla
sinterizzazione in condizioni controllate. Per rispettare determinate esigenze specifiche possono essere aggiunti altri
processi o altre operazioni post-sinterizzazione. La miscelazione della grafite al ferro è necessaria per evitare fortissimi
decrementi della comprimibilità della miscela. La figura 1
mostra che anche bassi tenori di carbonio combinato causano aumenti notevoli del limite di snervamento dell’acciaio.
A parità di altre condizioni il limite di snervamento è la principale caratteristica del materiale da cui dipende la comprimibilità. Inoltre, anche se sarebbe possibile pressare delle
polveri di acciaio, cioè delle polveri ferrose già prelegate
con carbonio, le condizioni di sinterizzazione debbono comunque essere fissate correttamente, e congruentemente,
per mantenere il contenuto di carbonio richiesto.
Il processo di sinterizzazione può essere suddiviso idealmente in stadi unitari, secondo lo schema di tabella VII [19].
Alcuni singoli stadi si sovrappongono, almeno in parte. Alcuni commenti possono contribuire ad una miglior comprensione di un processo di sinterizzazione di acciaio.
1 – La rimozione del lubrificante di pressatura avviene attraverso meccanismi diversi. Nel corso del riscaldamento dei pressati, quando viene raggiunto il punto di
rammollimento o di fusione del lubrificante, si forma
una fase liquida. A seconda della geometria e della densità del particolare, una parte del lubrificante può filtrare attraverso la porosità e sgocciolare dal fondo. A temperatura più alta il lubrificante restante si decompone,
per formare idrocarburi pesanti. Questi, per esempio
esadecano ed eptadecano, sono instabili e si decompongono, gradualmente, in sostanze più leggere, fino al
metano. In certe condizioni può comparire anche del
carbonio nascente, che reagisce con il ferro per formare
una cementite stabile, dannosa sotto molti aspetti. Alcune atmosfere e certi lubrificanti promuovono questa
reazione indesiderata, entro un intervallo critico di temperatura. Un riscaldamento lento tra 400 e 600 °C aggrava il problema.
2 – I meccanismi di scambio termico sono diversi durante il
processo. La conduzione è sempre trascurabile, mentre
la convezione predomina sotto 800 °C e l’irraggiamento diventa il meccanismo prevalente sopra 800 °C. Questi campi di temperatura mostrano che la composizione
dell’atmosfera può giocare un ruolo determinante, sia
nel riscaldamento sia nel raffreddamento. In un paragrafo successivo si riportano dei dati utili su alcune proprietà fisiche dei costituenti dell'atmosfera.
3 – Fra i costituenti solidi delle miscele di polveri possono
avvenire delle reazioni chimiche. Gli ossidi degli strati
che ricoprono le superfici delle particelle di ferro possono reagire con il carbonio dalla grafite. L'entità della
perdita di carbonio dipende quindi da una tipica pro-
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prietà delle polveri, la cosiddetta perdita in idrogeno. Se
la composizione chimica di una determinata polvere base varia da lotto a lotto, anche il contenuto di carbonio
dopo sinterizzazione può presentare una dispersione indesiderata, più pronunciata all’interno del pezzo.
4 – Fra i costituenti solidi delle miscele di polveri e l'atmosfera protettiva che li circonda e può permearli o “impregnarli” (entro la rete della porosità) possono decorrere diverse reazioni chimiche. L’equilibrio chimico indica l'evoluzione possibile ed i cambiamenti di composizione, ma il grado di completamento di alcune reazione dipende dalle condizioni locali. La porosità può essere causa di gradienti chimici, indipendentemente dalle forze guida esterne e dall’equilibrio “apparente”
esterno.
5 – La diffusione delle aggiunte di lega deve essere preceduta dalla riduzione completa degli strati di ossido che
rivestono le superfici delle particelle metalliche. Se dei
residui di ossido “sopravvivono”, inglobati nella microstruttura, le influenze sulle proprietà meccaniche sono
sfavorevoli. L'estensione della diffusione dipende dal
tempo e, soprattutto, dalla temperatura di sinterizzazione. Secondo le condizioni di equilibrio e la velocità di
raffreddamento, durante la fase che segue la permanenza ad alta temperatura può aversi una certa inversione
della diffusione precedente.
6 – Le microstrutture formate nel raffreddamento dipendono dalla composizione chimica locale e dalla velocità di
raffreddamento. Nella fase di discesa della temperatura
il trasferimento di calore dai pezzi verso le pareti del
forno e l'atmosfera protettiva dipende anche dal tipo
della miscela gassosa che circonda i pezzi e ne permea
la porosità.
ATMOSFERE CONTROLLATE DI ENDOGAS
Presumibilmente, Koebel [20, 21], e Gurry [22] furono fra i
primi studiosi a pubblicare scritti fondamentali sulle atmosfere controllate, ottenute per combustione parziale del gas
naturale o generate con altri processi, formulate per essere
all'equilibrio con un definito contenuto di carbonio di acciai
completamente densi, oppure da utilizzare per la sinterizzazione di materiali a base ferro. Altri contributi significativi
sono stati forniti da Durdaller, [23], Bocchini, [24], Mosca,
[25, 26], e Beiss, [27]. Per generare un’atmosfera controllata
contenente carbonio, un idrocarburo leggero gassoso è parzialmente bruciato entro una storta catalitica, riscaldata fino
a 1000 ÷ 1100 °C. Nel caso più generale la reazione semplificata tra idrocarburo ed aria è la seguente
Per ottenere solo CO ed H2 il rapporto “preciso” aria/gas deve essere
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Nel caso del metano l’ultima reazione diviene
con un rapporto “preciso” aria/gas uguale a (1/2)*(1 +
3,774), vale a dire 2,387.
Corrispondentemente, la composizione gassosa all'uscita del
generatore, idealmente, deve essere
Per confronto, nel caso della combustione completa a CO2 e
H2O, il rapporto stechiometrico tra aria e gas deve essere (m
+ n/4)*(1 + 3,774). Pertanto, il rapporto (m/2)/(m + n/4) può
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Tabella VIII - Reazioni “antagoniste” o parallele che decorrono
entro un generatore di endogas (Attività del carbonio assunta
uguale a 1; come fase di equilibrio si forma grafite).
Table VIII – “Rival” or parallel reactions occurring inside an
endogas generator (Carbon activity assumed equal to 1 and
graphite as equilibrium phase).
essere considerato come una misura relativa della “distanza”
dalla combustione completa. Per un endogas da metano questo rapporto è uguale a 1/4. Secondo Koebel, [20, 21], la
reazione (1') è esotermica ad alta temperatura, ma è richiesta
una certa energia per arrivare alle condizioni operative richieste. Per questa ragione, ormai da tempo è diventato
usuale il termine incorretto endogas. Ad alta temperatura,
fra le varie sostanze possono decorrere altre reazioni chimiche, elencate in tabella VIII, con le corrispondenti costanti
di equilibrio. Equilibrio chimico vuole dire che non c'è nessuna tendenza a reagire per le sostanze coinvolte, o, in termini di teoria delle velocità di reazione, che le velocità della
reazione nelle direzioni diretta ed inversa sono uguali. Quindi, all'equilibrio (ad una temperatura data) il rapporto tra la
concentrazione dei prodotti e la concentrazione dei reagenti
rimane costante. Per sostanze gassose, assumendo un comportamento ideale, le concentrazioni sono direttamente proporzionali alle pressioni parziali. Le curve di equilibrio sono
diagrammate nelle figure 2, 3 e 4. Per i calcoli sono stati utilizzati i dati pubblicati in un pregevole lavoro di Beiss, [27].
Tutti i grafici mostrano che in parallelo con la reazione semplificata (1') avvengono altri scambi chimici. Inoltre, è possibile osservare che la composizione chimica di qualsiasi
miscela gassosa all'uscita della storta catalitica dipende fortemente dalla temperatura di lavoro e da variazioni incontrollate della temperatura stessa. Per questa ragione, per evitare variazioni imprevedibili, si deve raffreddare rapidamente l'atmosfera generata. In caso di raffreddamento troppo
lento si forma della fuliggine, secondo la reazione (2). La
curva di equilibrio relativa alla reazione (3) mostra che nell'atmosfera rimane anche una certa quantità di metano libero. La figura 4 indica che le sostanze ossidanti, H2O e CO2,
sono sempre presenti. Mentre l’H2O, almeno in linea di
principio, si può allontanare con metodi fisici, la CO2 rimane nel gas che entra poi nel forno di sinterizzazione. Di conseguenza, ne sarà influenzato il contenuto di carbonio all’equilibrio nell'austenite (l'unico microcostituente in cui il carbonio può diffondere). Nello scrivere la reazione semplificata (1') è stato ipotizzato un rapporto aria/metano costante. Se
questo rapporto è minore di 2,387 rimane una certa quantità
di carbonio libero e all’interno del generatore si forma della
fuliggine.
Pertanto, il minimo rapporto aria/metano deve essere fissato
a 2,4. Per modulare durante la sinterizzazione l'equilibrio
del carbonio, che dipende dal rapporto CO/CO2, si può aumentare, entro certi limiti, la quantità di aria.
Quando il rapporto aria/gas cambia, cambia anche la composizione chimica del gas all'uscita della storta.
L'influenza di questo rapporto di alimentazione sulle quantità relative dei prodotti di combustione parziale è diagrammata in figura 5, sostanzialmente basata sui dati pubblicati
da Beiss, [27], per una temperatura di generazione di 1100
°C. Le quantità di sostanze ossidanti sono state valutate per
calcolo, con alcune ipotesi semplificative.
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Fig. 2 – Costante di equilibrio della reazione fra monossido di
carbonio e anidride carbonica.
Fig. 5 – Influenza del rapporto aria/gas sulla composizione
dell’endogas da CH4, generato a 1100 °C.
