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… per chi
La malattia ossea di Paget
D. MERLOTTI, V. DE PAOLA, L. GENNARI, R. NUTI
Dipartimento di Medicina Interna Scienze Endocrino Metaboliche e Biochimica, Università degli Studi di Siena
La malattia ossea di Paget (o osteodistrofia di Paget) è una patologia cronica dello scheletro che tipicamente si manifesta con un
ingrandimento e una deformazione in uno o più distretti ossei; in
tale malattia le due linee cellulari ossee, gli osteoclasti (deputati
al riassorbimento osseo) e gli osteoblasti (responsabili della formazione ossea) non interagiscono in modo equilibrato e ciò produce un osso disorganizzato, fragile e che può andare incontro ad
artrosi, fratture, deformità e dolore. Tale condizione, descritta per
la prima volta alla fine del 1800 (Fig. 1), deve essere distinta dalla
malattia di Paget dermatologica, una patologia neoplastica che
può interessare la ghiandola mammaria o gli organi genitali.
Che sintomi può dare?
Si distinguono due forme della malattia: forma monostotica (1020%) che interessa generalmente un solo osso, solo nel 10%
dei casi è sintomatica e presenta una buona risposta alla terapia; e forma poliostotica (70-75%) che interessa più di un
distretto scheletrico.
Le sedi generalmente più colpite sono il bacino, il cranio e le vertebre. Recenti studi effettuati su un ampio campione di soggetti italiani affetti dall’osteopatia di Paget hanno indicato il coinvolgimento, in ordine di frequenza, delle seguenti sedi: pelvi
(65%), rachide (35%), femore (30%), cranio (26%), tibia (22%),
omero (11%), coste (8%), mandibola (2%), clavicola (1,5%),
scapola (1%), falangi (1%).
Clinicamente la malattia di Paget può essere asintomatica fino
al 60-80% dei casi; nei restanti casi si manifesta prevalentemente con (Tabella 1):
- Dolore osseo (80% dei casi sintomatici): è il sintomo più frequente della malattia. Insorge per numerose cause (microfratture, aumento della vascolarizzazione, irritazione delle
terminazioni nervose dell’osso).
- Cefalea: si può verificare qualora la malattia di Paget interessi le ossa del cranio.
- Sordità: si può verificare quando la malattia ossea interessa l’orecchio interno a causa del coinvolgimento delle ossa del cranio.
- Deformità ossea: le deformità ossee, come un aumento della
circonferenza del cranio (segno del cappello), ipertrofia
mascellare (facies leonina), incurvamento della tibia (tibia a
sciabola), incurvamento del femore (a bastone pastorale) o
una curvatura del rachide, sono causate da un ingrandimento e/o indebolimento delle ossa affette e insorgono tipicamente nello stadio avanzato della malattia.
- Fratture: le ossa pagetiche possono fratturarsi più facilmente
delle ossa di soggetti normali. Microfratture e fratture colpiscono nel 70-90% dei casi le ossa lunghe (soprattutto il femore).
stosoma, SQSTM1) nel 20-30% circa dei pazienti. I meccanismi
attraverso cui questo fattore determina la malattia e la possibile
associazione con l’infezione virale sono ancora sotto studio. È
possibile, comunque, che la malattia insorga in seguito a cause
infettive, in soggetti geneticamente predisposti.
Questa malattia è raramente diagnosticata nelle persone sotto i
40 anni. La prevalenza varia dall’1 all’8% delle persone adulte e
dipende dall’età e dall’area di provenienza. Esistono, infatti,
zone a elevata incidenza di malattia ossea di Paget. Sia gli uomini che le donne possono essere colpiti dalla malattia, anche se
una leggera prevalenza è stata descritta nel sesso maschile.
