disastri naturali

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disastri naturali
ISAT
Istituto per le scelte
ambientali e tecnologiche
Con la collaborazione
del Dipartimento
della protezione civile
DISASTRI NATURALI
Conoscere per prevenireRoma,
2006
ISAT
Istituto per le scelte
ambientali
e tecnologiche
Con il contributo
del Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio
Con il patrocinio scientifico
del Consiglio Nazionale
delle Ricerche
Con il contributo
dell’Università Telematica
“Guglielmo Marconi”
Con la collaborazione
del Dipartimento
della protezione civile
ISAT
Con la collaborazione
del Dipartimento
della protezione civile
Istituto per le scelte
ambientali e tecnologiche
Con il contributo
del Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio
Con il patrocinio scientifico
del Consiglio Nazionale
delle Ricerche
Con il contributo
dell’Università Telematica
“Guglielmo Marconi”
DISASTRI NATURALI
Conoscere per prevenire
a cura di
Mario Signorino e Francesco Mauro (ISAT)
con la collaborazione
di Valerio Comerci (rischio sismico)
e Fiorenzo Fumanti (rischio vulcanico)
Roma, 2006
5
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
INDICE
Introduzione
DISASTRI NATURALI
Conoscere per prevenire
7
Perché questo tema è importante
A cura di
Mario Signorino
e Francesco Mauro
1.
I disastri naturali a livello globale
9
Con la collaborazione di
1.1 I disastri naturali del passato
9
(rischio sismico)
1.2 I disastri del nuovo secolo
14
(rischio vulcanico)
1.3 Alcune questioni di terminologia
16
Il rischio sismico in Italia
19
2.1 Elementi del rischio sismico
20
2.2 La pericolosità sismica in Italia
24
2.3 Forti terremoti avvenuti in Italia
27
2.4 La vulnerabilità sismica in Italia
28
2.5 Schede su alcuni forti terremoti avvenuti in Italia
33
Il rischio vulcanico in Italia
44
3.1 Le caratteristiche dei vulcani
44
3.2 I vulcani italiani
51
3.3 Il Vesuvio
54
3.4 I Campi Flegrei
66
3.5 Ischia
72
3.6 Il Piano Vesuvio
74
3.7 Altri vulcani italiani attivi
75
Altre minacce per il territorio italiano
81
Università Federico II di Napoli
4.1 Alluvioni e frane
81
Paola Carrabba
4.2 Fenomeni riguardanti il livello del mare
Valerio Comerci
e Fiorenzo Fumanti
Progetto grafico
Aurelio Candido
2.
Editing
Valter Baldassarri
Illustrazioni
Koen Ivens
(completare con le pagine)
Gli autori desiderano ringraziare
Gian Michele Calvi,
Bernardo De Bernardinis,
Elvezio Galanti,
Leonello Serva,
Vincenzo Spaziante,
3.
per i commenti e i suggerimenti forniti
Per il reperimento dell’iconografia,
si ringraziano
Attilio D’Annibale
Dipartimento della protezione civile
Concetta Nostro
e Daniela Riposati
Istituto nazionale di geofisica
e vulcanologia
© ISAT
Istituto per le scelte
ambientali e tecnologiche
E-mail: [email protected]
Giovanni Orsi
e Magda De Lucia
Osservatorio Vesuviano
Giuseppe Luongo
Enea
4.
8
Disastri naturali | Conoscere per prevenire | Introduzione
Perché questo tema è importante
L’Italia è un paese caratterizzato da una sovrapposizione di rischi
naturali che ha pochi riscontri al mondo. Terremoti, eruzioni
vulcaniche e dissesto idrogeologico si verificano in modo ricorrente su
buona parte del territorio nazionale. La situazione è aggravata
dall’antropizzazione del territorio e da carenze nella prevenzione e
mitigazione che rendono disastrosi effetti di fenomeni anche non
particolarmente forti.
Scopo del presente lavoro è condurre una ricognizione del rischio di
disastri naturali sul territorio nazionale. Un’informazione equilibrata
ed obiettiva può essere un forte strumento di buongoverno per la
salvaguardia di un patrimonio culturale e ambientale senza prezzo,
ma per il cui mantenimento prezzi accettabili debbono pur essere
pagati.
La situazione non è tranquillizzante, come dimostrano i continui
disastrosi effetti di frane e alluvioni sugli abitati e sulle popolazioni, la
diffusa elusione delle normative antisismiche per l’edilizia, la piaga
dell’abusivismo edilizio che accresce notevolmente la vulnerabilità
sismica, vulcanica e geologico-idraulica del Paese, la presenza di vaste
popolazioni in aree ad alto rischio come quelle intorno al Vesuvio e ai
Campi Flegrei.
Particolarmente carente l’attenzione verso i problemi di protezione dei
beni culturali, nonostante lo choc a suo tempo causato
dall’inondazione di Firenze del 1966 e la conoscenza della
vulnerabilità di aree particolarmente importanti come la Val di Noto
per il barocco siciliano. La tendenza diffusa nell’opinione pubblica e
nei decisori a non preoccuparsi del rischio dovuto a fenomeni non
immediati o comunque non definiti precisamente nel tempo,
ancorché probabilisticamente attesi, è infatti ancor più rilevante nel
caso dei beni culturali. Si ritiene quindi necessario uno sforzo
particolare affinché queste problematiche vengano meglio apprezzate
ed affrontate.
L‘osservazione dei disastri naturali in Italia risale all’antichità: si pensi
alla famosa eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed all’origine
stessa del termine “vulcano”. Malgrado ciò, si è avuto un decollo
tardivo delle moderne scienze della terra (a detta degli studiosi, solo
in seguito al terremoto di Avezzano, detto anche del Fucino, nel 1915)
e dell’approccio oggi identificato come protezione civile (nel secondo
dopoguerra, dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980).
Per quanto riguarda lo stato attuale della conoscenza e della ricerca di
base e applicata, di rilevanza anche per la prestazione di servizi
scientifici ed attività di supporto e consulenza, è opportuno aprire una
seria discussione, assicurandosi che vi siano dedicate attenzione e
risorse almeno pari a quelle riservate agli studi e alle attività di
monitoraggio nel campo meteo-climatico.
In linea generale, la gestione dei rischi associati ai vari fenomeni da
parte delle strutture di governo, centrali e locali, potrebbe essere
migliorata cambiando sostanzialmente le priorità della politica
ambientale e, più in generale, le priorità di governo
7
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
9
1. I DISASTRI NATURALI A LIVELLO GLOBALE
1.1. I disastri naturali del passato
La storia del nostro pianeta è segnata da catastrofi, ma buona parte di
questa storia ci è ignota. Le fonti scritte riguardano al massimo qualche migliaio di anni, a fronte di un genere Homo che potrebbe avere fino a 5 milioni di anni di età.
Sicuramente la storia della Terra è caratterizzata da molteplici estinzioni
di massa la cui causa è da ricercare in eventi capaci di mutare radicalmente,
in tempi geologicamente brevissimi, le condizioni di vita dell’intero pianeta. Diversi ricercatori segnalano la corrispondenza temporale di alcune di
tali estinzioni (ad esempio, quelle della fine del Devoniano, 367 milioni di
anni fa; della fine del Triassico, 212 milioni di anni fa; della fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa; e della fine dell’Eocene, 34 milioni di anni fa) con
l’impatto con corpi celesti di grandi dimensioni.
L’impatto con i meteoriti
L’ultimo impatto conosciuto con un corpo celeste di dimensioni apprezzabili (20-60 metri di diametro) è quello di Tunguska (Siberia) nel 1908, che
non ha avuto effetti catastrofici solo perché ha colpito una zona quasi deserta e forse perché, essendo di origine cometaria, è esploso quando si trovava ancora in atmosfera.
Le conseguenze della caduta di un grande meteorite, anche più piccolo di
quello dello Yucatan, potrebbero essere apocalittiche, sia per gli effetti meccanici immediati dell’impatto che per l’insorgenza di ampie variazioni cli-
La lunga storia dei disastri
naturali può essere
esemplificata dalla catastrofe
planetaria causata dal
grande meteorite, stimato di
10 km di diametro, caduto
65 milioni di anni fa nello
Yucatan, noto come
Chicxulub, ritenuto
responsabile della grande
estinzione di specie alla
transizione dei periodi
Cretaceo-Terziario.
10
Disastri naturali a livello globale | Il passato
matiche (verso il freddo, a causa del lungo ”inverno planetario”causato dalla polvere sollevata
dall’impatto), con relativa interruzione della catena alimentare e massiccia estinzione di specie.
Tra i rischi provenienti dallo spazio extraterrestre, va segnalato quello dovuto alla caduta di
satelliti artificiali che si sono progressivamente
riavvicinati alla superficie terrestre. I luoghi di
caduta dei satelliti o dei loro frammenti sono
spesso difficili da prevedere e richiedono un’attenta gestione del rischio da parte della protezione civile.
Le glaciazioni
Il cratere di Manicouagan,
Quebec, Canada. Ha un diametro
di circa 100 km e risale a 212
milioni di anni fa.
Fonte:
Image Science and Analysis
Laboratory, NASA-Johnson Space
Center. 19 Oct. 2004. “Earth from
Space - Available Images.”
http://earth.jsc.nasa.gov/sseop/
efs/images.pl?photo=STS00948-3139.
Gli effetti di tali fenomeni a livello planetario
ricordano le glaciazioni - le cui cause, principalmente di natura astronomica, non sono ancora
completamente chiare - di cui l’ultima, il Last
Glacial Maximum (LGM), ha avuto il picco circa
18.000 anni fa ed è durata fino a circa 10.000 anni fa (in quel periodo, la
temperatura si abbassò nell’emisfero nord di 5-10°C, il ghiaccio artico arrivò a coprire quasi tutta la Gran Bretagna e buona parte dell’Europa centrale, i ghiacciai alpini si estesero alla Pianura Padana).
Le glaciazioni ed i relativi periodi interglaciali sono fenomeni di lunga
durata e di entità planetaria. Non vanno perciò confusi con eventi di minor
rilievo come la cosiddetta “piccola età glaciale” verificatasi tra il 1300 e il
1850 circa (caratterizzata da un abbassamento della temperatura dell’emisfero nord di circa mezzo grado centigrado).
Le Grandi Province Magmatiche
Per altre grandi estinzioni, non sono state individuate cause extraterrestri ed
appare invece plausibile la correlazione con le Grandi Province Magmatiche
(GPM). Le GPM sono aree molto estese, ricoperte da chilometri di depositi
magmatici emessi da gigantesche eruzioni continuate per migliaia di anni.
Tale attività eruttiva ha sicuramente determinato la fuoruscita di enormi quantità di gas in grado di modificare radicalmente la composizione dell’atmosfera
e degli oceani con conseguenze catastrofiche sul clima e sull’ambiente.
La più grande estinzione della storia della Terra, avvenuta alla fine del
Permiano (circa 225 milioni di anni fa), è probabilmente connessa con il
plateaux basaltico della Siberia, generato da almeno 45 eruzioni che hanno
ricoperto con circa 4 km di lava un’area di 1,5 milioni di km2. L’accumulo
delle lave nella GPM del Deccan, circa 65 milioni di anni fa, è probabilmente corresponsabile dell’estinzione della fine del Cretaceo.
I maggiori terremoti della storia
Tra le catastrofi registrate nella storia umana, quella che forse ha provocato il maggior numero di vittime (800.000 morti) è il terremoto nello
Shansi (Cina) del 1556; seguono l’uragano di Calcutta del 1737 (300.000
morti) e, nella stessa zona, quello del Bangladesh (sempre circa 300.000
morti) del 1970. Alcuni studi danno invece il triste primato alla grande
inondazione verificatasi in Cina nel 1931 con 3.700.000 morti stimati.
Un elenco dei terremoti maggiormente significativi in termini di perdite
di vite umane è prodotto dall’US Geological Survey (USGS) e riportato
nella tabella 1.1.
11
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Tabella 11 - Terremoti con il maggior numero di vittime
DATA
LOCALITÀ
VITTIME
MAGNITUDO
23-01-1556
26-12-2004
27-07-1976
9-08-1138
22-12-856
16-12-1920
22-05-1927
23-03-893
01-09-1923
05-10-1948
Shansi, Cina
Sumatra, Indonesia
Tangshan, Cina
Aleppo, Siria
Damghan, Iran
Ningxia-Gansu, Cina
Tsinghai, Cina
Ardabil, Iran
Kwanto, Giappone
Ashgabat,
Turkmenistan
Chihli, Cina
830.000
283.106
255.000 (ufficiali)
230.000
200.000
200.000
200.000
150.000
143.000
110.000
~8
9.0
7.5
Non Disponibile
N.D.
7.8
7.9
N.D.
7.9
7.3
100.000
6.7
27-09-1290
NOTE
Vittime per terremoto e tsunami
655.000 morti stimati
Fagliazione superficiale, frane
Fagliazione superficiale
Grande incendio di Tokyo
Fonte: United States Geological Survey. http://earthquake.usgs.gov.
Altri cataloghi, tra i quali quello del National Geophysical Data Center
statunitense (http://www.ngdc.noaa.gov/seg/hazard) che copre l’arco temporale compreso tra il 2150 a.C. ed il 2005 d.C., riportano un maggior numero
di eventi disastrosi, tra i quali quelli che avrebbero interessato:
! Antiochia nell’odierna Turchia nel 115 (260.000), nel 526 (250.000)
e nel 533 (130.000);
! Kiapas in Azerbaijan nel 1139 (300.000);
! Egitto o Siria nel 1201 (1.100.000 morti);
! Kwanto in Giappone (compresa la zona di Tokyo) nel 1703 (140.000);
! Tabriz in Iran nel 1780 (200.000);
! la Baia del Bengala in India nel 1876 (215.000);
! Tovin in Armenia nell’893, pochi mesi dopo quello di Ardabil (180.000).
Bisogna comunque tener presente che esiste
una certa incertezza nei dati inseriti nei cataloghi, maggiore per gli eventi più antichi, e studi
più accurati possono ridimensionare la portata
del fenomeno. Un caso classico è quello del supposto terremoto (inserito come tale anche nel
database del NGDC) che avrebbe colpito l’area
di Calcutta nel 1737 determinando la morte di
300.000 persone. Secondo studi recenti (vedi
sito http://earthquake.usgs.gov) il disastro fu invece originato da una violentissima tempesta
tropicale. Un altro caso è quello del terremoto di
Hokkaido in Giappone nel 1730, riportato in alcuni cataloghi come evento responsabile della
morte di 137.000 persone, che è invece da riferirsi, secondo sismologi giapponesi, al sisma che
colpì Tokyo nel 1703.
Anche recentemente si sono avuti terremoti
La storia dei terremoti è ovviamente molto antica.
Per limitarsi ai tempi storici, si può attribuire ad effetti
sismici l’episodio biblico della caduta delle mura di
Gerico nel 1250 a.C. circa; sono state causate da
terremoti la caduta del Colosso di Rodi nel 224 a.C. e
quella del Faro di Alessandria nel 365 a.C. (con
50.000 morti come effetto del sisma), nonché la
distruzione di Antiochia in Siria nel 526 (250.000
morti). Il famoso terremoto di San Francisco del
1906, che fu seguito da un grande incendio, fece solo
700 vittime (forse una sottostima), ma viene oggi
ricordato come causato dalla faglia di San Andreas
(alla sua estremità nord) e quindi come precursore
dell’atteso “big one” che dovrebbe colpire la
California.
12
Disastri naturali a livello globale | Il passato
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
devastanti, come quello di Izmit in Turchia nel 1999 (150.000 edifici distrutti
e 17.000 morti), di Bhuj nel Gujarat, India, nel 2001 (400.000 case crollate e
quasi 100.000 morti), del Golfo del Bengala (Sumatra) nel 2004 e del Kashmir nel 2005. I terremoti recenti più violenti, tutti superiori a magnitudo
9 della scala Richter, si sono avuti, oltre che nel Golfo del Bengala come sopra citato, in vari punti del cosiddetto ”anello di fuoco”del Pacifico, sempre
in zone dove si verifica la subduzione delle placche: a Valdivia in Cile (il più
violento e con magnitudo più alta: 9,4-9,6 della scala Richter) nel 1960, in
Alaska nel 1957 e nel 1963, nel Kamchakta nel 1952.
Terremoti con tsunami sono stati quelli citati del Golfo del Bengala e del
Krakatoa (vedi oltre), quello citato di Tokyo nel 1703 che è risultato il più
grave mai avvenuto in Giappone, quello famoso di Lisbona nel 1755
(45.000 vittime), di Arica in Cile nel 1868 (70.000 vittime fra terremoto e
maremoto), e alcuni italiani come quello del 1783 in Calabria e quello famoso di Messina del 1908. Altri si sono avuti in Alaska, nelle Aleutine, nelle
Hawaii, in Giappone e nel Pacifico.
Non vanno infine dimenticate grandi frane,
alluvioni (anche su scala quasi continentale),
tornado (con un picco di 689 in una singola sequenza negli Stati Uniti nel 1925). È vero d’altro canto che questi fenomeni, a differenza di
terremoti, maremoti ed eruzioni, sono in qualche modo collegati al clima e quindi all’eventuale, magari parziale, origine antropica dei fenomeni stessi.
Le maggiori eruzioni vulcaniche della storia
Oltre ai terremoti, effetti disastrosi, diretti e indiretti, sono legati alle
grandi eruzioni vulcaniche. In particolare si citano quelle:
! del Tambora a Sumatra, Indonesia, nel 1815 (92.000 morti), forse la più
grande eruzione dalla fine dell’ultima glaciazione, con effetti climatici
nel 1816 (“l’anno senza estate”) e negli anni successivi,
! del Krakatoa sempre in Indonesia, fra Giava e Sumatra, nel 1883
(36.000 morti), con annesso maremoto, avvenuta a circa 60.000 anni di
distanza della precedente eruzione importante,
! della Montaigne Pelée nella Martinica nel 1902 (29.000 morti),
! del Nevado del Ruiz (Colombia) nel 1985 quando una modesta
eruzione determinò lo scioglimento dei ghiacciai con formazione di
colate di fango (lahars) che uccisero 25.000 persone.
Altre eruzioni di minore entità per quanto riguarda le vittime si sono verificate in Giappone, Colombia, Islanda, Messico, Guatemala, Indonesia,
Filippine, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti, Italia, ecc.
Tipi di eruzione
Le eruzioni possono essere di vario tipo (una classificazione più completa
è riportata nel capitolo 3):
! pliniane (da Plinio il Giovane che descrisse l’eruzione che distrusse
Pompei), di tipo esplosivo e generatrici di flussi piroclastici, come quelle
del Vesuvio, del Mount St. Helens (1980) e del Pinatubo nel 1991 l’eruzione più potente del secolo scorso che, grazie all’evacuazione di
oltre 200.000 persone, produsse un numero limitato di vittime (870) ma
ebbe effetti socio-economici ed ambientali devastanti;
! peleane, legate all’ostruzione del condotto da parte di magma molto
vischioso, fortemente esplosive e con flussi piroclastici, come quella
della Montaigne Pelée (1902);
! vulcaniane (da Vulcano, Isole Eolie), moderatamente violente e con
possibili flussi piroclastici;
! stromboliane (da Stromboli nelle Isole Eolie), con piccole esplosioni e
fuoriuscita continua di lava;
! hawaiane, con fuoriuscita continua e senza esplosioni di lava e gas,
come nel caso delle Hawaii appunto e de La Réunion nell’Oceano
Indiano.
La variabilità del rischio
13
Grandi eruzioni sono avvenute in tempi remoti,
come quella esplosiva dell’isola egea di Thera (i cui
resti oggi sono noti come Santhorini), nel 1500 a.C.
circa, spesso collegata alla leggenda di Atlantide ed
alla fine della civiltà Minoica. Effetti ambientali
ancor più devastanti hanno avuto le supereruzioni,
molto più rare nel tempo, come quelle del distretto
vulcanico dei Campi Flegrei (descritte in seguito) o
come quella del Toba a Sumatra, 73.500 anni fa
(con precedenti 700.000 e 840.000 anni fa), che
ha formato un cratere di 100 km e provocato un
lungo “inverno vulcanico” (crollo di 5-6°C delle
temperature planetarie medie), forse responsabile
di una quasi estinzione dell’Homo sapiens moderno
(come suggerito dal ristretto pool genetico
attribuibile ad un piccolo numero di individui per
tutta l’umanità) ed eventualmente dell’innesco
dell’ultima glaciazione. Note e ben studiate sono
anche le supereruzioni della caldera dello
Yellowstone, in Nord America, 600.000 e
2.000.000 anni fa. Assolutamente catastrofiche
sono state le eruzioni che hanno generato le Grandi
Province Magmatiche citate in precedenza.
Va anche ricordato che la pericolosità (e
quindi il rischio) di questi fenomeni è diversa:
! di anno in anno, sia per ragioni di
fluttuazioni statistiche, sia per ragioni di
trend (per cause più o meno note: si pensi,
ad esempio, non solo alla variabilità
climatica, ma anche ai cicli astronomici e
all’evoluzione del territorio);
! riguardo agli effetti in termini di morti e
feriti (nel 2000 le inondazioni, nel 2004 lo
tsunami), danni economici, effetti sulla
natura, sul paesaggio, sulla biodiversità e
sui beni culturali;
! a seconda della località colpita, sulla base della geografia e dello stato
socio-economico, con differenze soprattutto a livello macroregionale.
Diversa ancora è la percezione (variabile a
sua volta nel tempo e nello spazio) da parte
dell’opinione pubblica e degli stessi tecnici
esperti (anche sulla scorta delle suddivisioni
per corporazioni disciplinari e per approccio
metodologico).
Si rendono quindi necessarie attente e precise analisi comparate del rischio, sulla base sia
di dati retrospettivi che di conoscenza dei meccanismi d’azione, allo scopo di stabilire il rischio potenziale per evento e per categorie di
eventi. In prima approssimazione, è da ricordare che la stessa frequenza dei diversi tipi di
eventi è estremamente variabile: dall’impatto
di un meteorite di 10 km di diametro, che ha
una probabilità di accadimento di una volta
ogni 100 milioni di anni circa, ad una supereruzione vulcanica (con VEI, Volcanic Explosivity Index, di 8 o più) che si verifica in media ogni
50.000 anni, ad una scossa di terremoto di magnitudo 8 della scala Richter che avviene in genere ogni 2 anni, fino alle scosse meno violente
con frequenze di mesi, settimane, giorni, ore,
minuti.
È un buon esempio di relativa distorsione nella
percezione l’evento di alluvione/frane/smottamenti
del 2000 nelle Alpi italo-svizzere, il cui ricordo,
sicuramente ben presente nelle popolazioni padane e
valdostane, nell’opinione pubblica italiana è divenuto
nel frattempo assai “modesto”, probabilmente perché
l’epicentro delle fatalità si trovava in Svizzera (intorno
a Gondo nel Canton Vallese), ossia all’estero, e perché
la laminazione della piena dal Po, di dimensioni
paragonabili a quella del 1954 (alluvione del
Polesine), tramite l’inondazione programmata delle
aree golenali, riuscì a scongiurare un superamento
degli argini che avrebbe avuto effetti ben peggiori di
quello del 1954.
Un altro buon esempio è quello relativo all’evento di
dissesto geologico-idraulico avvenuto nell’ottobre
1910 nella Costiera Amalfitana. Le ondate di piena
dei torrenti, associate all’innesco di numerose colate
rapide di fango/detriti sui versanti, causarono circa
200 morti a Cetara e piu di 50 negli altri centri
costieri (Maiori, Minori, Vietri, Erchie). Nonostante ciò,
l’evento è stato rapidamente dimenticato, forse perché
a cavallo dei disastri sismici del 1908-1915 e
precedente al disastro bellico del 1915-18, o forse
perché la zona di massima distruzione era localizzata
in un piccolo paese (Cetara) allora di “insignificante”
valore per l’economia nazionale.
14
Disastri naturali a livello globale | Il nuovo secolo
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
1.2. I disastri del nuovo secolo
L’anno 2004
L’anno 2005
Il 2005 è stato caratterizzato dalla tragedia dell’uragano Katrina, che ha
colpito soprattutto quattro stati degli USA (Louisiana, Mississippi, Alabama
e Florida) e in particolare, il 29 agosto 2005, la città di New Orleans.
L’8 ottobre 2005 un terremoto di magnitudo 7.6 ha colpito il Kashmir pakistano e parte di quello indiano facendo oltre 80.000 vittime (ma quelle
stimate raggiungono le 200.000), devastando una zona soggetta per anni
ad azioni di guerra e che, al momento del sisma, si trovava nella stagione
fredda di alta montagna.
L’uragano Katrina
Pur essendo stato probabilmente l’uragano più
disastroso a colpire gli USA per danni provocati,
non è il più intenso registrato. É superato infatti da
quello detto del Labor Day (2 settembre 1935,
Florida Keys), da Camille (17 agosto 1969,
Mississipi) e da Andrew (24 agosto 1992, Florida
sud-orientale), tutti di categoria 5 sulla scala SaffirSimpson (da 1 a 5) al momento dell’arrivo sulla
terraferma (mentre Katrina è stato di categoria 4).
Gli uragani di categoria 5 negli USA, a partire dal
1886, sono stati 22. L’uragano precedente più
disastroso è stato però quello di Galveston nel
Texas (8 settembre 1900), anch’esso di categoria 4
come Katrina, dove i morti furono 8-12.000, per
buona parte dovuti all’ondata di arrivo dell’uragano
in una città dove quasi nessuno aveva ascoltato il
suggerimento di evacuazione, che pure era stato
dato.
Sembra che, dal 1995, gli uragani siano diventati
più intensi (nell’Atlantico ma non nel Pacifico,
nonostante che la temperatura dell’acqua risulti
maggiormente aumentata in quest’ultimo), ma non
più frequenti, anzi forse in diminuzione; la
correlazione con il cambiamento climatico globale
è stata ipotizzata ma non dimostrata.
Katrina è stata la dodicesima tempesta tropicale
del 2005 a colpire gli USA; il vento ha raggiunto
sulle coste i 280 km/ora e la massima intensità di
pioggia è stata di 250 mm/giorno. In sintesi, la
catastrofe indotta da Katrina non fu dovuta tanto alla
forza dell’uragano, quanto alla vulnerabilità del
territorio del delta del Mississipi ed in particolare
della città di New Orleans, situata in gran parte sotto
il livello del mare ed esposta agli effetti della rottura
degli argini e delle dighe che la proteggono dal
Mississippi, dal Lago Pontchartrain e dai canali ad
essi collegati.
Le vittime finora accertate di questa catastrofe sono
1.281, di cui 799 in Louisiana, morte a causa
dell’inondazione ma non delle condizioni meteo.
Circa 1 milione di persone ha lasciato New Orleans
15
Alcuni osservatori, particolarmente attenti alla questione climatica, avevano già dichiarato il 2004 l’anno dei disastri e degli eventi climatici
estremi.
Più precisamente, sul piano degli effetti collegati al clima, l’anno 2004 è
stato caratterizzato da:
! un numero eccezionalmente alto di tifoni nel Pacifico (Giappone, Asia
sud-orientale, isole del Pacifico);
! 15 uragani delle classi più elevate nell’Atlantico (il numero annuo
normalmente non è superiore a 10), di cui 9 hanno colpito Caraibi ed
USA (un uragano anomalo nell’Atlantico meridionale ha colpito il
Brasile);
! monsoni particolarmente distruttivi (Golfo del Bengala e Cina) con
piogge torrenziali, alluvioni, frane e smottamenti;
! 182 tornado in agosto (56 in più rispetto al 1979 anno record) e 235 in
settembre (139 in più rispetto al 1967 anno record) negli USA;
! incendi boschivi eccezionali in Alaska;
! accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai artici;
! siccità aggravata in Africa settentrionale con sciami di cavallette.
L’anno 2004 è cominciato e
terminato rispettivamente con
il disastroso terremoto di
Bam (Iran) - 30.000 morti, il
70% degli edifici distrutti - e
con il catastrofico
terremoto/tsunami
dell’Oceano Indiano, con
epicentro fra Sumatra e le
Isole Andamane (9,3-9,4
della scala Richter), con
effetti a livello bicontinentale.
L’anno 2000
Per il 2000, un servizio di monitoraggio/catalogazione attuariale (Munchener Ruck) ha elencato le seguenti catastrofi naturali considerate significative:
! 3 terremoti (tutti in Estremo Oriente),
! 6 grandi fenomeni tempestosi (tifoni, tornado, cicloni in Estremo
Oriente, USA e Madagascar),
! 5 inondazioni (in Asia ed Europa) di cui una con frane (nelle Alpi in
Italia/Svizzera - l’evento che ha causato la massima perdita finanziaria),
! 4 tra incendi di foreste, estrema siccità ed eventi franosi (in USA, Asia
ed Europa).
Alcune statistiche
prima dell’arrivo dell’uragano; almeno 30.000 si
sono rifugiate nel Super Dome situato in città;
273.600 sono state sgomberate d’autorità nei giorni
successivi. La produzione di petrolio del Golfo del
Messico si è ridotta temporaneamente del 95% (pari
a 14 milioni di barili al giorno). Si stima che i danni
superino i 200 miliardi di dollari, rendendo Katrina il
più costoso disastro naturale verificatosi negli USA.
La tragedia ha aperto la discussione su una serie di
problemi rilevanti: la prevenzione di questi disastri, le
caratteristiche e la manutenzione delle strutture antiinondazione, l’organizzazione delle strutture della
protezione civile, l’importanza della ricerca e delle
previsioni, il livello di priorità politica della gestione
dei rischi naturali.
Fonte:
http://cimss.ssec.wisc.
edu/tropic/archive/2005/storms/
katrina/avhrr/N17L.html
.
Le fatalità dovute a questi eventi variano da 0 a 1.450 morti per evento, la
massima perdita economica sempre per evento è di 8.500 milioni di dollari,
il massimo rimborso pagato da società di assicurazione per un dato evento
è di 925 milioni di dollari.
Se si guarda al numero di esseri umani coinvolti (morti, feriti, evacuati o
comunque colpiti) da questi eventi, sempre sulla base di dati attuariali, gli
effetti collegati al clima risultano indubbiamente i più rilevanti: per il periodo 1994-2004, il numero più alto si ha per le inondazioni
(1.530.491.000), la siccità (778.123.000) ed i cicloni (312.075.000); mentre al
confronto appaiono minori terremoti (33.954.000) ed eruzioni (818.000).
D’altro canto, gli effetti collegati al clima potrebbero, secondo molti, non
essere considerati disastri naturali ma eventi almeno in parte di origine antropica. Globalmente, il 2004 è stato comunque il quarto anno più caldo dal
1880; ed inoltre gli ultimi 10 anni, con l’esclusione del 1996, sono stati gli
anni più caldi dal 1861.
Stime dei danni recenti
Il valore globale dei danni stimati per il 2004 è stato valutato (senza calcolare gli effetti dello tsunami della fine dell’anno) in almeno 90 miliardi di dollari, valore record negli ultimi decenni, e fino ad un massimo (con lo tsunami)
di 145 miliardi di dollari (di cui 44 miliardi risarciti dalle assicurazioni)1.
Extensive Munich Re
study: “Topics Geo - Annual
Review: Natural
Catastrophes 2004”,
Munich Re Group, press
release: 24 February 2005.
1
16
Disastri naturali a livello globale | Alcune questioni di terminologia
Le catastrofi naturali del 2004 hanno inoltre ucciso il doppio delle persone rispetto al 2003, per una cifra totale di 180.000 morti (ma di cui
170.000, il 94%, causati dal grande tsunami). In proporzione però, i danni
economici sono stati causati maggiormente da altri eventi rispetto allo tsunami: per il 27% dai soli uragani e tifoni che hanno colpito Caraibi e Giappone. Il numero totale degli eventi catastrofici analizzati per questi dati è
stato di 650 di cui: 75 terremoti, 10 eruzioni vulcaniche, ed il resto eventi atmosferici e marini.