Fig. 2 – Equilibrium constant of the reaction between carbon
monoxide and carbon dioxide.
Fig. 5 – Influence of the air/gas ratio on the composition of
endogas generated from methane at 1100 °C.
Fig. 3 – Costante di equilibrio della reazione fra metano,
carbonio, idrogeno.
Fig. 3 – Equilibrium constant of the reaction among methane,
carbon and hydrogen.
Fig. 6 – Influenza del rapporto aria/gas sul punto di rugiada di
endogas da metano, generato a 1100 °C.
Fig. 6 – Influence of air/gas ratio on the dew point of endogas
generated from methane at 1100 °C.
Fig. 4 – Equilibrium constant of the water-gas reaction.
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Fig. 4 – Costante di equilibrio della reazione del gas d’acqua.
La scala logaritmica, non frequente quando si diagrammano
delle composizioni chimiche, permette di leggere con sufficiente precisione le percentuali dei costituente minori, ma
pericolosi, H2O e CO2. Secondo la costante di equilibrio della reazione (3), il contenuto residuo di metano dovrebbe essere molto piccolo, purché il rapporto aria/metano sia maggiore del limite corrispondente alla formazione di fuliggine.
Quando il rapporto aria/metano aumenta da 2,4 a 3,0 la
composizione chimica dell’atmosfera cambia come segue:
• l’azoto aumenta da 38, 9% a 44,15%,
• l’idrogeno diminuisce da 40, 5% a 31,5%,
• l’ossido di carbonio diminuisce da 20,1% a 16,9%,
• il vapor d’acqua aumenta fino al 5,5%,
• l’anidride carbonica aumenta fino a 1,6%.
Tutti i cambiamenti seguono andamenti quasi lineari.
Per una variazione modesta del rapporto aria/gas (per esem-
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pio, tra 2,4 e 2,6 ), possiamo assumere che H2 sia sempre
39,5% e che CO rimanga sempre a 19,8%. Allora, entro questo intervallo, il rapporto tra agenti riducenti è quasi uguale
a 2,0 e la costante di equilibrio della reazione (4) si può
esprimere come
K4 = 2 (PCO2 / PH2O)
Questo risultato dimostra che a temperatura costante di generazione dell’atmosfera il rapporto tra H2O e CO2 è costante. Pertanto, le interazioni possibili tra atmosfera e materiale
in sinterizzazione o in trattamento termico, ad ogni temperatura, possono essere valutate misurando indifferentemente il
contenuto di CO2 oppure quello di H2O.
Di solito, il contenuto di H2O si misura rilevando il punto di
rugiada dell’atmosfera. Può essere interessare utilizzare le
curve di figura 5 per diagrammare il punto di rugiada dell’endogas da metano in funzione del rapporto aria/metano.
Se si assume che il contenuto di CH4 sia trascurabile è possibile combinare le condizioni di equilibrio ed il bilancio di
massa, per trovare le composizioni corrispondenti a diversi
rapporti aria/gas.
I risultati dei calcoli sono stati utilizzati per diagrammare, in
figura 6, il punto di rugiada in funzione del rapporto di alimentazione al generatore. Entrambe le figure 5 e 6 mostrano
che per ottenere dei risultati costanti si richiede una regolazione precisa del rapporto aria/gas. Un’analisi simile può essere effettuata per altri tipi di endogas, ricavati da altri idrocarburi leggeri. Si deve sottolineare che la composizione chi-
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mica all'uscita della storta catalitica è definita dal rapporto di
alimentazione e dalla temperatura di lavoro. Le curve delle
diverse costanti di equilibrio mostrano chiaramente che ogni
cambiamento di temperatura causa delle variazioni significative delle composizioni chimiche delle atmosfere controllate.
Perciò, ogni endogas, generato ad una determinata temperatura, deve essere raffreddato il più rapidamente possibile, per
evitare ogni cambiamento indesiderato ed incontrollato della
sua composizione. Per la stessa ragione, l'atmosfera che entra
nel forno deve essere riscaldata ancora il più rapidamente
possibile, per evitare ogni eventuale cambiamento indesiderato ed incontrollato della sua composizione.
PROPRIETÀ FISICHE DEI SINGOLI GAS
Nella maggior parte degli scritti sulle atmosfere controllate
si considera solo il comportamento chimico dei gas. Per una
migliore comprensione dei risultati della sinterizzazione si
debbono considerare anche le loro proprietà fisiche. Forti
differenze di viscosità, ad esempio, possono originare dei
gradienti chimici entro la porosità aperta ed interconnessa.
R. M. German, [28], ha pubblicato una tabella che elenca alcune proprietà dei gas presenti nelle atmosfere, ma per temperature inferiori a quelle tipiche di sinterizzazione degli acciai al carbonio. Per questo motivo, sono state fatte alcune
valutazioni specifiche sull'influenza della temperatura su
densità, calore specifico (o capacità termica), conducibilità
termica e viscosità delle singole specie gassose.
Tabella IX – Influenza della
temperature sulla densità
[kg/m3] dei gas costituenti le
atmosfere.
Table IX – Influence of
temperature on density
[kg/m3] of gases constituting
controlled atmospheres.
Tabella X – Influenza della
temperatura sul calore
specifico [J/K mole] dei gas
costituenti le atmosfere.
Table X – Influence of
temperature on heat capacity
[J/K mole] of gases
constituting controlled
atmospheres.
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Tabella XI - Influenza della
temperatura sulla
conducibilità termica
[mW/mK] dei gas costituenti
le atmosfere.
Table XI – Influence of
temperature on thermal
conductivity [mW/mK] of
gases constituting controlled
atmospheres.
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Table XII – Influence of
temperature on viscosity
[µPa.s] of gases constituting
controlled atmospheres.
Densità
Entro gli intervalli di temperatura e pressione usuali nella
sinterizzazione di acciai al carbonio possiamo ammettere
che il comportamento dei gas presenti sia descritto correttamente dalle leggi del gas ideale. Allora si può applicare la
relazione di Gay Lussac (che stabilisce che a pressione costante il volume è proporzionale alla temperatura assoluta).
Inoltre, ricordando la legge di Avogadro, il volume occupato
da una mole di gas nelle condizioni standard è una costante.
I risultati di questi semplici calcoli sono raccolti in tabella
IX, che mostra che l’idrogeno è diverso da tutti gli altri gas
di un ordine di grandezza.
Calore specifico
I valori di questa proprietà a pressione costante (1 bar, 104
N/m2) e a temperature diverse sono stati tratti dalle tabelle
pubblicate Handbook of Chemistry and Physics [29]. I valori relativi ai gas delle atmosfere controllate da considerarsi
nel caso della sinterizzazione di acciai al carbonio sono riportati in tabella X. Il metano, e specialmente il metanolo,
differiscono notevolmente da tutti gli altri gas .
Conducibilità termica
Per trovare i valori approssimati di questa proprietà è stata
applicata la legge di corrispondenza suggerita dal Perry,
[30]. Secondo questo riferimento deve essere
dove k è la conducibilità termica alla temperatura assoluta T,
mentre a e c sono valori costanti, tipici per ogni dato gas.
Per trovare le conducibilità termiche a temperature relativamente alte è stata applicata l'analisi di regressione lineare ai
dati pubblicati in [28], per T massima di 600 K. Per tutti i
gas sono stati ricavati degli i ndici di correlazione sempre
superiori a 0,998. I risultati dei calcoli sono riportati in tabella XI.
Viscosità
Anche in questo caso è stata applicata una legge semplice,
suggerita dal Perry, [30], secondo cui è
in cui n è una costante che dipende dal gas scelto. I dati calcolati, che concordano pienamente, con il nomogramma
pubblicato dal Perry, [30], sono raccolti in tabella XII.
Secondo Kaufmann, [31]:
“Le esigenze di composizione di atmosfere appropriate sono
calcolabili da dati termodinamici sugli equilibri tra i singoli
gas coinvolti ed il carbonio in soluzione nel ferro. Questo tipo di informazioni è … disponibile nella letteratura ed anche in pubblicazioni di numerosi fabbricanti di impianti in
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EQUILIBRI DI SINTERIZZAZIONE
conveniente forma tabulata. Nonostante questo, l’impiego
nella pratica industriale dei principi riconosciuti di controllo
dell'atmosfera è sovente inadeguato. Solo pochi impianti
produttivi sono in grado, durante i normali cicli di sinterizzazione, di mantenere uniformi e costanti le concentrazioni
di carbonio nel ferro.
Ancora secondo Kaufmann, [31]:
“L'uso dei dati di equilibrio per calcolare le esigenze di
composizione per le atmosfere protettive presume implicitamente che il sistema in esame possa essere portato ad una
condizione di equilibrio o di regime.
La condizione di regime differisce da quella di equilibrio,
poiché all'interfaccia vapore-metallo si raggiunge solo un
equilibrio parziale, o locale. In sistemi con flusso continuo
dell’atmosfera e della carica la condizione di regime (“stato
costante”) è quella che si instaura più frequentemente. Ciò si
ottiene immettendo una quantità di atmosfera tale da assorbire senza variazioni di rilievo ogni cambiamento di composizione che possa derivare da reazioni dell'atmosfera con le
superfici metalliche. È immediato riconoscere che questa situazione non è possibile con materiali metallici porosi, nei
quali la superficie si estende anche all’interno del volume
esterno “geometrico” ed è quindi fisicamente impossibile,
nelle normali condizioni di marcia del forno, una sostituzione rapida e continua dell'atmosfera in contatto con queste
superfici interne. Non deve apparire sorprendente, pertanto,
che la maggior parte del lavoro precedente sul controllo dell’atmosfera sia stato limitato all'adeguare le composizioni
delle atmosfere, e specificatamente il potenziale di carbonio,
alle composizioni della fase metallica, nel tentativo di raggiungere le condizioni di equilibrio.”