Fig. 1. Illustrazioni relative al primo caso di osteodistrofia pagetica
descritto da Sir James Paget nel 1877 [1]
Tabella 1. Il dolore è il sintomo principale che porta il paziente dal medico per un sospetto di
malattia ossea di Paget, come dimostrato in questa casistica di pazienti [2] (n=290 pazienti)
Dolore
Colonna
Anca
Osso
Cefalea
Ginocchia
Rachide cervicale
Sordità
2%
No sintomi
3%
Altro
-
85%
34%
22%
11%
10%
6%
2%
10%
Artrosi: questa è una condizione che porta a dolore a causa di
un danno della cartilagine articolare in prossimità dei distretti
ossei colpiti; generalmente interessa l’anca, il ginocchio e la
spalla. Nella malattia di Paget è più frequente e insorge generalmente come conseguenza delle deformità ossee.
Quali sono le cause che portano all’insorgenza della
malattia ossea di Paget?
Le cause di questa malattia non sono ancora del tutto conosciute. La sua eziopatogenesi potrebbe essere legata, almeno in
parte, a fattori infettivi. Le ricerche suggeriscono che la malattia
potrebbe essere causata da un’infezione virale da Paramyxovirus
(ad esempio virus del morbillo), una condizione che può essere
presente per molti anni anche in forma asintomatica. È inoltre
possibile che l’agente infettivo venga trasmesso dal contatto con
animali, dato che la malattia sembra essere più frequente in aree
rurali o in soggetti che posseggono animali domestici.
È stato inoltre evidenziato anche un fattore ereditario, dato che
in alcuni casi la malattia è presente in uno o più membri della
stessa famiglia. La frequenza dei casi familiari varia dal 10 al
40% a seconda dei vari studi. Il rischio di malattia nei parenti di
primo grado di soggetti affetti da osteopatia di Paget è sette
volte maggiore rispetto ai soggetti che non manifestano familiarità per tale patologia. Recentemente è stata identificata la presenza di mutazioni a livello del cromosoma 5 (gene del seque-
In quale modo viene fatta diagnosi di malattia ossea di
Paget?
La malattia ossea di Paget è spesso asintomatica e la diagnosi è
frequentemente fatta in corso di esami radiologici effettuati per
altri motivi; tuttavia, il rilievo occasionale di elevati valori di
fosfatasi alcalina totale (un marcatore che viene comunemente
dosato negli esami di routine) non giustificato da altra causa
(quale ad esempio una malattia del fegato) deve indurre alla
ricerca di lesioni pagetiche dello scheletro.
Il dolore osseo risulta essere il sintomo più frequente di questa
patologia e varia notevolmente da paziente a paziente in relazione alla localizzazione e all’estensione della malattia. Altro segno
importante e caratteristico è la presenza di deformità e aumento
di volume osseo (tipici soprattutto a livello del cranio o degli arti).
Per la diagnosi è comunque necessaria l’esecuzione di accertamenti strumentali, quali la radiografia dei distretti ossei sospetti e
la scintigrafia ossea. Quest’ultima è utile particolarmente per valutare l’interessamento scheletrico della malattia ed evidenziare
quindi tutti i distretti ossei colpiti, compresi quelli asintomatici.
Viene utilizzato, come mezzo di contrasto, un bisfosfonato marcato con tecnezio (99Tc), che si fissa selettivamente nelle sedi ossee
con spiccata attività. La TC o la RMN, invece, possono essere utili
per stabilire più precisamente la causa del dolore a carico del
distretto osseo interessato (soprattutto a livello del rachide), nella
valutazione delle complicanze (ad esempio quelle neurologiche).
Dal punto di vista biochimico la malattia è associata a un incremento di numerosi marcatori dell’attività delle cellule ossee tra
cui la fosfatasi alcalina ossea, le desossipiridinoline e i crosslaps. Può inoltre essere utile il dosaggio dei livelli di vitamina D,
nonché del calcio e del fosfato plasmatici e urinari.
Se la malattia non viene adeguatamente trattata, a
quali problemi posso andare incontro?