1.3. Alcune questioni di terminologia
Glaciazione (glaciation):
Fenomeno geologico di
grandi dimensioni e durata,
le cui cause sono ancora
molto discusse, caratterizzato
dall’estensione del ghiaccio
polare verso l‘equatore e dei
ghiacciai alpini o di altre
montagne verso aree in
precedenza libere da ghiacci
per latitudine o altitudine; la
glaciazione è caratterizzata
da un clima freddo e secco,
diminuzione del livello del
mare (per i volumi d’acqua
bloccati nei ghiacci) e,
probabilmente, con
modificazioni dell’equilibrio
delle correnti oceaniche.
L’ultima glaciazione
è terminata circa 10.000
anni fa.
Per“disastro naturale”si intende un evento dovuto, esclusivamente o prevalentemente, a forze della natura che causi, in un tempo medio-breve, un
danno significativo.
Sono compresi fra i disastri essenzialmente eventi come: terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, cicloni tropicali, tempeste di terraferma (tornado), altri uragani e fenomeni tempestosi, precipitazioni (piogge, grandine e nevicate) eccezionali, siccità estrema o prolungata, ondate di calore,
grandi incendi, ondate di freddo, ecc. Questi eventi sono di origine naturale, ma possono essere amplificati dall’azione dell’uomo.
Vi sono poi fenomeni complessi, vasti e di lunga durata come le glaciazioni che, in un certo senso, esulano dal disastro naturale, pur essendo
eventualmente all’origine di disastri.
Per individuare in modo rigoroso i “disastri naturali”è necessario rispondere ad almeno due difficili quesiti. Il primo riguarda la significatività o rilevanza relativa del danno indotto; chiaramente, tale danno deve essere severo, con la distruzione o messa fuori uso di infrastrutture, danneggiamenti
ad edifici, proprietà o elementi anche naturali del paesaggio, e la presenza
di feriti o fatalità. Sui mezzi di informazione, per ragioni mediatiche o anche di opportunità politica locale, è invalso l’uso di qualificare come “disastri”anche fenomeni che tali non sono, come una normale grandinata che
abbia effetti dannosi sulla produzione agricola. I disastri naturali possono
causare, oltre al danno immediato o precoce, numerosi effetti tardivi, come
i fenomeni di degrado territoriale, desertificazione, perdita di biodiversità
(inclusa quella ecosistemica), oltre ovviamente alle conseguenze socio-economiche.
Il secondo quesito concerne la distinzione tra disastri naturali e disastri
causati dall’uomo: una sovrapposizione di origine è evidente, ad esempio,
nel caso di alcuni dei grandi incendi. Essa è in genere invocata dai fautori
dell’origine principalmente antropica dell’effetto serra per gran parte degli
effetti collegati al cambiamento o alla variabilità climatica, i cui danni sono
in effetti dipendenti anche dall’insufficiente o scorretta gestione del territorio.
Sono in uso numerosi sinonimi del termine“disastro naturale”, come“calamità” o “evento calamitoso”; per i disastri naturali particolarmente gravi,
caratterizzati da effetti in parte irrimediabili o irreversibili, si usano i termini
“cataclisma”, “catastrofe” o “evento catastrofico” (ad esempio, un grande
tsunami come quello recente nel Golfo del Bengala, un’eruzione vulcanica
con effetti atmosferici a livello planetario, la caduta di un asteroide). Il termine “catastrofe” viene spesso anche usato in senso figurato. Per “cataclisma”, le assicurazioni intendono un incidente o serie correlata di incidenti
che abbiano causato un danno alle proprietà superiore a 5-25 milioni di
dollari (cifra in evoluzione).
17
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Definizione dei vari disastri naturali
Terremoto (earthquake)
Movimento (con una o più scosse) della
crosta terrestre, che si verifica in tempi
estremamente rapidi, causato dal rilascio
dello stress accumulatosi lungo faglie
sismogenetiche o da attività vulcanica.
Tsunami o maremoto
Ondata (o più ondate) marina anomala
causata da un terremoto, da un’eruzione
vulcanica sottomarina o da una frana
sommersa o emersa con scivolamento a
mare.
Eruzione vulcanica (volcanic eruption)
Espulsione di materiale vulcanico (lava,
materiale piroclastico, gas vulcanici), tramite
uno o più condotti vulcanici, sulla superficie
terrestre.
Tempesta (storm)
Un disturbo atmosferico che si manifesta con
venti forti accompagnati da pioggia, neve o
altre precipitazioni e spesso da tuoni e
fulmini.
Ciclone (cyclone)
Un sistema atmosferico caratterizzato da una
rapida rotazione verso l’interno di masse
d’aria intorno ad un centro di bassa pressione
atmosferica, in genere accompagnato da un
tempo meteorologico tempestoso, spesso
distruttivo; i cicloni ruotano in senso
antiorario nell’Emisfero Nord ed in senso
orario nell’Emisfero Sud. b. Violenta tempesta
tropicale, specialmente con origine
nell’Oceano Pacifico sud-occidentale o
nell’Oceano Indiano.
Tempesta tropicale (tropical storm)
Una tempesta ciclonica con venti con velocità
da 48 a 121 km (30 a 75 miglia) all’ora.
Ciclone extratropicale (compresa la
tempesta mediterranea).
Ciclone di dimensioni vaste ma con contenuto
energetico più modesto rispetto al ciclone
tropicale, che nasce in aree oltre i 20 gradi di
latitudine, nella zona temperata, nel periodo
dall’autunno all’inverno; può colpire, tra
l’altro, le coste del Mediterraneo e le coste
atlantiche dell’Europa centro-meridionale.
Uragano (hurricane)
Un severo ciclone tropicale che ha origine
nelle regioni equatoriali (tra il Tropico del
Cancro ed il Tropico del Capricorno)
dell’Oceano Atlantico (in genere sulla costa
dell’Africa) o del Mar dei Caraibi o nelle
regioni orientali dell’Oceano Pacifico, e si
muove in direzione nord, nord-ovest o nordest rispetto al punto d’origine; caratterizzato
di norma da grandi piogge. Sinonimo:
ciclone tropicale.
Tifone (typhoon)
Un ciclone tropicale che si verifica
nell’Oceano Pacifico occidentale o
nell’Oceano Indiano.
Tornado
Una violenta tempesta di vento caratterizzata
dalla presenza di una colonna d’aria, dal
diametro da qualche metro fino ad un paio
di chilometri, che ruota a velocità alta e
distruttiva (in genere accompagnata da
un’estensione serpentina a forma di imbuto
verso il basso proveniente da una nuvola
cumulonembo sovrastante) e si muove lungo
un percorso ben definito sulla superficie
terrestre; in alcuni casi, si osservano sciami
di diversi mini-imbuti; un tornado, per
definizione, deve essere in contatto sia con
una nuvola che con il suolo. In inglese,
esistono numerosi sinonimi, anche in gergo:
twister, whirlwind, wedge, funnel, gustnado,
landspout, willy-willy, rope.
Tromba d’aria o marina
Vortici depressionari di piccola estensione in
cui i venti (in genere con rotazione antioraria
nell’emisfero nord) possono raggiungere
elevate velocità (anche di alcune decine di
km/h), che si verificano alla base delle
nuvole temporalesche chiamate
cumulonembi, formandosi a seguito di forti
instabilità dell’aria; una tromba tipica
presenta la forma a tubo o a cono a pareti
ripide con la base verso l’alto ed il vertice
che si protende verso la superficie terrestre
fino a toccarla, spesso con andamento
sinuoso. Si parla di tromba d’aria (funnel
cloud, detto tornado nelle forme più violente
SEGUE DALLA PAGINA PRECEDENTE
18
Disastri naturali a livello globale | Alcune questioni di terminologia
SEGUE DALLA PAGINA PRECEDENTE
tipiche del Nord America) quando il vertice di
base corre sul suolo e di tromba marina
(waterspout) quando corre sul mare o sulle
acque interne; sono noti casi in cui la tromba
passa dall’acqua alla terraferma o viceversa.
Inondazione (flood)
Lo straripamento dell’acqua di fiumi, laghi o
mare ad inondare dei suoli normalmente non
allagati. Sinonimi: straripamento, esondazione,
alluvione, allagamento. Sinonimi in inglese:
deluge, surge, overflow, inundation, alluvion.
Frana (landslide)
Crollo o scivolamento più o meno rapido
verso il basso di una massa rocciosa o
terrosa (o mista); benché sia la gravità che
agisce sul pendio la causa primaria delle
frane, vi sono altri fattori concomitanti:
erosione esercitata dall’acqua dei fiumi,
dai ghiacciai e dalle onde marine; azione
delle piogge ed altre precipitazioni;
terremoti; eruzioni vulcaniche; vibrazioni
naturali o di origine antropica; eccesso di
peso sul terreno; azione delle acque
superficiali e sotterranee. Sinonimo in
inglese: landslip.
Ondata di calore (heat wave)
Condizioni diffuse e persistenti di tempo
meteorologico eccezionalmente caldo
(specialmente a causa di alte temperature).
Siccità (drought)
Un lungo periodo di eccezionalmente scarse
precipitazioni, specialmente quando ha come
effetto un serio squilibrio idrologico con
conseguenze negative sulle condizioni di vita
e di crescita nelle aree colpite.
Incendio (fire)
Una rapida, persistente modificazione chimica
che rilascia calore e luce ed è accompagnata
da fiamma – in particolare l’ossidazione
esotermica di una sostanza combustibile –
con effetti sul terreno, vegetazione, fauna,
paesaggio, infrastrutture e proprietà.
Ondata di freddo (cold wave)
Insorgenza entro il periodo di 24 ore di un
tempo meteorologico eccezionalmente freddo
caratterizzato da una caduta della
temperatura rapida e considerevole, in genere
con effetto su un’area relativamente ampia.
Meteorite
Una massa metallica o rocciosa di materia di
origine asteroidale o cometaria che,
provenendo dallo spazio interplanetario,
attraversa l’atmosfera terrestre e raggiunge
eventualmente il suolo causando un impatto
anche disastroso.
19
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
2.
IL RISCHIO SISMICO IN ITALIA
L’Italia è caratterizzata da un’intensa attività vulcano-tettonica (endogena) che si esplica attraverso eruzioni vulcaniche e terremoti.
In termini geodinamici questi fenomeni si spiegano per la presenza di
una grande linea di subduzione (Figura 2.1) lungo la quale la zolla africana
scorre al di sotto di quella europea. Nel Mediterraneo tale linea passa per
Cipro, compie un arco nel Mar Egeo, raggiunge le Isole Ioniche, continua
lungo il bordo orientale dell’Adriatico, passa lungo la Linea Insubrica, per
ridiscendere lungo il bordo occidentale dell’Adriatico e, attraverso la fossa
del Bradano, raggiungere lo Ionio, dove continua verso sud-ovest lungo il
margine meridionale della Sicilia e lungo il fronte della Catena Kabilo-Maghrebide in Nord Africa, fino ad arrivare al Rif marocchino. Tale processo
di sovrascorrimento di Europa su Africa ha anche determinato, nelle zone
di retrocatena, l’apertura di bacini estensionali, di cui il Tirreno rappresenta
l’esempio più importante.
In Italia il rischio sismico costituisce un problema di entità rilevante, visto
che nell’ultimo secolo ci sono state almeno 120.000 vittime e ingenti danni
economici a seguito di terremoti: solo negli ultimi 25 anni, per la ricostruzione postsismica, sono stati spesi 145.000 miliardi di lire.
Figura 2.1
In rosso è evidenziata la linea di
subduzione lungo la quale la
crosta continentale africana
scorre al di sotto di quella
europea. Le frecce nere indicano
la parte di territorio che scende al
di sotto di quella indicata con le
frecce rosse.L’area limitrofa a tale
linea tettonica è interessata da
intensa sismicità.
20
Rischio sismico in Italia |Elementi del rischio sismico
2.1. Elementi del rischio sismico
Il rischio. Secondo la
definizione proposta
dall’Ufficio del Coordinatore
del Segretariato delle Nazioni
Unite per la Mitigazione dei
Disastri (UN/ISDR), il rischio
consiste nell’atteso numero di
perdite umane, feriti, danni a
proprietà, interruzioni di attività
economiche, in conseguenza
di un particolare fenomeno
naturale. Esso è espresso dal
prodotto di tre parametri: R =
H x V x E, dove H indica la
pericolosità, V la vulnerabilità
ed E il valore esposto.
La pericolosità. È la
probabilità che un dato
evento si verifichi con una
definita intensità in una data
area. Ad esempio, è la
probabilità che un terremoto
di intensità IX della scala
Mercalli si verifichi ogni 100
anni nell’area considerata.
La vulnerabilità. È la stima
della percentuale delle opere
costruite dall’uomo che non è
in grado di resistere all’evento
considerato.
Il valore esposto a rischio è
dato dal valore dell’insieme
degli elementi a rischio
all’interno dell’area esposta,
distinti per categorie. Esso si
quantifica in termini relativi
(valore monetario delle
proprietà, attività economiche,
beni e servizi pubblici, ecc.) o
assoluti (numero di persone,
di edifici, ecc.).
Il territorio italiano è soggetto a rischio sismico nella quasi totale interezza.
La penisola italiana è infatti geologicamente “giovane”e presenta una tettonica molto attiva. I due orogeni principali, le Alpi e gli Appennini, sono in continuo movimento. Gli Appennini si spostano verso est–nordest di alcuni centimetri all’anno (il mare Adriatico è destinato tra milioni di anni a chiudersi
per la saldatura tra Appennini e Dinaridi), mentre le Alpi si sollevano di alcuni
millimetri l’anno.
Tutti questi movimenti sono il risultato del
complesso rapporto tettonico, brevemente descritto in precedenza, intercorrente tra le placche Europa e Africa. Com’è facile immaginare,
La paleosismologia
nelle zone limitrofe alla linea di contatto tra
è una disciplina delle
queste due placche, lungo la quale si scontrano
Scienze Geologiche
che si occupa dello
masse enormi di
studio degli effetti
roccia, è possibile
sull’ambiente dei
che si verifichino
terremoti avvenuti nel
dei terremoti anpassato.
che di elevata intensità. Rispetto
alle Alpi, gli Appennini sono più giovani e caratterizzati da
maggiore sismicità sia in termini di frequenza
che di intensità.
Tale assetto geodinamico ha condizionato fortemente l’evoluzione geomorfologica del territorio italiano negli ultimi milioni di anni, durante i
quali si sono succeduti innumerevoli terremoti, a
volte rintracciabili sulla base di evidenze geologiche. In particolare, esistono evidenze paleosiFriuli, terremoto del 1976
smologiche che dimostrano che su gran parte
del nostro Paese si sono verificati forti eventi sismici durante le ultime migliaia di anni.
Tali informazioni sono particolarmente significative ai fini della valutazione della pericoloLa magnitudo
sità sismica di un’area poiché il tempo di ri(definita da Richter
torno dei terremoti può essere dell’ordine di
nel 1935) è il
grandezza delle migliaia di anni.
logaritmo in base 10
La rilevante sismicità del territorio italiano è
dell’ampiezza
confermata dalle fonti scritte relative ai terremassima, misurata in
micron, della
moti avvenuti in epoca storica. L’Italia possiede
registrazione,
uno dei cataloghi sismici a livello mondiale più
ottenuta con un
ricco di informazioni e che si estende più indiesismografo standard,
tro negli anni (fin dal 461 a.C.). L’interesse per
di un terremoto
questo genere di raccolte è stato infatti molto
avvenuto ad una
distanza epicentrale
precoce, favorito dall’abbondanza di vecchie
di 100 km dalla
cronache, diari, manoscritti di vario genere,
stazione di misura.
epigrafi, e stimolato dal ripetersi di eventi sismici distruttivi che hanno attirato l’attenzione
di letterati ed eruditi.
Oltre duemila anni di informazioni sismiche disponibili comprovano che
terremoti di magnitudo 7 della scala Richter sono piuttosto comuni nel territorio italiano e che alcune zone in particolare sono più soggette ad essere
colpite da tali eventi.
21
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
La scala Richter *
Magnitudo
Effetti del terremoto
0-1
2-4
>4 <5
Sisma molto lieve registrato dai sismografi locali
5
L’energia sprigionata è pari a quella della bomba atomica
lanciata su Hiroshima nel 1945
6
Sisma distruttivo in un’area ristretta (10 Km di raggio)
7
Sisma distruttivo in un’area di oltre 30 Km di raggio
(potenza pari alla più grande bomba termonucleare)
>7 - 8
Grande terremoto distruttivo**
(il terremoto di S. Francisco del 1906 fu di magnitudo 8)
8,5
Potenza pari a quella di 5 miliardi di tonnellate di tritolo
(terremoto di Anchorage 1964)
8,6
L’energia prodotta dal sisma è tre milioni di volte superiore a quella della
prima bomba atomica lanciata su Hiroshima nel 1945
9
Catastrofe con notevole spostamento della superficie terrestre
(terremoto di Sumatra 2004)
9,5
Terremoto più forte che si sia mai verificato (Valdivia, Cile 1960),
con effetti devastanti su un’area di centinaia di chilometri quadrati
Scossa avvertita solo nelle immediate vicinanze
Può causare danni localmente
* La scala Richter non è una vera e propria scala in quanto la magnitudo consiste nel logaritmo dell’ampiezza
massima dell’onda sismica registrata da un sismografo posto a 100 km all’epicentro. La scala Richter pertanto non
ha né un massimo né un minimo, né degli intervalli predeterminati.
**Sono stati terremoti di magnitudo superiore a 7 quelli della Sicilia orientale del 1693 (Val di Noto) e del 1908
(quest’ultimo meglio noto come terremoto di Messina o Calabro-Messinese, con un’intensità pari a XI secondo la
scala Mercalli Modificata).
1906, le rovine di San Francisco
Quando ancora non si
disponeva di strumenti di
misura delle onde sismiche,
per classificare i terremoti era
possibile utilizzare solo gli
effetti da essi prodotti e di
conseguenza furono
introdotte le scale
macrosismiche, come la
Mercalli-Cancani-Sieberg
(MCS), la Mercalli Modificata
(MM), la MedvedevSponheuer-Karnik (MSK). La
loro immediata utilità è quella
di rappresentare la severità
degli effetti di un terremoto,
in una determinata area,
attraverso un valore numerico:
l’intensità macrosismica. I
rilievi macrosismici che si
conducono dopo un
terremoto, e che consistono
nella valutazione degli effetti
(danni agli edifici e alle
persone, frane, fagliazioni
superficiali, ecc.) nelle varie
località colpite, consentono
una veloce stima della
distribuzione areale
dell’intensità. Le aree ad
uguale valore di intensità
vengono riportate sulle
mappe macrosismiche,
racchiuse da isolinee, dette
isosisme. Tali mappe rendono
immediatamente percepibile
la distribuzione territoriale del
risentimento sismico.
22
Rischio sismico in Italia |Elementi del rischio sismico
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
La scala Mercalli - Cancani - Sieberg (1930)
dell’incalcinatura e dello stucco, di mattoni; generale caduta di tegole. Molti fumaioli
vengono lesi da incrinature, da caduta di tegole, da fuoriuscita di pietre; camini già
rovinati si rovesciano sopra il tetto e lo danneggiano. Da torri e costruzioni alte cadono
decorazioni mal fissate. Con case a pareti intelaiate, i danni all’incalcinatura e
all’intelaiatura sono abbastanza forti. Crollo singolo di case mal costruite oppure
riattate.
Intensità Descrizione
I
Impercettibile: rilevato soltanto da sismografi.
II
Molto leggero: recepito soltanto da rari soggetti nervosi che si trovano in perfetta
quiete, oppure estremamente sensibili, e quasi sempre nei piani superiori dei
caseggiati.
III
Leggero anche in zone densamente abitate viene recepito come scuotimento
soltanto da una piccola parte degli abitanti nell’interno delle case, come nel caso del
passaggio di un’automobile a velocità elevata. Da alcuni viene riconosciuto quale
fenomeno sismico soltanto dopo averne ragionato tra di loro.
IV
Moderato delle persone che si trovano all’esterno degli abitati, non molte
percepiscono il terremoto. All’interno delle case viene identificato da molte, ma non da
tutte le persone, in seguito al tremare oppure ad oscillazioni leggere di mobili;
cristalleria e vasellame, posti a breve distanza, urtano come al passaggio di un
pesante autocarro su pavimentazione irregolare. Finestre tintinnano, porte, travi e assi
si muovono, scricchiolano i soffitti. In recipienti aperti, liquidi vengono leggermente
mossi. Si ha la sensazione che, in casa, un oggetto pesante (sacco, mobili) si rovesci,
oppure di oscillare con tutta la sedia o il letto come su una nave con mare mosso.
Questo movimento provoca poca paura a persone che sono diventate nervose o
apprensive a causa di terremoti precedenti. In rari casi i dormienti si svegliano.
V
VI
VII
Abbastanza forte perfino nel pieno delle attività giornaliere, il sisma viene
percepito da numerose persone sulle strade o comunque in campo aperto. Negli
appartamenti si perviene all’osservazione in seguito allo scuotere dell’intero edificio.
Piante e rami deboli di cespugli ed alberi si muovono visibilmente come con un vento
moderato. Oggetti pendenti entrano in oscillazione, per esempio: tendaggi, semafori e
lampade pendenti, lampadari non troppo pesanti; campanelli suonano, orologi a
pendolo si fermano od oscillano con maggior periodo, a seconda della direzione della
scossa, se perpendicolare o normale al moto di oscillazione; a volte orologi a pendolo
fermi possono rifunzionare; molle dell’orologio risuonano; la luce elettrica guizza o
cade in seguito a movimenti della linea; quadri urtano battendo contro le pareti
oppure si spostano: vengono versate piccole quantità di liquido da aperti recipienti
colmi; ninnoli ed oggetti del genere si possono rovesciare, e pure oggetti addossati alle
pareti, arredi leggeri possono essere spostati di poco dal posto; mobili rintronano;
porte ed imposte si aprono o si chiudono sbattendo; i vetri delle finestre si infrangono.
Quasi tutti i dormienti si svegliano. Sporadicamente persone fuggono all’aperto.
Forte il terremoto viene notato da tutti con paura, molti fuggono all’aperto, alcuni
credono di dover cadere. Liquidi si muovono fortemente; quadri, libri e oggetti simili
cadono dalle pareti e dagli scaffali; porcellane si frantumano; suppellettili assai stabili,
perfino isolati pezzi d’arredo vengono spostati o cadono; campane minori in cappelle e
chiese, orologi di campanili battono. In singole case costruite solidamente sorgono
danni leggeri: spaccature all’intonaco, caduta del rinzaffo di soffitti e di pareti. Dani più
forti, ma non ancora perniciosi, si hanno sugli edifici mal costruiti. Qualche tegola o
pietra di camino può cadere.
Molto forte lesioni notevoli vengono provocate ad oggetti e arredamento degli
appartamenti, anche di grande peso, con il rovesciamento e la frantumazione. Le
campane maggiori rintoccano. Corsi d’acqua, stagni e laghi generano onde e
intorpidiscono a causa della melma mossa. Parti delle sponde di sabbia e ghiaia
scivolano via. Pozzi variano il livello d’acqua. Danni moderati a numerosi edifici
costruiti solidamente: piccole spaccature nei muri, caduta di parti piuttosto grandi
VIII
Distruggente (rovinoso): interi tronchi d’alberi ondeggiano vivacemente o perfino si
staccano. Anche i mobili più pesanti vengono in parte portati lontano dal proprio luogo
d’origine e in parte rovesciati. Statue, pietre miliari nel terreno o anche in chiese, in
cimiteri e parchi pubblici ruotano sul proprio piedistallo oppure si rovesciano. Solidi
muri di cinta in pietra sono aperti ed atterrati. Un quarto circa delle case riporta gravi
distruzioni; alcune crollano; molte divengono inabitabili. Negli edifici ad intelaiatura,
cade gran parte della tamponatura. Case in legno vengono schiacciate o rovesciate. In
particolare campanili di chiese e camini di fabbriche con la loro caduta provocano a
edifici vicini lesioni. In pendii e terreni acquitrinosi si formano crepe. In terreni bagnati
si ha espulsione di sabbia e di melma.
IX
Rovinoso (distruttivo): circa la metà di case in pietra sono gravemente distrutte;
molte crollano; la maggior parte diviene inabitabile. Case ad intelaiatura sono divelte
dalle proprie fondamenta e schiacciate su se stesse, con travi strappate, che possono
contribuire molto alla rovina.
X
Annientante (completamente distruttivo): gravissima distruzione di circa ? degli
edifici; la maggior parte crolla. Perfino costruzioni solide di legno e ponti subiscono
gravi lesioni, alcuni vengono distrutti. Argini e dighe, ecc.. sono danneggiati
notevolmente, binari leggermente piegati e tubature (gas, acqua e scarichi) troncate,
rotte e schiacciate. Nelle strade lastricate e asfaltate si formano crepe e, per
pressione, sporgono larghe pieghe ondose. In terre meno dense e specialmente in
quelle umide si creano spaccature; in particolar modo sorgono parallelamente ai corsi
d’acqua crepature che raggiungono larghezze fino a un metro. Non soltanto scivola
terreno piuttosto molle dai pendii, ma interi macigni rotolano a valle. Grossi massi si
staccano dagli argini dei fiumi e da coste scoscese, in riviere si spostano masse
sabbiose e fangose, per cui il rilievo del terreno subisce cambiamenti. I pozzi variano di
frequente il livello dell’acqua. Da fiumi, canali e laghi, le acque vengono gettate contro
le sponde.
XI
Catastrofico crollo del complesso degli edifici in muratura; solide costruzioni e
capanne di legno ad incastro di grande elasticità possono ancora reggere
singolarmente. Anche i più grandi e sicuri tra i ponti crollano a causa della caduta dei
pilastri in pietra o del cedimento di quelli in ferro. Argini e dighe vengono
completamente staccati l’uno dall’altro, spesso anche per lunghi tratti; binari
fortemente piegati e compressi. Tubature nel terreno vengono staccate l’una dall’altra e
rese irreparabili. Nel terreno si manifestano vari mutamenti di notevole estensione, che
sono determinati dalla natura del suolo: grandi crepe e spaccature si aprono; e
soprattutto in terreni morbidi e acquitrinosi il dissesto è considerevole in direzione
orizzontale e verticale. Ne segue il trabocco di acqua che porta sabbia e melma con le
diverse manifestazioni. Sfaldamento di terreni e caduta di massi sono numerosi.
XII
Grandemente catastrofico non resiste alcuna opera dell’uomo. Lo
scombussolio del paesaggio assume aspetti grandiosi. Corrispondentemente flussi
d’acqua sotterranei e superficiali subiscono i mutamenti più vari: si formano cascate,
laghi scompaiono, fiumi deviano.
Fonte: Sieberg A., 1930, Geologie der Erdbeben. Handbuch der Geophysik, 2, 4, pp. 550-555.
Traduzione a cura di L. Serva.
23
24
Figura 2.2
Mappa della pericolosità sismica
dell’Europa centro–meridionale. Il
grado di pericolosità è espresso
in accelerazione orizzontale
massima del suolo (m/s2) a
seguito di terremoto con
probabilità di superamento del
10% in 50 anni. Il territorio
italiano è caratterizzato da una
pericolosità medio-alta.
Fonte: IGCP Seismotectonics and
Seismic Hazard Assessment,
SESAME,
www.seismo.ethz.ch/gshap/sesa
me/sesame99.html
Rischio sismico in Italia | La pericolosità sismica in Italia
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
La consapevolezza che i terremoti abbiano la tendenza a manifestarsi negli stessi luoghi e che ci siano aree più soggette di altre esiste fin dai tempi
antichi, anche se allora era altrettanto diffusa la credenza che le crisi sismiche dipendessero dalla rottura dell’equilibrio con la divinità, tanto che, tra
la metà del Quattrocento e il primo Seicento, la loro origine non naturale
veniva asserita persino nei trattati naturalistici.
Quindi, sebbene la storia umana costituisca una piccola finestra temporale aperta su processi che si sviluppano in tempi geologici, di molti ordini
di grandezza più lunghi, disponiamo comunque di una banca dati, oltre che
di conoscenze scientifiche, che ci permettono di eseguire delle previsioni di
tipo probabilistico sull’intensità e la frequenza dei terremoti attesi. Infatti,
poiché la causa geologica che genera i terremoti non si esaurisce alla scala
dei tempi umani, dobbiamo aspettarci che le zone colpite da terremoti nel
passato saranno colpite ancora nel futuro con un’intensità paragonabile a
quella già sperimentata.
Nel paragrafo 2.5 sono riportati nelle schede alcuni esempi di terremoti
avvenuti nel territorio italiano, che sono quindi rappresentativi di scenari
che potrebbero tragicamente riproporsi.
tensità si verifichi in una data località in un dato momento, è stato possibile
costruire una mappa della pericolosità sismica sulla base dell’analisi della serie storica degli eventi e delle caratteristiche sismo-genetiche del territorio.
Sulla base di questi elementi, in Italia è stata effettuata una classificazione
del territorio; l’ultimo aggiornamento risale al 2003 con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recante “Primi
elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, che ha stabilito
i criteri di riferimento per la definizione delle “zone sismiche”e ha permesso
di allineare il sistema normativo per le costruzioni in zona sismica al sistema
dei codici europei.
Con la nuova classificazione, le tre categorie sismiche previste nella classificazione precedente (del 1984) sono state sostituite da quattro Zone.
Sono state fatte ricadere nella Zona 4 aree precedentemente non classificate e sono state introdotte molte modifiche come, ad esempio, l’inserimento di Roma in Zona 3.
L’intero territorio nazionale va considerato a rischio sismico, in quanto
25
Dal 2003 l’intero territorio
italiano è stato classificato
dal punto di vista sismico,
sia pure con livelli di
pericolosità molto diversi.
Sono state individuate
quattro Zone a pericolosità
crescente dalla 4 alla 1.
2.2. La pericolosità sismica in Italia
La pericolosità sismica (definita dalla frequenza e dall’intensità dei fenomeni) in Italia può essere considerata medio-alta nel contesto dell’area
mediterranea (Figura 2.2), o addirittura modesta se paragonata a quella di
altri paesi come ad esempio la California. Infatti, in California un evento
che sprigioni una quantità di energia pari a quella liberatasi nel terremoto
del 1980 in Irpinia avviene in media una volta ogni due anni.
Anche se non si è in grado di prevedere che un terremoto di una certa in-
Figura 2.3
Classificazione sismica dell’Italia
(2004). Tutto il territorio è coperto
da Zone a diversa pericolosità
(crescente dalla 4 alla 1).
Fonte: Dipartimento della
Protezione Civile
26
Figura 2.4
Mappa di pericolosità
sismica dell’Italia
(2004). Il grado di
pericolosità è espresso
in accelerazione
orizzontale massima del
suolo (in frazioni di g) a
seguito di terremoto con
probabilità di
superamento del 10% in
50 anni.
Fonte: INGV
Rischio sismico in Italia | La pericolosità sismica in Italia
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
ogni sua parte può essere investita dalle onde sismiche prodotte da terremoti anche con epicentro distante.
Dalla carta di Figura 2.3 risulta che le zone a maggior pericolosità sismica
(I categoria) risiedono lungo l’arco appenninico a partire dall’Umbria fino
ad arrivare in Sicilia, mentre lungo l’arco alpino solo l’area del Friuli è classificata in I categoria.
Le mappe di pericolosità sismica rappresentano i documenti di sintesi necessari all’elaborazione di una classificazione sismica del territorio. In Italia, la Mappa di pericolosità sismica (Figura 2.4) è stata definita sulla base
dei terremoti raccolti nei cataloghi sismici, di una zonazione sismo-genetica del territorio ricostruita in funzione della distribuzione spaziale e della
profondità di terremoti conosciuti, e di relazioni di attenuazione delle onde
sismiche con la distanza dall’epicentro.