Le asserzioni fatte da Kaufmann risalgono a più di 30 anni
fa, ma sono ancora completamente valide, almeno per quanto concerne la possibilità di arrivare a condizioni di equilibrio. In realtà, dovrebbe essere chiaro che il potenziale di
carbonio dell'atmosfera può essere regolato nel migliore dei
casi solo nelle regioni del forno più vicine alle superfici
esterne del materiale solido. Inoltre, ogni minimo cambiamento delle temperature locali può modificare i rapporti di
equilibrio. La situazione all’interno dei particolari è totalmente diversa.
In queste zone, infatti, gli equilibri si possono stabilire solo
fra i tenori locali di carbonio, ossigeno, vapor d’acqua residuo. L'effetto dell'atmosfera all’interno dei pezzi può essere
importante a densità relativamente basse. Almeno qualitativamente, le interazioni fra i costituenti dell'atmosfera ed i
diversi composti chimici all’interno dei pezzi tendono a decrescere, con leggi diverse, quando la porosità diminuisce.
Per questa ragione, gli stadi ideali di tabella VII si devono
considerare quasi completamente validi solo per la “pelle”
dei particolari sinterizzati. Quello che realmente avviene al
centro dipende dalla struttura della porosità, dal volume e
dalle dimensioni dei pezzi. Per esempio, non deve apparire
sorprendente che dei pezzi grossi e massicci, ad alta densità,
possano risultare mal sinterizzati al centro. Questo punto
dovrebbe essere attentamente valutato quando si analizzano
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Tabella XII – Influenza della
temperatura sulla viscosità
[µPa.s] dei gas costituenti le
atmosfere.
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le forme e le dimensioni dei pezzi da ottenere mediante
pressatura a caldo.
Per una migliore comprensione delle “vere” condizioni di
sinterizzazione, con differenza sostanziale dal concetto classico di equilibrio, è utile aggiungere alcune informazioni di
base sulle reazioni gas-solido.
REAZIONI TRA ATMOSFERE CONTENENTI CARBONIO
ED IL FERRO (AUSTENITE)
Secondo Krauss, [32],
“Il carbonio viene introdotto nella superficie dell’acciaio attraverso reazioni gas-metallo tra vari componenti di una miscela gassosa (l'atmosfera) e la soluzione solida austenite.
Secondo Harvey, [33], la reazione (2) è una delle più importanti reazioni di carburazione; C è il carbonio introdotto nell'austenite.
All’equilibrio, un dato rapporto di carbonio fra CO2 e CO ha
un certo potenziale di carbonio o mantiene un certo livello
di carbonio nell'austenite. Ad ogni temperatura, la relazione
tra i componenti gassosi ed il carbonio in soluzione nell'austenite è data dalla costante di equilibrio K, che per la reazione (2) può essere scritta come
in cui PCO e PCO sono, rispettivamente, le pressioni parziali
2
di CO e CO2, ed aC è l'attività del carbonio.
L'attività del carbonio è collegata alla percentuale di carbonio (wt%) nell'austenite mediante il coefficiente di attività di
carbonio, fC, attraverso l'equazione seguente
K è una funzione della temperatura, e per la reazione (2) è
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INTERAZIONI TRA I COSTITUENTI DELL'ATMOSFERA
DI ENDOGAS ED I MATERIALI FERROSI
DURANTE LA SINTERIZZAZIONE
L'idrogeno ed il monossido di carbonio sono entrambi riducenti, ma l'ultimo può essere più o meno fortemente carburante. A titolo di esempio, cerchiamo di valutare la quantità
di H2 richiesta per asportare il contenuto di ossigeno di una
tipica polvere ferrosa. Nel caso di un forno da 100 kg/ora, se
la perdita in idrogeno della polvere base è 0,15%, la quantità
di O2 da asportare in un’ora è 0,15 kg. Questa quantità corrisponde a 0,00469 chilomoli e richiede 0,00938 chilomoli di
idrogeno per formare 0,00938 chilomoli di vapor di acqua.
Quindi, l'ammontare netto dell'idrogeno è 0,00938 x 22,414
= 0,21 nm3/ora. Poiché l'idrogeno deve anche permeare il
materiale poroso, per arrivare fino al cuore del pezzo, la sua
effettiva quantità deve essere sensibilmente maggiore. Il
grado di utilizzazione dell’H2 può essere anche inferiore al
10%. Pertanto, la portata di idrogeno deve essere di almeno
2 nm3/ora. Se se ne impiega una quantità minore possono
presentarsi dei problemi, specialmente su pezzi ad alta densità. Decisamente più complicata è la situazione che concerne l'equilibrio di carbonio. A questo riguardo, è stato già osservato che una quantità data di monossido di carbonio, a
seconda della temperatura e del richiesto contenuto finale di
carbonio o aggiunta di grafite, può essere carburante o decarburante. Naturalmente, CO2 e H2O sono decarburanti,
mentre CH4 è carburante. L’equilibrio “istantaneo” è definito dalle reazioni
Seguendo il sistema usato da Beiss, [27], le parentesi che
racchiudono la C indicano che in questo caso il carbonio è
presente come elemento di lega disciolto nell'austenite omogenea e non come una sostanza pura nel suo stato standard.
Le costanti di equilibrio corrispondenti alle ultime reazioni,
rispettivamente, sono:
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in cui T è la temperatura assoluta, K. Le pressioni parziali di
CO e CO2 necessarie per mantenere un dato contenuto di
carbonio nell’austenite, in superficie, si ricavano combinando la (7) e la (8) come segue:
Se il contenuto di CO di un'atmosfera supera la pressione
parziale richiesta per mantenere un contenuto di carbonio
dato, la reazione rappresentata dall'equazione (2), come
scritta, procede verso destra e si avrà carburazione fino a
quando non si arriva ad una nuova condizione di equilibrio… All'altro opposto, se la pressione parziale di CO2 è
troppo alta rispetto al contenuto di CO, la reazione indicata
in (2) procederà verso sinistra e si avrà decarburazione”.
Può essere utile aggiungere che l'attività di un elemento disciolto in una soluzione è data dal rapporto tra la pressione
di vapore dell'elemento in soluzione e la pressione di vapore
dell'elemento puro nel suo stato standard.
In altre parole, un elemento presente in una soluzione (solida) non satura la ha un'attività inferiore a quella dell'elemento puro nel suo stato standard alla stessa temperatura. Per
l'elemento puro nel suo stato standard l'attività vale 1. Naturalmente, nel caso del carbonio, si può assumere come stato
standard la grafite (si veda, per esempio, Kubaschewski et
alii, [34]). Di solito, quando un elemento è disciolto in una
soluzione la sua attività differisce dall'unità.
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la metallurgia italiana
Di conseguenza, è necessario considerare le relazioni tra
temperatura, concentrazione di carbonio e aggiunte di lega
che possono essere presenti nel materiale. La figura 7, ripresa da Beiss, [27], mostra il cambiamento di attività del carbonio in funzione della temperatura e della composizione
dell’acciaio. La figura 8, ricavata da uno scritto di Mosca e
Porchia, [25], indica i cambiamenti di attività del carbonio
derivanti dalla presenza di alcuni elementi di lega, distribuiti uniformemente nella matrice ferrosa. Dalla figura si può
osservare che alcuni elementi, come, per esempio Si e Ni,
fanno aumentare il valore di aC, mentre altri, come Cu, Mn e
Cr, fanno decrescere l'attività del carbonio.
Un aumento di aC vuole dire che la percentuale di carbonio
all’equilibrio è ridotta rispetto all’elemento puro. In altre parole, la presenza di un elemento come Si o Ni nella soluzione solida ad un certo contenuto di carbonio, aumenta aC, e
quindi, nella soluzione solida finale, la solubilità del C in
equilibrio con la grafite diminuisce. Questo significa che la
presenza di Ni o Si causa una diminuzione del contenuto di
carbonio nell'austenite satura ed anche nella perlite. Per que-
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Fig. 9 – Influenza del contenuto di CO2 e della temperatura sul
potenziale di carbonio di un endogas da metano.
Fig. 9 – Influence of CO2 content and temperature on carbon
potential of endogas from methane.
Fig. 7 – Influenza del carbonio e della temperatura sull’attività
del carbonio nell’austenite senza alliganti.
Fig. 7 – Influence of carbon and temperature on activity of carbon
in unalloyed austenite,
Fig. 10 – Influenza del punto di rugiada e della temperatura sul
potenziale di carbonio di un endogas da metano.
Fig. 10 – Influence of dew point and temperature on carbon
potential of endogas from methane.
Fig. 8 – Variazioni dell’attività del carbonio generate dalla
presenza di elementi di lega nell’austenite.
Fig. 8 – Changes of carbon activity generated by the presence of
alloy elements in austenite.
Fig. 11 – Influenza del contenuto di O2 (sonda a ossigeno) e della
temperatura sul potenziale di carbonio di un endogas da metano.
Fig. 11 – Influence of O2 content (oxygen probe) and temperature
on carbon potential of endogas from methane.
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sto motivo si deve evitare l’aggiunta di più di 0.7% di carbonio ad acciai P/M contenenti nichel, per prevenire ogni possibile formazione di carburi fragili ai bordi dei grani.
A questo punto è possibile presentare le diverse condizioni
di equilibrio che compaiono nella sinterizzazione di acciai al
carbonio sotto atmosfera di endogas. Nella letteratura tecnica, in tempi diversi, sono stati pubblicati vari diagrammi.
Essi dovrebbero essere ancora validi, ma, recentemente, delle indicazioni precise sono state fornite da Beiss [27].