La malattia di Paget, se non adeguatamente trattata, può presentare numerose complicanze sia a livello dei distretti ossei interessati
(che aumentano di volume, si deformano e possono facilmente
andare incontro a frattura o a degenerazione artrosica) che a livello
dell’organismo. Infatti, quando la malattia interessa le ossa del cranio o le vertebre, l’aumento di volume può produrre compressione
sulle strutture nervose e quindi causare cefalea, alterazioni della
conduzione nervosa, sordità e problemi cerebrali. Poiché le ossa
interessate dalla malattia richiamano un’elevata quantità di sangue,
soprattutto nei casi di Paget poliostotico in fase avanzata, possono
verificarsi complicanze cardiovascolari fino a un quadro di scompenso cardiaco a elevata gittata. In alcune casistiche è inoltre emersa un’elevata incidenza di calcificazioni delle valvole cardiache e dell’aorta. La complicanza più temibile, sebbene rara (descritta in meno
dell’1% dei casi) è l’insorgenza di un osteosarcoma nella sede interessata dal Paget, un grave tumore osseo che risulta spesso fatale
per il paziente (nelle forme avanzate la sopravvivenza a cinque anni
è del 3-8%). I segni e sintomi che possono far sospettare la presenza di un osteosarcoma sono la comparsa di una tumefazione a rapida evoluzione nonché di fratture ripetute a livello dell’osso interessato, l’accentuarsi e la persistenza del dolore e un brusco e importante aumento della fosfatasi alcalina (nonostante il trattamento).
La malattia ossea di Paget può essere curata?
Esistono a oggi numerose opzioni terapeutiche che consentono
di controllare e di arrestare la progressione della malattia nonché di limitarne le complicanze. Bisogna sottolineare l’importanza di una diagnosi precoce che consenta di instaurare il trattamento prima che insorgano le complicanze, poiché la terapia non
consente la correzione della deformità ossea.
La terapia della malattia ossea di Paget può essere di due tipi:
- medica, che prevede l’utilizzo di farmaci attivi sul metabolismo osseo, farmaci analgesici (ibuprofene, naproxene, aspirina, acetaminofene);
- chirurgica, solo in casi di malattia in fase avanzata, per il
trattamento dell’artrosi pagetica (artroprotesi, osteotomie),
la correzione delle fratture patologiche, la rimozione delle
eventuali degenerazioni sarcomatose.
Il trattamento è particolarmente consigliato non solo in soggetti
con dolore osteoarticolare e in coloro che presentano deformità
ossee o complicanze articolari, ma anche in pazienti asintomatici con elevato rischio di complicanze e in coloro che dovranno
essere sottoposti a interventi chirurgici di tipo ortopedico. I farmaci utilizzati per il trattamento della malattia di Paget sono rappresentati da composti in grado di limitare l’attività delle cellule
osteoclastiche deputate al riassorbimento osseo e responsabili
delle lesioni legate alla malattia. In passato è stata ampiamente
utilizzata la calcitonina di salmone alle dosi di 50-100 UI/die per
via intramuscolare o sottocutanea. I suoi effetti benefici sul rimodellamento osseo e anche sulla riduzione della sintomatologia
dolorosa (per un meccanismo analgesico diretto, indipendente
dalla sua azione sul tessuto osseo) sono ben documentati. Per
tale motivo questo farmaco ha rappresentato un caposaldo della
terapia dell’osteodistrofia di Paget negli anni passati.
I bisfosfonati rappresentano attualmente i farmaci di prima scelta nel trattamento della malattia ossea di Paget. A causa della
loro struttura molecolare vengono selettivamente catturati a
livello del tessuto osseo e si concentrano particolarmente nelle
zone a elevata attività, come l’osso pagetico.
Esistono a oggi numerosi composti, nell’ambito della famiglia
dei bisfosfonati, anche se non tutti sono indicati per il tratta-
mento della malattia di Paget. Tali composti si differenziano
essenzialmente per la loro potenza relativa, per la via di somministrazione (orale, intramuscolare o endovenosa) e per la frequenza del trattamento (regime giornaliero, settimanale o cicli
terapeutici limitati). Tra i bisfosfonati somministrati per via orale,
il clodronato (1600 mg/die per cicli di sei mesi), l’alendronato
(40 mg/die per cicli di sei mesi) e il risedronato (30 mg/die per
cicli di due mesi circa) hanno fornito risultati soddisfacenti per il
controllo della malattia. L’etidronato è stato il primo bisfosfonato utilizzato per il trattamento dell’osteodistrofia di Paget (400
mg/die per cicli di sei mesi). Sebbene sia ancora disponibile, nel
caso di cicli terapeutici ripetuti (con elevate dosi complessive),
può comportare difetti della mineralizzazione ossea fino a quadri di osteomalacia con compromissione della qualità dell’osso.