Purtroppo i terremoti catalogati rappresentano solo un’infinitesima parte
di quelli avvenuti nella storia geologica. Inoltre, i cataloghi sismici di cui disponiamo coprono un intervallo di tempo spesso troppo breve rispetto ai
tempi di ritorno dei terremoti, che possono essere anche di migliaia di anni.
Il terremoto di Avezzano del 1915 è un esempio di forte terremoto (magnitudo 7) avvenuto in un’area dove storicamente non si erano verificati eventi
di uguale grandezza, di cui risultasse menzione nei cataloghi sismici.
Nelle stime di pericolosità sismica è pertanto importante utilizzare anche
altri strumenti da affiancare alle conoscenze di sismicità storica e strumentale. I recenti progressi in campo paleosismologico possono sicuramente
aiutarci a “retrodatare” i cataloghi sismici individuando terremoti avvenuti
in tempi pre-storici. Anche la geomorfologia quantitativa può rappresentare uno strumento importante per riconoscere un “paesaggio sismico”
frutto di un’evoluzione condizionata dal susseguirsi di terremoti.
Mappa di pericolosità
sismica dell’Italia (2004)
2.3. Forti terremoti avvenuti in Italia
Storicamente, per quel che riguarda le vittime, il terremoto più catastrofico registrato in Italia è quello di Messina del 1908 (centrato sullo Stretto
tra Messina e Reggio, con effetti devastanti dalla Sicilia orientale alla Calabria meridionale), con annesso tsunami (87.000 morti circa tra Sicilia e Calabria – le stime variano fra 60.000 e oltre 90.000 - di cui almeno 2.000 inghiottiti dalle onde).
Nei cataloghi sismici italiani risulta che altri cinque terremoti, oltre quello
appena citato, hanno raggiunto o superato il grado 7 di magnitudo Richter
o equivalente: quello del 1349 nell’Aquilano, quello del 1456 in Molise, del
1693 nella Val di Noto, con effetti in tutta la Sicilia orientale, del 1743 nel
Basso Ionio e del 1915 di Avezzano.
Per quel che riguarda il numero di vittime, i terremoti più catastrofici sono
stati, oltre a quello di Messina, quello della Val di Noto del 1693 (60.000
morti), quello terribile della Calabria del 1783, costituito in realtà da una serie di 6 terremoti (50.000 morti nel complesso) e quello di Avezzano del
1915 (33.000 morti). A seguito di quest’ultimo sisma, vi fu l’istituzione della
prima commissione nazionale sui terremoti e l’avvio, in Italia come all’estero, di ricerche scientifiche moderne nel campo della sismologia, con
particolare riferimento alla messa a punto di strumenti di registrazione dei
fenomeni sismici.
Se si prosegue con il conteggio dei terremoti con magnitudo equivalente
uguale o superiore a 6, dal 217 a.C. all’anno 2000, in Italia sono noti 115
eventi. Nell’ultimo secolo, terremoti con magnitudo maggiore o uguale a 6
sono avvenuti in Garfagnana-Lunigiana (1920), Irpinia-Basilicata (1930,
1962 e 1980), Puglia settentrionale (1948), nella Valle del Belice in Sicilia
(1968) ed in Friuli (due volte nel 1976). Va anche citato, benché di magnitudo 5.7, il terremoto di Umbria-Marche del 1997, per i danni causati e l’attenzione suscitata nell’opinione pubblica.
Molti altri terremoti, di magnitudo inferiore a 6, hanno comunque colpito
l’opinione pubblica negli ultimi secoli entrando a far parte della tradizione
orale popolare. Tra gli altri: il violento terremoto della Maiella e del Sulmonese del 1706, quello di Casamicciola (già allora nota stazione termale) nell’Isola d’Ischia del 1883, quelli più recenti di Tuscania (con danni alle opere
architettoniche) del 1971 e di Ancona del 1972, e diversi altri soprattutto
nell’Italia centrale.
A fine capitolo, nel paragrafo 2.5, sono riportate schede informative relative ad alcuni terremoti storici, rappresentative di scenari che potenzialmente potrebbero riproporsi, con l’aggiunta degli effetti dovuti alla mag-
27
Il terremoto di magnitudo 7 che
colpì Avezzano
il 13 gennaio 1915 causò
la morte di 33.000 persone.
Nel catalogo sismico italiano
per l’area del Fucino
non compaiono altri sismi
precedenti di entità
paragonabile.
La geomorfologia quantitativa
consiste nell’applicazione dei
metodi matematici e statistici
allo studio delle forme del
rilievo terrestre e dei processi
che le hanno generate.
L’individuazione delle relazioni
esistenti tra i vari parametri
geomorfici permette di
elaborare modelli che ci
consentono di interpretare
l’evoluzione passata del
paesaggio e di prevedere quella
futura.
La magnitudo equivalente
è la magnitudo, ricavata
da relazioni empiriche, di quei
terremoti che non sono stati
registrati strumentalmente
(perché avvenuti prima
dell’esistenza dei sismografi
o perché avvenuti in zone
non coperte da reti sismiche).
Essa viene essenzialmente
ricavata a partire dall’Intensità
del terremoto.
28
Rischio sismico in Italia |Forti terremoti avvenuti in Italia
giore pressione antropica e industriale rispetto al passato. Nelle schede
sono in particolare descritte le “serie”di terremoti avvenuti nell’arco di pochi anni, nonché alcuni terremoti devastanti del lontano passato (Veronese
del 1117, della Val di Noto del 1693) e del passato più recente (dello Stretto
di Messina nel 1908, della Valle del Belice in Sicilia nel 1968, del Friuli nel
1976, dell’Irpinia-Basilicata nel 1980) che sono rimasti impressi nella memoria degli italiani.
Volendo paragonare la sismicità in Italia con quella in altre aree della
Terra, si nota che mentre nessun terremoto noto italiano (ultimi 2000 anni)
ha raggiunto o superato magnitudo 8, in altre zone del pianeta terremoti di
tale e persino maggiore grandezza non sono rari.
Nel periodo dal 1900 ad oggi vi sono stati 10 terremoti con magnitudo superiore a 8,5: in Cile nel 1960 (con il record di 9,5), in Alaska nel 1964, nella
Isole Aleutine nel 1957 e nel 1965, nella Kamchatka nel 1925 e nel 1952, nel
Golfo del Bengala al largo di Sumatra (con il noto tsunami) nel 2004, al
largo dell’Ecuador nel 1906, ancora a Sumatra nel 2005, al confine IndiaCina nel 1950. Si calcola che sul pianeta si verifichino in media 1 terremoto
all’anno di magnitudo 8 o più e 18 di magnitudo compresa tra 7 e 7,9; in
Italia invece, negli ultimi 6 secoli circa, si sono verificati solo 6 eventi con
magnitudo compresa tra 7 e 7,9.
In altre parole, i terremoti in Italia sono meno forti rispetto a quelli di altri Paesi, e quelli relativamente più forti, comunque al di sotto di magnitudo
8, non sono molto frequenti. Tuttavia, a causa dell’alta vulnerabilità dei nostri centri abitati, gli eventi sismici italiani generano un notevole grado di
danneggiamento.
2.4. La vulnerabilità sismica in Italia
Il maschio murario è quella
porzione di muratura portante
che dalle fondamenta arriva
fino al tetto dell’edificio (in
pratica è il pilastro
dell’edificio in muratura).
La vulnerabilità sismica in Italia è molto elevata. Basti pensare al terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, quando una modesta scossa di
magnitudo 5,4 ha procurato la morte di 30 persone, tra cui 27 bambini e
un’insegnante per il crollo di una scuola elementare, la cui struttura era del
tutto inadeguata a resistere alle sollecitazioni orizzontali di tipo dinamico
dovute al sisma. Purtroppo gli edifici a struttura mista, la cui realizzazione
prevede l’utilizzo di mattoni pieni o in laterizio forato di tipo portante per
le strutture verticali e cemento armato per i solai e i tetti, sono molto diffusi
in Italia. Tale tipologia costruttiva può essere idonea in condizioni statiche
e dinamiche a patto che vengano rispettate le “buone tecniche costruttive
di base”, ovvero non vengano praticate aperture vicino a incroci di murature portanti, i maschi murari siano ben dimensionati, e inoltre i tetti non
siano pesanti, in quanto la forza dinamica del sisma è tanto più grande
quanto più il peso è maggiore e posto in alto.
Oltre a possedere un patrimonio edilizio diffusamente insicuro dal punto
di vista della risposta sismica (si pensi ai centri storici delle città spesso vetusti e maltenuti), l’Italia è caratterizzata da un’alta densità di popolazione
che fa sì che ogni evento interessi in generale un elevato numero di abitanti. Inoltre dal 1909, anno di entrata in vigore delle prime norme di costruzione antisismica nell’Italia unitaria, fino al 1981, un comune veniva
classificato sismico solo se a partire da tale data veniva colpito da un evento
distruttivo, indipendentemente dal fatto che ne avesse subiti altri precedentemente o che le conoscenze sismo-tettoniche lo indicassero come
esposto ad alto rischio. Solo nel 1984 è stata introdotta una classificazione
sismica omogenea del territorio nazionale basata su criteri più scientifici.
Di conseguenza, in molte delle zone più pericolose d’Italia, in particolare
in tutte quelle che avevano subito terremoti disastrosi prima del 1908, si è
29
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
La storia sismica
di Roma
Anche se oggi, in genere, la
città di Roma non viene
considerata dal grande
pubblico a rischio di
terremoto, i dati storici –
tramandati in forma scritta
e quindi oggi prezioso
supporto alle conoscenze indicano come nel corso
dei secoli vi siano stati
avvertiti dei terremoti,
spesso con danni a
monumenti famosi.
Si possono ricordare, tra gli
altri:
! i terremoti degli anni
15 (con danni alle Mura
Serviane), 20 (con crollo
del Teatro di Pompeo), 51,
85 e 116;
! il terremoto del 191,
avvenuto durante una tempesta con molti fulmini, seguito
da diversi incendi;
! quello del 223, il primo in cui si verificarono danni al
Colosseo;
! il terremoto molto forte del 258 con “1000 case
distrutte”;
! una sequenza di terremoti (304, 408, 422, 429) che
danneggiarono di nuovo il Colosseo, il Foro, San Paolo fuori
le Mura (443), il Circo Massimo (454),
! il terremoto ancora più forte del 476-477 caratterizzato
da 70 scosse, con danni ancora al Colosseo, colpito anche
nel 492 e 508, con crollo dell’arena;
! il Colosseo fu danneggiato, insieme ad altri monumenti,
anche negli anni 801 (insieme a San Paolo fuori le Mura),
847, 849 e 896 (insieme a San Giovanni in Laterano);
! nel 1231, dopo un lungo intervallo, forse apparente a
cause della scarsezza di dati relativa a tale periodo, un
sisma causò un primo crollo della Tor de’ Conti (oggi
all’angolo di Via Cavour con Via dei Fori Imperiali) e il
grande crollo della parete esterna sud-ovest del Colosseo,
ancor oggi visibile; nel 1255 si ebbe ancora un altro evento;
! i terremoti abbastanza forti del 1321, del 1334 (con
danni alla Torre delle Milizie), del 1348 (col crollo di un altro
strato della Tor de’ Conti, ridotta alla versione odierna) e del
1349 (con danni al Colosseo ed alla Colonna Antonina,
come sotto descritto), citato anche dal Petrarca;
! il terremoto del 1407, seguito da una lunga parentesi di
quiete, almeno a giudicare dalle fonti;
! due terremoti nel 1703 (danni al Colosseo), con
epicentro a Norcia, 1706, con epicentro sotto la Maiella, e
1730 (danni a San Pietro in Vaticano);
! una lunga sequenza di terremoti nella zona dei Castelli
(1806, 1810, 1813, 1829 e 1892) ed uno forte a Tivoli
(1826) con contemporanea piena devastante dell’Aniene;
! nel 1895 si avvertì a Roma, ed in particolare ad Ostia,
Foto: A. Candido
un terremoto probabilmente con epicentro al largo del
Tirreno, forse accompagnato da un piccolo maremoto;
! il grande terremoto di Avezzano del 1915 che provocò
danni in almeno 300 punti diversi della città, e quello della
Val Nerina del 1979; entrambi raggiunsero a Roma il VII
grado della scala Mercalli;
! quello recente dell’agosto del 2005 (4.5 della scala
Richter) con epicentro nel Tirreno, al largo di Anzio-Nettuno,
che è stato avvertito, senza provocare danni, lungo la costa
centro-meridionale del Lazio e nelle province di Roma, Latina e
Frosinone (ha raggiunto il VI grado della scala Mercalli ad
Anzio e il IV-V a Roma); un altro evento analogo, oltre a quello
sopra segnalato del 1895, si ebbe anche nel 1919.
Molti eventi sismici hanno pertanto lasciato il segno su vari
monumenti romani. Maggiori effetti si riscontrano sugli
edifici situati nella pianura alluvionale del Tevere, mentre già
sui colli il risentimento sismico risulta minore.
È notorio lo spostamento in senso rotatorio, tra il nono e il
decimo rocchio, della Colonna Antonina a Piazza Colonna,
avvenuto a seguito di un terremoto (forse quello del 1349),
che non si riscontra invece nella Colonna Traiana, che è
fondata su terreno più solido (arenaria) rispetto all’altra
(sabbie e limi poco consolidati).
I terremoti avvertiti a Roma hanno avuto origine in diverse
zone epicentrali: l’Appennino Umbro (il caso più frequente,
ultimo quello della Val Nerina, ed i cui violenti episodi sono
spesso ben avvertiti), il Fucino ed altre zone dell’Appennino
Abruzzese, l’Appennino Laziale-Molisano (come per il forte
terremoto del 1349 con epicentro tra Cassino e Isernia), i
Monti Tiburtini (come per i recenti episodi, di poco rilievo,
avvertiti nel 1997, 1998 e 2000), i Castelli Romani (sono
ben noti gli sciami sismici correlati all’attività tuttora in
essere del Vulcano Laziale; ultimo episodio avvertito nel
2000), e al largo del Tirreno di fronte alla costa laziale
(dove sono presenti alcune faglie sismogenetiche).
30
In anni recenti, hanno fatto
notizia i gravi danni subiti
dal complesso basilicale di
San Francesco ad Assisi: a
seguito del terremoto in
Umbria-Marche del 1997
si verificò il crollo di parte
della volta della Chiesa
Superiore e la distruzione di
importanti affreschi (tra cui
il San Matteo di Cimabue)
delle vele del soffitto.
I terremoti
della Val di Noto
Secondo dati relativi
all’ultimo millennio, Noto,
Augusta e Siracusa sono
state danneggiate in modo
rilevante nel 1125 (15.000
vittime segnalate dalle
fonti), nel 1169, nel 1542,
nel 1693 (area di
danneggiamento pari a
14.000 kmq, circa 60.000
morti, la popolazione di
Catania di 30.000 abitanti
venne dimezzata), nel 1727,
nel 1818 e 1846 (epicentro
nel Catanese) e poi ancora
nel 1903, nel 1908 (il
grande terremoto di
Messina) e recentemente
nel 1990. È particolare il
caso di Noto (Antica) che,
già danneggiata nel 1542,
venne completamente
distrutta dalle scosse del 9
e 11 gennaio 1693 e
ricostruita in un nuovo sito
entro il 1702: è questa
l’origine del gioiello
rappresentato dalla Noto
barocca, pur danneggiata
dai terremoti successivi.
Oltre a queste città, a
Catania (con i piccoli centri
del Catanese) e Messina,
sono a rischio sismico
anche le altre città del sudest della Sicilia, tutte
rilevanti dal punto di vista
dei beni culturali:
Caltagirone, Militello,
Modica, Palazzolo Acreide,
Ragusa e Scicli. Esse furono
ricostruite dopo il 1693,
sopra o accanto ai resti
degli insediamenti distrutti,
nello stile del tardo barocco
siciliano.
Rischio sismico in Italia | La vulnerabilità sismica in Italia
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
iniziato a costruire con criteri antisismici solo a partire dalla metà degli anni
’80. Il risultato è che nelle zone sismiche classificate nel 1984, che coprono
circa il 45% del territorio nazionale, solo il 14% delle abitazioni sono costruite secondo norme antisismiche1.
150 miliardi di Euro. Anche se questa cifra appare enorme, bisogna però
considerare che essa è solo il doppio del costo affrontato dagli italiani per
le ricostruzioni post-sismiche negli ultimi 25 anni3.
Rischi per il patrimonio culturale
Oltre ad un’azione di soccorso rapida e preventivamente ben organizzata da
parte della Protezione Civile, l’informazione e la preparazione dei cittadini
sono mezzi importanti di riduzione della vulnerabilità. Per queste ragioni, la
Protezione Civile si è posta l’obiettivo di aumentare nella popolazione la conoscenza, la coscienza e quindi la capacità di autodifesa.Tale obiettivo può essere perseguito attraverso l’organizzazione di corsi, la distribuzione di materiale informativo sui comportamenti da tenere in caso di evento, campagne di
esercitazione con simulazioni di eventi possibili ed attivazione delle associazioni di volontariato. Per ridurre l’esposizione, si può predisporre l’evacuazione degli abitanti che si vengano a trovare in edifici resi pericolanti da una
prima scossa sismica ed il loro trasferimento in centri di accoglienza. È pertanto necessario che le aree idonee alla realizzazione di tali centri di accoglienza vengano individuate sul territorio preventivamente, per evitare di perdere tempo prezioso durante l’emergenza.
Recentemente, si sta investendo anche in Italia sui sistemi di allerta sismici (seismic early warning) già in sperimentazione da molti anni in altri
paesi sismicamente attivi come Giappone, Taiwan, Stati Uniti e Messico.
Il principio su cui si basano tali sistemi è abbastanza semplice, mentre risulta
ancora complesso il passo successivo, cioè lo sviluppo di sistemi affidabili ed
efficienti direttamente utilizzabili per attività di prevenzione. Un sistema di allerta sismico si basa sull’elaborazione in tempo reale di dati acquisiti dalla rete
sismica presente nell’area epicentrale del terremoto. La funzione della rete è
quella di fornire una stima rapida e il più possibile precisa della localizzazione
dell’evento sismico e della sua magnitudo. Sulla base di questi parametri, è
possibile prevedere lo scuotimento al suolo atteso in aree anche distanti dalla
zona epicentrale. Poiché le onde sismiche si propagano nella Terra ad una velocità inferiore rispetto ai segnali analogici (o digitali) trasmessi via radio (o
cavo), è possibile far giungere in un’area distante dall’epicentro un segnale di
avviso in anticipo rispetto all’arrivo delle onde stesse. In funzione della distanza dell’area dall’epicentro, l’anticipo sull’arrivo del terremoto può risultare
di qualche secondo o di qualche decina di secondi. Alcuni secondi possono
essere sufficienti per disattivare i meccanismi di funzionamento di impianti
industriali a rischio, di reti di distribuzione elettrica o del gas, per l’interruzione
del traffico ferroviario, per l’attivazione di sistemi di protezione e controllo di
edifici strategici, e così via.
Il problema maggiore da affrontare in Italia, data la sua conformazione fisica, è però la relativa breve distanza esistente in genere tra zona epicentrale e città da proteggere.
I terremoti, oltre a provocare la perdita di vite umane, il ferimento di persone, il danneggiamento di infrastrutture, di impianti produttivi e di abitazioni, causano, in particolar modo nel caso dell’Italia, danni al patrimonio
artistico–architettonico-culturale. Volendo fare solo due esempi (in Italia
esistono innumerevoli situazioni analoghe), le città di Assisi e Noto sono
dotate di un patrimonio artistico inestimabile che è messo a repentaglio
dall’elevata sismicità caratterizzante il territorio nel quale esse si trovano.
Vulnerabilità dei centri urbani
Tutti i suddetti fattori contribuiscono in modo concomitante a determinare l’elevata vulnerabilità delle nostre città. Paradossalmente, poi, i lunghi
periodi (anni o decine di anni) durante i quali in Italia la sismicità non si
manifesta in modo rilevante, rendono il nostro Paese ancora più debole in
quanto si insinua, nei cittadini e nei decisori, la tendenza a sottovalutare o
addirittura rimuovere la possibilità che un nuovo forte evento possa verificarsi. Il risultato è che in Italia non si investe sufficientemente in prevenzione, come invece accade ad esempio in Giappone, dove si è costretti a
convivere quasi quotidianamente con il terremoto.
I terremoti sono fenomeni naturali indipendenti dall’attività antropica; allo
stato attuale di sviluppo tecnologico, non è possibile intervenire per ridurre la
pericolosità sismica di una determinata area. Pertanto, l’unico modo praticabile per ridurre il rischio sismico è quello di ridurre la vulnerabilità e l’esposizione degli elementi a rischio, e di incrementare la conoscenza sulla base di
strumenti quali il monitoraggio e la costruzione di cataloghi sismici.
La vulnerabilità sismica degli edifici può essere ridotta rendendo le strutture più resistenti alle onde elastiche prodotte dai terremoti. Ciò è possibile,
per i nuovi edifici, seguendo le modalità costruttive previste dalla normativa antisismica vigente e dalle disposizioni regionali per le zone sismiche
e, per i vecchi edifici, approntando idonei interventi di adeguamento strutturale. Bisogna considerare che in Italia, come in molti altri paesi, vi è un
debito arretrato di investimenti antisismici che si è accumulato nel tempo e
che ha comportato che per secoli si costruisse con tecniche incapaci di garantire sufficiente sicurezza nei confronti dei terremoti.
Ci sono città come Catania che, sulla base di dati storici, sappiamo esposta a eventi del X–XI grado della scala Mercalli, dove oggi vivono 330.000
abitanti e dove il patrimonio edilizio, in parte abusivo, è stato realizzato con
criteri antisismici solo per il 5% del totale2.
È facile immaginare quali possano essere le conseguenze di un forte sisma
nell’area di Catania, o in un altro qualsiasi centro fortemente urbanizzato,
senza la messa in atto di una seria politica di prevenzione.
La prevenzione sismica in Italia è un problema di dimensioni enormi. Infatti, si stima che nelle sole zone sismiche classificate nel 1984 vi siano 7
milioni di abitazioni insicure costruite precedentemente. Il costo del miglioramento sismico di tutte queste abitazioni potrebbe aggirarsi intorno ai
Manfredi G., 2005, In Italia terremoti medio-alti
ma vulnerabilità molto elevata. In Villaggio Globale,VIII, n. 29, pp.68-70.
Azioni di mitigazione
La questione assicurativa
Da qualche anno si è cominciato a discutere dell’ipotesi di introdurre anche in Italia il ricorso al sistema assicurativo privato all’interno di una normativa quadro per la copertura finanziaria dei danni da disastri naturali. Attualmente, il risarcimento di danni conseguenti a fenomeni catastrofici
quali terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, frane, è escluso dalle
condizioni generali delle normali polizze. D’altro canto, l’esperienza di al-
2
Barberi F., Santacroce R., Carapezza M.L.,Terra Pericolosa. A cura di Barberi V., Edizioni ETS, 2005.
1
Barberi F., Santacroce R., Carapezza M.L.,
2005, Terra Pericolosa, cit.
3
31
32
Rischio sismico in Italia |La vulnerabilità sismica in Italia
tri paesi è incoraggiante, dato che i risarcimenti governativi a seguito di calamità risultano più contenuti rispetto all’Italia proprio grazie al concorso
delle compagnie di assicurazione.
L’ipotesi assicurativa deve necessariamente accompagnarsi ad una definizione preventiva delle caratteristiche e dei limiti dell’intervento statale. Si
possono schematicamente ipotizzare i seguenti modelli:
! modello totalmente volontario con la stipulazione facoltativa di una
polizza-base (in genere contro l’incendio) e l’estensione della copertura
alle calamità naturali (ad esempio, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia,
Belgio, ecc.);
! modello semi-obbligatorio: facoltativa la stipulazione della polizza-base
ma obbligatoria (automatica) l’estensione di questa al rischio da
calamità naturale (ad esempio, Francia, Norvegia, ecc.);
! modello obbligatorio per tutti gli immobili contro l’incendio e contro le
calamità naturali (Svizzera).
Va anche tenuto presente il rapporto tra le polizze contro i disastri naturali e quelle contro altri eventi di origine antropica. Per esempio, i due
eventi più costosi dal punto di vista assicurativo sono stati fino al 2004
l’uragano Andrew (1992, in Stati Uniti e Bahamas) con 22.145 milioni di
dollari, seguito a ruota dagli attacchi terroristici negli Stati Uniti nel 2001
con 20.095 milioni di dollari (dati riportati da ANIA), mentre le valutazioni
per l’uragano Katrina sembrano indicare la cifra di circa 40 miliardi di dollari; rilevanti sono state e saranno le conseguenze sulle compagnie di assicurazione e ri-assicurazione.
Confronti con altri paesi
Volendo fare un paragone tra quanto si fa in termini di prevenzione in Italia e quanto in altri Paesi tecnologicamente avanzati, non si può non notare
la grande differenza di investimenti effettuati nel nostro Paese rispetto, ad
esempio, alla California o al Giappone.
Questi ultimi paesi sono caratterizzati dalla diffusa presenza sul proprio
territorio di edifici ed infrastrutture relativamente recenti, realizzati con criteri antisismici e quindi in grado di resistere a terremoti di elevata magnitudo. L’Italia invece presenta un patrimonio edilizio storico e spesso molto
antico (unico al mondo e di inestimabile valore culturale) che, come già accennato, non ha in genere subito gli interventi di miglioramento sismico di
cui necessiterebbe.
Inoltre, solo recentemente sono state stabilite normative tecniche avanzate per la costruzione in zone sismiche, con forte ritardo ad esempio sul
Giappone, dove da anni è stata messa in pratica un’efficace politica di prevenzione degli eventi sismici e di attenuazione dei loro effetti. Il terremoto
disastroso di Nobi del 1981, che causò più di 7.000 vittime, destò infatti una
grande sensibilità verso il tema dello sviluppo di tecnologie per la protezione dei fabbricati che, tradottasi in grossi investimenti, ha portato il Giappone all’avanguardia in tale campo.
33
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
2.5. Schede su alcuni forti terremoti avvenuti in Italia
Ipotesi di campo
macrosismico del
terremoto del 1117.
Legenda: Intensità
stimata, a) IX MCS; b)
VIII MCS; c) VII MCS.
SCHEDA 1
Data
3 GENNAIO 1117
Epicentro
VERONESE
Intensità massima
IX MCS
GENERALITÀ
Massimo terremoto storico avvenuto
lungo il margine pedealpino
bresciano–veronese.
Sono state individuate due scosse: una
prima avvenuta nella notte tra il 2 e il 3
gennaio e una seconda, più forte,
avvenuta nel primo pomeriggio del 3
gennaio.
! Campo macrosismico complesso con
varie aree di maggior risentimento,
localizzate sia in Italia (veronese,
pedeappennino emiliano, pisano) che in
Germania (Augsburg).
! Epicentro probabilmente ubicato 10–15
km a SE di Verona, in corrispondenza
della zona del veronese maggiormente
danneggiata; la stessa area è stata sede
di altri terremoti il 25/04/1907 e il
04/03/1963. Anche alcuni dei terremoti
segnalati a Verona fin da prima dell’anno
1000 potrebbero avere avuto origine
nella medesima area.
! Intensità epicentrale non superiore al IX
grado MCS, anche se in località Ronco
all’Adige può essere ipotizzato
conservativamente il X grado MCS.
Fonte:
modificata
da Serva, 1990
!
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
Il terremoto ebbe grande fama e
influenzò la società e la cultura del
tempo in Veneto e nell’alta Emilia. Il
terremoto veniva utilizzato come
elemento di riferimento cronologico per
datare altri avvenimenti sociali.
Nessuna fonte contiene una stima delle
vittime, menzionate solo in maniera
generica.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
Numerose cronache riportano notizie di
grandi sconvolgimenti dei fiumi, in
particolare in Italia relativamente al Po e
all’Adda, e nell’Europa centrale
relativamente all’Unstrut e alla Mosa.
Fonti dei dati:
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Serva L., 1990, Il ruolo delle Scienze della Terra
nelle analisi di sicurezza di un sito per alcune
tipologie di impianti industriali: il terremoto di
riferimento per il sito di Viadana (MN). Boll. Soc.
Geol. It., 109, 375-411.
34
Rischio sismico in Italia | Schede
SCHEDA 2
Data
11 GENNAIO 1693
Epicentro
VAL DI NOTO
Intensità massima
XI MCS
35
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Incisione raffigurante
la Sicilia settentrionale
colpita dal terremoto
del 1693. L’evento
ebbe larga eco fino in
centro Europa. La
raffigurazione è in
generale poco
aderente alla realtà.
Fonte: University of
California Berkeley
da Margottini & Kozak,
1992.
Particolare della copertina della Domenica
del Corriere, disegnata da A. Beltrame,
dedicata al devastante terremoto di Messina.
Fonte:
University of California Berkeley
da Margottini & Kozak, 1992.
Sotto, L’abside crollata del duomo di Messina.
Fonte: Archivio Candido
Mappa delle isosisme
relative al terremoto
del 1693 in Val di
Noto.
Fonte:
modificata da
Postpischl, 1985
GENERALITÀ
! Il terremoto dell’11 gennaio fu preceduto
da una forte scossa due giorni prima, il 9
gennaio, che provocò danni gravissimi ad
Augusta, dove crollò quasi la metà delle
abitazioni e si ebbero 200 morti, ad
Avola, dove due quartieri furono quasi del
tutto distrutti, a Noto, dove crollarono
molti edifici e ci furono oltre 200 vittime.
Danni analoghi si ebbero a Floridia,
Lentini, Melilli. Crolli totali e vittime si
ebbero a Catania, Vizzini e Sortino.
! La seconda scossa, dell’11 gennaio, fu
violentissima e gli effetti furono
catastrofici poiché spesso si
sovrapposero a quelli della scossa
precedente.
! L’area colpita fu molto vasta: si ebbero
danni di rilievo in un’area che va dalla
Calabria meridionale a Palermo e
all’arcipelago maltese. La scossa fu
avvertita chiaramente dalla Calabria
settentrionale fino in Tunisia.
! Tutte le città importanti della Sicilia
orientale furono sconvolte. Catania fu
quasi interamente distrutta, al pari di
Acireale e di tutti i centri sparsi sul
versante orientale dell’Etna. Tutti gli
abitati della Val di Noto furono
pesantemente distrutti: Vizzini, Sortino,
Scicli, Ragusa, Palazzolo Acreide, Modica,
Melilli, Lentini, Ispica, Occhiolà, Carlentini,
Avola, Augusta, Noto. Molti crolli si
ebbero a Siracusa, Caltagirone, Vittoria,
Comiso.
! Nel complesso furono 70 i centri nei
quali si verificarono danni uguali o
maggiori al IX grado MCS
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
Le distruzioni più gravi si ebbero nella zona
sud-orientale della Sicilia e interessarono il
versante orientale dell’Etna, la Piana di
Catania, la Val di Noto e la Contea di
Modica (le attuali province di Catania,
Siracusa e Ragusa), coinvolgendo centri di
grande importanza economica e culturale
per l’intera isola. Il XVII secolo era un
periodo di generale crisi economica. Il
Regno di Sicilia usciva dalla recessione
economica dovuta a una crisi dei
commerci. La ripresa economica appena
iniziata risultò incentivata dalla vasta
attività edilizia sviluppatasi in tutta l’area
colpita dal terremoto, attraverso progetti di
ricostruzione e spesso di completa
rifondazione di intere città, a cui fu
conferito il volto barocco che ancor oggi
possiamo apprezzare. Gli interventi si
differenziarono da caso a caso. In generale
però i cambiamenti di sito furono pochi. In
alcuni casi, come a Catania, furono
tracciate nuove piante urbane, in altri ci si
limitò a poche modifiche, nella maggior
parte dei casi, come a Siracusa e
Caltagirone, la ricostruzione fu eseguita
seguendo la pianta originaria della città.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
Il terremoto causò notevoli effetti
sull’ambiente. Furono segnalate molte
fratture nel terreno dalle quali
fuoriuscivano gas e acqua calda in località
ricoprenti un territorio molto vasto
(Messina, Mascali, piana di Catania,
Lentini, Augusta, Piazza Armerina). A
Paternò, Sortino, Noto, tra Ferla e Cassaro
si verificarono frane e smottamenti.