Le tre possibili situazioni di carburazione o di decarburazione sono diagrammate nelle figure 9, 10 e 11. Questi diagrammi ci permettono di capire perché l'uso di endogas per
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la sinterizzazione di acciai al carbonio richieda dei forni
adeguatamente equipaggiati. Per esempio, se il comportamento dell’atmosfera viene controllato misurando il contenuto di CO2, ogni data composizione del gas, che possiamo
supporre quasi costante sopra 850 °C, è individuata da un
punto sull’asse x del diagramma corrispondente. La parte di
riscaldamento del ciclo di sinterizzazione è rappresentata, in
figura 9, da una linea verticale discendente, e le intersezioni
di questa linea con le curve del grafico indicano che il potenziale di carbonio di quell'atmosfera diminuisce continuamente durante il riscaldamento. Il cosiddetto potenziale di
carbonio individua il contenuto di carbonio (percentuale in
peso) dell'austenite che è in equilibrio con una data atmosfera contenente carbonio. Indicazioni simili si possono ricavare dalle figure 10 e 11, a seconda del costituente della miscela gassosa che si utilizza per controllare (o per regolare) le
proprietà dell’atmosfera. Pertanto, per acciai al carbonio ed
atmosfera di endogas, è inevitabile che nell'ultima fase del
riscaldamento, prima della sinterizzazione, e poi soprattutto
durante la fase di permanenza alla temperatura massima, abbia luogo una continua diminuzione del carbonio nella soluzione solida. In altre parole, ad alta temperatura, e sotto una
data atmosfera di endogas, che non decarbura a 850 °C, si
verifica una perdita continua del carbonio: si tratta di un
cambiamento normale, previsto dalla termodinamica e confermato dall’esperienza. La perdita di carbonio avviene sulle
zone di superficie, ma interessa anche, in varia misura, la
porosità aperta ed interconnessa. L'idea di aumentare il potenziale di carbonio alla temperatura di sinterizzazione variando la composizione del gas è difficilmente attuabile in
pratica, e, inoltre, destinata a creare un potenziale troppo alto di carbonio alle temperature inferiori, con effetti negativi,
quali la formazione di nerofumo in certe zone del forno e di
reti incontrollate di cementite, che si propagano dalle superfici esterne dei pezzi verso l’interno. L’unica soluzione praticabile, quando si impiega un endogas per la sinterizzazione di acciai al carbonio, consiste allora nell’accettare una
certa perdita di carbonio, ad alta temperatura, e nel compensare questa perdita mediante un adeguato tempo di permanenza, sotto la stessa atmosfera, a temperatura inferiore opportunamente scelta. Verso la metà degli anni sessanta questo processo di sinterizzazione modificato, che comprendeva uno stadio di ripristino del carbonio e l’impiego di forni
opportunamente attrezzati, era già utilizzato da alcune
aziende di metallurgia delle polveri di alta qualificazione
tecnica, sia in Nord America che in Europa. Kaufmann,
[31], descrisse questo approccio corretto, in una memoria
che può essere considerata una pietra miliare nel progresso
del processo di sinterizzazione di acciai al carbonio. La zona
di ripristino del carbonio può essere anche leggermente più
corta di quella di sinterizzazione, dati i cambiamenti delle
proprietà fisiche dei gas costituenti le atmosfera nel raffreddamento. Quando si utilizzano impianti corretti e sistemi validi per il controllo del potenziale di carbonio è possibile rispettare campi ben definiti del tenore di carbonio combinato
dopo sinterizzazione. Sfortunatamente, alcuni costruttori di
forni (in particolare, uno nella tecnologicamente “avanzata”
Germania) sembrano ancora trascurare o come minimo sottovalutare questo aspetto fondamentale nella progettazione
di impianti per la metallurgia delle polveri. Questo singolare
atteggiamento tecnico, che sembra considerare la termodinamica una specie di “optional”, viene ovviamente e coerentemente mantenuto anche nel caso di forni da impiegare per
processi nuovi, estremamente esigenti, come la sinterotempra. Oggettivamente, si deve comunque riconoscere che
questo deprecabile atteggiamento non contrasta poi troppo
con i generosi campi di tolleranza sul carbonio degli acciai
sinterizzati previsti dalla normativa tedesca. Poiché qualcuno potrebbe fare delle obiezioni sulle valutazioni precedenti,
osservando che qualsiasi processo di sinterizzazione indu-
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striale è una tipica situazione di non equilibrio (data la brevità dei tempi di solito impiegati), può essere interessante
sviluppare alcune considerazioni di tipo cinetico.
Per fare ciò si deve applicare una legge fisica, nota da oltre
60 anni, che descrive la velocità del processo di carbocementazione. F. E. Harris, [35], trovò una formula per stabilire l'effetto di tempo e temperatura sulla profondità dello
strato arricchito:
d = 660 ⋅ e-8287 /T ⋅ √ t
(14)
in cui:
d è la profondità di arricchimento in carbonio, mm
t è il tempo di permanenza a temperatura, ore,
T è la temperatura assoluta, K.
A rigore, la formula di Harris (14) si utilizza per prevedere
la profondità degli strati arricchiti in carbonio a temperature
inferiori a 965 °C, per tempi superiori ad un'ora. Nel nostro
caso, al contrario, la stessa formula è utile per prevedere la
profondità dello strato ottenuto in tempi brevi, ma in una vasta gamma di temperature, indicativamente da 800 a 1100
°C. La figura 12 riporta i risultati dei calcoli fatti applicando
l'equazione (14) a tempi piuttosto brevi, fino alla mezz'ora.
Si deve far notare che la figura 12 caratterizza il processo
dell'arricchimento in carbonio quando si tratta un acciaio
semplice, completamente denso. Per il nostro scopo, allora,
si deve considerare l'influenza della porosità sulla diffusività
del carbonio. Questo argomento è stato studiato da A. Gallo
et alii, [36], che dimostrarono che il coefficiente di diffusione apparente dipende dalla porosità secondo un legge logaritmica, del tipo:
D ⋅ ρb = A
(15)
in cui:
D è il coefficiente di diffusione apparente del carbonio,
ρ è la densità relativa del materiale ferroso sinterizzato,
b è una costante, che dipende dalle condizioni di processo,
A è una costante, che dipende dalle condizioni di processo.
Impiegando provini di varia geometria, e registrando l'aumento di peso durante processi di carburazione effettuati in
condizioni diverse, A Gallo et alii, [36], furono in grado di
trovare il coefficiente di Harris relativo, cioè l'influenza della
densità del materiale. La figura 13, basata su quei risultati,
mostra che la profondità dello strato arricchito, nel caso del-
Fig. 12 – Profondità di cementazione su acciai compatti, secondo
la formula di Harris; tempi brevi.
Fig. 12 – Carburisation depth of fully-dense steel, according to
Harris’ formula, for short times.
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IMPIANTI DI SINTERIZZAZIONE E CONDIZIONI OPERATIVE
Fig. 13 – Influenza della densità degli acciai sinterizzati sulla
profondità di cementazione (coefficiente di Harris relativo).
Fig. 13 – Influence of density of sintered steels on carburisation
depth (relative Harris coefficient).
l'acciaio P/M a 7,0 g/cm3, può essere quasi 3 volte maggiore
di quella osservata, ad uguali condizioni di processo, sull'acciaio compatto. Anche se, da un punto di vista chimico-fisico, la decarburazione è il fenomeno opposto della carburazione almeno per quanto concerne la velocità relativa si può
ammettere però un comportamento simile. Perciò, la profondità dello strato decarburato, in un acciaio sinterizzato a densità di 7,0 g/cm3, è quasi tre volte maggiore di quella dell'acciaio compatto, trattato nelle stesse condizioni.
EFFETTI FISICI DEI GAS DELL'ATMOSFERA CONTROLLATA
Durante la sinterizzazione i singoli costituenti delle atmosfere controllate esercitano effetti anche fisici: trasferimento
di calore e flusso dentro la porosità, in controcorrente con il
flusso dello specie gassose originate da reazioni chimiche
con sostanze prima adsorbite e poi rilasciate per desorbimento al riscaldamento. A parità di altre condizioni, le capacità di riscaldamento o di raffreddamento si possono considerare proporzionali ai calori specifici. La tabella X mostra
che N2, H2 e CO sono abbastanza simili, mentre CO2, CH4 (e
CH3OH e NH3) generano gli scambi termici più elevati.
Questo effetto deve essere preso in considerazione quando
si aggiunge CH4 o si impiega CH3OH per creare un'atmosfera controllata direttamente nel forno. Gli scambi termici
possono essere considerati proporzionali anche alle conducibilità termiche; la tabella XI mostra che l’H2 è più efficace
di qualsiasi altro costituente dell’atmosfera. La penetrazione
delle specie gassose entro la porosità aperta è collegata alla
temperatura ed al tipo di flusso. Quest’ultimo dipende dalla
scabrezza delle superfici dei canali costituiti dai pori aperti e
dal numero di Reynolds, cioè dal rapporto adimensionale
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nella quale:
Re è il numero di Reynolds,
l è una lunghezza che definisce la geometria del sistema di
flusso,
v è la velocità del fluido,
ρ è la densità del fluido,
µ è la viscosità assoluta del fluido.
Secondo la (16), il rapporto tra densità e viscosità si può as-
A questo punto sono opportuni alcuni commenti sugli impianti. Quando si sceglie un forno per la sinterizzazione di
acciai si deve tener conto dei cambiamenti di composizione
dell’atmosfera indotti dai profili termici dell’impianto e delle interazioni gas-solido. Qualsiasi endogas, se usato negli
impianti più semplici, è tipicamente decarburante ad alta
temperatura e carburante o neutro a 800 ÷ 900 °C. Non di
rado, come implicitamente osservato da Kaufmann 30 anni
fa, questo effetto fa diminuire sensibilmente resistenza e durezza degli acciai sinterizzati. Per compensare la decarburazione ad alta temperatura, tipica quando si impiega un endogas, è indispensabile una zona appropriata di ripristino del
carbonio, la cui lunghezza potrebbe essere calcolata considerando la cinetica della diffusione e le proprietà fisiche delle sostanze gassose coinvolte nel processo. Delle esperienze
positive sono state fatte con una lunghezza della zona di ripristino del carbonio uguale ad almeno metà della lunghezza
della zona di sinterizzazione. Un altro aspetto rilevante è la
differenza tra la temperatura di generazione dell’endogas e
quella di sinterizzazione. Le soluzioni impiantistiche più comuni includono un generatore esterno dell'atmosfera, che lavora a circa 1100 °C. L'atmosfera uscente dal reattore catalitico viene raffreddata rapidamente, per evitare ogni possibile variazione incontrollabile della sua composizione chimica. L’endogas ”freddo” viene poi introdotto nel forno, dove
si riscalda di nuovo, fino alla temperatura di sinterizzazione.