Tra i bisfosfonati somministrabili per via endovenosa, il clodronato ed il pamidronato (30 mg e.v. per tre giorni consecutivi,
oppure 60 mg per due o più giorni consecutivi) sono stati ampiamente utilizzati per il trattamento della malattia. Una singola
infusione è in genere efficace nell’indurre la remissione nelle
forme di malattia monostotica lieve, mentre almeno due o tre
cicli di infusione sono necessari per le forme più gravi.
Recentemente sono stati introdotti sul mercato bisfosfonati più
potenti che si sono dimostrati maggiormente efficaci nel trattamento della malattia ossea di Paget, soprattutto delle forme più
gravi, con interessamento di molte sedi ossee, oppure nel caso di
inefficace risposta terapeutica con gli altri bisfosfonati. In tale
caso un singolo ciclo di infusione con tali farmaci (zoledronato 5
mg o neridronato 200 mg) si è rivelato efficace per il controllo
della malattia per più di 12 mesi.
Il trattamento del paziente pagetico dovrebbe essere iniziato il
più presto possibile allo scopo di bloccare le alterazioni del rimodellamento osseo tipiche della malattia e di prevenirne le complicanze. Il monitoraggio dell’efficacia terapeutica si avvale
essenzialmente della misurazione dei marcatori di rimodellamento osseo. In genere sarebbe opportuno programmare un primo
controllo a circa tre mesi dall’inizio del trattamento; i controlli
successivi andrebbero eseguiti almeno due volte l’anno. La giusta frequenza dei controlli durante il trattamento può inoltre
dipendere dalla severità della malattia e dalle condizioni cliniche
del paziente. L’obiettivo del trattamento dovrebbe essere quello
di ottenere la normalizzazione di questi marcatori. Analogamente a quanto avviene per il trattamento dell’osteoporosi, inoltre, anche nei soggetti affetti da malattia di Paget in trattamento con bisfosfonati può risultare utile una supplementazione con
composti a base di calcio e vitamina D al fine di prevenire l’ipocalcemia ed eventualmente un quadro di iperparatiroidismo
secondario.
Bibliografia
1. Paget J (1877) On a form of chronic inflammation of bones (osteitis deformans). Medico-chirurgicae Trans (London) 60:37-63
2. Altman RD (2002) In: Coe FL, Favus MJ (eds) Disorders of Bone and
Mineral Metabolism, 2nd ed. Lippincott Williams & Wilkins,
Philadelphia, pp 985-1020
Vivere con il pacemaker
G. RICCIARDI, L. PADELETTI
Cattedra di Cardiologia, Università degli Studi di Firenze
Il paziente, dopo l’impianto di pacemaker, può ritornare a
una vita normale senza sostanziali limitazioni. Sarà possibile fare docce, bagni, nuoto, lavori di casa e giardinaggio,
viaggiare in auto, treno, nave o aereo, continuare la normale vita sessuale e le usuali attività ricreative. Vi sono
comunque delle precauzioni da adottare: comunicare sempre, prima di fruire di una prestazione sanitaria, di essere
portatore di un pacemaker; non indossare vestiti troppo
aderenti che possano irritare la cute sovrastante lo stimolatore; evitare sport violenti che comportino traumi sulla
regione ove è situato il pacemaker o attività che comportino forti vibrazioni.