L’ostruzione di corsi d’acqua causò la
formazione di nuovi invasi tra Noto e
Siracusa e lungo il fiume Irminio. Un lago
vicino l’attuale Ispica si disseccò. Molte
sorgenti scomparirono mentre altre
comparvero. Il periodo sismico fu
accompagnato da una forte attività eruttiva
dell’Etna. In varie località tra Messina e
Siracusa il terremoto indusse dei
maremoti, con gli effetti più gravi ad
Augusta, dove le onde raggiunsero l’altezza
di circa 15 metri.
Fonti dei dati:
Postpischl D., 1985, Atlas of isoseismal maps of
italian earthquakes. CNR Progetto finalizzato
geodinamica.
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Margottini C. & Kozak J., 1992, Terremoti in Italia
dal 62 A.D. al 1908. ENEA.
SCHEDA 3
Data
28 DICEMBRE 1908
Epicentro sud CALABRIA - MESSINA
Intensità massima
XI MCS
GENERALITÀ
! E’ uno degli eventi di più elevata
magnitudo della storia sismica italiana.
Gli effetti più gravi interessarono un’area
di 6.000 kmq. La scossa fu registrata da
103 stazioni sismiche italiane e straniere
e fu avvertita dalle persone su un’area
vastissima.
! Il terremoto causò effetti catastrofici a
Messina e Reggio Calabria fu
completamente distrutta. Nell’entroterra
delle due città si registrarono i danni
maggiori, fino alla completa distruzione
di interi paesi.
! Nel Messinese l’area delle distruzioni
complete fu più ristretta, limitata ai centri
periferici della città e a quelli lungo le
propaggini settentrionali dei Peloritani,
per un totale di 17 paesi.
! In Calabria gli effetti distruttivi si ebbero
lungo tutti i versanti dell’Aspromonte e in
particolare in 25 paesi.
! In Calabria effetti rovinosi si ebbero fino
nella Piana di Gioia Tauro e a Siderno e
Bovalino, nella penisola del Poro; in
Sicilia l’area fortemente colpita
comprende Milazzo, Barcellona Pozzo di
Gotto, Castroreale, il versante ionico dei
Peloritani e le pendici nord-orientali
dell’Etna .
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
L’evento scosse fortemente la coscienza
dell’intero Paese e dell’Europa per il fatto
che una città moderna come Messina
fosse stata completamente distrutta.
Reggio Calabria suscitò minore attenzione e
questo gravò sui tempi della ricostruzione,
che fu avviata solo una decina di anni
dopo il sisma. Il terremoto colpì duramente
sia aree urbanizzate e sviluppate
economicamente, che zone più emarginate
che videro ridurre ulteriormente le già
scarse opportunità di uscire dall’isolamento
e dall’arretratezza. Le perdite umane furono
ingentissime: circa il 42% della popolazione
di Messina, e circa il 21% di quella di
Reggio Calabria. Si verificarono flussi di
migrazione interna, consistenti prima in
fughe dalle città distrutte, e poi nel loro
ripopolamento a seguito della fase di
ricostruzione delle stesse. Né l’ammontare
dei danni né il numero delle vittime è
indicabile con certezza: le stime più
accreditate indicano in 80000 il numero di
morti complessivi, di cui circa 2000 a
causa del maremoto che seguì lo shock
sismico. Secondo studi recenti a Messina il
sisma causò circa 60.000 vittime mentre a
Reggio Calabria il numero delle vittime fu di
12.000 unità. A Messina il reddito
immobiliare distrutto fu stimato ammontare
a 150 milioni di lire, mentre per Reggio
Calabria fu valutato in circa 25 milioni di
lire. L’ammontare dei danni del terremoto fu
valutato in 600 milioni di lire, una cifra
nettamente superiore all’interesse sul
debito pubblico del periodo 1907-1912.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
A Messina, a Reggio Calabria e a Villa San
Giovanni avvennero variazioni altimetriche
del terreno. Notevoli furono le variazioni
della linea di costa in numerose località
calabresi a seguito del loro abbassamento
rispetto al livello del mare. Presso Pellaro la
costa arretrò di circa 70 metri; a Gallico la
spiaggia si restrinse, in alcuni tratti, di 10
metri.
Nelle aree più colpite si verificarono frane,
smottamenti e si aprirono spaccature al
suolo. Numerose frane interessarono la
linea ferroviaria tra Bagnara Calabra e
Favazzina. La statale 18 fu danneggiata da
una frana di vaste proporzioni nel tratto tra
Scilla e Porticello.
Il terremoto fu accompagnato da onde di
maremoto, le più devastanti alte da 6 a 12
metri. In particolare queste ultime colpirono
la costa orientale della Sicilia a sud di
Messina, da Galati Marina a Giardini Naxos,
causando gravissimi danni ai fabbricati e
spazzando via persino le macerie degli
edifici distrutti dal terremoto. Sul litorale
reggino le località più colpite furono San
Leo, Pellaro e Lazzaro, dove l’onda
distruttiva raggiunse i 6-10 metri.
Fonte dei dati:
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni
E., Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo
dei forti terremoti in Italia dal 461 a. C. al
1980. Istituto Nazionale di Geofisica, SGA
storia geofisica ambiente.
36
Rischio sismico in Italia | Schede
37
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
SCHEDA 4
Data
Epicentro
Intensità massima
23 luglio 1930
ALTA IRPINIA
X MCS
GENERALITA’
! Questo terremoto è noto impropriamente
come “Terremoto del Vulture”. Tale
denominazione è infatti quella che si
trova negli articoli pubblicati sulla
stampa dell’epoca e nei fascicoli
presenti presso l’Archivio Centrale dello
Stato di Roma.
! L’epicentro della scossa principale fu
localizzato in un’area compresa tra
Villanova del Battista e Aquilonia.
! L’evento del 23 luglio fu preceduto da
scosse premonitrici e seguito da una
intensa attività sismica.
! Il terremoto colpì un’area di oltre 6300
kmq ed ebbe i massimi effetti tra Melfi e
Ariano Irpino, nelle province di
Benevento, Avellino e Foggia.
! La scossa fu distruttiva soprattutto ad
Aquilonia e Macedonia, dove il 70%
circa delle abitazioni crollò totalmente.
Furono danneggiate gravemente anche
Benevento e Napoli.
! L’area di risentimento fu vastissima,
raggiungendo verso nord Brescia e
Vicenza, e verso sud Catanzaro e Lecce.
Mappa delle isosisme relative al terremoto del
1968 in Valle del Belice.
Fonte: modificata da Postpischl, 1985.
A destra, case distrutte a Gibellina.
Fenditura nel terreno provocata dal terremoto lungo la strada Lacedonia-Rocchetta S.Antonio.
Fonte: Comune di Lacedonia
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
Il bilancio delle vittime supera i 1400
morti, gran parte dei quali nelle località
di Macedonia, Aquilonia e Villanova. Si
ebbe la distruzione totale di 20 centri
abitati e parziale di altri 30, il crollo di
5000 abitazioni, il lesionamento di altre
35000.
L’evento rappresentò una dura prova per
il regime fascista, che tre anni prima
aveva già sperimentato un altro
terremoto in Friuli, ma di entità assai
minore. Lo Stato infatti non era
certo attrezzato per far fronte a
una simile catastrofe. Il
panorama che si presentò,
dopo il terremoto, agli occhi
dei funzionari spediti da
Roma fu desolante. La
situazione fu aggravata
dall’isolamento dei paesi
colpiti dal sisma, in
particolare nell’area irpina,
collegati solo da strade
malridotte.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
Gli effetti al suolo, indotti sia dalla
scossa principale che dalle repliche
successive, furono numerosi in tutta
l’area epicentrale. Si verificarono
sollevamenti e dislocazioni con
conseguenti attivazioni di frane, aperture
di fratture e rotazioni di edifici e
manufatti a S. Giorgio La Molara, a
Savignano di Puglia e a Melfi. Frane
importanti si ebbero a Rocchetta S.
Antonio, Trevico, Zungoli, Villanova del
Battista. La frana maggiore si ebbe a S.
Giorgio La Molara dove si verificò uno
sprofondamento di circa 8 metri di
lunghezza, collegato a un vasto sistema
di spaccature e crepacci, sviluppato per
chilometri, che provocò la deviazione e lo
sbarramento del fiume Tammaro. Tra
Ariano di Puglia e Villanova si aprì un
crepaccio di oltre 500 metri ed altre
voragini si aprirono in molte località: S.
Giorgio di Puglia, Macchia Cupa, Tre
Monti, Flumeri, Vallata, Trevico, Bisaccia,
Aquilonia, Melfi, Rocchetta S. Antonio,
Tocco Gaudio.
Fonti dei dati:
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Una pagina de Il mattino
d’Italia a pochi giorni dal
sisma
Fonte: Castenetto
& Sebastiano, 2002
Castenetto S. & Sebastiano M., 2002, Il terremoto
del Vulture. Servizio Sismico Nazionale,
Dipartimento della Protezione Civile.
SCHEDA 5
Data
15 GENNAIO 1968
Epicentro
VALLE DEL BELICE
Intensità massima
X MCS
GENERALITÀ
! Quasi
tutta la zona collinare della
Sicilia occidentale (6.200 kmq) fu
interessata dal terremoto. L’area con i
massimi risentimenti fu il medio e
basso bacino del fiume Belice,
comprendente 14 centri abitati, per
una popolazione residente di circa
100.000 abitanti.
! Si trattò di un periodo sismico, che
iniziò il 14 gennaio, caratterizzato da
una successione molto ravvicinata di
scosse distruttive.
! Secondo i dati ufficiali il periodo
sismico causò la distruzione completa
di 2.960 case rurali. Nell’area
epicentrale fu distrutto il 90% dei
fabbricati rurali e di quelli sociali e
l’85% delle strutture fondiarie. Nella
campagna palermitana crollarono 400
case coloniche e l’economia agricola
subì una grave crisi.
! All’epoca del terremoto le aree colpite
non figuravano tra le zone sismiche ad
elevato rischio.
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
L’area più colpita fu l’entroterra collinare e
montuoso della Sicilia occidentale, dove
più della metà della popolazione attiva era
impiegata nell’agricoltura. I danni maggiori
furono infatti registrati in questo settore,
che rappresentava il traino dello sviluppo
economico dell’area, oltre che la maggiore
fonte di reddito. Il sisma ebbe un impatto
drammatico sulla vita e le attività della
popolazione, interrompendo modi
consolidati di gestione della terra. Le stime
del governo, precedenti oltretutto la
rovinosa replica del 25 gennaio, indicarono
in 200 miliardi di lire le spese necessarie
per riparare i danni. Nella sola provincia di
Trapani si stimarono 5.200 alloggi
completamente distrutti, e in totale la cifra
fu di 9.000. Complessivamente la
popolazione di senza tetto fu di 100.000
unità. Anche l’attività commerciale e
industriale fu gravemente colpita, in
particolare nell’Agrigentino. Secondo alcuni
autori le vittime furono oltre 400 e i feriti
più di 1.000. Tali cifre furono relativamente
contenute grazie all’allertamento deciso
dal generale Dalla Chiesa, all’epoca
comandante dei Carabinieri di Palermo,
che dopo le prime scosse raccomandò alle
popolazioni di non pernottare in casa.
L’impatto degli eventi sismici si manifestò
anche con un conseguente forte aumento
del fenomeno migratorio da parte della
popolazione in età lavorativa.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
Gli effetti al suolo furono di limitata
estensione. Le varie scosse indussero
movimenti franosi, aperture di fenditure
con fuoriuscita di fango, esalazioni
gassose e variazioni nel regime delle
acque sotterranee. La maggior parte
degli effetti fu osservata nei paesi di
Ghibellina, Montevago, Partanna,
Camporeale, Contessa Entellina e
Bisacquino. Vicino le Terme Segestiane
scaturirono nuove sorgenti calde in
seguito alle scosse. La forte replica del
16 gennaio fu avvertita anche in mare da
un peschereccio in navigazione nel
Canale di Sicilia a 10 chilometri dalla
costa.
Fonti dei dati:
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Michetti A.M., Brunamonte F., Serva L., 1995,
Paleoseismological evidence in the epicentral area
of the january 1968 earthquakes, Belice,
Southwestern Sicily. In: Serva & Slemmons,
Perspectives in Paleoseismology. Association of
Engineering Geologist, Special Pubblication n. 6.
Postpischl D., 1985, Atlas of isoseismal maps of
italian earthquakes. CNR Progetto finalizzato
geodinamica.
38
Rischio sismico in Italia | Schede
SCHEDA 6
SCHEDA 7
Data
6 MAGGIO 1976
Epicentro
FRIULI
Intensità massima
X MCS
Data
23 NOVEMBRE 1980
Epicentro
IRPINIA-BASILICATA
Intensità massima
X MCS
GENERALITÀ
primavera-estate del 1976 un
periodo sismico di oltre 400 scosse
colpì il Friuli. Dopo l’evento principale
del 6 maggio, altre due violente
repliche si ebbero l’11 e il 15
settembre.
! La scossa del 6 maggio colpì l’alta
valle del Tagliamento ed ebbe i
massimi effetti in un’area di circa 900
kmq, comprendente gli abitati di
Moggio Udinese, Tenzone, Bordano,
Trasaghis, Gemona del Friuli, Lusevera,
Osoppo, Montenars, Forgaria nel Friuli,
Buia, Sequals e Majano, dove la
percentuale di edifici crollati o resi
inabitabili fu compresa tra il 50 e il
90% del totale.
! L’area di risentimento fu molto vasta:
la scossa fu avvertita da Roma fino in
Germania e in Francia.
39
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
! Nella
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
Complessivamente le abitazioni distrutte
furono circa 17.000, appartenenti a circa
120 comuni, per una popolazione di
500.000 persone. I comuni disastrati
furono 41 (29 nella provincia di Udine e
12 nella provincia di Pordenone); quelli
gravemente danneggiati furono 45 (39 in
provincia di Udine e 6 in quella di
Pordenone); quelli danneggiati furono 33
(29 in provincia di Udine e 4 in provincia
di Pordenone). Lesioni e crolli parziali si
verificarono anche a Udine e Trieste.
Le vittime della scossa principale furono
965 e 2.400 circa i feriti; i senzatetto
furono 189.000. Secondo la prima stima i
danni ammontarono a circa 4.400 miliardi
di lire. Dopo quattro mesi di attività per lo
sgombero delle macerie e il ripristino degli
edifici, le scosse dell’11 e 15 settembre,
che causarono la morte di 13 persone,
fecero risalire il numero di senzatetto da
45.000 unità a oltre 70.000. L’effetto
psicologico fu devastante e si ebbe l’inizio
dell’esodo di parte della popolazione dalle
zone più colpite.
A sinistra, pagina del Messaggero Veneto dedicata
al terremoto del Friuli.
Fonte: Dipartimento di Protezione Civile.
In alto, strada di Osoppo dopo il terremoto.
Fonte: Vigili del Fuoco di Milano, distaccamento di
via Sardegna
Sotto, il paese di Venzone.
EFFETTI SULL’AMBIENTE
A seguito della serie di scosse si attivarono
o riattivarono numerose frane, in particolare
lungo i fronti pedemontani da Artegna a
Tenzone e da Forgaria a Bordano. In tutte le
località colpite si verificarono cadute di
massi che bloccarono e danneggiarono
molte strade e la linea ferroviaria,
ostacolando anche l’opera di soccorso. Si
verificarono fenomeni di liquefazione,
soprattutto vicino Osoppo, e molte rotture
del terreno, con casi spettacolari lungo i
versanti meridionali dei monti Cuarnan e
Cuar. Sprofondamenti di pavimenti con
fuoriuscita d’acqua furono rilevati ad
Avasinis e vicino Gemona e Bordano.
Fonti dei dati:
Peruzza L., Slejko D., Riuscetti M., 2000, Itinerario
Millenovecento76. OGS.
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Mappa delle isosisme
relative al terremoto
irpino del 1980. A e
B sono zone ad
elevata attenuazione
del danno.
Sopra: San Mango sul
Calore, a sinistra il
paese di Laviano
GENERALITÀ
! Il terremoto, con epicentro a Laviano,
ebbe effetti devastanti in particolare nel
settore appenninico dell’Irpinia e della
Basilicata. Furono quasi completamente
distrutte 31 località, 55 subirono crolli e
gravi lesioni, 780 furono danneggiate in
modo più o meno grave.
! L’area dei massimi effetti comprende le
alte e medie valli dell’Ofanto e del Sele, il
bacino del Tanagro, le zone montane del
potentino, del Terminio, l’alta valle del
Calore e l’alta valle del Sabato.
! Danni rilevanti si ebbero in Campania,
Basilicata e Puglia e risentimenti in
quasi tutta l’Italia peninsulare.
EFFETTI NEL CONTESTO
ANTROPICO
Il numero ufficiale di morti fu di 2.914
mentre circa 10.000 furono i feriti. Oltre
75.000 case furono distrutte e circa
275.000 gravemente danneggiate. I danni
al patrimonio storico, architettonico,
archivistico e librario furono ingenti. Le
località più colpite erano economicamente
deboli e basate su un sistema agricolo e
pastorale piuttosto arretrato. L’evento ha
inciso profondamente nella struttura sociale
ed economica delle zone colpite anche a
causa di una mai realizzata vera
ricostruzione che doveva rilanciare il sistema
produttivo ed economico. In ogni caso i
finanziamenti stanziati dai vari governi
ammontano a più di 50 mila miliardi.
Fonte: giornali
dell’epoca
EFFETTI SULL’AMBIENTE
Il terremoto provocò rotture del terreno,
in alcuni casi molto profonde, a
Campagna, Conza della Campania,
Rocca San Felice, Valva e Volturara
Irpina. Si verificarono riattivazioni di faglie
preesistenti oltre che di movimenti
franosi, come nei pressi di Caposele, a
Senerchia e a Calitri, dove causarono il
crollo di molte case. Frane più modeste
avvennero a Valva e a Rocca San Felice.
La faglia sismogenetica ruppe la
superficie del terreno lungo una serie di
frammenti continui: tra Lioni e il Pantano
di San Gregorio Magno si formò una
scarpata lunga circa 40 km, orientata
NO-SE, con rigetti fino a un metro.
A fianco: Specchio di
faglia riattivatosi
presso Senerchia.
Foto: A. Pissart
Fonti dei dati:
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica ambiente.
Lagorio H.J., Mader G.G., 1981, Earthquake in
Campania-Basilicata, Italy Novembre 23, 1980. EERI,
Berkeley California.
Postpischl D., 1985, Atlas of isoseismal maps of
italian earthquakes. CNR Progetto finalizzato
geodinamica.
40
Rischio sismico in Italia | Schede
rimasero in gran parte inabitabili. Ad
Ancona la quasi totalità degli edifici
pubblici e privati fu danneggiata.
Crollarono oltre 100 dei 2000 edifici
privati e molti altri rimasero inagibili.
Crollarono diverse chiese e campanili, oltre
a diverse porzioni delle mura della città.
Anche Numana subì gravi danni. Ad
Ancona le vittime furono tra 7 e 10 e ci fu
un morto a Sirolo. Sul Monte Conero si
aprì un’ampia frattura nella roccia e si
formarono 4 voragini dalle quali fuoriuscì
materiale bituminoso.
A Sirolo si aprirono voragini nel terreno e ci
fu un esteso smottamento. Ad Ancona le
strade subirono spaccature e sul litorale
furono osservate onde anomale in seguito
al momentaneo ritiro del mare.
SCHEDA 8
SERIE DI 14 FORTI
TERREMOTI SUCCEDUTISI A
RITMO QUASI ANNUALE DAL
1688 AL 1706
Intensità massima: da VIII a XI MCS
Nel periodo compreso tra il 1688 e il
1706 il territorio italiano fu
interessato da 14 forti terremoti. La
maggior parte di essi appare
concentrata lungo la fascia
appenninica, ma altri hanno colpito
anche la zona alpina e la Sicilia.
| VAL DI NOTO
11 gennaio 1693
XI grado MCS
Vedi descrizioni nella Scheda 2
| ROMAGNA
IRPINIA
| BASILICATA
11 Aprile 1688
IX grado MCS
I danni maggiori si ebbero a Cotignola,
dove crollò il 40% delle abitazioni e
l’intero patrimonio edilizio risultò inagibile
e a Bagnocavallo, dove fu distrutto il
20% delle case. Gravi danni si ebbero a
Solarolo, Russi e Lugo e risentimenti
minori a Terra del Sole, Castrocaro,
Ravenna, Forlì, Cesena e Bertinoro. Tale
evento e alcune alluvioni che seguirono
determinarono una crisi economica
locale dovuta alla sfiducia sui tempi
della ricostruzione che portò artigiani e
commercianti a lasciare
temporaneamente l’area.
|
SANNIO
5 giugno 1688
XI grado MCS
Effetti disastrosi si ebbero nei paesi a
sud–ovest dei Monti del Matese, nel
beneventano e nell’Irpinia. Una quarantina
di paesi subirono estese distruzioni e altri
80 circa riportarono gravi danni. A
Benevento delle 1.607 abitazioni esistenti,
997 furono distrutte o rese inabitabili,
325 subirono lesioni e solo le restanti
285 restarono abitabili. Crolli e molte
lesioni si ebbero anche a Napoli e
Avellino. La maggior parte delle case
distrutte a Benevento risultavano costruite
con ciottoli di fiume, mentre quelle in
mattoni resistettero meglio. Le vittime
furono in totale circa 10.000, concentrate
soprattutto a Cerreto Sannita, Benevento e
Guardia Sanframondi. A Benevento città i
morti furono 1.367 su 7.500 abitanti, più
700 in campagna. La distruzione delle
infrastrutture agricole (mulini, frantoi, forni)
innescò una crisi alimentare. Gli effetti del
terremoto sull’ambiente furono notevoli. Si
aprirono fenditure nel terreno nei monti
del Sannio, a Pomarico e tra San Giorgio
la Molara e San Marco dei Cavoti, dove
raggiunsero la lunghezza di alcuni
chilometri. Una massa rocciosa staccatasi
dal monte Erbano uccise 600 persone a
San Lorenzello.
41
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
| CARINZIA
4 dicembre 1690
VIII-IX grado MCS
La scossa colpì la regione della Carinzia,
causando distruzioni e vittime a Villach,
Tobring e Wernberg. Danni gravi si ebbero a
Klagenfurt. L’area di risentimento fu molto
estesa e in Italia coinvolse il Veneto, il
ferrarese e il ravennate, causando danni a
Trieste e Venezia.
| ANCONA
23 dicembre 1690
IX grado MCS
La prima scossa, che colpì particolarmente
Ancona, Sirolo e Numana, durò trenta
secondi e fu seguita da varie repliche. A
Sirolo numerose case crollarono e le altre
5 giugno 1694
XI grado MCS
Si verificò una prima scossa di circa un
minuto, seguita da una violenta replica e
da una ulteriore sequenza che durò circa
un quarto d’ora. I danni cumulativi furono
pesantissimi in oltre 120 località della
Campania, della Basilicata e della Puglia.
In 56 paesi il patrimonio edilizio fu reso
completamente inagibile e furono quasi
completamente distrutti oltre 30 paesi
della dorsale appenninica nelle province di
Avellino e Potenza: tra questi Bisaccia,
Sant’Angelo dei Lombardi, Calitri, Lioni,
Conza della Campania, San Fele, Muro
Lucano, Bella, Picerno. Crolli e lesioni si
verificarono dalla costa tirrenica a quella
adriatica. La scossa fu avvertita da Messina
a Chieti e Fano. Le vittime furono oltre
6.000. Nell’area colpita, che attraversava
già un periodo di crisi, la situazione
economica si aggravò ulteriormente e
numerosissimi senzatetto emigrarono. La
scossa innescò crolli nell’area di Sorrento,
Capua e Napoli e generò fenditure nel
terreno. Inoltre un blando maremoto fu
osservato sulla costa di Brindisi.
| ASOLO (TV)
5 giugno 1695
X grado MCS
L’evento causò gravi danni in larga parte
del Veneto e l’area più danneggiata fu
l’alto trevigiano, a sud del Monte Grappa.
Le località più colpite furono Asolo e i
villaggi circostanti: oltre 30 centri abitati
subirono distruzioni gravissime mentre in
altri 24 si ebbero crolli e dissesti. Ad Asolo
crollarono 1.477 case e 1.284 furono
gravemente danneggiate. Lievi danni ci
furono anche a Rovigo, Ferrara e Verona. Le
vittime furono alcune centinaia. Il
terremoto aggravò una crisi economica già
in corso nella zona, tanto che si verificò
uno spopolamento dei centri asolani.
BAGNOREGGIO
| (VT)
11 giugno 1695
IX grado MCS
L’evento distrusse gran parte dei castelli di
Bagnoregio, Lubriano, Ponzano, Vetriolo e
Celleno, causò danni fino ad Orvieto e fu
avvertito da Perugia e Assisi sino a Civita
Castellana, Viterbo e Tivoli. Anche se le
scosse premonitrici consentirono a molti di
salvarsi, il numero di vittime raggiunse le
200 unità, con 25-30 morti a Bagnoregio.
Il lago di Bolsena si alzò di circa 4 metri,
allagando i terreni circostanti per una
estensione di oltre 4 chilometri.
| CARNIA (UD)
28 Luglio 1700
IX grado MCS
Il terremoto colpì in particolare il Canale di
Gorto (valle del Degano) e il Canale di
Socchieve (alta valle del Tagliamento). Le
distruzioni maggiori si ebbero a Enemonzo,
Esemon di Sotto, Mediis, Quinis e Raveo. A
Enemonzo crollarono gran parte delle
abitazioni e diverse chiese. A Raveo
crollarono quasi tutte le case e le due
chiese subirono gravissimi danni. Lesioni e
dissesti più o meno gravi furono segnalati
in decine di paesi. Complessivamente vi
furono oltre 20 morti. Nei pressi di Ovaro ci
furono smottamenti e una grande frana si
staccò dal Monte Forchianon.
gennaio 1688
|| NORCIA (PG) Montereale14(Aq)
16 gennaio
L’Aquila, Barete, Pizzoli, Arischia 2 febbraio,
|
XI grado MCS
La prima scossa del 14 gennaio fu seguita
da numerose altre, altrettanto forti. Tutta
l’Italia centrale da Camerino a Roma ne fu
interessata. Una ventina di centri abitati
risultarono quasi completamente distrutti,
altrettanti subirono molti crolli e un
centinaio di paesi subirono danni gravi. La
prima scossa colpì gravemente Norcia e
Cascia, danneggiando anche Rieti e
L’Aquila, quella del 16 gennaio colpì
Montereale, nei dintorni di L’Aquila, e quella
del 2 febbraio L’Aquila, Barete, Pizzoli e
Arischia. Complessivamente oltre 150 paesi
furono pesantemente danneggiati e vi
furono crolli e lesioni anche a Roma. Dalle
fonti a disposizione le vittime oscillano tra
le 10.000 e le 30.000. Secondo fonti dello
Stato Pontificio in Umbria ci furono 2.067
morti e in Abruzzo 7.694, di cui
2.000–2.500 a L’Aquila. Il terremoto causò
una grave crisi economica per l’interruzione
delle attività produttive nelle zone colpite,
da cui si manifestarono flussi migratori.
Sono segnalati effetti al suolo (spaccature
del terreno con fuoriuscita di gas,
intorbidamento di acque e nascita di nuove
sorgenti) a Antrodoco, Arischia, Bacugno e
Leonessa.
| MAIELLA (CH)
3 novembre 1706
XI grado MCS
Fu colpita un’ampia area dell’Abruzzo
meridionale e del Molise, in gran parte su
entrambi i versanti del massiccio della
Maiella, attualmente ricadente nelle
province di L’Aquila, Pescara, Chieti e
Isernia. Le località quasi totalmente
distrutte furono 7, in un’altra trentina crollò
la maggior parte delle case e una
cinquantina di paesi e villaggi subirono
danni diffusi. Sulmona fu la città più
importante tra quelle colpite. Isernia subì
dei crolli, Chieti e L’Aquila danni leggeri. Il
terremoto fu avvertito a Roma, Rieti e
Napoli. Le vittime furono 2.400. A Sulmona
1.000 furono i morti e 2.000 i feriti. A
Pettorano sul Gizio, a Caramanico e a Tocco
da Casauria si ebbero spaccature del
terreno. Vicino alla Maiella si aprì una
grande fenditura da cui fuoriuscirono gas
solforosi.
Fonti dei dati:
Postpischl D., 1985, Atlas of isoseismal maps of
italian earthquakes. CNR Progetto finalizzato
geodinamica.
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica ambiente.
Serva L., 1981a, Il terremoto del 1688 nel Sannio. In:
Contributo alla caratterizzazione della sismicità del
territorio italiano. Commissione ENEA-ENEL per lo
studio dei problemi sismici connessi con la
realizzazione di impianti nucleari.
Serva L., 1981b, Il terremoto del 1694 in Irpinia e
Basilicata. In: Contributo alla caratterizzazione della
sismicità del territorio italiano. Commissione ENEAENEL per lo studio dei problemi sismici connessi con
la realizzazione di impianti nucleari.
42
Rischio sismico in Italia | Schede
| MONTERCHI (AR)
SCHEDA 9
SERIE DI 6 FORTI TERREMOTI
DAL 1915 AL 1920
Tra il 1915 e il 1920 sei forti terremoti scossero
l’Italia centro–settentrionale.
| SANTA SOFIA (FO)
|
In alto a sinistra: terremoto della Marsica. Una foto
di gruppo sulle macerie di una casa crollata in P.zza
S. Giovanni a Celano.
Fonte: Comune di Celano (Aq).
A sinistra, la prima pagina della Domenica del
Corriere
13 gennaio 1915
XI grado MCS
Fu uno dei disastri sismici più gravi della
storia italiana. La scossa principale
interessò un’area molto estesa dell’Italia
centrale con effetti distruttivi in tutta la
Marsica, nel Cicolano fino a Perugia,
nell’alta valle del Liri fino a Cassino, nella
valle dell’Aterno e nell’alta valle del
Vomano, lungo le pendici opposte del Gran
Sasso, della Maiella, e nell’area dei monti
Simbruini e Ernici. Fu avvertita dalla
Pianura Padana fino in Puglia. Oltre 20
centri abitati subirono una distruzione
pressoché totale, oltre 80 persero gran
parte del patrimonio edilizio, oltre 200
subirono crolli o danni che determinarono
l’inagibilità delle case, circa 240 ebbero
lesioni o danni più lievi. Tutti i centri
maggiormente distrutti (Avezzano, Cese,
Gioia dei Marsi, Ortucchio, San Benedetto
dei Marsi, Venere) si trovano a est e a
ovest della piana che ospitava l’antico lago
del Fucino.