La velocità di riscaldamento dipende da molti fattori, con il
risultato che non è ancora disponibile una conoscenza completa della composizione locale dell’atmosfera entro un forno di sinterizzazione tipico, variamente caricato. Da diversi
anni alcuni costruttori di forni propongono impianti di nuova concezione, nei quali la storta di generazione dell’endogas è posta proprio sopra la camera di sinterizzazione ed
opera alla stessa temperatura. In questo modo si evita ogni
possibile cambiamento della composizione chimica dell'atmosfera dovuto a differenze fra la temperatura di generazione e quella di sinterizzazione.
Una fabbricante di questo tipo di forni sostiene che non è
necessaria la zona di ripristino del carbonio e che il potenziale può essere controllato con precisione entro la camera
di sinterizzazione. Data l’alta temperatura, poi, non può formarsi la fuliggine. L'ultimo punto è indiscutibile, ma, nel
raffreddamento, può sempre aver luogo un certo trasferimento di carbonio, dall'atmosfera al materiale sinterizzato.
Per evitare questo fenomeno è indispensabile un raffreddamento molto rapido, dalla temperatura di sinterizzazione fino a circa 850 °C.
Il raffreddamento molto rapido previene l’ipercarburazione
del materiale, ma è praticabile solo se la quantità di calore
da asportare dai pezzi è limitata. In altri termini, sia il peso
totale che il rapporto fra superficie e volume dei pezzi debbono avere valori favorevoli. Su pezzi pesanti e massicci il
raffreddamento non potrà essere sufficientemente rapido da
evitare un certo arricchimento in carbonio. Non si debbono
poi sottovalutare i rischi di distorsioni e di tensionamento
dei pezzi raffreddati molto velocemente nel campo indicato.
Per i motivi elencati, il nuovo tipo di forno appare idoneo alla corretta sinterizzazione di acciai al carbonio solo se il peso unitario dei pezzi ed il carico sul nastro si mantengono al
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sumere come una misura della resistenza che il gas incontra
quando penetra nei pori, per ogni gas e ad ogni temperatura.
I dati raccolti nelle tabelle IX e XII evidenziano che l’H2 è
almeno cinque volti diverso dagli altri gas. La disponibilità
di specifici risultati sperimentali sarà utile per migliorare la
possibilità di un controllo preciso dei processi di sinterizzazione.
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di sotto di certi valori limite. Inoltre, se il potenziale di carbonio è alto ad alta temperatura, l'atmosfera tende inevitabilmente a formare e rilasciare fuliggine nel raffreddamento.
Questa fuliggine compare nelle regioni del forno in cui le
condizioni locali corrispondono all’equilibrio con un rapporto CO2/CO relativamente alto. Per maggior chiarezza, e
presumendo che il potenziale di carbonio sia controllato mediante una sonda ad ossigeno, facciamo riferimento alla figura 11.
Se il carbonio combinato, dopo sinterizzazione a 1120 °C e
raffreddamento, deve essere 0,7% il potenziale della sonda a
ossigeno deve essere 1184 mV. Una linea verticale passante
per questo punto mostra che il potenziale di C aumenta nel
raffreddamento, superando 1,25% prima di attraversare il
bordo della regione austenitica.
Di conseguenza, dopo aver superato questo bordo, si formerà una quantità non trascurabile di carburi, e resterà anche dell'austenite instabile. Il materiale risultante sarà fragile, duro in modo incontrollato, difficile da lavorare per
asportazione di truciolo, inadatto per molte applicazioni. La
situazione è meno sfavorevole se i particolari da sinterizzare
a 1120 ° C debbono avere 0,20% di carbonio combinato. In
questo caso il potenziale della sonda ad ossigeno deve essere 1100 mV. Una linea verticale passante per questo punto,
sempre tracciata sulla figura 11, mostra ancora che il potenziale di C aumenta di molto nel raffreddamento, per raggiungere circa 0,8% prima di attraversare il contorno della
regione austenitica. Quando poi si attraversa questo confine
non di forma nessun carburo, ed il materiale risultante sarà
valido, (ma comunque troppo variabile anche per la larga
tolleranza sul tenore di C richiesta dalla normativa esistente), non difficile da lavorare all’utensile, leggermente indurito in superficie, idoneo a molte applicazioni. Da un punto
di vista funzionale, il gradiente di carbonio che si crea può
anche migliorare le proprietà di superficie, specialmente se
sono previsti trattamenti termici successivi.
Risultano però inevitabili delle forti escursioni di composizione, ed il campo dei tenori di C sarà funzione delle dimensioni dei pezzi e del rapporto superficie/volume, perché la
velocità di raffreddamento da 1120 o 1150 °C a 800 °C dipende dall’ambiente, dalla composizione e dalla portata di
atmosfera, dalla massa del pezzo, dalla densità del materiale, dalla superficie di scambio termico. In conclusione, se si
tiene conto adeguatamente e correttamente di tutti i punti
precedenti, anche i forni di sinterizzazione con generatore di
endogas interno debbono includere una zona di ripristino del
carbonio. Una possibile alternativa, da convalidare però mediante sperimentazione sistematica, ed applicabile solo a
forni nei quali il generatore di atmosfera sia situato dentro la
camera di sinterizzazione, è l'introduzione di una sezione di
raffreddamento rapido, immediatamente dopo la camera di
sinterizzazione, nella quale la temperatura scenda molto rapidamente, fino a circa 800 °C. In questo modo non dovrebbero verificarsi cambiamenti chimici o trasformazioni microstrutturali, e l'equilibrio di carbonio raggiunto alla temperatura di sinterizzazione dovrebbe essere “quasi” mantenuto. Il rischio di distorsioni e tensioni residue elevate, tuttavia, permane. Qualche produttore di impianti potrà criticare
questa soluzione, ma tutte le indicazioni basate sulla termodinamica dovrebbero essere incontestabili. Non risultano disponibili in letteratura dei risultati sperimentali sull’argomento, con indicazioni sulle variazioni di composizione chimica (tenore di carbonio) derivanti da gradienti termici diversi. Indipendentemente dall'atmosfera, un forno appropriato alla corretta sinterizzazione degli acciai al carbonio
deve essere equipaggiato con una sezione di raffreddamento
controllata, fra 850 °C e circa 400 °C. Quando è disponibile
questa soluzione si può ottenere la microstruttura ottimale
richiesta per ogni data applicazione. Tuttavia, la massa del
particolare può impedire la formazione di strutture molto fi-
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ni e/o dure. Pertanto, in caso di pezzi grandi e pesanti, per
ottenere delle strutture molto fini e le proprietà di resistenza
che sono tipiche di materiali meno legati su pezzi piccoli, è
necessario un elevato tenore di lega. Infine, con qualunque
tipo di impianto e di atmosfera, si possono ottenere risultati
costanti e riproducibili solo se la composizione chimica della materia prima, con particolare attenzione alla perdita in
idrogeno, presenta delle escursioni trascurabili, da lotto a
lotto ed all’interno dello stesso lotto.
Per molti anni, l'evoluzione della tecnologia della metallurgia delle polveri è stata stupefacente.
Un semplice elenco dei progressi comprende:
• nuove polveri, atte a migliorare l’insieme delle proprietà
dei materiali sinterizzati;
• nuovi materiali per stampi, idonei alla pressatura a pressioni elevate e compatibili con alte densità;
• nuovi metodi di pressatura, dalla lubrificazione di parete
delle matrici alla pressatura caldo;
• presse di nuova concezione, a controllo numerico. Le
macchine più recenti sono decisamente più sofisticate ed
efficienti di quelle disponibili una ventina di anni fa.
Anche se un qualsiasi confronto fra impianti destinati ad
operazioni diverse può essere opinabile, si deve ammettere
che l’evoluzione dei forni di sinterizzazione, se confrontata
con quella delle presse, è stata più lenta. Si deve però riconoscere la comparsa di innovazioni significative nelle apparecchiature per il controllo delle atmosfere. I sistemi più
avanzati per il controllo delle miscele gassose, oggi, utilizzano rivelatori a infrarossi ad alta stabilità, per la misurazione simultanea di ossido di carbonio, anidride carbonica e
metano. Le analisi, inoltre possono essere date anche da celle per idrogeno, a conducibilità termica, compensate per il
metano. Ove necessario, sono disponibili rivelatori di ossigeno, separati, per misurare nel campione quantità diverse
di questo gas, da ppm a per cento. Tuttavia, in quanto a innovazioni di progetto “rivoluzionarie”, paragonabili all’introduzione delle presse multipiastra a controllo numerico,
oggi offerte da tutti i costruttori, l’offerta di forni altrettanto
innovativi è praticamente inesistente. Una sola novità sembra sostanziale: un forno giapponese, equipaggiato con nastro di carbonio, ed adatto per operare fino a 1400 °C.