Interferenze elettriche
Il pacemaker ha delle funzioni interne che lo proteggono
dalla maggior parte delle interferenze prodotte dalle apparecchiature elettriche, ma è sensibile a forti interferenze
elettromagnetiche e può esserne danneggiato. Se sono
rispettate le correnti normative di sicurezza e le attrezzature utilizzate sono in buone condizioni è possibile lavorare con computer, dispositivi elettrici così come con gli elettrodomestici senza alcuna preoccupazione.
Strumenti sicuri se utilizzati normalmente sono:
- in casa: coltelli elettrici, apriscatole elettrici, lavastoviglie, tostapane, frullatori, asciugacapelli, rasoi elettrici,
vasca per idromassaggi, aspirapolvere, telecomandi, TV,
videoregistratori e hifi;
- in ufficio: personal computer, fotocopiatrici;
- nel tempo libero: lettini per abbronzature, consolle di
gioco con laser.
I pazienti possono recarsi al supermercato senza problemi,
in quanto i sistemi antifurto collocati all’entrata e all’uscita non presentano alcun rischio. In ogni caso per maggior
sicurezza si consiglia di attraversare le barriere antitaccheggio senza soffermarsi. Nelle banche e negli aeroporti
è opportuno non passare attraverso le barriere di sicurezza e non farsi controllare con il metal detector. Pertanto il
paziente deve mostrare al personale della sicurezza il suo
tesserino identificativo di portatore di pacemaker.
Vi sono degli strumenti che possono invece essere utilizzati ma che devono essere tenuti a una distanza di 15 cm
dalla sede di impianto del pacemaker: telefoni cellulari,
radiotelefoni, forni a microonde, lettori CD e DVD.
Più in dettaglio, per quanto riguarda i telefoni cellulari:
bisogna tenere l’apparecchio a una distanza di 15 cm dal
pacemaker e se il telefono trasmette più di 3W aumentare
la distanza a 30 cm; appoggiare il telefono all’orecchio
opposto rispetto alla sede del pacemaker, non portare il
telefono nel taschino a livello del petto o a una cintura se
la distanza non è superiore a 15 cm.
A una distanza di 30 cm debbono essere tenuti: altoparlanti stereo, antenne radio della polizia, apparecchi cordless alimentati a batteria, aspiratori di fogliame, trapani,
seghe da tavolo e altri strumenti da officina.
Le antenne radio CB possono essere utilizzate ma a una
distanza superiore ai trenta centimetri.
L’uso di motoseghe e saldatrici è altamente sconsigliato:
per pazienti che hanno forte necessità di utilizzare tali
attrezzi è necessario seguire opportune precauzioni dopo
consultazione con il centro di controllo di riferimento.
Strumenti che devono essere evitati a qualsiasi distanza
sono le bilance per la misurazione del grasso corporeo, i
martelli pneumatici, i generatori di corrente, le centrali
energetiche, i forni a induzione o i sistemi di riscaldamento elettrici per la fusione di materie plastiche, i trasmettitori radio, le motoseghe.
La maggior parte delle procedure mediche e dentistiche
non danneggia il dispositivo. Pertanto sarà possibile l’utilizzo di trapani e di apparecchiature per la pulizia dei denti,
di Rx per uso diagnostico, di ultrasuoni per uso diagnostico e terapeutico, la TAC e macchinari per ECG. Potrebbero
invece interferire con il normale funzionamento del dispositivo la Risonanza Magnetica, la diatermia, l’elettrocauterizzazione senza le necessarie precauzioni per proteggere il
dispositivo, unità di stimolazione dei nervi per via transcutanea (TENS), l’elettrolisi utilizzata per la rimozione dei peli
superflui. La radioterapia per il trattamento del cancro
necessita invece di precauzioni particolari al fine di proteggere il dispositivo.
In caso di dubbio o di situazioni non riportate in questa
rassegna si consiglia di contattare il Centro controllo pacemaker di riferimento.
IMPRESSUM
Inserto alla rivista "Internal and Emergency Medicine" Vol. 3 Num. 3
Editore: Springer-Verlag Italia Srl, Via Decembrio 28, 20137 Milano
Stampa: Grafiche Porpora, Segrate (MI) – Copyright © SIMI, Società Italiana di Medicina Interna