Persino Roma subì dei crolli parziali e
numerose lesioni. Le vittime furono circa
33.000. Altre 3.000 perirono per malattie
e stenti nei mesi successivi, che furono
caratterizzati da gravi emergenze. Ci fu un
crollo demografico in tutta l’area
epicentrale. Numerosi paesi, oltre a dover
essere ricostruiti in altri siti, persero gran
parte della loro popolazione. Avezzano e
Cese persero il 95% della popolazione,
Massa d’Albe l’85%, Piscina il 72%,
Ortucchio il 71%, San Benedetto dei Marsi
più del 70%, ecc. Gli effetti sul terreno
furono notevoli ed estesi su un’area molto
vasta. Oddone descrisse un’ampia
spaccatura che attraversava in direzione
SE-NO tutto il Fucino per circa 70
chilometri, assumendo l’aspetto di un
crepaccio largo da 30 a 100 centimetri e
26 Aprile 1917
IX - X grado MCS
Fu colpita l’alta Val Tiberina e i paesi più
danneggiati furono Monterchi e Petretole,
che furono distrutti pressoché
completamente. A Monterchi e nel suo
territorio il 90% delle case crollarono o
divennero inabitabili. Altri cinque paesi
subirono crolli estesi a gran parte
dell’abitato. Sansepolcro subì gravi danni,
con 200 case rese inagibili e 900
danneggiate più lievemente. L’area di
risentimento si estese in Toscana, Umbria e
Marche. Le vittime furono una ventina e
una trentina i feriti. Il patrimonio artistico
dell’area subì molti danni. Presso
Monterchi si aprirono spaccature nel
terreno, alcune lunghe un chilometro e
larghe 20-50 centimetri. Il regime delle
acque sotterranee subì variazioni, con
aumenti delle portate e intorbidamenti. A
Citerna e Monterchi furono segnalati getti
di acqua solforosa.
Intensità massima: da VIII a XI MCS
AVEZZANO (AQ)
43
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
con un dislivello tra i bordi compreso tra
30 e 90 centimetri. Nei pressi di Ortucchio
dalla spaccatura fuoriuscirono per molti
giorni acqua e gas infiammabili. Anche
presso San Benedetto dei Marsi da ampie
fratture fuoriuscirono acqua e gas solforosi.
A Pescina, Sora e Concerviano si
formarono vulcanetti di fango. Furono
innescate frane e crolli di massi in molte
località. Tutta la piana del Fucino si
abbassò in media di circa 40 centimetri. Il
sistema freatico dell’area subì delle
modificazioni: ci furono intorbidamenti,
variazioni di portata, scomparsa di
sorgenti, variazioni di livello nei pozzi. A
Tivoli si prosciugò un lago e a Posta
Fibreno aumentò la portata del fiume
Fibreno.
10 novembre 1918
VIII grado MCS
Furono colpiti una ventina di paesi
dell’Appennino forlivese, causando crolli,
lesioni e danni diffusi alle abitazioni. I
centri più danneggiati furono Santa Sofia
e Galatea. Bagno di Romagna e Civitella
di Romagna subirono gravi danni,
Predappio, Rocca San Casciano e
Verghereto subirono lesioni alle case,
mentre danni più lievi si ebbero in
provincia di Arezzo. Risentimenti si
ebbero in Toscana, nel ferrarese e nelle
Marche settentrionali. I morti furono tra 8
e 16. Nel giugno successivo l’area fu
nuovamente danneggiata dal terremoto
del Mugello del 1919.
| MUGELLO (FI)
29 giugno 1919
IX grado MCS
12 paesi furono distrutti e molte case
rurali crollarono completamente. 70
centri abitati furono danneggiati e gravi
danni si ebbero anche nell’alto
casentino, nella Val d’Arno e nelle
località appenniniche romagnole, dove gli
effetti si sommarono a quelli dovuti al
precedente terremoto del novembre
1918. L’area di risentimento raggiunse
l’Umbria e la pianura Padana. Ci furono
oltre 100 morti e 400 feriti. Nel versante
romagnolo non ci furono vittime molto
probabilmente perché la popolazione
viveva ancore in baracche a seguito del
terremoto del 1918. La vita economica e
sociale fu profondamente segnata da
questo evento. A Vicchio, San Godendo e
Dicomano si verificarono frane e crolli di
massi che bloccarono la linea ferroviaria
Firenze–Marrani e le strade dei passi
appenninici. A Rostolena e San Piero in
Bagni si aprirono fenditure nel terreno. Le
acque sotterranee subirono variazioni di
portata, comparvero nuove sorgenti e
altre si intorbidarono.
| PIANCASTAGNAIO
10 settembre 1919
VIII grado MCS
Gli effetti maggiori riguardarono una
ventina di paesi sul Monte Amiata, fra le
province di Siena e Grosseto. I danni più
gravi si verificarono a Piancastagnaio, Celle
sul Rigo, Montorio, Radicofani, San
Casciano dei Bagni e San Giovanni delle
Contee. A Piancastagnaio crollarono 8
case e 10 furono gravemente danneggiate,
a San Casciano dei Bagni 40 case furono
lesionate e a Radicofani 15. Ci furono un
morto e una ventina di feriti. L’unico effetto
sull’ambiente segnalato fu l’intorbidamento
di acque sorgive.
GARFAGNANA
| (LU)
11 giugno 1920
X grado MCS
Il terremoto colpì un’area estesa dalla
Lunigiana alla Garfagnana. Villa
Collemandina e Vigneta furono quasi
completamente distrutte e oltre 30 paesi
subirono crolli. I centri abitati colpiti a
vari livelli furono 350, di cui più di 100
subirono crolli e lesioni. L’area di
risentimento si estese dalla Costa Azzurra
al Friuli, alla Toscana, all’Umbria e alle
Marche. Le repliche si protrassero fino
all’agosto del 1921. I morti furono 171, i
feriti 650 e i senzatetto alcune migliaia.
Il relativo basso numero di vittime fu
dovuto in parte ad una scossa
premonitrice avvenuta il giorno
precedente a quella più forte, e in parte
al fatto che l’economia era basata
sull’agricoltura e l’allevamento e quindi
all’ora del terremoto (7:56 locali) in casa
c’erano solo poche donne e bambini. A
Castiglione di Garfagnana, Rigoso e
Trefiumi si verificarono spaccature nel
terreno oltre a frane e crolli di massi. Si
ebbero anche intorbidamenti e variazioni
di portata delle sorgenti.
Fonti dei dati:
Serva L., 1991, Un metodo per una migliore
comprensione della sismicità di un’area: la Conca
del Fucino. In E. Boschi e M. Dragoni (a cura di) :
Aree sismogenetiche e rischio sismico in Italia,
Roma, 2, pp. 187-196.
Boschi E., Ferrari G., Gasperini P., Guidoboni E.,
Smriglio G., Valensise G., 1995, Catalogo dei forti
terremoti in Italia dal 461 a. C. al 1980. Istituto
Nazionale di Geofisica, SGA storia geofisica
ambiente.
Oddone E., 1915, Gli elementi fisici del grande
terremoto marsicano fucense del 13 gennaio
1915. Boll. Soc. Sismol. Ital., 19, pp. 71-215.
44
Rischio vulcanico in Italia | Le caratteristiche dei vulcani
3. IL RISCHIO VULCANICO IN ITALIA
La Terra è un pianeta dinamico, in continuo divenire, in cui le placche che
suddividono la sua parte superficiale sono in costante, lento movimento
l’una rispetto all’altra.
I movimenti delle placche hanno determinato l’attuale assetto geologico
del pianeta e sono responsabili delle manifestazioni più appariscenti e
drammatiche della sua dinamicità: terremoti e vulcani.
La distribuzione planetaria di tali fenomeni naturali non è, infatti, casuale
ma strettamente correlata con i limiti delle placche; il loro tipo di attività riflette i diversi ambienti geodinamici in cui vengono originati (Figura 3.1).
di ferro, magnesio e calcio, elementi che riescono ad interrompere i forti legami tra silicio ed ossigeno determinando una diminuzione della viscosità
ed una conseguente bassa esplosività delle eruzioni (eruzioni effusive).
L’origine e la composizione chimica dei magmi sono strettamente legate
all’ambiente geodinamico di formazione. In corrispondenza dei margini divergenti (dorsali oceaniche) fuoriescono magmi basaltici direttamente derivanti dalla fusione parziale del mantello superiore (astenosfera). Tale fusione è indotta da processi di decompressione connessi con la risalita di
masse calde profonde. In corrispondenza dei margini convergenti (zone di
subduzione, Figura 3.2), invece, la fusione del mantello superiore è legata al
trasporto in profondità di rocce e sedimenti contenenti minerali idrati che
liberando l’acqua, tra i 100 ed i 200 km di profondità, determinano l’abbassamento del punto di fusione. Il materiale fuso, ricco in volatili e più leggero delle rocce circostanti, risale fino al punto in cui la sua densità uguaglia quella delle rocce incassanti (generalmente all’interfaccia mantellocrosta), dove staziona all’interno di una camera magmatica.
Un vulcano è definito come un’apertura della crosta terrestre tramite la
quale una miscela di materiale fuso e gas (magma) fuoriesce in superficie
(lava). Il magma deriva dalla fusione parziale delle rocce profonde quando
si verificano particolari condizioni di pressione e temperatura. Esso contiene al suo interno quantità variabili di quasi tutti gli elementi chimici, con
preponderanza di silicio ed ossigeno, che condizionano fortemente il tipo
di magma e di attività vulcanica. I magmi ricchi in silice (SiO2) (magmi
acidi) hanno maggiori concentrazioni di sodio e potassio ed una elevata viscosità che determina, a causa della difficoltà a fluire del magma, un’alta
esplosività delle eruzioni associate (eruzioni esplosive).
I magmi più poveri in silice (magmi basici) presentano tenori più elevati
Durante la permanenza nella camera magmatica, il magma subisce complessi processi di differenziazione (frazionamento, mescolamento, contaminazione) che lo rendono sostanzialmente diverso da quello originario. Il magma
può stazionare all’interno della camera sino al suo totale raffreddamento
(rocce intrusive) oppure può riprendere la sua ascesa verso la superficie, generalmente a causa di variazioni di pressione che possono essere determinate da
varie cause. Quale che sia il meccanismo, per la generazione di un’eruzione è
necessario che si alteri l’equilibrio tra magma e rocce incassanti e che si creino
fratture tramite le quali il magma può fuoriuscire in superficie (Figura 3.3) creando un apparato vulcanico, la cui forma dipende dal tipo di materiale eruttato e dalle modalità di eruzione.
3.1. Le caratteristiche dei vulcani
Figura 3.1 – Distribuzione globale dei vulcani. La maggior parte
dell’attività vulcanica è situata in
corrispondenza dei limiti delle
placche sia dove si crea nuova
crosta (dorsali oceaniche) sia
dove la crosta viene distrutta
sprofondando al di sotto di un’altra placca (zone di subduzione).
Altri apparati vulcanici sono localizzati all’interno delle placche
(vulcani intraplacca) e sono legati
alla risalita di magmi profondi.
Fonte: Isat
45
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Figura 3.2
Formazione
del vulcani in relazione
all’ambiente geodinamico.
Fonte: ISAT.
46
Rischio vulcanico in Italia | le caratteristiche dei vulcani
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
1. Fin qui il magma risale
perchè meno denso del
materiale circostante
2. Da qui il magma risale
perchè la pressione sopra
la camera magmatica è
diminuita
1
2
Figura 3.3 – Esempio di meccanismo di risalita del magma. Fonte: ridisegnato da http://vulcans.fis.uniroma3.it/gnv.
Anatomia di un vulcano
I vulcani rappresentano i
punti in cui avviene un
trasferimento di masse,
liquide ed aeriformi,
dall’interno della terra verso
l’esterno. Sebbene
l’immaginario collettivo
percepisca, ovviamente, solo
l’effetto distruttivo dell’attività
vulcanica, senza tale attività
non ci sarebbe stata la
formazione della crosta
terrestre, dell’atmosfera e
dell’idrosfera, ed il
determinarsi di condizioni
che hanno permesso la
complessità biologica del
pianeta
In linea generale, un vulcano (Figura 3.4) può essere considerato un sistema costituito da: una camera magmatica, situata a profondità variabili,
dove staziona il magma; un condotto eruttivo tramite il quale il magma può
salire verso la superficie fuoriuscendo in corrispondenza della bocca eruttiva (cratere); ed un apparato la cui forma è strettamente legata al chimismo del magma, agli stili eruttivi ed alla tipologia del materiale emesso.
Nelle eruzioni effusive il magma viene emesso come liquido (lava) che
scende, anche per molti chilometri, lungo i fianchi dell’apparato (colata la-
atmosfera da colonne eruttive sostenute e più o meno sviluppate a seconda del
tipo di eruzione. Se l’eruzione è altamente esplosiva, il progressivo incremento
in peso del materiale sostenuto può determinare il parziale collasso della colonna con formazione di distruttive correnti piroclastiche ad alta temperatura
(fino a 700°C) e velocità (>80 km/h) che scorrono lungo i fianchi del vulcano.
Le correnti possono originarsi anche per trabocco dal cratere quando la miscela gas-piroclasti è troppo densa per dare origine alla colonna oppure a seguito della distruzione, per esplosione, di duomi lavici.
Le correnti vengono distinte in flussi (alta concentrazione di piroclasti) e
surges (alta concentrazione di gas). Questi ultimi possono essere originati anche da eruzioni freatomagmatiche. La propagazione dei flussi è generalmente
vincolata dalla morfologia dell’edificio mentre i surges presentano mobilità
molto maggiore e possono superare barriere morfologiche investendo areali
molto ampi. Grandi frane o fratture sui fianchi del vulcano possono originare
pericolosissime esplosioni laterali che generano correnti piroclastiche ad alta
densità ed elevatissima velocità (> 100m/s).
Nel corso delle eruzioni più violente, gli enormi tassi eruttivi determinano
un collasso continuo della colonna dando origine a flussi piroclastici (ignimbriti) che possono avere dimensioni e potenza tali da riuscire a superare i rilievi e ricoprire ampie aree con depositi spessi decine di metri (ad esempio, le
ignimbriti flegree).
A causa delle grandi emissioni di vapore le eruzioni esplosive sono sempre
accompagnate da forti piogge che possono mobilizzare il materiale incoerente
depositato sulle pendici del vulcano o nei rilievi circostanti dando origine ad
enormi e distruttive colate rapide di fango e detriti (lahar) che, incanalate nelle
depressioni vallive, possono raggiungere in breve tempo le aree pianeggianti
antistanti. I lahar possono essere originati anche dalla fusione rapida di neve
e ghiaccio (es. Nevado del Ruiz) o da eruzioni in un lago craterico (Lago di Albano), e possono verificarsi anche molto tempo dopo l’eruzione vulcanica
(Sarno).
47
I vulcani vengono in genere
classificati come:
vulcani attivi: con una storia
registrata di attività più o
meno continua (ci sono
almeno 600 vulcani
considerati attivi sul pianeta,
con eruzioni in media ogni
50-60 anni);
vulcani quiescenti: senza
una storia registrata di attività
ma con segni evidenti di
attività in un passato
geologico relativamente
recente e che possono dare
luogo a violentissime eruzioni
(è il caso del Vesuvio, che nel
79 a.C. era considerato
estinto; ma anche del St.
Helens con l’eruzione del
1980, che era stato
quiescente per 123 anni, e
del Pinatubo nelle Filippine
con l’eruzione del 1991, che
era stato quiescente per oltre
400 anni; il caso del Vulcano
Laziale verrà discusso più
avanti);
vulcani estinti: senza alcun
segno di attività recente.
Eruzioni e tipi di apparato
Figura 3.4
Schema di un apparato
vulcanico con condotto centrale
e delle fenomenologie associate
ad un’eruzione.
Fonte: ISAT.
vica), mentre in quelle esplosive il magma è emesso in forma frammentata,
allo stato liquido e solido (prodotti piroclastici o tefra).
I prodotti piroclastici possono avere dimensioni variabili da metriche-plurimetriche (bombe e blocchi) a centimetriche (lapilli-scorie-pomici) e millimetriche (ceneri-polveri). Nel corso di un’eruzione, i piroclasti vengono trascinati in
Le modalità di emissione del magma variano
fortemente in dipendenza dalle caratteristiche
chimico-fisiche del magma stesso (principalmente viscosità e contenuto in acqua) e dallo stato
di chiusura od apertura del condotto. È comunque
possibile classificare i tipi di eruzione in alcune
principali categorie (Tabella 3.1). Esse non possono però essere considerate rigidamente poiché,
in particolare durante un’eruzione esplosiva, un
vulcano è generalmente interessato, spesso in
modo repentino ed inaspettato, da cambiamenti
nello stile eruttivo e nella tipologia dei materiali
emessi a causa di variazioni del chimismo del
magma, della sua viscosità e del contenuto in
volatili, dell’allargamento del cratere o del contatto con acque sotterranee.
Un’eruzione può essere in genere considerata come l’insieme di distinte
fasi eruttive (ad esempio, fasi freatica, pliniana e freato-magmatica, come
nel caso del Vesuvio nel 79 d.C.).
Non esistendo, per i vulcani, una scala di magnitudo strumentale come
quella dei terremoti, una valutazione dell’energia liberata nel corso di
un’eruzione, indipendentemente dalle modalità con cui viene liberata, può
Il lago di Albano
48
Rischio vulcanico in Italia | le caratteristiche dei vulcani
Tabella 3.3 – Schematizzazione dei tipi di apparato vulcanico
Tabella 3.1 – Classificazione dei tipi di eruzioni
TIPO DI ERUZIONE
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
ESEMPI
Hawaiana
Attività ad esplosività bassa o nulla, emissione di magmi basaltici molto fluidi da un cratere
centrale e da fessure sui fianchi dell’apparato con formazione di chilometriche colate laviche.
Presenza di laghi di lava all’interno del cratere. Nelle fasi a bassa esplosività si formano getti
di lava verso l’alto fino ad altezze di qualche centinaio di metri (fontane di lava).
Mauna Loa
Kilauea
Stromboliana
Attività intermittente a media esplosività con fuoriuscita di bombe, lapilli e ceneri che nelle
fasi più intense possono raggiungere qualche chilometro d’altezza. Fontane e colate di lava.
Stromboli
Vulcaniana
Attività esplosiva con prevalente produzione di ceneri e bombe, magmi viscosi ricchi in silice
e gas, flussi piroclastici.
Vulcano
Peleana
Eruzioni violente e distruttive, magmi viscosi ricchi in silice e gas, flussi piroclastici.
Mount Pelee
PlinianaUltrapliniana
Attività esplosiva violentissima con enormi e continue fuoriuscite di gas e materiale piroclastico, colonna sostenuta molto elevata, colate e surges piroclastici, formazione di caldere per
svuotamento della camera magmatica. Le eruzioni ultrapliniane presentano le stesse fenomenologie ma con una potenza decisamente maggiore. Depositi ignimbritici.
Vesuvio
Krakatoa
Santorini
Freatomagmatica Violenta attività esplosiva legata al contatto del magma con le acque sotteranee o marine.
Surtsey, Vesuvio
Freatica
Vesuvio
Vulcano
Mount St. Helens
Potentissime esplosioni di gas dovute al riscaldamento delle acque sotterranee da parte della
camera magmatica, nessuna emissione di magma ma solo di frammenti di rocce strappati dal
condotto che possono essere lanciati anche a distanze notevoli.
essere effettuata tramite l’Indice di Esplosività Vulcanica (VEI) (Tabella 3.2).
La variabilità dei tipi di magma, degli stili eruttivi e dei tipi di materiali
emessi determina un’ampia variabilità nelle forme degli apparati vulcanici,
schematizzata in Figura 3.5 e Tabella 3.3.
Tabella 3.2 – Indice di Esplosività Vulcanica (VEI)
tipi di osservazioni e di dati che possono permettere di definire l’indice.
VEI
ESPLOSIVITÀ
DESCRIZIONE
QUALITATIVA
ERUZIONE
TIPO
DI
ERUZIONE
INIEZIONE
IN
TROPOSFERA
0
1
Non esplosiva
Debole
Effusiva
Mite
2
Moderata
Esplosiva
3
Severa
4
Moderataforte
Forte
Violenta
5
6
Molto forte
Molto forte
Catastrofica
Parossistica
7
8
Molto forte
Molto forte
Colossale
Terrificante
Hawaiana
HawaianaStromboliana
StrombolianaVulcaniana
VulcanianaSubpliniana
VulcanianaSubpliniana
Pliniana
PlinianaUltrapliniana
Ultrapliniana
Ultrapliniana
INIEZIONE
IN
STRATOSFERA
49
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
TASSO
ERUTTIVO
(KG/S)
VOLUME
PRODOTTI
(M3)
ALTEZZA
COLONNA
ERUTTIVA
(KM)
POTENZA
TERMICA
(LOG KW)
DURATA
EMISSIONE
CONTINUA
(ORE)
Trascurabile Nessuna
Minore
Nessuna
102-103
103-104
>104
104-106
<0,1
0,1-1
5-6
6-7
<1
<1
Moderata
Nessuna
104-105
106-107
1-5
7-8
1-6
Grande
Possibile
105-106
107-108
3-15
8-9
1-12
Grande
Sicura
106-107
108-109
10-25
9-10
1->12
Grande
Grande
Significativa
Significativa
107-108
108-109
109-1010
1010-1011
>25
>25
10-11
11-12
1->12
6->12
Grande
Grande
Significativa
Significativa
>10
?
10 -10
>1012
>25
>25
>12
?
>12
>12
9
11
12
Fonti : Bell F.G., 2003, Geological hazards, Spon Press Ed., London; Newhall C.G. and Self S., 1982, The volcanic explosivity index (VEI): An estimate of explosive magnitude
for historical volcanism, J. Geophys. Res., 87; Barberi F., Santacroce R., Carapezza M.L., 2005, Terra pericolosa, ETS edizioni.
TIPO DI APPARATO
CARATTERISTICHE GENERALI
Vulcani a scudo
Originati da eruzioni effusive con colate di lava molto fluida; hanno in pianta una forma
allargata e fianchi poco inclinati. Per la continua sovrapposizione di lave basaltiche dal
condotto centrale o dai fianchi possono raggiungere dimensioni enormi.
Strato-vulcani
(vulcani
compositi)
Sono formati dalla sovrapposizione di prodotti piroclastici e colate laviche
dovute all’alternanza di eruzioni esplosive ed effusive. Le eruzioni più violente
possono determinare il collasso di una porzione del vulcano in parte obliterata
dalle eruzioni successive. Con dimensioni generalmente inferiori a quelle dei
vulcani a scudo hanno pendii molto ripidi. Si accrescono prevalentemente per
emissioni da un condotto centrale, assumendo spesso la tipica forma a cono,
ma possono essere presenti anche coni eruttivi sviluppati sui fianchi (coni
laterali). Se l’eruzione è fissurale il vulcano assume una forma allungata. Le
eruzioni esplosive sono legate all’ostruzione del condotto da parte di un tappo
di magma viscoso con conseguente accumulo delle pressioni dei gas all’interno
della camera magmatica. La distruzione dell’occlusione determina generalmente
il passaggio ad una fase prevalentemente effusiva a moderata esplosività (fase
a condotto aperto).
Duomi lavici
Si formano quando le lave sono talmente viscose da non riuscire a dare origine a
colate e si sovrappongono in corrispondenza del cratere formando dei rilievi
cupuliformi. Spesso rappresentano la fase finale di un’eruzione durante la quale
vengono emessi magmi sempre più acidi e viscosi (St. Helens). L’occlusione del
cratere può dare luogo a violentissime fuoriuscite di gas e ceneri che sotto forma di
flussi piroclastici scendono sui fianchi del vulcano (Pelee).
Mount Pelee
St. Helens
Ischia
Coni di scorie
Sono apparati costituiti prevalentemente da scorie vulcaniche, con fianchi molto
ripidi, forma circolare ed altezza variabile da 30 a 300 metri. Facilmente erodibili a
causa dell’incoerenza del materiale si formano abbastanza velocemente (decine di
giorni) durante eruzioni a moderata esplosività. Il materiale piroclastico ad elevata
temperatura può dare origine a coni di scorie saldati (spatter).
Monti Silvestri
(Etna)
Coni di tufo
Coni di cenere
Sono prevalentemente formati da cenere consolidata e presentano pendii
moderatamente ripidi. Meno frequenti dei precedenti, sono legati a fasi esplosive
freatomagmatiche. I coni di cenere si differenziano per l’incoerenza dei depositi.
Monte Nuovo,
Solfatara (Campi
Flegrei)
Anelli di tufo
Anelli di cenere
Maar
Di origine analoga ai precedenti, se ne differenziano per una minor ripidità dei
fianchi ed un maggior diametro del cratere. I maar sono un tipo di anello di tufo
caratterizzato dal fatto di avere il fondo del cratere al di sotto del piano campagna.
Averno, Astroni
(Campi Flegrei)
Porto d’Ischia
Caldere
Sono legate al rapido svuotamento di un’ampia camera magmatica a seguito di
eruzioni di estrema violenza ed alti tassi di emissione (pliniane-ultrapliniane). Lo
svuotamento della camera determina il collasso delle rocce sovrastanti con
creazione, in superficie, di una vasta struttura depressa sovente di forma circolare.
Le caldere risorgenti (esempio M. Epomeo-Ischia) hanno nella parte centrale un
sollevamento a forma di cupola, provocato da duomi lavici che si formano appena
sotto la superficie (cripto-duomi) per la risalita di nuovo magma. Ciò può preludere
a nuove fasi eruttive.
Campi Flegrei
Vulcani laziali
Yellowstone,
Krakatoa
Santorini
Pericoli connessi con l’attività vulcanica
L’attività vulcanica produce una serie di fenomeni che possono rappresentare un serio pericolo per l’uomo, le sue attività e l’ambiente. Tali fenomeni
sono direttamente (colate di lava, flussi piroclastici, eiezione di materiali) o
indirettamente (colate di fango, terremoti, tsunami) legati alle eruzioni. Generalmente il loro grado d’intensità - e quindi la pericolosità di un vulcano
attivo - è strettamente correlato con il tempo di quiescenza. Più questo è
ESEMPI
Hawaii
Etna
Vesuvio
Fujiama
Rainer
Popocatepetl
Hekla
50
Rischio vulcanico in Italia | le caratteristiche dei vulcani
Figura 3.5 - Rappresentazione
grafica di alcuni tipi di apparato
vulcanico.
Fonte: Ridisegnato da http://mediatheek.thinkquest.nl.
prolungato, più aumenta la probabilità di una ripresa dell’attività con eruzioni ad alta esplosività,
a causa del continuo accumulo di magma e gas
all’interno della camera magmatica. Le principali
caratteristiche dei fenomeni sono schematicamente riportate nella tabella 3.4.
Tabella 3.4 – Fenomeni connessi con le eruzioni
FENOMENO
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
Colate di lava
Raramente pericolose per la vita umana a causa della loro velocità
generalmente bassa, che permette la previsione e l’evacuazione. Le aree
interessate vengono però distrutte. Possibili interventi di raffreddamento,
contenimento e deviazione delle colate.
Emissione
di materiali
Possibile impatto diretto con blocchi e bombe in un raggio di 3-4 km dal
centro eruttivo. Ricaduta di ceneri in aree vastissime con problemi di
stabilità dei solai (per spessori > 10 cm), danneggiamenti alle linee
elettriche e telefoniche, contaminazione dei prodotti agricoli e delle
acque, difficoltà alla viabilità. Immissione di ceneri in
atmosfera/stratosfera con seri problemi agli aeromobili e parziale
schermatura della radiazione solare con possibili effetti climatici.
3.2. I vulcani italiani
Come si è detto, l’attuale assetto geologico-strutturale del Bacino del Mediterraneo è, in linea generale, legato al processo di subduzione della placca
africana al di sotto di quella euroasiatica. Tale schema è complicato dalla
presenza di una serie di microplacche che danno origine a un complesso
quadro geodinamico in cui coesistono aree stabili, in compressione (margini convergenti), ed aree in distensione (margini divergenti). La complessità geodinamica si riflette nella forte variabilità del vulcanismo italiano, in
cui sono presenti praticamente tutti i tipi di eruzione ed i cui prodotti coprono quasi interamente lo spettro delle rocce magmatiche.
Schematizzando, si può affermare che a processi di subduzione sono legati i vulcani del margine tirrenico laziale-campano e delle Isole Eolie; ad
un vulcanismo di intraplacca potrebbero essere associati i vulcani del Canale di Sicilia ed alcuni dei vulcani sommersi del bacino tirrenico, mentre
la posizione geodinamica dell’Etna è tuttora fonte di notevoli discussioni
scientifiche.
Flussi piroclastici L’alta velocità (> 80 km/h), le temperature elevate (fino a 700°),
l’enorme carico solido e i gas tossici determinano la totale distruzione
Surges
Esplosioni laterali delle aree investite dal corpo centrale del flusso. Danni notevoli anche
al margine del flusso. I surges interessano areali più vasti e a causa
della loro mobilità possono superare barriere morfologiche. Difficile la
loro esatta previsione e praticamente impossibile la fuga.
Colate di fango
e detriti (lahars)
Fenomeni molto frequenti e ad elevato potere distruttivo. Legati alla
mobilizzazione, sotto forma di flusso acquoso, del materiale incoerente
depositato dal vulcano, si innescano sia durante l’evento eruttivo sia
anni dopo il suo termine. In dipendenza dalla loro fluidità e dalle
caratteristiche morfologiche dell’area possono percorrere decine di km
e seppellire le aree sotto molti metri di fango. Se l’eruzione è monitorata
è possibile individuare ed evacuare la aree interessate dai lahars.
Frane vulcaniche
Legate all’incremento della instabilità dei versanti a causa di terremoti,
sollevamenti del suolo, apertura di fratture ecc., possono avere
dimensioni notevoli (es. Valle del Bove-Etna, Sciara del fuoco–
Stromboli). Riconoscibili tramite l’attento monitoraggio dell’apparato.
Terremoti
L’attività vulcanica è costantemente accompagnata da una attività
sismica locale dovuta agli stress interni alla camera magmatica. I
terremoti sono generalmente di moderata magnitudo ma, in aree
densamente popolate, possono determinare crolli capaci di creare
impedimenti alle attività di evacuazione.
Tsunami
Tsunami possono essere generati da eruzioni vulcaniche sottomarine o
sublacuali, collassi calderici, entrata a mare di colate laviche, di flussi
piroclastici e lahars, collassi dei fianchi dell’apparato. L’altezza dell’onda
è ovviamente legata alle dimensioni del fenomeno innescante. Lo
tsunami generato dall’eruzione del Krakatoa (1883) determinò la morte
di 36.000 persone.
Emissione
di gas tossici
Nel corso dell’attività vulcanica vengono emesse grandi quantità di gas
(H2S, CO2, SO2, CO) che possono essere molto pericolosi per ogni forma
di vita. La pericolosità è minore nel caso di eruzioni ad alta esplosività,
poiché tali gas vengono dispersi in alta quota, e maggiore nelle aree
interessate da fuoriuscita permanente di gas (aree fumaroliche) o da
potenziali esplosioni freatiche (campi geotermici).
51
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Vulcani attivi
I vulcani che possono essere ritenuti sicuramente attivi,
per i quali, cioè, l’intervallo di tempo trascorso dall’ultima eruzione ad oggi è minore del massimo intervallo di
quiescenza conosciuto, sono alcuni di quelli localizzati
(Figura 3.6):
! nell’area campana: Vesuvio (ultima eruzione nel
1944), Ischia (1302) e Campi Flegrei (1538, con la
comparsa della nuova struttura del Monte Nuovo);
! nelle Isole Eolie: Stromboli (permanentemente
attivo), Vulcano (1888-1890), Lipari (circa 800 d.C.) e,
con qualche dubbio, Panarea (forse eruzione
sottomarina nel 126 a.C.; è ben nota recentemente
l’attività di fumarole sottomarine intorno all’isola);
! Etna (permanentemente attivo);
! area del Canale di Sicilia (eruzioni sottomarine nel 1831
e 1891, ultima eruzione a Pantelleria circa nel 1000 a.C);
! con tutta probabilità, i Colli Albani (Vulcano Laziale)
a sud di Roma.
Nel caso del Vulcano Laziale, si tratta di un sistema
complesso, costituito da una caldera collassata
(Tuscolano-Artemisia) e da un’altra più recente
(Faete), parzialmente sovrapposte, con un cono
recente (Monte Cavo) marginale all’ultima caldera.