Le diverse esigenze chimiche che caratterizzano le varie zone di un impianto di sinterizzazione, analizzate chiaramente,
per esempio, da Kaufmann, [39], e Nayar, [40, 41], non
sembrano aver spinto i fabbricanti di forni a studi teorici ed
indagini sperimentali per sviluppare soluzioni tecniche nuove ed affidabili, tali da trasformare l'impianto da un reattore
chimico multifunzione, ma unico, in una successione “dedicata” di reattori chimici diversi. Presumibilmente, la domanda crescente di acciai sinterizzati di qualità, realizzati mediante sinterotempra, obbligherà ad un controllo più accurato del contenuto di carbonio e contribuirà all’introduzione di
questa possibile forma evoluta di impianti. Alcuni costruttori di forni potranno giudicare provocatorie, e magari sgradevoli e ingiustificate, queste considerazioni. Di certo, non è
stata né è intenzione dell'autore quella di fare solo valutazioni negative, ma, piuttosto, quella di richiamare l'attenzione
dei produttori più lungimiranti su delle opportunità e delle
sfide sicuramente difficili, ma tecnicamente stimolanti.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Dalle considerazioni, valutazioni ed analisi precedenti si
possono ricavare alcune conclusioni importanti:
• Le interazioni tra atmosfere controllate e materiali ferrosi
durante la sinterizzazione si possono valutare e prevedere,
con buona approssimazione, mediante opportuni calcoli.
• Il concetto classico dell'equilibrio chimico vale solo per volumi piccoli, principalmente nelle zone di superficie dei pezzi.
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“sinterotempra”, possono essere correttamente e vantaggiosamente sinterizzate in forni equipaggiati con le varie
camere previste per le funzioni specifiche e che garantiscono i profili termici richiesti. Esse obbligheranno a ridurre le gamme e le tolleranze sul carbonio degli acciai
della metallurgia delle polveri.
• La cooperazione tra produttori di particolari sinterizzati e
di forni ed esperti di sinterizzazione può migliorare le possibilità di impiego di acciai P/M ad alte prestazioni, per
applicazioni innovative affidabili.
• I pezzi sinterizzati che richiedono delle lavorazioni meccaniche, per le loro peculiarità di forma, e la tempra a induzione, per aumentare la resistenza all’usura, si possono
considerare una specie di “cartina al tornasole” per valutare la capacità dei produttori di particolari sinterizzati di ottenere risultati costanti nella produzione di acciai. La necessità della lavorazione meccanica, infatti, comporta il rispetto di un limite superiore del contenuto di carbonio,
mentre l’esigenza della temprabilità comporta il rispetto di
un limite inferiore del contenuto di carbonio. In genere la
differenza fra limite superiore ed inferiore è modesta, limitata a meno di 0,2%. Solo i produttori di particolari sinterizzati che sono effettivamente in grado di controllare il
processo di sinterizzazione di acciai e possono utilizzare
degli impianti avanzati, affidabili, e correttamente controllati possono rispettare queste esigenze severe.
• La crescita delle applicazioni della metallurgia delle polveri dipende anche da una diminuzione continua delle differenze nei confronti di acciai completamente densi. Per
avanzare in questa direzione, i campi di tolleranza sul contenuto di carbonio debbono essere ristretti. Oggi, ogni paragone tra acciai convenzionali ed acciai P/M è sfavorevole per la metallurgia delle polveri. Poiché appare possibile
una notevole riduzione delle tolleranze sui tenori di carbonio, questa prospettiva è una spinta forte per il miglioramento, almeno per i produttori di forni e per i fabbricanti
di particolari orientati di progresso.
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• Le diverse proprietà fisiche dei gas che costituiscono le
varie atmosfere giocano un ruolo significativo sui risultati
della sinterizzazione, all’interno dei componenti, vale a
dire al cuore dei particolari.
• Ogni cambiamento di composizione della miscela di gas,
corrispondente all’equilibrio a temperature diverse, avviene alla velocità che caratterizza la cinetica di reazione.
Perciò, sebbene qualche equilibrio indichi dei rischi o dei
vantaggi, le situazioni vere e le condizioni finali possono
discostarsi anche di molto dagli equilibri stimati.
• Le zone centrali di pezzi ad alta densità, grandi, pesanti, e
massicci, possono risultare mal sinterizzate, data la mancanza di possibile accesso per gli agenti riducenti dell'atmosfera. Sfortunatamente, nella letteratura non risultano
disponibili dei dati concernenti le interazioni tra geometria
dei pezzi, densità ed efficacia dei meccanismi di riduzione
in situazioni di sinterizzazione diverse. Almeno in linea di
principio, dovrebbe essere possibile definire e misurare
una “profondità di riduzione”, analoga alla profondità di
carbocementazione nei trattamenti termici. A parità di altre condizioni, questa profondità di riduzione dovrebbe
decrescere quando la densità dei pezzi aumenta.
• Alcuni esperti di metallurgia delle polveri credono che
l’H2, leggerissimo, tenda a segregare nelle zone più alte
delle muffole o dei forni. La tendenza alla stratificazione
dei gas all’interno di una muffola, partendo da una miscela omogenea, sembra in contrasto con il secondo principio
della termodinamica ed il corrispondente aumento dell’entropia. Non si deve però dimenticare che l'atmosfera controllata che fluisce lentamente entro un forno di sinterizzazione è ben lontana da un sistema chiuso e che inoltre avvengono molti scambi di energia, che coinvolgono i gas
circolanti. Poiché ogni possibile stratificazione è causa di
un peggioramento delle proprietà dell’atmosfera, l'opinione di quei tecnici di sinterizzazione dovrebbe essere verificata mediante un’accurata mappatura chimica effettuata
su impianti tipici.
• La corretta sinterizzazione degli acciai richiede degli impianti appropriati. Nel caso di atmosfere di endogas (o
metanolo diluito con azoto), è indispensabile una zona di
ripristino del carbonio.
• Se la perdita in idrogeno della polvere base è costante e
sufficientemente bassa, le aggiunte di grafite possono essere stabilite adeguatamente, per compensare la perdita di
carbonio dovuta alla rimozione di ossigeno dalle superfici
dei granuli di polvere, specialmente al cuore dei pezzi.
• I fabbricanti di forni dovrebbero fornire i profili termici tipici dei loro impianti, ricavati a diversi livelli di carico e
con diverse portate di atmosfera.
• Per un controllo più accurato dei processi di sinterizzazione, i fabbricanti di particolari sinterizzati dovrebbero cercare di ricavare i “profili chimici” all’interno dei forni destinati ad essere utilizzati per produzioni ad alte caratteristiche. Anche se i dati misurati possono differire dalle
composizioni effettive all’interno dei forni, la costanza di
risultati dovrebbe contribuire ad assicurare la costanza
delle condizioni di processo e delle proprietà dei materiali,
vale a dire la qualità del materiale.
• Il modello di flusso dell'atmosfera in un forno di sinterizzazione è ancora parzialmente sconosciuto. I costruttori
dovrebbero fornire delle informazioni sui tipici regimi di
flusso, a diverse portate dell’atmosfera e per vari profili
termici.
• Se si impiegano dei forni tecnicamente adeguati, dotati di
valida camera di ripristino del carbonio, e di sezione controllata di raffreddamento rapido, la tolleranza sul tenore
di carbonio può essere ridotta e si possono ottenere le microstrutture ottimali per gli acciai sinterizzati di qualsiasi
composizione chimica compatibile con l’atmosfera.
• Le nuove polveri a base ferro, che giustificano il termine
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ENDOGAS FROM METHANE
AND CORRECT SINTERING OF STEELS
Key words: powder metallurgy, heat treatment,
property evaluation, sinter hardening, sintering, steel
At the beginning, a short exposition describes the influences
of carbon on microstructures and properties of fully dense
steels. Then, for a better clarity, the meaning of the term
correct, in the context of this paper, is explained. The basic
metallurgical knowledge indicates that optimum properties
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depending on influence of alloy additions can be achieved
only by a precise control of carbon content. A comparison
among tolerances on the C-content allowed on fully dense
steel and those admitted in sintered steels is clearly unfavourable to powder metallurgy. Independently from this
comparison, the plot of tensile properties versus carbon
content shows its decisive influence, at any structural state.
In other words, carbon level is always a critical factor to
guarantee systematically the observance of strength requirements. The thermodynamic bonds concerning carbon equilibria during sintering are discussed and the possible interac-
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properties is comparable to the contribution of density. These approximate but simple evaluations constitute a threat –
or at least a heavy limitation – to any application of new
P/M parts for sophisticated and exacting applications: to
guarantee the minimum property value, a lot of superabundant (and costly) parts will be the rule. This point may be
seen as an unpleasant assessment, but it is only a harsh picture of the current situation. Simple evaluations show the
substantial effects of carbon content on the highest number
of properties of porous steels. Therefore, a narrow range of
carbon content should be seen as a basic requisite to achieve specific and repeatable strength levels even for sintered
steels, while reducing chemistry and density redundancies,
which unavoidably increase the total production costs.
To analyse any possible interaction, the sintering process
can be ideally subdivided into unit stages, according to the
scheme of Table VII. Some single stages overlap each other.
Presumably, Koebel and Gurry were among the first scientists to write fundamental papers on controlled atmosphere,
either obtained by partial combustion of natural gas and to
be used to sinter ferrous base materials, or generated in various ways and formulated to be in equilibrium with a defined carbon content of fully dense steels. To generate a carbon-containing controlled atmosphere, a light hydrocarbon
gas is partially burnt inside a catalytic retort, heated up to
1000 ÷ 1100 °C.
It is shown that in the case of complete combustion to CO2
and H2O, the stoichiometrical ratio between air and gas
should be equal to (m + n/4)(1 + 3,774). Therefore, the ratio
(m/2)/(m + n/4) may be seen as a relative measure of the
“distance” from the complete combustion. For an endogas
from methane this ratio is equal to 1/4. According to Koebel,
the reaction to generate endogas is exothermic at high temperature, but some energy is required to reach the required
operating conditions. For this reason, since long time, the
incorrect term “endogas” has been and is still used. At high
temperature, other chemical reactions may occur among the
various substances. These are tabulated, with their corresponding equilibrium constants. Chemical equilibrium
means that there is no further tendency for the substances
concerned to react, or, in terms of theory of reaction rates,
that the rates of reaction in the forward and reverse directions are equal. Then, at equilibrium (at a given temperature) the ratio between concentration of products and concentration of reactants remains constant. For gaseous substances, assuming an ideal behaviour, concentrations are directly proportional to partial pressures. The equilibrium curves
are plotted in various figures. For the calculations, the data
of a valuable paper published by Beiss have been utilized.