Sono presenti numerosi crateri eccentrici più recenti,
di cui alcuni trasformati in laghi (Albano, Nemi), molti
prosciugati artificialmente in epoca romana (Ariccia,
ecc.); nonchè colate vulcaniche che raggiungono
Roma (tra cui la Capodibove su cui corre la Via
Appia). I fenomeni catastrofici che hanno portato al
collasso della caldera Tuscolano-Artemisia sono
datati 500-600.000 anni fa; dopo numerosi cicli, il
vulcano è attualmente caratterizzato da una serie di
fenomenologie (sciami sismici, sollevamenti del
suolo, fumarole, emissioni di anidride carbonica ed
altro, esplosioni freatiche) che associate all’evento
eruttivo, riportato da fonti storiche, del 114 a.C., ed a
modeste eruzioni sublacustri che hanno determinato
esondazioni di laghi craterici anche in epoca romana
lasciano presumere che il vulcano sia tuttora attivo
ed in una fase di quiescenza. L’esistenza del Vulcano
Laziale è stata fondamentale per determinare le
caratteristiche della zona su cui sarebbe sorta Roma.
In realtà, la città è cresciuta sui famosi colli che altro
non sono che gli accumuli prodotti dall’attività
emissiva, compresi flussi piroclastici, del Vulcano
Laziale sulla sinistra del Tevere (i colli del Palatino,
Capitolino, ecc.) e del Vulcano Sabatino (Lago di
Bracciano, anch’esso dotato di numerosi crateri
eccentrici trasformatisi in laghi) sulla destra del
Tevere (i colli del Gianicolo, Monte Verde, Vaticano,
Monte Mario). Il corso del fiume e le scarse zone
paludose ed alluvionali che lo accompagnano
rappresentano il confine riconoscibile tra i due
distretti vulcanici. I prodotti vulcanici hanno anche
fornito la pozzolana e la pietra tenera (tufo),
facilmente lavorabile, di cui Roma è costruita, ed il
materiale lavico che è stato usato, sotto forma di
basolato o sanpietrini, per lastricare le strade
romane.
52
53
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Distribuzione territoriale dei vulcani
Figura 3.6 – Localizzazione
dei vulcani italiani di età inferiore a 2.000.000 di anni:
estinti (in azzurro), attivi (in
rosso) e sottomarini (in verde).
Fonte: Grafica ISAT su base
NASA World Wind.
È opportuno un breve cenno alla distribuzione sul territorio dei vulcani
italiani considerati non più attivi (estinti), ma attivi fino ad epoche geologicamente “recenti”(ossia meno di 2 milioni di anni fa), che sono posizionati
seguendo grosso modo un allineamento lungo la costa del Tirreno. Da
nord-ovest verso sud-est, si ritrovano:
i vulcani dell’Amiata, Vulsino, Cimino-Vico, Sabatino;
le Isole Pontine (tutte vulcaniche, comprese Ventotene e Santo
Stefano, con l’eccezione di Zannone);
! i grandi vulcani spenti del Roccamonfina e del Vulture, nella catena
degli Appennini;
! nel Golfo di Napoli la vulcanica Procida (ma non Capri) e banchi
sommersi che rappresentano i resti di bocche
vulcaniche;
! in Sicilia i sette vulcani corrispondenti a ciascuna
delle Isole Eolie, compresi i 3-4 attivi di cui sopra; la
catena degli Iblei, il vulcano di Ustica nel basso
Tirreno e quello di Linosa nel Canale di Sicilia;
! in Sardegna, alcuni apparati nelle aree di Orosei,
Montiferru e Logudoro.
!
!
Immaggine del Marsili ottenuta
tramite rilevamenti con multibeam sonar.
Fonte:http://www.bo.ismar.cnr.it
I vulcani sottomarini
La situazione diviene ancora più complessa se si
prendono in considerazione i vulcani sottomarini. A
livello planetario, si contano circa 20.000 vulcani sottomarini, dalla lunghissima catena per la maggior
parte sommersa delle Hawaii all’alto numero dei
vulcani dell’Atlantico che emergono solo in alcuni
casi: Capo Verde, Canarie, Madeira, Azzorre, Islanda,
ecc.
Eruzioni sottomarine collegate a maremoti (relativamente frequenti nell’Egeo e nel Mar del Levante) sembrano non essere
rare nel Mediterraneo, se si tiene presente tra l’altro il già citato collasso
della caldera del vulcano dell’Isola di Santhorini (Thera) nell’Egeo, intorno al 1500 a.C., dopo una serie di eruzioni parossistiche.
Per quanto riguarda l’Italia, diverse bocche vulcaniche sommerse (Figura 3.6), potenziali responsabili di eruzioni o frane sottomarine (del tipo
di quella verificatasi recentemente nella parte emersa e sommersa dello
Stromboli), si trovano come prolungamento delle Isole Eolie, sia a nord di
Stromboli che fra Alicudi ed Ustica.
Sempre nel Tirreno meridionale, a nord del Marsili, più o meno a metà
strada tra il Cilento e la Sardegna, si ritrovano poi altri due sistemi vulcanici sottomarini di grandi dimensioni più antichi del Marsili e considerati
estinti: il Vavilov (40 x 15 km di lunghezza, 2.800 m dal fondo del mare)
ed il Magnaghi.
È ben noto poi il caso, nel Canale di Sicilia a sud di Sciacca, dell’Isola
Ferdinandea (anche nota come Julie o Graham a seconda della rivendicazione territoriale borbonica, francese o inglese), riapparsa al di sopra del
livello del mare nel 1831 (con emersioni segnalate a partire dal 10 a.C.) e
quindi risommersasi dopo alcuni mesi di attività vulcanica in superficie.
Altre manifestazioni sottomarine si sono avute nel Canale di Sicilia nel
1981 ed ai giorni nostri.
Un importante vulcano
sottomarino presumibilmente
attivo, il Marsili, scoperto nei
primi anni ’60 ma di cui si
dispongono da poco le
immagini, è situato proprio
nel Tirreno, a sud-ovest del
Golfo di Napoli (ossia in
direzione dei vulcani delle
Isole Eolie, da cui dista circa
70 km), ed è di dimensioni
notevoli (65 x 40 km di
lunghezza, 3.000 m dal
fondo del mare, con bocche
multiple e la cima a circa
500 m sotto il pelo
dell’acqua, forse il più grande
vulcano europeo in termini
assoluti); anche se non
esistono dati su eventuali
eruzioni, a questo vulcano
potrebbe essere attribuita la
responsabilità di alcuni
maremoti nel Tirreno anche
di epoca recente.
54
Rischio vulcanico in Italia | Il Vesuvio
3.3. Il Vesuvio
Figura 3.7
Schema dell’apparato vulcanico Somma-Vesuvio
con rappresentati il vulcano prima dell’eruzione
del 79 d.C.
Fonte: ridisegnato da
www.ov.ingv.it
55
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
L’attuale morfologia dell’apparato vulcanico Somma-Vesuvio (1.281 m)
(Figura 3.7) deriva dalla coesistenza di uno strato-vulcano più antico
(Monte Somma), parzialmente smantellato dallo sprofondamento della
parte sommitale, e del più recente cono del Vesuvio, cresciuto all’interno di
questa caldera nel corso della
lunga attività medioevale.
Attualmente, il vulcano si
trova in uno stato di quiescenza che perdura dal 1944,
con attività soltanto fumarolica e terremoti superficiali
con ipocentro lungo il condotto.
Negli ultimi 25.000 anni
però il Somma-Vesuvio è
stato caratterizzato da attività
estremamente variabili riconducibili, per semplicità, a tre
principali tipologie eruttive:
1. eruzioni moderate, attività stromboliana ed effusiva;
2. eruzioni forti, esclusivamente esplosive (subpliniane);
3. eruzioni catastrofiche, esclusivamente esplosive (pliniane).
L’apparato è caratterizzato da un serbatoio profondo (localizzato tra 10 e
20 km di profondità), da dove risalgono i magmi che ristagnano in una camera magmatica superficiale localizzabile a 3-5 km di profondità prima
delle eruzioni pliniane, ed a meno di 2 km di profondità prima dell’attività
stromboliana (dati INGV).
Tabella 3.5a. Tipi di eruzione del Vesuvio
TIPO DI ERUZIONE
VOLUMI DI MAGMA EMESSO
PERIODI DI QUIESCENZA PRECEDENTI L’ERUZIONE
CONDOTTO
moderata
Piccoli (dell’ordine di 0.01 kmc)
Brevi (dell’ordine degli anni)
aperto
subpliniana
Medi (dell’ordine di 0.1 kmc)
Lunghi (da decenni a qualche secolo)
ostruito
pliniana
Grandi (maggiori di 1 kmc)
molto lunghi (da diversi secoli a più di un millennio)
ostruito
Secondo stime recenti1, il volume di magma profondo entrato nelle camere magmatiche del Vesuvio dal 1944 ad oggi ammonterebbe a 100-300
milioni di m3 e, se emesso in un unico evento esplosivo, potrebbe produrre
una eruzione subpliniana (tipo quella dell’anno 1631).
Come accennato nelle pagine precedenti, uno strato-vulcano può essere
interessato da eruzioni estremamente variabili in termini di esploLa storia vulcanologica dell’apparato del Somma-Vesuvio inizia
sività, quantità di materiale
circa 25.000 anni fa con l’accrescimento dell’edificio, al di sopra di
emesso, tipologia dell’eruzione e,
lave antiche, a seguito di eruzioni prevalentemente effusive e
di norma, le modalità eruttive vasubordinatamente esplosive, di bassa energia (stromboliane). Tale
riano anche durante un singolo
attività è durata fino a circa 18.000 anni fa e ha determinato la
evento. Ne consegue che la conoformazione dell’apparato vulcanico del Somma (Figura 3.7), la cui
forma originaria è stata profondamente modificata da una serie di
scenza accurata della storia erutcollassi calderici generati dallo svuotamento della camera
tiva di un vulcano è indispensabile
magmatica a seguito di violentissime eruzioni. La prima caldera è
per cercare di prevedere le modalegata all’eruzione pliniana delle Pomici Basali ed è stata
lità di una futura eruzione.
successivamente modificata ed ampliata da altre eruzioni pliniane
Con una documentazione che
sino all’ultima del 79 d.C. (Figura 3.8), che interruppe un periodo di
quiescenza durato almeno 7 secoli. Dopo quest’ultima, le eruzioni
parte con l’eruzione di Pompei del 79
più violente, con caratteristiche subpliniane, si sono registrate negli
d.C., la storia eruttiva del Vesuvio è
anni 472, 512 e 1631, intervallate da periodi di attività di bassa
sicuramente quella più conosciuta tra
energia a condotto aperto durante il I, III, V, VIII, X e XI secolo.
i numerosi vulcani attivi sulla Terra.
L’attività a condotto aperto ha caratterizzato anche il periodo dal
1631 al 1944
durante il quale
sono state
prodotte grandi
quantità di lava,
che hanno quasi
completamente
ricoperto i versanti
sud-orientali e
sud-occidentali del
vulcano.
Figura 3.8
Ricostruzione della storia
eruttiva del Vesuvio.
Fonte: INGV-Osservatorio
Vesuviano
Tabella 3.5b. Modalità eruttive del Vesuvio
CONDOTTO
MODALITÀ ERUTTIVE
ESEMPIO
Attività
a condotto
aperto
Attività alimentata da magmi poco differenziati che colmano il condotto e formano un
lago di lava all’interno del cratere. Si generano colate laviche per trabocco dal cratere
o per eruzioni laterali. Attività esplosiva finale freato-magmatica per interazione con le
acque di falda a seguito del progressivo svuotamento della camera magmatica.
Periodo
1631-1944
Attività
a condotto
chiuso
Il magma si accumula all’interno della camera magmatica. Eruzioni esplosive sono
determinate dalla risalita di nuovo magma o dalla formazione di fratture a seguito di
fasi tettoniche
79,
472,
1631
1 Barberi F., Santacroce
R., Carapezza M.L.,
2005, Terra pericolosa,
ETS edizioni.
56
Rischio vulcanico in Italia | Il Vesuvio
Figura 3.9
Carta geologica
schematica dell’apparato
Somma-Vesuvio.
Fonte
INGV-Osservatorio
Vesuviano.
57
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Tutte le eruzioni successive sono con buona probabilità segnalate, ma è solo
a partire dall’eruzione del 1631 che i fenomeni associati alle eruzioni vengono
descritti con una certa precisione. Le eruzioni precedenti il 79 d.C., invece,
sono state identificate in base ad analisi stratigrafiche. Si tenga comunque
presente che, in linea generale, nella stratigrafia geologica sono evidenti solo
gli eventi di maggior entità che hanno prodotto depositi piroclastici ingenti ed
arealmente diffusi.
I prodotti di eventuali eruzioni minori possono essere stati, cioè, completamente cancellati/obliterati dalle eruzioni più violente soprattutto se localizzati all’interno delle aree interessate dai collassi calderici. Non è pertanto
escluso che durante i periodi riportati in Figura 3.8 come lunghe fasi di
quiescenza si siano verificate eruzioni di moderata potenza, attualmente
non identificabili. Una carta geologica schematica dell’apparato SommaVesuvio è riportata in Figura 3.9. Nella Figura 3.10 è riportata un’immagine
satellitare del vulcano, con il cratere chiaramente visibile e con le pendici
circondate da zone pesantemente urbanizzate dell’area metropolitana di
Napoli (Figura 3.11) e dell’Agro Sarnese (compresa la zona di Pompei). Seguono alcune schede sulla storia eruttiva del Vesuvio.
Figura 3.10
Immagine satellitare della zona del Vesuvio
con il Golfo di Napoli.
Fonte:
Image Science and Analysis Laboratory,
NASA-Johnson Space Center. 18 Mar. 2005.
“Earth from Space - Image Information”.
http://eol.jsc.nasa.gov/sseop/EFS/photoinfo.
pl?PHOTO=NM21-771-75.
Figura 3.11
Evoluzione dell’urbanizzazione dell’area
circumvesuviana dal 1936 al 1990.
(Ridisegnato e semplificato da Alberico et alii,
2004).
Fonte
Alberico I., Caiazzo S., Dal Piaz S., Lirer L.,
Petrosiono P. & Scandone R., 2004. Volcanic
risk and evolution of the territorial system in
the active volcanic areas of Campania. EGU,
1st General Assembly, Nice, France, 25-30
April 2004.
58
Rischio vulcanico in Italia | Il Vesuvio
SCHEDA 1
SCHEDA 2
Data
24-26 AGOSTO 79 d.C.
ERUZIONE PLINIANA DEL VESUVIO
V.E.I. (Indice di esplosività vulcanica) 5
Data
GENERALITÀ
evento eruttivo degli ultimi
2000 anni.
! Periodo di quiescenza a condotto
ostruito, determinabile con i dati
disponibili: più di sette secoli.
! Fenomeni precursori (terremoti e
deformazioni del suolo) avvertiti dalla
popolazione a partire da alcune
settimane prima dell’eruzione.
! Durata 48-60 ore, con fase più intensa
(pliniana) poche ore dopo l’inizio
dell’eruzione.
! Fase più distruttiva, durante la quale si
generano numerosi flussi piroclastici,
circa 24 ore dopo l’inizio dell’attività.
! Distruzione dei centri abitati posti nel
settore meridionale del vulcano.
59
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Il Vesuvio prima e
dopo l’eruzione del
1631.
Fonte: G. B. Alfano e I.
Friedlaender, 1929.
Die Geschichte des
Vesuv: illustriert nach
gleichzeitigen
Urkunden. Reimer,
Berlino.
16-18 DICEMBRE 1631
ERUZIONE SUBPLINIANA
DEL VESUVIO
V.E.I. (Indice di esplosività vulcanica) = 4
! Massimo
Carte delle isopache per i depositi
delle unità EU2 e EU3
Fonte:
INGV- Osservatorio Vesuviano
Sotto: Stratigrafia dei depositi
dell’eruzione
Fonte:
INGV- Osservatorio Vesuviano
CRONOLOGIA DELL’ERUZIONE
1° Fase: 24 agosto, prime ore della
mattina, inizio dell’eruzione con una serie
di moderate esplosioni freatiche.
Formazione di una colonna sostenuta
che risale nella stratosfera fino ad
un’altezza di 24 km (eruzione delle
pomici chiare). Le pomici si disperdono
fino a 70 km di distanza dal vulcano.
2° Fase: nella notte la colonna raggiunge
la sua massima altezza con l’eruzione
delle pomici scure (32 km) ed in seguito
(ore 7.30 del 25 agosto) collassa,
generando flussi e surges piroclastici che
devastano ogni insediamento nel raggio
di 10-15 km dal centro eruttivo.
3° Fase: nel tardo pomeriggio del 25
agosto la camera magmatica,
parzialmente svuotata, collassa formando
una caldera. Le falde acquifere, non più
in pressione, interagiscono con il magma
residuo determinando una serie di forti
esplosioni che chiudono l’eruzione. Il
crollo del serbatoio è accompagnato da
violenti terremoti.
4° Fase (Post-eruzione): molteplici
colate di fango (lahars) dovute alla
rimobilizzazione dei prodotti non
consolidati si verificano, per diversi anni,
in occasione di piogge.
GENERALITÀ
! Massimo evento eruttivo della storia
recente del vulcano (ultimi 1000 anni).
! Periodo di quiescenza di almeno 131
anni, ma non ancora ben definito (le
eruzioni del 1306 e del 1500 sono
incerte).
! Fenomeni precursori (terremoti e
deformazioni del suolo) avvertiti dalla
popolazione a partire dalla settimana
precedente l’eruzione.
! Durata 48 ore, con fase più intensa
(pliniana) a poche ore dall’inizio
dell’eruzione.
! Fase più distruttiva, durante la quale si
generarono numerosi flussi piroclastici,
circa 28 ore dopo l’inizio dell’attività.
! 4.000 vittime ed ingenti danni al
territorio, specialmente nel settore
meridionale del vulcano.
! Terremoti ed uno tsunami
accompagnano il collasso del cratere.
CRONOLOGIA DELL’ERUZIONE
-16 dicembre, ore 7:00 (fase pliniana):
inizio dell’eruzione con formazione di una
colonna eruttiva e successiva caduta di
blocchi e lapilli ad E e NE del vulcano
(area blu in figura). Questa fase dura fino
alle 18:00 dello stesso giorno.
-Notte tra il 16 ed il 17 dicembre
(fase vulcaniana): serie di modeste
esplosioni, accompagnate dalla caduta
di ceneri e da forti manifestazioni
temporalesche che causano l’innesco di
molte colate piroclastiche (lahars)
(frecce bianche in figura)
-17 dicembre, ore 10:00 (fase delle nubi
ardenti): diversi flussi piroclastici (area
rossa in figura). devastano i paesi posti
alla base del vulcano e raggiungono il
mare in corrispondenza di Torre del Greco
e Torre Annunziata, sbarrando le vie di fuga
alla popolazione costiera.
-Notte tra il 16 e 17 e pomeriggio del 17
dicembre: le intense piogge causano
l’innesco di violenti ed estesi lahars, che
scorrono lungo le valli sui fianchi del
vulcano e nelle piane a N e NE.
EFFETTI MORFOLOGICI
SUL VULCANO
Collasso del cratere con abbassamento
del vulcano di 470m (misure effettuate da
Gregorio Carafa immediatamente dopo
l’eruzione).
EFFETTI MORFOLOGICI
SUL VULCANO
Creazione di una caldera sul lato est del
vulcano in corrispondenza delle caldere già
esistenti. Con le eruzioni successive
comincia a formarsi il Vesuvio.
Fonti dei dati:
Giacomelli L., Perrotta A., Scandone R., Scarpati C.,
2003, The eruption of Vesuvius of 79 AD, and its
impact on human environment, Episodes, 26 (3).
Carey S.N., Sigurdsson H.,1987, Temporal variations in
column heigth and magma discharge rate during the
79 A.D. eruption of Vesuvius. Geol. Soc. Am. Bull., 99.
Distribuzione dei depositi da caduta nella fase pliniana (blu) e dei depositi da flusso piroclastico (rosso)
dell’eruzione del 1631. Le frecce indicano la distribuzione dei lahars. Fonte: INGV- Osservatorio Vesuviano
Fonti dei dati:
http://www.ov.ingv.it.
http://www.dst.unina.it/vesuvio.
http://vulcan.fis.uniroma3.it/GNV/campania/vesuvio.
Santacroce R. (ed.), 1987, Somma-Vesuvius,
Quaderni de “La ricerca scientifica”, 114, CNR.
60
Rischio vulcanico in Italia | Il Vesuvio
61
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
SEGUE DALLA PAGINA PRECEDENTE
Scheda 3 - Storia eruttiva dell’apparato Somma-Vesuvio
Scheda 3 - Storia eruttiva dell’apparato Somma-Vesuvio
CICLO
CICLO
I
II
NOME DELL’ERUZIONE - NOTE
NOME DELL’ERUZIONE - NOTE
25.000 anni fa
pliniana
Codola
991
17.000 anni fa
pliniana
Sarno-Pomici Basali
prima eruzione pliniana del Vesuvio di cui si riconoscano con certezza i prodotti, è
probabilmente la più violenta tra le eruzioni vesuviane. Colonna eruttiva alta circa 20 km e una
sequenza complessa di depositi da caduta, da flusso e da surge piroclastico. Il deposito da
caduta principale è disperso verso est e conserva uno spessore di 6.5 m. ancora a 10 km di
distanza dal vulcano. Prima fase di calderizzazione del Somma.
999 .
forte
Fontane e colate di lava
1006 o 1007
forte
Eruzione esplosiva con lancio di bombe a 3 miglia dal cratere.
1037
effusiva
Colate di lava sino al mare.
1139
esplosiva
Forte emissione di cenere e lapilli, la ricaduta interessa per almeno 30 giorni Napoli, Capua,
Salerno e Benevento.
(UniNa)
18.300 (OV)
18.000 16.000 anni fa.
effusiva
Ai depositi delle due eruzioni pliniane si intercalano lave prodotte da modeste eruzioni
effusive
15.500 anni fa
pliniana
Pomici Verdoline
seconda eruzione pliniana di cui è possibile riconoscere i prodotti. Segue a un periodo
dominato da attività effusiva e ad una lunga fase di quiescenza. Tale eruzione ha generato un
deposito costituito da un livello di pomici da caduta alla base, cui fa seguito una serie di livelli
da flusso e da surge piroclastico.
(UniNa)
16.000 (OV)
Non datata
IV
7.900 anni fa
(UniNa)
– 8.000 (OV)
Pomice di Amendolara
pliniana
non datata
VI
TIPO ERUZIONE
TIPO ERUZIONE
III
V
ETÀ
ETÀ
3.750 anni fa
(UniNa)
– 3.800 (OV)
Mercato
costituita alla base da due depositi di pomici da caduta, separati da un sottile livello di surge
piroclastico, stratificati nella parte alta e localmente intercalati a depositi da flusso e da
surge. Un terzo deposito di pomici da caduta termina la successione. I depositi da caduta
sono dispersi verso E-NE e conservano spessori di circa 50 cm fino a oltre 30 km dal cratere
del Vesuvio, mentre quelli da flusso e da surge non hanno raggiunto distanze considerevoli.
Anche quest’eruzione fu accompagnata dalla formazione di una caldera sommitale.
Novelle
pliniana
Avellino
eruzione pliniana, che si verificò probabilmente dopo un lungo periodo di stasi nell’attività
del vulcano. É stata una delle più violente della storia eruttiva del Vesuvio. Ha generato
spessi depositi di pomici da caduta (circa 50 cm nei pressi della città di Avellino) e di depositi
da flusso e surge piroclastico, dispersi fino a oltre 15 km dal centro di emissione in direzione
NW. Centro eruttivo localizzato in corrispondenza del Piano delle Ginestre, in un’area posta
circa 2 km ad ovest del cratere attuale.
1000 a.C.
subpliniana
700 a.C.
subpliniana
79 d.C.
pliniana
Pompei (vedi scheda precedente).
172
esplosiva
Violenta attività stromboliana.
203
esplosiva
Eruzione esplosiva con una fase pliniana.
Terremoti ed esplosioni.
1150
Violenta attività stromboliana.
1306 ?
Forte eruzione effusiva con lave sino al mare.
1500 ?
Attività fumarolica e forse esplosioni freatiche.
1631
Subpliniana
1649-1650
Esplosiva
1660 3 luglio
Esplosiva
16-18 dicembre
Bocche alla base del Cono. Flussi in tutte le direzioni, specialmente a W e S. Il vulcano
si abbassa di circa 480 m, si forma la caldera del Vesuvio. I lahars arrivano fino al mare
variando la linea di costa.
Caduta di cenere verso NE.
1680 26-30 marzo Esplosiva
Fontane di lava.
1682
Esplosiva
Fontane di lava. Incendi. Caduta di piroclastiti su Torre del Greco e Ottaviano.
1685
Esplosiva
Fontane di lava. Il Cono cresce molto.
1689
Esplosiva
Lava all’interno della caldera del Vesuvio. Il Cono cresce di 66 m.
1694
Effusiva
Lave ad W e SE (Torre del Greco, Ercolano, S. Giorgio a Cremano e Boscotrecase).
Distruzioni. Tentativo di deviare la colata di lava. Per la prima volta dal 1631 le lave scorrono
al di sotto dell’orlo della caldera verso le falde del vulcano.
1697 16-27.2;
18-26.9; 30.11.
Effusiva
Lava a SE, WSW (Torre del Greco, Ercolano) e W. Riempimento del cratere
1698 10.5-1.6
EffusivaEsplosiva
Lava ad W e verso i Cappuccini di Torre del Greco. La lava si ferma a mezz’ora di cammino
dal mare. Danni gravissimi alle coltivazioni, i maggiori dal 1631.
Danni per caduta di cenere a Boscotrecase, Torre Annunziata, Ottaviano.
222-235
Attività stromboliana più o meno continua.
1701 1-15 luglio
Effusiva
Lava a SE (Boscotrecase, Ottaviano).
379-395
Attività fumarolica con una possibile fase effusiva.
1707 28.7-13.8
EffusivaEsplosiva
Lava ad W e SE. Caduta abbondante di piroclasti a Torre del Greco, Striano, Scafati
e Boscotrecase. Danni alle coltivazioni. Feriti.
1714 6-16.1;
15-30.6
EffusivaEsplosiva
Lave verso SW, SE (sulla colata del 1701), N e NE. Danni a Ottaviano, Somma V.,
S. Anastasia, Torre Annunziata e Boscotrecase.
1717 6-18.6;
22.12
Effusiva
Lava a SE (sopra la colata del 1714) e SW. Danni alle coltivazioni di viti a Trecase e intorno
ai Camaldoli. Tre bocche attive sulla piattaforma craterica.
1723 28.6-4.7
EffusivaEsplosiva
Lave verso E e SE. Danni alle coltivazioni per la caduta di lapilli a Ottaviano, Nola,
Palma C., Sarno, Gragnano, Nocera e Castellamare. Piroclastiti fino al Vallo di Diano.
Effusiva
Effusiva
Le lave formano cupole nell’Atrio. Il Vesuvio cambia aspetto
472
5-6 Novembre
subpliniana
512
Pollena
cenere fino a Costantinopoli. Flussi piroclastici tutto attorno al vulcano. Attualmente
i depositi sono osservabili a nord e a nordest del vulcano fino a circa 30 km di distanza; ad
Ottaviano raggiungono lo spessore di circa 2 metri e di oltre 15 metri nel territorio di Pollena
Trocchia.
Attività stromboliana più o meno continua
536
esplosiva
Ceneri in Mesopotamia
685
Febbraio-Marzo
forte
Forti terremoti, colonna pliniana e relativo fallout, alcune fonti riportano colate
laviche sino al mare
1725 gennaio
-luglio,settembre
787 autunno
grande
Fontane di lava e colate laviche (o piroclastiche?) lunghe sei miglia.
968
forte
Colate di lava sino al mare.
1727-1728
Effusiva
marzo-maggio;
29.7.1727-29.7.1728
SEGUE ALLA PAGINA SUCCESSIVA
Si forma una cupola sul versante di Torre del Greco.
SEGUE ALLA PAGINA SUCCESSIVA
62
Rischio vulcanico in Italia | Il Vesuvio
63
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
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Scheda 3 - Storia eruttiva dell’apparato Somma-Vesuvio
Scheda 3 - Storia eruttiva dell’apparato Somma-Vesuvio
CICLO
CICLO
ETÀ
TIPO ERUZIONE
NOME DELL’ERUZIONE - NOTE
Le fontane di lava innalzano notevolmente la cima del vulcano e la rendono più acclive.
1834
23.8-10.9
EffusivaEsplosiva
Lava a SE tra Boscoreale ed Ottaviano. Distrutto il borgo di Caposecchi e di S. Giovanni
(800 persone senza tetto).
EffusivaEsplosiva
Lava ad W (verso Torre del Greco) e S (verso Boscotrecase). La lava interrompe la strada regia.
Un flusso di lava invade Torre del Greco. Caduta di cenere e lahar.
1839
EffusivaEsplosiva
1751-52
25.10.1751
-25.2.1752
Effusiva
Bocche a S nell’Atrio dalla sutura del 1631. Lave verso Boscoreale, Boscotrecase, Torre
Annunziata e Ottaviano. Lave circa 10 volte più abbondanti del 1737.
La lava del 25.10 verso SE percorre 4 miglia in 6 ore.
Formazione di un piccolo cratere profondo 285 m. Lave a SW (sopra le colate del 1767
e del 1810) e SE verso Boscotrecase ed Ercolano. Boscotrecase e Castellammare coperti
da uno strato di scorie. Danni per caduta di lapilli.
1850 5.2-2.3
EffusivaEsplosiva
Lava a SE verso Boscoreale lunga circa 9 km. Danni alle colture a Torre Annunziata
ed Ottaviano. Forte attività esplosiva. Il cratere si innalza di diverse decine di metri.
1754-55
2.12.175417.3.1755
Effusiva
Bocche a S nell’Atrio dalla sutura del 1631. Lave verso Bosco di Ottaviano, Boscoreale
e Boscotrecase (in parte sulle lave del 1737). Ingenti danni alle coltivazioni.
1760-61
23.12.17605.1.1761
EffusivaEsplosiva
Bocche a circa 300 m s.l.m. in località Noto (Torre Annunziata). Lava verso S
(si ferma a meno di 300 m dal mare). Interruzione della strada regia. Crolli per terremoti.
Fratture del suolo fino al mare.
1767
19-27 ottobre
Effusiva
Colata di Lava a SW verso Ercolano e S. Giorgio a Cremano. Danni alle coltivazioni e agli edifici
(anche per il tremore). Si forma un piccolo cratere.
ETÀ
TIPO ERUZIONE
NOME DELL’ERUZIONE - NOTE
1730
febbraio-marzo
Effusiva
1737 19.5-6.6
1771 1-11 maggio Effusiva
Colata di lava verso NW (Ercolano). Danni a vari poderi di Ercolano.
1773.1776
Effusiva
12.73-1.74; 8-12.
74;12.75-4.76
Lave nel Canale dell’Arena (1774) e nel Fosso della Vetrana (1775-76).
Eruttati 20 milioni di m3 di lave dal 1770 al 1776.
1779
8-15.08
Esplosiva
Lave ad W. Enorme quantità di piroclastiti (lapilli e scorie) a NNE e nell’Atrio che nel Vallone
della Vetrana viene sollevato di 75 m. Cenere e proietti su Ottaviano. Notevolissime fontane
di lava che superano l’altezza di 4 km.
1785 novembre
Effusiva
Lave a NW, una lingua sorpassa il Fosso del Faraone, un’altra distrugge
il Romitorio della Vetrana.
1794 15-24.06
EffusivaEsplosiva
Bocche sul versante W tra 480 e 320 m s.l.m. Lava a SE, verso il Mauro di Ottaviano,
e ad W, verso Torre del Greco, dove raggiunge il mare e vi si inoltra per oltre 100 m.
1804 15.8-5.10;
22.11
Effusiva
Lava a SW attorno ai Camaldoli tra Torre del Greco e Torre Annunziata. Danni alle colture.
1805 13.02;
12.08
Effusiva
Effusiva
Lava a SW (sopra la colata del 1804) in direzione dell’Epitaffio (Torre del Greco).
Uno dei 5 rami raggiunge il mare in circa 4 ore (Torre Annunziata).
1806 31.5-5.6
Effusiva
1810
11 settembre
Effusiva
1855 1-28 maggio Effusiva
Bocche sul versante N tra 898 e 1068 m s.l.m. Colata a NW verso S. Sebastiano, Massa
e le Novelle di S. Vito. Distruzione di case e danni alle colture.
1858-1861
27.5.185810.4.1861
Effusiva
Bocche nell’Atrio. Apertura di 6 fenditure tra la base del Gran Cono e l’Atrio.
La lava emessa dalla IV fenditura riempie il Fosso Grande e scende fin quasi a S. Vito
(Ercolano). Ingrottamento delle lave nel Piano delle Ginestre.
1861
8-10 dicembre
EffusivaEsplosiva
Bocche nel rione Montedoro tra 300 e 218 m s.l.m., poco più a valle di quelle del 1794.
Lava ad W a monte di Torre del Greco, dove si rilevano distruzioni e crolli (rione Capotorre).
Sollevamento del suolo prima dell’eruzione.
1867-1868
13.11.186715.1.1868
Effusiva
Lave nell’Atrio ad E e W presso Crocelle e presso le bocche del 1794.
1868
15-30 novembre
Effusiva
Lava a NW attraverso il Fosso del Faraone verso Novelle di S. Vito e Cercola.
Gravi danni alle colture.
1871 13.1-5.11
Effusiva
Lave fluide e veloci nell’Atrio della Vetrana fino ai Canteroni in corrispondenza dell’Osservatorio
Vesuviano. Il 13 gennaio si forma un conetto sul bordo N del cratere che rimane attivo fino
all’eruzione dell’aprile 1872.
1872 24.4-2.5
Effusiva
-Esplosiva
Lava verso NW. Una colata attraversa l’Atrio, supera il Fosso del Faraone e discende verso
Cercola, invade S. Sebastiano e Massa di Somma. Danni ingenti, 9 morti. Si forma un cratere
di 250 m di diametro. Forte eruzione.
1881-1884
12.1881-3.1884
Effusiva
Dosso di lava sul fianco SE del Gran Cono.
1891-1894
Effusiva
7.6.1891-3.2.1894
Frattura a N del Gran Cono. Bocche tra 825 e 850 m s.l.m. (sutura del 1631).
Le lave a N nell’Atrio formano il Colle Margherita, una cupola alta 135 m.
Lava a SW (Camaldoli). Fontane di lava.
1895-1899
Effusiva
3.7.1895-7.9.1899
Frattura a NW del Gran Cono. Bocche intorno ai 750 m s.l.m. (sutura del 1631).
Le lave a NW nell’Atrio formano il Colle Umberto, una cupola alta 160 m.
Bocche alla sutura del 1631. Lave a W, SE verso Ercolano, Boscotrecase ed Ottaviano.
Danni ai campi coltivati.
1903-1904
Effusiva
27.8.1895-10.1899
Le lave a E nella Valle dell’Inferno formano una cupola alta 50 m che contribuisce
notevolmente a sollevare il livello dell’Atrio.
1812 1-4 gennaio Effusiva
Lava ad W verso Torre del Greco.
1813
25-27 dicembre
Effusiva
Lava a W, attraversa il Fosso Bianco in direzione di Torre del Greco.
1906
4-22 aprile
1817
22-26 dicembre
Effusiva
Lava a SE verso il Mauro di Ottaviano si ferma a poche decine di metri dalla strada
Torre Annunziata-Ottaviano.
Bocche sulla base S del Gran Cono (sutura del 1631) come le eruzioni del 1751-52
e 1754-55. Lave a S, asse di dispersione dei piroclasti verso ENE. Danni a Torre Annunziata.
Boscotrecase invasa. Distruzioni ad Ottaviano e S. Giuseppe Vesuviano (cadute di solai).
227 morti (11 a Napoli per il crollo del mercato di Monteoliveto). Danni alle colture.
Il vulcano si abbassa notevolmente lasciando un grande cratere, che si riempie completamente
durante l’attività stromboliana del luglio 1913. La più forte eruzione del secolo.
1819-1820 1.12. Effusiva
1819-31.5.1820
Lava da 6 bocche sul versante NW del Gran Cono. Nel gennaio 1820 nuova frattura ad W
e lava verso il Colle del Salvatore.
1822
21.10-11.11
EffusivaEsplosiva
Lave in tutte le direzioni nell’Atrio; colate più lunghe verso Boscotrecase ed Ercolano.
Forti danni per i lahar e la caduta di lapilli e scorie. Piogge posteruttive.
La più forte eruzione del secolo.
1831-1832
14.8.1831
-23.12.1832
Effusiva
Terremoto il 14 agosto ed emissione intracraterica. Lave a SE verso Bosco (20.8); a SSE
(20.9-fine 1931); verso Torre del Greco (20.11), Ercolano (25.12), Boscotrecase e Piano
delle Ginestre (27.2), Ottaviano ed Eremo (23.7); verso W (8.8); verso Bosco (ottobre-15.11);
verso Torre del Greco (16-23.12).
SEGUE ALLA PAGINA SUCCESSIVA
EffusivaEsplosiva
1929 4-10 giugno Effusiva
Lave ad E verso Terzigno (Pagani e Campitelli) e, più a S, attraverso il burrone della Cupaccia,
verso le lave del Mauro (1751 e 1754) e dei Caposecchi (1834). Distruzione di case e campi
coltivati. Notevoli fontane di lava. Crollo del conetto.
Dal 1930 al 1944 Effusiva
Attività pressoché continua con emissioni lente. Lave nell’Atrio.
1944 4-22 aprile
Lave a NW. Attraverso il Fosso del Faraone verso S. Sebastiano, Massa e Cercola si ferma a
120 m s.l.m. S. Sebastiano e Massa distrutte. 45 morti per crollo dei solai (Nocera, Pagani e
Terzigno) e 2 per le mofete (Ercolano). Si forma l’attuale cratere di forma ellittica (580x480 m)
EffusivaEsplosiva
Fonti dei dati: http://www.ov.ingv.it. http://www.dst.unina.it.vesuvio. Principe C., Tanguy J.C., Arrighi S., Paiotti A., Le Goff M., Zoppi U., 2004,
Chronology of Vesuvius’ activity from A.D. 79 to 1631 based on archeomagnetism of lavas and historical sources. Bull. Volcanology, 66
64
Rischio vulcanico in Italia |Il Vesuvio
Pericolosità vulcanica e rischio associato
La storia eruttiva precedentemente esposta dimostra inequivocabilmente che il Vesuvio è un vulcano ad elevatissima pericolosità, in grado di
generare eruzioni totalmente distruttive per le aree circostanti l’edificio. A
causa della forte concentrazione urbana, aumentata a dismisura negli ultimi decenni, l’area vesuviana presenta uno dei più elevati gradi di rischio
dell’intero pianeta e, allo stato attuale, una ripresa dell’attività, anche con
eruzioni di moderata potenza, se non preceduta da azioni volte a mitigare
il rischio ed educare la popolazione, potrebbe generare effetti disastrosi.
Nel caso di un’eruzione stromboliana o vulcaniana (tipo 1944), potrebbero essere interessate da colate di lava gli abitati di Torre del Greco, San
Sebastiano, Boscotrecase, Terzigno; mentre quelli posti nel settore settentrionale dell’edificio sarebbero protetti dal rilievo del M. Somma. Le aree
interessate potrebbero però essere evacuate in tempi ragionevoli mentre il
65
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
carico delle ceneri da ricaduta, se non rimosso in tempo, potrebbe determinare il crollo dei solai con conseguenti vittime.
Nel caso di eruzioni subpliniane (tipo 1631) o ancor peggio pliniane (tipo
79), l’intero areale vesuviano è da considerare ad elevato rischio. In questo
caso il pericolo maggiore deriva dalle correnti piroclastiche (flussi e surges)
che potrebbero velocemente raggiungere le popolatissime aree costiere, la
zona orientale della città di Napoli ed anche il settore settentrionale dell’edificio con effetti distruttivi. La previsione dei loro percorsi, che potrebbero essere differenti da quelli del passato a causa delle variazioni morfologiche del vulcano, è estremamente difficile.
La ricaduta di ceneri interesserebbe, in dipendenza dai venti dominanti,
un areale estremamente vasto con probabili collassi dei tetti delle abitazioni. L’ampia diffusione delle ceneri genererebbe un’alta probabilita di lahars sui versanti del vulcano e sui versanti dei rilievi circostanti.
Figura 3.10
Immagine tridimensionale
dell’area vesuviana.
Fonte: INGV-Osservatorio
Vesuviano, Laboratorio di
Geomatica e Cartografia
66
Rischio vulcanico in Italia | I Campi Flegrei
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
LEGENDA
Sedimenti di piana
attivi e recenti
Vulcaniti di età inferiore a 15 ka a)
depositi prossimali da flusso e surge
b) depositi distali, da caduta
67
Figura 3.13
Carta strutturale
schematica dei
Campi Flegrei.
Fonte:
Ridisegnato e
modificato da
Santacroce et al.
(2003).
Tufo Giallo Napoletano (15 ka)
Vulcaniti eruttate tra 39 e 15 ka
Ignimbrite Campana (39 ka)
Vulcaniti più antiche di 39 ka
Faglie
Caldera dell’Ignimbrite Campana
Caldera del Tufo Giallo Napoletano
Figura 3.12 – Carta
geologica schematica dei
campi Flegrei.
Fonte:
INGV Osservatorio
Vesuviano.
3.4. I Campi Flegrei
Il distretto vulcanico Flegreo è costituito dai Campi Flegrei e dalle isole
vulcaniche di Procida e Ischia. La sua origine è connessa agli eventi tettonici distensivi, legati all’apertura del bacino Tirrenico, che hanno determinato la formazione della Piana Campana e generato le condizioni favorevoli alla risalita dei magmi alcalino-potassici che hanno alimentato l’attività
eruttiva del distretto.
I Campi Flegrei (Figura 3.12) sono un grande campo vulcanico in cui sono
stati attivi, negli ultimi 39.000 anni, più di 70 centri eruttivi. L’attuale assetto
morfologico è il risultato di due collassi calderici (Figura 3.13) di vaste proporzioni legati alle eruzioni dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e del
Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa).
La prima caldera, più estesa, comprende i Campi Flegrei, la parte meridionale della città di Napoli, la parte settentrionale della baia di Napoli e la
baia di Pozzuoli. La seconda, formatasi all’interno di quella dell’Ignimbrite
Campana, comprende i Campi Flegrei e la baia di Pozzuoli, ed è caratterizzata da una risorgenza tuttora attiva.
Nel periodo compreso tra le due catastrofiche eruzioni, si verificarono almeno altre 11 eruzioni esplosive localizzate ai bordi della caldera dell’Ignimbrite Campana e di cui è ancora possibile riconoscere i depositi.
Eventuali centri eruttivi presenti all’interno dell’area interessata dalla successiva caldera del Tufo Giallo potrebbero essere stati completamente distrutti. L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano fu seguita da tre epoche di intensa attività vulcanica, concentrata all’interno o ai bordi della caldera del
Tufo Giallo, separate da prolungati periodi di quiescenza (Figura 3.14).
L’ultima eruzione risale al 1538 (eruzione e formazione del Monte
Nuovo). Tale fenomeno eruttivo in tempi vulcanologicamente recenti, associato all’attività fumarolica della Solfatara, ad una pronunciata anomalia
termica nel sottosuolo, ad un elevato livello di sismicità ed a fenomeni bradisimici, testimonia inequivocabilmente che l’attività vulcanica dei Campi
Flegrei sta attraversando un periodo di quiescenza.
Di seguito sono riportate due schede relative al massimo evento eruttivo
verificatosi nell’area flegrea (Ignimbrite Campana) ed all’evento massimo
atteso nel caso di una ripresa dell’attività eruttiva all’interno del distretto
vulcanico dei Campi Flegrei.
Immagine
tridimensionale
dell’area flegrea.
Fonte: INGVOsservatorio
Vesuviano,
Laboratorio di
Geomatica e
Cartografia.
68
Rischio vulcanico in Italia | I Campi Flegrei
69
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
SCHEDA 4
Figura 3.14 Ricostruzione
della storia eruttiva dei
campi Flegrei.
Fonte: INGV-Osservatorio
Vesuviano.
39.000 ANNI FA
IGNIMBRITE CAMPANA
V.E.I. (Indice di esplosività vulcanica) = 6 -7
Data
GENERALITÀ
evento eruttivo degli ultimi
200.000 anni nell’area mediterranea.
! Camera magmatica con diametro di
almeno 16 km, localizzata 4 km sotto
il livello del mare.
3
! Circa 200 km di materiale emesso e
colonna eruttiva non inferiore a 44 km.
! Depositi distribuiti su un’area di circa
2
30.000 km con spessori sino a 100 m.
! Creazione di una caldera ampia circa
2
230 km .
! Effetti ambientali sicuramente
devastanti, enormi volumi di cenere in
atmosfera e sconvolgimenti climatici a
scala globale; secondo alcuni autori
possibile connessione con la
transizione culturale tra Paleolitico
medio e superiore e con la scomparsa
dell’Homo neanderthalensis.
RICOSTRUZIONE DELL’ERUZIONE
(semplificato da Pappalardo et alii, 2002 e sito OV)
L’eruzione inizia probabilmente con una prima fase esplosiva freatomagmatica che
determina l’apertura del condotto (A), a cui segue una fase esplosiva pliniana con
formazione di una enorme colonna eruttiva sostenuta alta sino a 44 km (B).
! Massimo
La diminuzione del tasso eruttivo e la comparsa di fratture (C) determinano una
colonna pulsante ed instabile; inizia la formazione della caldera e collassa la
colonna con genesi di flussi piroclastici che raggiungono Roccamonfina a nord e
la Penisola Sorrentina a sud (D).
L’eruzione raggiunge la fase parossistica. La caldera collassa definitivamente, si
attivano numerosi condotti eruttivi tramite i quali viene svuotato quasi
totalmente il serbatoio magmatico. Genesi di numerosi, giganteschi flussi
piroclastici che si espandono su tutta la piana campana, superando barriere
morfologiche alte oltre 1000 m (E).
Distribuzione e spessore
dei depositi dell’Ignimbrite campana.
Fonte: Ridisegnato da Rolandi et alii, 2003
Fonti dei dati:
Rolandi G., Bellucci F., Heizler M.T., Belkin H.E. & De
Vivo B., 2003. Tectonic controls of ignimbrites from
the Campanian Volcanic Zone, southern Italy.
Mineralogy and Petrology, 79: 3-31.
Pappalardo L., Civetta L., de Vita S., Di Vito M., Orsi
G., Carandente A., Fisher R.V., 2002, Timing of
magma extraction during the Campanian Ignimbrite
eruption (Campi Flegrei caldera). J. Volcanol.
Geotherm. Res., 114.
Nelle fasi finali dell’eruzione il magma residuo alimenta flussi piroclastici di
modesto volume che raggiungono solo zone limitrofe all’area calderica (F).
70
SCHEDA 5
data
CIRCA 4.100 ANNI FA
nome
AGNANO – MONTE SPINA
V.E.I. (Indice di esplosività vulcanica) = 4-5
GENERALITÀ
! Massimo evento eruttivo degli ultimi
5.000 anni nell’area Flegrea.
! Circa 1,2 km3 di materiale emesso.
! Depositi distribuiti su di un’area di
circa 1.000 km2 con spessori di almeno
10 cm (attualmente abitata da
2.000.000 di persone).
! Attività esplosiva magmatica e freatomagmatica.
! 200 km2 investiti dai flussi piroclastici
(attualmente 600.000 abitanti).
Rischio vulcanico in Italia | I Campi Flegrei
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
RICOSTRUZIONE
DELL’ERUZIONE
(sulla base di dati stratigraficosedimentologici)
Pericolosità vulcanica e rischio associato
Prima fase:
forti esplosioni magmatiche determinano
l’apertura del condotto e la formazione di
una colonna sostenuta alta almeno 4
km. Esplosioni freato-magmatiche
associate al collasso della colonna
generano flussi piroclastici.
Seconda fase:
una nuova forte esplosione magmatica
genera una colonna pulsante che si
innalza sino a 23 km. Nuovi flussi
piroclastici. Un parziale collasso calderico
e la creazione di fratture producono
nuovi centri eruttivi esplosivi con flussi e
surge piroclastici.
L’attività eruttiva entra in una fase di
stasi che permette la deposizione delle
ceneri atmosferiche.
Terza fase:
ripresa dell’attività con esplosioni freatomagmatiche e surge piroclastici, cui
seguono esplosioni magmatiche con
creazione di una colonna di 27 km. I
centri eruttivi sono localizzati all’interno
della piana di Agnano. Collasso calderico
delimitato dalle faglie che bordano la
piana, nuovi centri di emissione e flussi
piroclastici che superano i bordi calderici
sconfinando per almeno 15 km nella
piana campana.
Quarta fase: attività simile alla fase
precedente; esplosioni inizialmente
freato-magmatiche e successivamente
magmatiche, colonna pulsante e poi
collassata con flussi piroclastici, i centri
eruttivi migrano verso il settore
settentrionale della piana.
Quinta fase: una serie di esplosioni
freato-magmatiche di moderata potenza
segna la fine dell’attività eruttiva.
Fonti dei dati:
De Vita S, Orsi G, Civetta L, Carandente A,
D’Antonio M, Deino A, di Cesare T, Di Vito M A,
Fisher R V, Isaia R, Marotta E, Necco A, Ort M,
Pappalardo L, Piochi M, Southon J, 1999. The
Agnano-Monte Spina eruptions (4100 years
BP) in the restless Campi Flegrei caldera
(Italy). J Volc Geotherm Res, 91: 269-301.
http://www.ov.ingv.it.
Distribuzione dei
prodotti dell’eruzione
di Agnano-Monte
Spina. L’area gialla
rappresenta la
distribuzione dei
depositi da correnti
piroclastiche. Le curve
rappresentano le
isopache cumulative
dei depositi da
caduta.
Fonte: INGV Osservatorio
Vesuviano
71
I Campi Flegrei rappresentano un complesso vulcanico in cui si sono manifestate eruzioni catastrofiche come quelle di 39.000 anni fa (Ignimbrite Campana, eruzione esplosiva con 300 km cubi di prodotti vulcanici deposti con
spessori fino a 100 m su un’area di circa 30.000 km quadrati; si è stimato che
buona parte dell’Europa sia stata ricoperta da uno strato di circa 1 cm di cenere)
e di 15.000 anni fa (Tufo Giallo Napoletano, eruzione simile alla precedente con
minor volume di prodotti emessi). Nella comunità scientifica esiste una quasi
totale unanimità nel considerare eventi di questo tipo estremamente improbabili a breve e medio termine.
Probabilità più elevate di accadimento hanno eruzioni tipo quella di
Agnano-Monte Spina o quella del 1538, che ha portato alla formazione del
Monte Nuovo (un conetto vulcanico di 123 metri vicino al lago craterico
Averno), preceduta da una crisi sismica e bradisismica. Le crisi bradisismiche
più recenti si sono avute nel 1970-72 e nel 1982-84.
Tali crisi rappresentano un ottimo esempio delle difficoltà delle previsioni. Il
manifestarsi di classici fenomeni precursori (cambiamento nel chimismo delle
fumarole, accentuato sollevamento del suolo a Pozzuoli, intensa attività sismica
superficiale) poteva essere sintomatico di una eruzione a breve termine (come
ad esempio prima dell’eruzione del Pinatubo), che invece non si verificò. Oltre
che dal punto di vista vulcanologico, la crisi bradisismica del 1982-84 è importante anche per la valutazione del comportamento di una popolazione impreparata all’eventualità di una eruzione vulcanica. Voci incontrollate, alimentate
anche dai mezzi d’informazione, determinarono una generale situazione di
panico che produsse diverse vittime per infarto e disordini sociali. Oltre a ciò
l’evacuazione di circa 40.000 persone dal Rione Terra e la loro rilocalizzazione
in aree ad uguale pericolosità vulcanica non diminuirono il rischio.
Analogamente al Vesuvio, anche per l’area flegrea esiste un nuovo Piano di
emergenza, così come è prefigurato nel documento presentato nel 1995, aggiornato nel 2001 ed attualmente in fase di revisione. Il vecchio piano, redatto
nel 1983, prevedeva due scenari eruttivi di gravità crescente (un’eruzione tipo
quella del Monte Nuovo nel 1538, un’eruzione tipo quella di Agnano Monte
Spina del 4000 a.C.); questo nuovo piano, legato a quello relativo al Vesuvio, invece, si basa su uno scenario eruttivo catastrofico, prevedendo per gli abitanti
della maggior parte della zona rossa l’allontanamento preventivo dall’area, con
destinazione al di fuori della Campania, nell’ipotesi che si verifichino danni tali
da non permettere alla popolazione coinvolta di far ritorno entro breve tempo.
Una strategia differenziata, con soluzioni all’interno della regione, verrebbe invece adottata per la porzione di zona rossa che potrebbe essere interessata dal
fenomeno del bradisismo.
3.5. Ischia
Il campo vulcanico dell’Isola d’Ischia (Figura 3.15) rappresenta la porzione
sommitale di un apparato vulcanico che si erge per circa 900 metri dal fondo
del mare, localizzato all’intersezione di sistemi di faglie NE-SW e SE-NW.
L’inizio dell’attività vulcanica non è conosciuto con precisione, ma le più antiche rocce affioranti testimoniano l’esistenza di un antico e complesso apparato vulcanico, su cui si sovrappongono i prodotti di una serie di eruzioni sia
effusive, con creazione di duomi lavici e subordinate colate, sia esplosivomagmatiche e freato-magmatiche, avvenute tra 150.000 e 74.000 anni fa.
Il periodo successivo è ancora oggetto di studio e discussione, ma sembra
plausibile, anche se alcuni autori riportano una prolungata fase di quiescenza
durata più di 20.000 anni2, che sia stato caratterizzato da una serie di eruzioni
esplosive, culminate con la grande eruzione esplosiva del Tufo Verde (55.000
2 Santacroce R., Cristofolini R., La
Volpe L., Orsi G., Rosi M., Italian
active volcanoes, Episodes, 26/2003.
72
Rischio vulcanico in Italia | Ischia
73
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
anni fa) che determinò il collasso
calderico del M. Epomeo. La caldera sarà in seguito interessata da
una risorgenza che, nell’arco di
30.000 anni, determinerà un sollevamento di circa 900 m del M.
Epomeo.
Dopo l’eruzione del Tufo Verde, la
storia vulcanologica dell’isola può
essere suddivisa sulla base dei dati
stratigrafici e delle variazioni composizionali dei magmi eruttati, in
tre periodi d’attività (1°: 55-33.000
anni fa; 2°: 28-18.000 anni fa; 3°:
da 10.000 anni fa al 1302 d.C.), separati da lunghi periodi di quiescenza, schematizzati in Figura
3.17; l’ultima eruzione risale al
1302.
Negli ultimi 5.500 anni nell’isola
sono state registrate almeno 35
eruzioni effusive ed esplosive, localizzate nella parte orientale dell’isola, che hanno originato duomi lavici, coni di scorie, anelli di tufo, e prodotto sia colate laviche sia depositi legati a flussi piroclastici e a ricadute di
tefra. Nel febbraio 1302 un’eruzione da un cratere apertosi in zona Fiaiano
produsse emissione di lava per circa due mesi originando una colata (Colata dell’Arso) che raggiunse il mare in prossimità dell’attuale porto, distruggendo l’antico centro urbano. Il fenomeno di risorgenza del blocco
dell’Epomeo è tuttora in corso e ad esso sono associati sia terremoti sia l’instabilità dei versanti che hanno ripetutamente generato movimenti franosi.
I più disastrosi terremoti verificatisi in tempi recenti sono quelli del 1881
Figura 3.15
Carta geologico-strutturale
del sistema vulcanico
dell’isola d’Ischia.
Fonte:
INGV Osservatorio
Vesuviano.
Figura 3.16
Modello Digitale del Terreno
(DEM) dell’Isola d’Ischia.
I centri eruttivi più recenti sono
localizzati nel settore orientale
dell’isola.
Fonte:
INGV Osservatorio
Vesuviano.
(129 morti e 2315 senzatetto) e del 1883 (2313 morti, di cui 1784 a Casamicciola, e 9500 senzatetto). Gli ipocentri superficiali e la limitata area colpita fanno supporre una stretta relazione con il sollevamento del monte
Epomeo, probabilmente in connessione con i movimenti della camera
magmatica.
L’intensa attività idrotermale, i fenomeni fumarolici, i bradisismi, i recenti
terremoti e la storia eruttiva indicano che l’Isola d’Ischia è da considerarsi
un vulcano attivo a tutti gli effetti. La mancanza di un apparato centrale
rende complicata l’individuazione di futuri centri eruttivi che dovrebbero
comunque essere, con tutta probabilità, localizzati nelle aree interessate
dalle eruzioni più recenti (settore orientale).
Sull’isola vivono stabilmente circa 50.000 persone (a cui vanno aggiunte
le numerose presenze turistiche pendolari e stagionali che nel periodo
estivo moltiplicano gli abitanti) che, in caso di violenta ripresa dell’attività,
potrebbero essere evacuate esclusivamente via mare.
Al momento attuale non è stato ancora redatto un piano d’emergenza
analogo a quello di Vesuvio e Campi Flegrei che contempli scenari di rischio
elaborati sulla base di un determinato evento eruttivo.
Figura 3.17
Cronogrammi dell’attività
vulcanica ad Ischia.
Fonte:
INGV-Osservatorio
Vesuviano.
74
Rischio vulcanico in Italia | Il Piano Vesuvio
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Figura 3.18 a
Immagine di parte del
settore orientale
dell’isola d’Ischia. Si noti
l’elevata urbanizzazione
che interessa anche la
colata dell’Arso ed il
maar di Porto d’Ischia
originato dall’eruzione
del 466 a.C..
sumibilmente al limite del panico, nei tempi stretti che precedono una probabile eruzione. La situazione potrebbe esser resa più grave da vie di fuga inadeguate che potrebbero intasarsi già nelle prime fasi dell’evacuazione. In questo scenario, l’evacuazione potrebbe essere possibile solo tramite una totale
militarizzazione del territorio (con l’impiego quindi di forze di pubblica sicurezza e delle forze armate), con costi enormi e risultati forse insoddisfacenti.
Sarebbe quindi opportuno, durante le fasi di quiescenza dell’attività, pianificare e realizzare opere di mitigazione del rischio che possono concretizzarsi solo con il “decongestionamento” preventivo, sulla base degli scenari
di rischio, della cintura circumvesuviana e dell’Area Flegrea.
Dato che l’evento potrebbe verificarsi anche a distanza di anni o decenni,
questi interventi potrebbero però rivelarsi addirittura controproducenti per
quel che riguarda l’atteggiamento delle popolazioni interessate (ad esempio,
già dopo due mesi dall’evacuazione dell’area del St. Helens, i residenti facevano forti pressioni sull’US Geological Service per poter ritornare nell’area che
successivamente venne investita da flussi piroclastici), se non accompagnati
da una capillare e corretta informazione sulla pericolosità vulcanica. La popolazione va cioè preparata ad una“convivenza consapevole”, che comprenda la
coscienza dell’ineluttabilità dell’evento, ma anche l’eventualità di lunghi
tempi d’attesa, il possibile verificarsi di falsi allarmi e l’evenienza che l’eruzione si verifichi con modalità ed intensità diverse da quelle previste.
Fonte:
http://www.googleearth.com.
3.6. Il Piano Vesuvio
Figura 3.18 b
dettaglio
del porto d’Ischia.
Fonte:
INGV-Osservatorio
Vesuviano.
Il territorio italiano è caratterizzato
dalla presenza di diversi apparati
vulcanici attivi, i più pericolosi dei
quali risultano quelli attualmente in
fase di quiescenza. Una lunga stasi
nell’attività, quando non accompagnata da una corretta percezione del
pericolo, determina una caduta di
attenzione, favorisce lo sviluppo
dell’urbanizzazione (spesso con
edilizia abusiva) ed espone al rischio
un numero sempre crescente di persone. In queste condizioni, anche eventi moderatamente potenti sono in
grado di arrecare danni ingentissimi.
Il caso di Napoli e del suo hinterland, esposti al sistema formato dal Vesuvio
e dai Campi Flegrei, rappresenta, in tal senso, un esempio unico al mondo. Si
tenga presente che 3.000.000 di persone vivono nel raggio di 30 km dal Vesuvio con una densità che raggiunge (Portici) i 15.000 abitanti per km quadrato.
Nel caso del Vesuvio, sulla base di valutazioni della storia eruttiva del vulcano, è stato definito un Piano di emergenza (1995, rivisto nel 2001, attualmente in fase di aggiornamento), dimensionato per un’eruzione subpliniana,
analoga a quella avvenuta nel 1631 (con colonna eruttiva alta diversi km,
bombe vulcaniche, ceneri e lapilli anche a decine di km di distanza, flussi piroclastici per alcuni km).
In base alle esperienze su altri vulcani ed alla storia eruttiva del Vesuvio,
si valuta che i segnali precursori dovrebbero essere significativi ed inequivocabili a partire da mesi o settimane prima dell’evento eruttivo.
Per quanto riguarda la gestione dell’emergenza, si confida nell’organizzazione ed efficienza del Dipartimento della protezione civile, già rodate nelle
varie emergenze nazionali ed internazionali degli ultimi anni. Nel caso di
un’emergenza vulcanica, occorre gestire centinaia di migliaia di persone, pre-
3.7 Altri vulcani italiani attivi
L’Etna
L’Etna, il più grande vulcano attivo subaereo europeo, è localizzato in
prossimità della zona di convergenza tra la placca africana e quella euroasiatica ed in corrispondenza del sistema di faglie che bordano la parte
orientale della Sicilia (scarpata Ibleo-Maltese). La genesi del vulcano ricade
quindi in un complicato ambiente geodinamico il cui tentativo di interpretazione ha dato
origine all’elaborazione di diversi modelli, a volte contra3
stanti tra loro .
L’Etna è un vulcano complesso la cui forma fortemente irregolare deriva
dalla sovrapposizione di edifici vulcanici, attivi in tempi diversi, dai quali
sono fuoriuscite enormi quantità di magma. Ogni edificio ha avuto una
propria storia vulcanologica conclusasi spesso con collassi parziali che
hanno originato strutture calderiche, la più nota delle quali è quella della
Valle del Bove. L’assetto morfologico è ulteriormente complicato dalla presenza, sui fianchi, di centinaia di coni piroclastici minori (con altezze da poche decine a qualche centinaio di metri) spesso allineati lungo fratture.
L’attività nell’area etnea è iniziata circa mezzo milione di anni fa con eruzioni in zone sottomarine e costiere che portarono all’emersione della costa a nord di Catania (Acicastello, Acitrezza) e furono seguite da un altro
episodio analogo circa 0,3 milioni di anni fa nella zona sudoccidentale dell’Etna. A partire da circa 170 mila anni fa, si formarono numerosi centri
eruttivi e probabilmente il primo edificio principale dell’Etna (Etna antico).
In seguito i magmi divennero più complessi, portando ad un vulcanismo
esplosivo e alla creazione di una serie di edifici vulcanici che alternavano
prodotti effusivi e piroclastici e presero il nome di Trifoglietto. Principali
centri eruttivi erano il Trifoglietto II, Vavalaci e Cuvigghiuni4.