All plots show that in parallel with the simplified reaction
other chemical exchanges occur. In addition, it is possible to
observe that the chemical composition of any gaseous mix at
the exit of the catalytic retort strongly depends on working
temperature and uncontrolled temperature changes. For this
reason, to avoid unpredictable changes, the generated atmosphere must be cooled quickly. In case of too slow cooling, soot will form. It can be observed that the lowest
air/gas ratio should be fixed at 2,4. The amount of air can
be increased, within certain limits, to modulate the carbon
equilibrium during sintering, which is defined by the
CO/CO2 ratio. When the air/gas ratio changes, the chemical
composition of the gas at retort exit changes as well.
When the air/gas ratio increases from 2,4 to 3,0 the chemical composition of the atmosphere changes:
• nitrogen increases from 38,9% to 44,15%,
• hydrogen decreases from 40,5% to 31,5%,
• carbon monoxide decreases from 20,1% to 16,9%,
• water increases up to 5,5%,
• carbon dioxide increases up to 1,6%.
All the changes follow nearly linear courses.
Memorie
tions between steel and various controlled atmospheres are
examined. The evaluation of physical properties of single
gases present in controlled atmospheres, at various temperatures, shows that their behaviours and their effects may
differ, even dramatically. From a chemical standpoint, some
atmosphere constituents can cause carbon depletion or enrichment, whereas others do not modify the equilibria. In the
case of chemical changes during sintering, which involve
carbon, the temperature profile in some furnace zones may
be a critical item. The microstructures after cooling obviously depend on thermal gradients within certain temperature
ranges. The requirements to be fulfilled on furnaces fed with
different atmospheres, for a narrow control of carbon content, and corresponding narrow tolerances of properties after sintering, are discussed. Some common schemes of
equipment are analysed and their suitability to a correct
carbon and microstructure control during sintering is surveyed. Surprisingly, any survey of the main topics investigated by scientist and P/M engineers, both in academia and in
industry laboratories, does not reveal any special attention
or research activity aimed at narrowing of tolerances on
carbon content. This gap depends on many reasons. Any attempt to reduce the tolerance ranges of carbon of P/M steels
requires a refusal of deep-rooted opinions and a nearly revolutionary approach to well-established sintering processes and equipment.
The purpose of this report is to make P/M community really
interested in technological progress aware of the problems
that could come, in the long run, from an unjustified difference on carbon specification. This difference between specifications may explain the perplexity that several end-users
still demonstrate towards high property P/M steels. To be
honest, such a perplexity may derive from several and
rather common sintering processes, which can appear improper to user engineers, more used to select and apply fully
dense steels. The misgivings will gradually disappear, as far
as sintering processes and equipment will improve, becoming more “proper”, leading to narrowed tolerances on
carbon content of P/M steels.
A simple comparison between fully dense – or “conventional” – steels and the P/M ones shows that the tolerances on
carbon content strongly differ. To assess, in a first approximation, the influence of variations of carbon content on tensile properties of P/M steel it is first necessary to account
for the influence of density. To this purpose, the formula Rs
= R0.ρ3,4, proposed by Exner and Pohl may be applied. Rs is
the ultimate tensile strength of sintered steel having ρ relative density and R0 is the ultimate tensile strength of the corresponding (as to composition and microstructure) fully
dense steel.
Then, after quenching and tempering at 425 °C, we should
have:
at 6,8 g/cm3 density (ρ ≅ 0,866): Rs = 788,4 x C% + 173,8
MPa,
at 7,2 g/cm3 density (ρ ≅ 0,917): Rs = 967,5 x C% + 211,0
MPa.
If the excursions of density and carbon content combine in
the most unfavourable manner, the possible extreme values
are
410,3 MPa at 6,8 g/cm3 density and 0,3% C,
791,5 MPa at 7,2 g/cm3 density and 0,6% C,
or, in other terms, the ultimate tensile strength would be 601
± 32% MPa.
Analogous calculations could be carried out to evaluate
U.T.S. in the normalized state, so obtaining 421 ± 34%
MPa. These approximate evaluations are clearly penalizing
P/M steels in any comparison of “precision” with fully dense materials, because the scattering range is more than twice.
The contribution of allowed carbon range to scattering of
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Suitable calculations enable to plot dew point versus the
feeding ratio at the generator. To get consistent result a fine
“tuning” of the air/gas ratio is required. A similar analysis
can be carried out on other types of endogases, based on
other light hydrocarbons. Feeding ratio and operating temperature define the chemical composition at the exit of the
catalytic retort.
The curves of various equilibrium constants show that any
temperature change brings about significant changes in
chemical compositions of controlled atmospheres. Therefore, any endogas, when produced at a given selected temperature, should be cooled as fast as possible, to avoid any
possible unwanted and uncontrolled change of composition.
For the same reason, the atmosphere entering the furnace
should be heated as fast as possible, still to avoid any possible unwanted and uncontrolled alteration.
According to Kaufmann:
“The appropriate atmosphere composition requirements are
calculable from thermodynamic data for equilibria between
the individual gases involved and carbon in solution in iron.
This type of information is also readily available in the literature as well as from a number of equipment manufacturers
in convenient tabulated form. In spite of this, the reduction
to practice of accepted atmosphere control principles has
been far from effective. Few, if any, production facilities are
capable of maintaining uniform and constant carbon concentrations in iron during normal sintering cycles.”
“The use of equilibrium data to calculate compositional requirements for protective atmospheres implicitly assumes
that the system in question may be brought to an equilibrium
or steady state condition. The steady state differs from a true
equilibrium here in that only a partial, or local, equilibrium
is established at the metal-vapor interface. In systems with
continuously flowing atmosphere and charge the steady state condition is the most frequently achieved. This is done by
supplying atmosphere at a rate sufficient to overpower any
compositional changes that might occur by reaction of the
atmosphere with metal surfaces. It is readily obvious that
this situation is not possible with porous metal materials
since the surface extends well into the interior volume and
continuous rapid replenishment of atmosphere in contact
with these inner surfaces is physically impossible under normal furnace conditions. It is not surprising, therefore, that
most of the previous work on atmosphere control has been
confined to the matching of atmosphere compositions, specifically carbon potential, to metal compositions in an attempt
to achieve equilibrium conditions”.
The statements made by Kaufmann go back to more than 30
years ago, but they are still completely valid, at least as far
as the possibility to reach equilibrium conditions is concerned. As a matter of fact, it should be clear that the carbon
potential of the atmosphere can be regulated at the best only
in the furnace regions nearest to the outer surfaces of the solid material. In addition, any minor change of local temperatures can affect equilibrium ratios. The situation inside
the parts is totally different. Indeed, in these regions equilibria can be established only between local carbon and local
oxygen or residual water vapor. The effect of the atmosphere inside the parts can be important at relatively low densities. At least qualitatively, the interactions between atmosphere constituents and different chemical compounds inside the parts tend to decrease when porosity decreases.
Among others, Krauss described the reactions between carbon-containing gases and iron (austenite), stating that carbon is introduced into the surface of steel by gas-metal reactions between the various components of an atmosphere gas
mixture and the solid solution austenite.
The partial pressures of CO and CO2 required to maintain a
given surface austenite carbon can be evaluated by means
of corresponding reactions. As usually, for the pure element
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in its standard state the activity is 1. Of course, in case of
carbon, graphite can be assumed as standard state. As a rule, when an element is dissolved into a solution its activity
differs from the unity. Under this respect, it has already
been observed that a given quantity of carbon monoxide can
be carburising or decarburising, depending on temperature
and required final carbon content or graphite addition.
Of course, CO2 and H2O are decarburising, while CH4 is
carburising.
We can observe that some alloy elements, like for instance Si
and Ni, increase the ac value, whereas other alloy additions,
like Cu, Mn and Cr, decrease the carbon activity. An increase of ac means that C% at equilibrium is reduced if compared with pure carbon concentration. This means that the
presence of Ni or Si originates a decrease of the carbon content of saturated austenite and in the pearlite as well. In
other words, the presence of such an element as Si or Ni in
solid solution increases ac, at identical carbon content and
hence in the terminal solid solubility of C in equilibrium
with graphite decreases. For this ground, the addition of
more than 0.7% carbon to nickel containing PM steels
should be avoided, to prevent any possible formation of brittle carbides at the grain borders
The gas solid equilibria show that for carbon steels and endogas atmosphere, in the last period of heating, before sintering, and during soaking at maximum temperature as well,
a continuous carbon decrement usually occurs. In other
words, at high temperature, and under endogas atmosphere,
a continuous loss of carbon occurs: it is a “normal change”, based on thermodynamics. The carbon loss occurs on
the surface zones, including some open and interconnected
porosity. The idea of increasing the carbon potential at the
sintering temperature by changing gas composition is unpractical and, further, will bring about a too high carbon
potential at lower temperatures, with negative effects, such
as soothing and uncontrolled cementite net, which propagates from the outer surfaces of the parts. The only viable solution, when using endogas to sinter carbon steels, is to accept
a carbon drop, at high temperature, and to compensate this
drop by a soaking time inside a favorable environment at a
suitably lower temperature. In the Mid – Sixties this modified sintering process, which included a carbon restoration
stage, had been introduced in some advanced PM companies, both in North America and in Europe. The carbon restoration zone can be even slightly shorter than the sintering
one, due to changes in the physical properties of atmosphere
gases during cooling. By using correct equipment and any
suitable system for controlling the carbon potential it is possible to maintain well-defined ranges of combined carbon
after sintering. Unfortunately, some manufacturers of furnaces still seem either to neglect or at least underrate this fundamental point when designing PM equipment, even to be
used for highly-demanding new processes, such as sinter
hardening. Since somebody could object to previous evaluation, observing that any industrial sintering process is typically a not-equilibrium one (due to the short times usually
implied), it may be interesting to try some kinetics consideration. To this purpose, it is necessary the application of a
physical law, known for more than 60 years, which describes the “speed” of carburising processes, discovered by F.