Un’altra serie di edifici vulcanici principali nacque, e fu parzialmente distrutta, dal collasso della caldera durante la fase del Mongibello, che è solitamente suddivisa in Antico e Moderno Mongibello. La prima fase include
i centri vulcanici Ellittico e Leone e la formazione degli omonimi crateri,
75
Zone territoriali individuate
dal Piano Vesuvio.
Considerando il tipo e l’entità
dei fenomeni attesi nello
scenario di riferimento, sono
state individuate tre zone a
diversa pericolosità: zona
rossa (zona potenzialmente
invasa da flussi
piroclastici;18 comuni, 200
kmq, quasi 600.000 abitanti,
di cui è prevista l’evacuazione
entro 7 giorni), zona gialla
(zona interessata dalla
ricaduta di piroclastiti, 96
comuni di 4 province nei
settori orientali del vulcano,
1.100 kmq, 1.100.000
abitanti), zona blu (all’interno
della zona gialla ma con
caratteristiche
geomorfologiche tali da poter
essere interessata da lahars
ed inondazioni: di fatto i
comuni alle pendici
settentrionali del Monte
Somma e della Conca di
Nola con 180.000 abitanti).
Per i comuni della zona
rossa, interessata da flussi
piroclastici, è prevista
l’evacuazione totale e
preventiva. Per la zona gialla
è prevista l’eventuale
evacuazione di un’area
limitata (quella in cui gli
spessori delle ceneri
raggiungano valori tali da
compromettere la stabilità
dei tetti) in dipendenza dalla
direzione dei venti dominanti
che influenzano la
distribuzione al suolo delle
particelle piroclastiche.
3 Doglioni C., Innocenti F. and
Mariotti G., Why Mt Etna?, Terra
Nova 13/2001.
4 Gillot P.Y., Kieffer G. and Romano R.,
The evolution of Mount Etna in the
light of potassium-argon dating, Acta
Vulcanologica, 5 /1994. Behncke B.,
Volcanism in the Southern
Apennines and Sicily, in: Vai G.B. and
Martini I.P. (eds), Anatomy of an
orogen: the Apennines and adjacent
Mediterranean basins, Kluwer
Academic Publishers, DordrechtBoston-London, 2001(Etna: pp. 111113).
76
Rischio vulcanico in Italia | Gli altri vulcani attivi in Italia
Figura 3.19
Schema dell’evoluzione
dell’apparato etneo.
Dall’alto verso il basso:
genesi dei primi centri
eruttivi, cui segue la
creazione del Trifoglietto
(vulcano a scudo) e
successivamente quella
del Mongibello
(stratovulcano
asimmetrico).
Fonte:
ISAT.
Figura 3.20
I crateri sommitali
dell’Etna.
Fonte:
Protezione Civile.
77
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
mentre la successiva include la costruzione dell’attuale cono sommitale,
che fu interrotta almeno una volta da un collasso (Piano Caldera, circa duemila anni fa).
Pericolosità vulcanica e rischio associato
Attualmente il vulcano si trova in condizioni di condotto aperto (Figura 3.20)
che unitamente alla bassa viscosità dei magmi determina modalità eruttive
piuttosto diversificate ma senza caratteri di estrema violenza. I tipi di attività
più comuni sono quella stromboliana, con moderata esplosività e fontane di
lava, e quella hawaiana, con fuoriuscita di imponenti colate laviche. Nel corso
della sua evoluzione il vulcano ha sperimentato anche eruzioni a grande
esplosività (eruzioni pliniane o subpliniane, l’ultima delle quali risale al 122
d.C.), che sono però da escludere a breve termine a meno di poco probabili
ostruzioni dei condotti.
Tale tipo di attività difficilmente determina la perdita di vite umane poiché,
generalmente, le aree raggiunte dalla caduta di lapidei sono limitate all’intorno del centro eruttivo e le colate laviche, sebbene imponenti, si muovono a
velocità tale da permettere l’evacuazione delle aree interessate. Pericolosa è
comunque la permanenza in prossimità dei centri in eruzione, come dimostrato dal fatto che dal 1500 ad oggi le cronache riportano 73 vittime legate direttamente all’attività etnea e quasi tutte dovute ad improvvise esplosioni
freatiche. Diverso è ovviamente il discorso riguardo alla perdita di beni economici, che può essere totale e particolarmente gravosa nel caso di fuoriuscita di
magma da fratture laterali poste a bassa quota in aree densamente popolate
come quelle nei dintorni di Catania. La più recente eruzione laterale a bassa
quota risale al 1669 con colate laviche che arrivarono a mare distruggendo parzialmente Catania e molti
dei centri limitrofi. Poiché la nascita
dei centri eruttivi è preceduta da
una serie di segnali premonitori
(terremoti, sollevamenti del suolo,
ecc..), l’attuale sistema di sorveglianza del vulcano dovrebbe permettere di riconoscere con anticipo
la nascita del nuovo centro.
Le Isole Eolie
Le Isole Eolie costituiscono un
arcipelago di forma arcuata composto da sette isole vulcaniche. La
genesi di tale arco vulcanico è dovuta alla convergenza tra le placche euroasiatica ed africana ed al
processo di subduzione di quest’ultima, testimoniato dall’intensa
attività sismica profonda.
L’evoluzione dell’arco può essere schematizzata in quattro fasi (da sito GNV):
1. inizio attività a Filicudi (circa 1.000.000 anni fa);
2. crescita di Filicudi, formazione di Panarea e Strombolicchio, inizio crescita di Lipari e Salina (430.000–200.000 anni fa);
3. formazione di Alicudi e Vulcano, continuazione nella crescita degli altri
edifici (160.000–110.000 anni fa);
4. formazione di Stromboli, crescita di Vulcano, conclusione dell’attività di
Figura 3.21
L’eruzione dell’Etna
del 1669.
Fonte: INGV.
78
Rischio vulcanico in Italia | Gli altri vulcani attivi in Italia
Figura 3.23 – Evoluzione dell’apparato vulcanico dello Stromboli.
L’attuale assetto morfologico di Stromboli deriva dallla sovrapposizione di 5
edifici vulcanici, ognuno dei quali ha avuto una propria storia vulcanologica
conclusasi con catastrofici collassi calderici, oppure con il crollo di ampie
porzioni dell’edificio. L’instabilità del versante occidentale dell’isola, dovuta al
continuo accumulo dei prodotti delle eruzioni, è uno degli aspetti più pericolosi
del vulcano a causa del potenziale innesco di tsunami. Fonte: ridisegnato e
modificato da F. Fumanti su dati http://www.swissedu.ch e
http://vulcan.fis.uniroma3.it/ingv
Alicudi (110.000 – attuale).
Attualmente sono considerati estinti gli apparati di Alicudi, Filicudi e Salina, mentre Lipari e
Vulcano si trovano in una fase di quiescenza (ultime eruzioni rispettivamente nel 729 d.C e nel
1888-90). Stromboli è in costante attività
Stromboli è uno strato-vulcano con attività
persistente del quale sono visibili solo i 900 metri che affiorano dal mare, mentre 1.500 metri si
trovano sott’acqua.
Lo Stromboli è ininterrottamente attivo da oltre 2000 anni con un peculiare stile eruttivo
(eruzioni stromboliane). L’attività è caratterizzata da intermittenti esplosioni di bassa/moderata energia, con emissione di brandelli di lava,
bombe, lapilli e ceneri da 4 bocche eruttive localizzate all’interno di un cratere più ampio (La
Fossa). I prodotti ricadono generalmente all’interno del cratere ed in parte all’esterno, nel
punto dove questo è più basso, scivolando lungo
un ripido pendio chiamato la Sciara del Fuoco.
Tale attività è periodicamente interrotta dalla
fuoriuscita di colate di lava che si incanalano
lungo la Sciara del Fuoco e da esplosioni di maggior violenza con lanci di bombe e blocchi oltre i
limiti del cratere. L’attività dello Stromboli viene
suddivisa in 5 cicli, che corrispondono a emissioni
di magmi con caratteristiche diverse. Nel corso del
ciclo detto del Vancori si è costruita l’attuale cima,
al cui interno si è impostata l’attività recente.
Durante le fasi di ordinaria attività le eruzioni
esplosive e le colate di lava dello Stromboli generano un rischio praticamente nullo, in quanto i
prodotti restano confinati all’interno del cratere
oppure sono incanalati nella Sciara del Fuoco, cioè
in zone non frequentate. Un rischio maggiore è
associato alle eruzioni ad esplosività più alta (in
media due all’anno), perché i prodotti possono
fuoriuscire dal cratere e raggiungere l’area di Pizzo
Sopra La Fossa dove, soprattutto nel periodo
estivo, si radunano decine di persone ad osservare
l’attività del vulcano. Tali eruzioni possono avvenire in qualsiasi momento e senza alcun segnale
79
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Figura 3.23
Stromboli, la sciara del fuoco
(foto A.Candido)
premonitore. Eruzioni ancora più potenti, fortunatamente non frequenti, lanciano bombe e blocchi a distanze notevoli dal cratere e possono generare flussi
piroclastici che scendono sino al mare. L’evento più recente si è verificato nel
1930 e ha interessato anche le aree abitate di Ginostra e Stromboli determinando la morte di 6 persone. A seguito dell’eruzione buona parte della popolazione abbandonò definitivamente l’isola. Nel corso delle maggiori eruzioni è
possibile l’innesco di movimenti franosi che possono generare tsunami. L’ultimo di questi casi è avvenuto il 30 dicembre 2002 quando una frana di circa 16
milioni di metri cubi di materiale (di cui 8 sommersi) ha innescato uno tsunami
che oltre ad interessare le coste dell’isola ha colpito le zone costiere delle altre
isole, della Calabria e della Sicilia. A Stromboli l’onda ha raggiunto una altezza
massima di circa 8 metri e ha interessato aree distanti anche 100 metri dalla linea di costa. Fortunatamente l’evento, capitato in pieno inverno, non ha provocato vittime ma ben altri effetti avrebbe avuto se fosse accaduto durante i
mesi con maggior afflusso turistico.
Vulcano. L’isola di Vulcano (Figura 3.24) rappresenta la parte emersa di un
grande edificio che si è costruito attraverso diversi stadi d’attività a partire da
circa 150.000 anni fa. I maggiori eventi eruttivi si sono verificati circa 80.000
anni fa (Caldera del Piano), 50.000 anni fa (settore sud della caldera La Fossa)
e circa 15.000 anni fa, probabilmente il più potente, con una grande esplosione che determinò il collasso della parte occidentale della caldera La Fossa,
all’interno della quale si è accresciuto, a partire da 6.000 anni fa, l’attuale centro eruttivo (Cono di La Fossa). La formazione di Vulcanello è iniziata intorno
al secondo secolo a.C. e l’isolotto si è collegato a Vulcano intorno al 1550.
Vulcano è caratterizzato da un peculiare stile eruttivo (eruzioni vulcaniane), legato all’interazione del magma con le acque freatiche, e caratterizzato da esplosioni a moderata magnitudo, genesi di modeste colonne
eruttive, emissione di lave ad elevata viscosità e lancio di blocchi e bombe.
Nel corso di tali eruzioni sono possibili anche flussi piroclastici (surges) che
rappresentano sicuramente la fenomenologia maggiormente pericolosa.
L’ultima fase eruttiva è avvenuta al cratere La Fossa tra il 1888 e il 1890
(Figura 3.25). Forti esplosioni hanno lanciato in aria scorie, ceneri e pezzi
80
Rischio vulcanico in Italia | Gli altri vulcani attivi in Italia
del cono vulcanico anche di diverse tonnellate. Il
nuovo magma è stato eruttato sotto forma di
bombe che si sono raffreddate al suolo formando una superficie screpolata (bombe a crosta di pane). Attualmente il vulcano è in uno
stato di quiescenza con condotto ostruito ed attività limitata alla continua emissione di gas.
Pericolosità vulcanica e rischio associato
Figura 3.24
Immagine aerea dell’isola di Vulcano.
Si noti la prossimità del centro abitato al cratere.
Fonte:
Prof. G. Luongo.
Figura 3.25
L’ultima eruzione di Vulcano (1888-90)
in una foto scattata da G. Mercalli.
Fonte:
Da G. Mercalli e O. Silvestri, Le eruzioni
dell’isola di Vulcano; Ann. U. Centr.
Mer.(Roma 1891).
Il vulcano è costantemente monitorato ed attualmente non ci sono evidenze di risalita del
magma. Basandosi sulla storia vulcanologica
dell’apparato è comunque probabile che una
nuova futura eruzione presenti caratteristiche
esplosive con formazione di surges piroclastici,
che con tutta probabilità raggiungerebbero la
zona di Vulcano Porto5. Il paese è stabilmente
abitato da circa 500 persone. Nel periodo estivo
la popolazione ammonta a diverse migliaia,
quasi totalmente residenti in aree potenzialmente interessate dai prodotti di una eventuale
eruzione, accrescendo enormemente il rischio e
le difficoltà di una evacuazione possibile solo via
mare.
Lipari, la più grande delle Isole Eolie, ha avuto
l’ultima eruzione nel 729 d.C., preceduta da un
periodo di riposo che si è protratto per circa 3500
anni. L’attività si sviluppò contemporaneamente
in due centri eruttivi detti Forgia Vecchia e
Monte Pelato. Il ciclo eruttivo iniziò con una
grande esplosione che determinò l’apertura del
cratere, a cui seguì l’emissione di pomici e altri
prodotti piroclastici, e si chiuse con l’emissione
di limitati volumi di lave molto viscose. I magmi
eruttati a Lipari erano molto ricchi in silice e la
loro viscosità al momento dell’emissione doveva
essere talmente alta da impedire la formazione
di cristalli (colate di ossidiana). A Lipari risiedono permanentemente circa 8500 persone che
aumentano in modo esponenziale nel periodo
estivo, con problematiche simili a quelle di
Stromboli e Vulcano in caso di ripresa dell’attività.
5 Santacroce R., Cristofolini R., La Volpe L., Orsi G., Rosi M.,
2003, Italian active volcanoes, Episodes, 26 (3).
81
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
4. ALTRE MINACCE PER IL TERRITORIO ITALIANO
4.1. Alluvioni e frane.
Fenomeni catastrofici possono essere indotti
anche da intensi eventi meteorologici (esogeni)
in porzioni di territorio, spesso degradate per
cause antropiche dal punto di vista geologicoidraulico. In tali situazioni possono verificarsi alluvioni, frane, valanghe, erosione accelerata.
Si tratta di fenomeni che evolvono in tempi relativamente brevi ma con forte intensità, come
peraltro quelli vulcano-tettonici, che hanno però
bisogno di tempi di innesco lunghissimi.
Alluvioni e inondazioni
Tra i vari disastri naturali, sono le alluvioni a
comportare a livello mondiale le maggior perdite di vite umane. Tali perdite si accentuano nei
paesi in via di sviluppo dove, alle conseguenze
dirette dell’evento, si sommano effetti secondari
come la diffusione di epidemie e la distruzione
di prodotti alimentari.
Le esondazioni dei fiumi, insieme alle frane,
sono i fenomeni calamitosi più ricorrenti sul territorio italiano. Le alluvioni in particolare colpiscono di frequente vaste regioni del territorio
nazionale, a cominciare dalla grande pianura del
Po e dai bacini degli altri fiumi principali fino alle
fiumare meridionali che, pur non portando acqua per lunghi periodi di tempo, sono soggette
ad improvvise ondate di piena.
Eventi meteorologici intensi o anche estremi, che a loro volta
innescano o sono fra le concause di alluvioni e frane, non
sono tipici soltanto di tempeste e cicloni tropicali. Sono noti,
infatti, veri e propri cicloni mediterranei (tempeste
mediterranee), che hanno origine nello stesso mare interno
(nota zona ciclonigenica è il Golfo di Genova, e sembra che
ne esista un’altra nell’Italia nord-orientale) oppure entrano
nel Bacino del Mediterraneo provenienti dall’Atlantico
secondo diversi meccanismi: ex cicloni tropicali che arrivano
dall’Atlantico attraverso la soglia della Provenza-Linguadoca
o, più raramente, lo Stretto di Gibilterra; creazione o
rafforzamento di una depressione sulla Penisola Iberica per
effetto dell’aria umida tropicale che si muove verso nord
nell’Atlantico; penetrazione dell’aria umida tropicale
dall’Atlantico attraverso l’Europa centrale e orientale.
Con queste origini complesse, cicloni mediterranei autunnali
o invernali, che “rassomigliano” alle tempeste tropicali ed
agli uragani, si sono avuti nel Mediterraneo, per gli ultimi
decenni, nel 1947, 1969, 1982, 1983, 1995 e 2004
(quest’ultimo particolarmente intenso nel Mar del Levante,
con chiusura temporanea del Canale di Suez).
Nel caso specifico dell’Italia, sembra comunque che le
precipitazioni più intense siano in genere dovute ai cicloni di
origine mediterranea locale.
Questi fenomeni sono anche all’origine delle ampie
tempeste di sabbia, provenienti dal Sahara o da altri deserti
del Nord Africa, che attraversano il Mediterraneo e
lambiscono l’Italia (piogge di sabbia, e qualche volta persino
di locuste africane che arrivano stremate per la trasvolata,
sono note in diverse città italiane, soprattutto sul versante
tirrenico, tra cui Roma).
Figura 4.1
Alluvione nel bacino del Po. Crollo
del viadotto sulla Dora Baltea
dell’autostrada Milano-Torino, 17
ottobre 2000
Fonte: APAT-Servizio geologico
d’Italia, Dipartimento difesa del
suolo.
82
Altre minacce | Alluvioni e frane
Ponte crollato dopo una piena
improvvisa nel 2005 a Villanova Strisaili (Nu)
Foto: A. Candido
Negli ultimi 80 anni, si sono
verificate in Italia 5.400
alluvioni1. Negli ultimi 20 anni
70.000 abitanti sono stati
coinvolti da alluvioni e frane e
i danni hanno raggiunto i
30.000 miliardi di lire
Frane e colate di fango
Fonte:(http://www.apat.gov.it/site/itIT/Temi/Suolo_e_Territorio/Rischio_
idrogeologico).
Plenizio E., Quando il
cemento diventa fango, Scienza
Nuova 3/1998.
1
Figura 4.2
Ottobre 2000: la colata di fango e detriti che
ha investito l’abitato di Pleod di Fenis (AO).
Fonte: APAT-Servizio geologico d’Italia,
Dipartimento difesa del suolo.
L’alluvione dell’Arno a Firenze nel 1966
(con precedenti eventi record nel 1269, 1333,
1500 e 1547) danneggiò con le acque ed il
fango beni architettonici e culturali rilevanti
come Palazzo Vecchio, Piazza del Duomo, il
Battistero (la Porta del Paradiso perse alcune
formelle), Santa Croce, strade e piazze
medievali, mettendo in pericolo le opere
conservate nella Galleria degli Uffizi e nella
Biblioteca Nazionale. L’alluvione produsse
anche varie frane secondarie. Le vittime furono
35 più 61 dispersi, per la maggior parte a
causa dei movimenti franosi.
Nel 1954, a Vietri sul Mare, Salerno e
Costiera Amalfitana, si verificò una piena
fluviale catastrofica in un’area di costa
rocciosa, che provocò la perdita di 318 vite
umane, ingentissimi danni al patrimonio
edilizio ed alle attività produttive in ambito
urbano, nonché notevoli modifiche
all’ambiente naturale. L’evento alluvionale,
innescato da un nubifragio, fu caratterizzato
dall’enorme quantità di materiali alluvionali
accumulatisi alla foce del torrente Bonea. La
Costiera Amalfitana, ed in particolare Maiori e
Cetara, era stata già colpita da inondazioni
improvvise nel 1735, nel 1773 e nel 1910
(con effetti disastrosi).
83
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
Le alluvioni comportano un impatto socio-economico estremamente elevato, anche se minore, in termini di perdite totali
per singolo evento, rispetto agli eventi sismici di elevata magnitudo.
La recente alluvione del Po nel 2000 (alluvione numero 1.200
a partire dal XIV secolo nell’Italia settentrionale) ha comportato
40 vittime e 32.000 persone evacuate; è stata senza dubbio un
disastro naturale, causato da una pioggia di oltre 800 litri d’acqua per metro quadrato, aggravato da una componente antropica molto forte. Le grandi piene con disastrose alluvioni sono
frequenti nel bacino del Po: le più recenti nel 1839, 1892, 1949,
1952 (quella famosa del Polesine, una delle più disastrose), 1960,
1992, 1993, 1994 e 2000. La frequenza di queste alluvioni sembra aumentare negli ultimi anni, probabilmente a causa delle
piogge eccezionali.
Le piene e le alluvioni mettono in evidenza l’intreccio tra
cause insite in fattori naturali (almeno in parte, come l’assetto
geomorfologico e climatico del territorio) e le responsabilità dovute ad un uso scorretto del territorio. Ad esempio:
! occupazione delle aree golenali con insediamenti abitativi o
industriali che, oltre a ostacolare lo sfogo delle acque,
comporta anche una dannosa impermeabilizzazione del
terreno;
! presenza di aree inquinate e discariche abusive che, oltre ad
inquinare, costituiscono ulteriori ostacoli al deflusso delle acque;
! cementificazione e rettificazione degli alvei e
sopraelevazione degli argini, preceduta da deforestazione delle
aree lungo i fiumi, con ulteriori possibili effetti (come
l’accelerazione della corrente fluviale e l’ostacolo
all’espansione delle acque), nel caso di piene eccezionali;
! insufficiente manutenzione geologico-idraulica e, più in
generale, malgoverno del territorio che impone successivi
interventi di bonifica e recupero.
Agli stessi fenomeni di origine meteorologica e geologico-idraulica possono essere
collegate le frane, comprese le
grandi colate di fango costituite
da materiale di origine vulcanica. È questo il caso del noto
episodio di Sarno nel 1998 (153
vittime) in una regione, la
Campania, che risulta (soprattutto nel triangolo NapoliAvellino-Salerno) da questo
punto di vista la più disastrata
d’Italia, con il concorso di
cause antropiche, a cominciare
dall’urbanizzazione selvaggia
di zone a rischio geologico-idraulico, sismico e vulcanico.
Le regioni più esposte sono Trentino-Alto Adige, Marche e
Friuli-Venezia Giulia, ma quelle che subiscono danni più disastrosi sono, proprio per cause antropiche, la Campania, la Calabria, la Sicilia e la Basilicata.
Per ricordare i singoli eventi, si possono citare, tra quelli distruttivi più recenti, la frana di Stava nel Trentino nel 1985 (269
vittime) collegata ad attività minerarie, quella in Val di Pola nel
1987 (40 vittime, 19.500 senzatetto), in varie località del Piemonte nel 1994 (70 vittime), in Versilia nel 1996 (13 vittime), in
molte regioni (Soverato in Calabria, nel Nord-Ovest, Liguria,
Toscana) nel 2000 (con un totale di 61 tra morti e dispersi e
40.000 evacuati).
Le conseguenze dei fenomeni franosi in Italia assumono una
rilevanza tale da rappresentare un vero e proprio problema socio-economico. È sufficiente dare uno sguardo ad alcune statistiche, basate sui dati raccolti negli ultimi anni dal CNRGNDCI (Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche)2:
! le vittime e i dispersi in seguito a fenomeni franosi negli
ultimi sei secoli ammontano a 10.555, dei quali 5.939 nel XX
secolo (in media 59 per anno) e 2.447 nel dopoguerra (in
media 54 per anno);
! nell’ultimo dopoguerra, lo Stato ha stanziato, per far
fronte ai problemi di rischio da frana, una media di oltre 500
milioni di Euro ai valori correnti per anno (importo
corrispondente attualmente a circa lo 0,5 per mille del PIL);
! le stime del costo totale dei danni provocati dai fenomeni
2 Canuti P., Casagli N., Tarchi D., Le
nuove tecnologie di allertamento
strumentale per la mitigazione del
rischio da frana. Presentato alla
Giornata di Studio “Tecnologie per la
mitigazione del rischio idrogeologico”
organizzata dal Comitato dei
parlamentari per l’innovazione
tecnologica e lo sviluppo sostenibile
(COPIT), Roma, 2001.
È stato causato da una frana il grande
disastro del Vajont nel 1963, quando dal
Monte Toc si staccarono oltre 100.000 metri
cubi di materiale roccioso di una zona
sottoposta ad alta erosione; questa enorme
massa piombò nell’invaso artificiale creato da
una diga di cemento, che resse all’ondata, ma
venne scavalcata da oltre 25 milioni di metri
cubi d’acqua e frammenti rocciosi che
distrussero Longarone e parti di altri comuni
(provincia di Belluno) con 1917 morti.
La relazione tra degrado del territorio,
abusivismo edilizio e fenomeni franosi è stata
ancora una volta confermata dal movimento di
versante occorso ad Ischia il 30 aprile 2006.
Un’ondata di fango sotto il Monte Vezzi ha
causato la distruzione di una casa, costruita
abusivamente 20 anni fa, con 4 vittime, e
imposto lo sgombero di altre 200 abitazioni. Il
territorio di Ischia, peraltro sottoposto anche a
rischio vulcanico e sismico, è particolarmente
esposto al rischio geologico-idraulico. L’isola è
caratterizzata da una orografia tormentata e la
sua superficie è costituita da materiale
vulcanico relativamente giovane, che tende a
franare in occasione di forti piogge. L’area
colpita era ufficialmente nota come ad alto
rischio e tuttavia vedeva la presenza di case
sparse, che gli amministratori locali
attribuiscono a un “abusivismo di necessità”.
84
Altre minacce | Alluvioni e frane
Figura 4.3
Gli effetti di una delle colate di fango che il
24 ottobre 1910 colpirono, insieme con
l’esondazione del torrente Cetus, l’abitato di
Cetara (SA) provocando più di 150 vittime.
Fonte: APAT-Servizio geologico d’Italia,
Dipartimento difesa del suolo, su gentile
concessione della Scuola media di Cetara.
Anche l’attività vulcanica può
innescare movimenti franosi,
a volte di grandi dimensioni.
L’ultimo caso italiano, con
conseguente modesto
tsunami, è avvenuto a
Stromboli sul versante
emerso e sommerso nella
zona della Sciara del Fuoco
nel 2002; la conformazione
di Stromboli è tale da aver
dato origine a cinque eventi
di questo tipo in 100 anni. Si
ipotizza, tra l’altro, che i
movimenti franosi, e non le
eruzioni in quanto tali, siano
il pericolo maggiore legato ai
vulcani sottomarini del
Tirreno meridionale, a causa
dei maremoti che possono
innescare.
Gli studi internazionali hanno
individuato un pericolo di
frana a mare del vulcano
Cumbre Vieja a Las
Palmas (Isole Canarie), a
seguito di un precedente
movimento franoso parziale
avvenuto nel 1949, che,
qualora si verificasse,
potrebbe causare un
maremoto devastante (con
onde alte fino a 30 metri)
fino alle coste del Brasile,
Caraibi e Stati Uniti.
franosi sono variabili fra 1 e 2 miliardi di Euro per anno (somme
corrispondenti mediamente allo 1,5 per mille del PIL); tali valutazioni si
ritengono approssimate per difetto in quanto molti danni causati da frane
sono spesso imputati ad altre calamità naturali;
! sulla base di tali considerazioni, e tenendo conto anche dei danni indiretti
associati alle perdite di produttività, alla riduzione del valore del patrimonio
immobiliare, alla riduzione delle entrate fiscali ed ad altri effetti economici
indotti, una stima più completa del costo complessivo dei danni causati
dalle frane in Italia è probabilmente inquadrabile intorno al 3-4 per mille del
PIL (a valori del 2000);
! in seguito ad indagini svolte recentemente, il numero di centri abitati
effettivamente instabili risulta stimabile in oltre 5.000;
! oltre 9.600 aree sono state ad oggi individuate e perimetrate come “a
rischio di frana estremamente elevato”dalle Regioni e dalle Autorità di
Bacino.
Tali dati acquistano un significato ancora maggiore se inquadrati in un contesto globale:
! con una media di 59 vittime all’anno dovute a frane nell’ultimo secolo,
l’Italia risulta al quarto posto nel mondo dopo i Paesi Andini (735 vittime per
anno), la Cina (150 vittime per anno) ed il Giappone (130 vittime per anno);
! con un ammontare di danni per frana stimato fra 1 e 2 miliardi di Euro
all’anno, l’Italia è al secondo posto assoluto a pari merito con USA ed India,
dietro al Giappone (con danni stimati in oltre 4 miliardi di Euro all’anno);
! in termini di rapporto danni/PIL l’Italia si colloca al secondo posto, con
l’1,5 per mille, fra i paesi tecnologicamente avanzati, subito dopo il
Giappone (2 per mille).
Negli ultimi decenni il rischio legato a frane e alluvioni è progressivamente
aumentato.
Le analisi più approfondite, comprese quelle retrospettive, indicano che
Disastri naturali | Conoscere per prevenire
la pericolosità degli eventi è rimasta sostanzialmente invariata, anche se non possono essere esclusi
effetti futuri del cambiamento climatico. È cresciuta invece l’esposizione degli elementi a rischio a
causa dell’aumento degli insediamenti, spesso abusivi, nelle zone
instabili ed inondabili. Anche la
vulnerabilità è sostanzialmente aumentata di pari passo con il nostro
sistema produttivo e socio-economico. Si ritorna quindi ancora una
volta al problema della riduzione
del rischio, alla necessità di un’accorta politica di gestione e manutenzione del territorio, per la
messa in sicurezza delle opere
strategiche per la salvaguardia dei
cittadini, del sistema produttivo e
dei beni culturali di maggior valore. D’altro canto, va puntualizzato che, per quel che riguarda il
rischio geologico-idraulico, non è mancata né l’attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei decisori, né l’iniziativa legislativa, sia pure caratterizzata da ritardi e sovrapposizioni.
4.2. Fenomeni riguardanti il livello del mare
Oltre ai fenomeni a carattere tettonico ed a quelli di tipo geologico-idraulico
fin qui trattati, va ricordata un’altra categoria, comprendente fenomeni apprezzabili a scala più lunga (dell’ordine dell’anno o più) ed in genere collegati
alla complessa interazione tra clima e tettonica:
! eustasia (variazione del livello del mare in conseguenza delle oscillazioni
climatiche e in particolare della formazione di calotte glaciali);
! subsidenza (progressivo abbassamento del terreno, dovuto alla naturale
diagenesi dei sedimenti o al prelievo da parte dell’uomo di acqua di falda o
di altri composti come gli idrocarburi, che provoca una diminuzione di
pressione nel sottosuolo e quindi la sua compattazione. La subsidenza lungo
le zone costiere provoca la penetrazione del mare nell’entroterra);
! moti isostatici (legati all’attività tettonica ed al clima attraverso le
variazioni del livello del mare e l’evoluzione delle masse glaciali).
Questi fenomeni vanno comunque distinti dalle maree, ossia dall’innalzamento temporaneo del livello del mare per effetto combinato della marea
astronomica e della componente meteorologica (variazioni dell’intensità e
della direzione del vento e del valore della pressione atmosferica). Tale innalzamento del mare però, unitamente alla subsidenza ed all’eustasia, può causare il fenomeno noto come“acqua alta”. Il fenomeno è ben noto nella laguna
di Venezia, con un evento estremo di +194 cm di “acqua alta” registrato nel
1966, e con sullo sfondo un lento ma continuo aumento sia del livello del
mare negli ultimi 500 anni, sia del numero degli eventi classificabili come“acqua alta”(da circa 15/anno negli anni ’20 ad oltre 60/anno negli anni ’90). Un
fenomeno correlato è quello della “sessa”, un’oscillazione periodica dell’Adriatico simile ad una bilancia con fulcro sul parallelo di Otranto.
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Venezia, il fenomeno dell’acqua alta
Fonte: Dipartimento della Protezione Civile