E. Harris, [34].
Suitable calculations show that the case depth of sintered
steel at 7,0 g/cm3 density could be nearly 3 times larger than
that observed – under equal process conditions – on fully
dense steel.
Decarburising, even if is the opposite of carburising – at
least from a physical standpoint – cannot be described, in
an oversimplified approach, by Harris law preceded by a
minus sign. However, at least as to the relative speed, we
can admit a similar behavior. Therefore, the de-carburised
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the lubricant removal should be slow below 300 °C and as
fast as possible between 400 and 600 °C, or even more. This
need for different heating speeds before reaching 600 °C.
The problems due to incorrect lubricant removal are higher
in the case of endogas, due to the negative effect of CO/CO2
equilibrium versus temperature. Independently from the atmosphere, a furnace suitable to the correct sintering of carbon steels should be equipped with a controlled cooling section. When this facility is available, the optimum microstructure required by any given application can be obtained.
However, the mass of the part may hinder the formation of
very fine structures. Then, in case of large and massy parts,
a high alloying content is required to get the fine structures
and the strength properties that are typical of less alloyed
materials on small parts. Finally, whatever atmosphere and
equipment is available, constant and reproducible results
can be achieved only if the raw material chemistry, with
special attention to H2-loss of ferrous powders, exhibits minor scattering, lot by lot and inside the same lot.
For many years, the evolution of P/M technology has been
astonishing. New powders have been introduced, suitable to
enhance strength and other properties of sintered materials.
New tool materials are available, so that higher compaction
pressures can be used and higher green densities can be attained. New compaction methods, from die-wall lubrication
to the so-called warm compaction are now industrial realities. As to production equipment, P/M part makers, progressively, require and introduce new presses and new furnaces.
Even if a comparison between different equipment may be
controversial, it seems hard to deny that press manufacturers proceeded at a higher speed, in comparison to furnace
makers. By and large, the most modern presses are definitely more sophisticated and effective than the equipment
available 20 years ago. The evolution of sintering equipment proceeded at a slower pace, even if the progress achieved in devices to be used for controlling protective atmospheres is unquestionable.
Considering the previous analyses and evaluations, some
basic remarks are drawn:
• Interactions between controlled atmospheres and ferrous
materials during sintering can be evaluated and predicted, with a good approximation, by suitable calculations.
• The classical concept of chemical equilibrium holds only
for small volumes, mostly on surface zones of the parts.
• The different physical properties of gases that constitute
the different atmospheres play a significant role on the results of sintering inside the components, namely “at the
part core”.
• Any change of gas composition, corresponding to equilibria at different temperatures, occurs at the speed, which
characterizes the kinetics of reaction. Therefore, even if
some equilibrium indicates risks or advantages, the real
situations and final conditions may be quite far away from
the expected equilibria.
• The core of high-density and big and massy parts can result badly sintered, due to the lack of access for the reducing agents of the atmosphere. Unfortunately, no data
concerning the interactions between part geometry, density and effectiveness of the reduction mechanisms in different sintering situations are available in the literature.
At least in principle, it should be possible to define and
detect a “reduction depth”, analogous to the carburising
depth for heat treatments. Other conditions being equal,
this reduction depth should decrease as far as the part
density increases.
• The diffusivity of carbon into iron depends on the allotropic form of iron: carbon diffuses in austenite much faster
than in ferrite.
• The correct sintering of P/M steels requires suitable
equipment. A carbon restoration zone is compulsory in the
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depth of a P/M steel, at 7,0 g/cm3 density, should be nearly
three times thicker than that of fully dense steel, treated in
the same conditions.
During sintering the single constituents of controlled atmospheres exert also physical effects: heat transfers and flow
inside the porosity, against the counter-flow of the gaseous
species originated by chemical reactions or previously absorbed and then released by desorption on heating. Other
conditions being equal, the heating or cooling capacities
can be considered proportional to the heat capacities. H2 is
more effective than any other atmosphere constituent. The
penetration of gaseous species inside the open porosity
should be linked to temperature and flow pattern. Such flow
patterns depend on surface roughness of pore channels and
on the Reynolds number,
Some comments on equipment are added. When selecting a
furnace to be used for sintering carbon steel, changes of atmosphere composition due to thermal profiles of equipment
and gas-solid interactions should be adequately considered.
Endogas, when used in the simplest equipment, is typically
decarburising at high temperature, while carburising or
neutral at 800 ÷ 900 °C. Not seldom, this effect dramatically
lowers strength and hardness of PM steels. To compensate
the typical high temperature decarburisation, when using
endogas, a suitable carbon restoration zone is compulsory.
The length of this chamber could be evaluated by calculations, considering diffusion kinetics and physical properties
of different gaseous substances. Positive experiences have
been made with length of this carbon restoration zone at
least equal to half the length of sintering zone.
Another basic point is the temperature difference between
endogas generation and sintering conditions. The most
common solutions include an external generator of atmosphere. It operates at about 1100 °C and the atmosphere at
the exit is rapidly cooled, to avoid any possible uncontrollable change of its chemical composition. The “cold” endogas
is then introduced into the furnace, where it is heated up to
the sintering temperature. The heating rate depends on
many factors, so that any complete knowledge of the local
atmosphere composition inside a typical sintering furnace,
variously loaded, is still lacking. For some years, some furnace manufacturers propose new concepts of equipment,
where the retort to generate endogas is placed just above
the sintering chamber and operates at the same temperature. Then, any possible change of chemical composition of
the atmosphere due to temperature changes is definitely prevented, at least at sintering temperature. It seems that one
company manufacturing this new type of furnaces claims
that no carbon restoration zone is required, while carbon
potential can be controlled with precision inside the sintering chamber. Due to the high temperature, no soot formation can occur. The latter point is unexceptionable, but some
release of carbon on cooling, from the atmosphere to the
sintered material, can always occur. A very fast cooling is
needed, from the sintering temperature to about 850 °C, to
avoid this alteration. The rapid cooling prevents over-carburising of the material, but it is viable only if the amount of
heat to be taken away from the parts is limited: unit mass
and extension of external surface of the parts should be in a
favorable ratio. Heavy and massy components cool not so
quickly to avoid some carbon enrichment. On this ground
the new furnace type appears suitable to the correct sintering of carbon steels if unit weight of the compacts and loading rate are kept below certain limit values. Furthermore,
if the carbon potential is high at high temperature, the atmosphere tends to release soot on cooling. This soot will be formed at the furnace regions where local conditions correspond to a relatively high ratio CO2/CO.
For any equipment, it is always necessary to remember that
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case of endogas (or methanol) atmosphere.
• If the hydrogen loss of the base powder is constant and
low enough, the graphite additions may be suitably adjusted, to compensate for the carbon loss due to the oxygen
removal.
• The furnace manufacturers should supply the typical thermal profiles of their equipment, made at different furnace
loading and with different atmosphere flow-rates.
• For a more accurate mastering of sintering processes, part
manufacturers should investigate on the chemical profiles
inside furnaces to be used for demanding productions.
Even if measured data may be different from the actual
compositions inside furnaces, the consistency of results
should enable to assure the consistency of process conditions and material properties, namely, material’ quality.
• The flow pattern of atmosphere motion inside a sintering
furnace is still partially unknown. The furnace makers
should supply information on typical flow patterns, at different atmosphere flow-rates and for various thermal profiles. For cost-effectiveness, the gas flow-rate should be as
low as possible. As a thumb rule, we can assume that for a
customary belt furnace with horizontal axis each cm of
belt width requires 1 nm3/hour of atmosphere. This flowrate should prevent any uncontrolled air inlet from both
the furnace extremities. The corresponding Reynolds number, however, shows that flow pattern, at least at a certain
distance from the intake point, should be viscous. Then,
the lack of whirls could at least partially agree with the
idea of layering between constituents inside the gaseous
mixture.
• With properly engineered sintering furnaces, equipped
with a controlled fast-cooling section, the tolerance on
carbon can be reduced and optimum microstructure for
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P/M steels of any given composition can be achieved.
• The new iron-base powders, which justify the terms “sinter hardening” or “sinter-quenching”, can be correctly
and advantageously sintered in furnaces equipped with
the various chambers provided for specific functions and
exhibiting the required thermal profiles. They will oblige
to narrow the ranges of carbon content on P/M steels.
• A stricter co-operation between part manufacturers, furnace makers and sintering experts can enhance the possibilities of using improved PM steels for reliable and advanced applications.
• P/M parts which require machining – for shape peculiarities – and induction hardening – for improving wear resistance, may be seen as a “litmus paper” to rate the capability of P/M part makers to get consistent results when
producing sintered steels. As a matter of fact, the needs of
machining figure out an upper limit to carbon content,
whereas the need of hardenability establish a lower limit
to carbon content. In general, the gap between upper and
lower limits on carbon content is modest, limited to less
than 0,2%. Only P/M part makers that really master sintering of steels and can utilize advanced, reliable, and properly controlled equipment can fulfil these demanding requirements.
• The growth of P/M applications depends also on a continuous decrease of differences, with respect to fully dense
steel. To progress in this direction, tolerance ranges on
carbon content must be narrowed. Today, any comparison
between conventional steels and P/M steel is unfavourable
to powder metallurgy. Since a remarkable narrowing of
carbon ranges is possible, this direction is a strong push
for improvement, at least for progress-oriented furnace
makers and P/M part manufacturers.