La stabilità diagnostica in psichiatria
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La stabilità diagnostica in psichiatria
Studi sperimentali La stabilità diagnostica in psichiatria Diagnostic stability in psychiatry MAURIZIO DE VANNA, PAOLO PERESSUTTI, EUGENIO AGUGLIA Dipartimento di Scienze Cliniche, Morfologiche e Tecnologiche Unità Operativa di Clinica Psichiatrica, Università di Trieste RIASSUNTO. Introduzione. È noto come l’introduzione di Sistemi Diagnostici con chiari criteri classificativi abbia reso le diagnosi psichiatriche molto più omogenee e stabili. Malgrado questo, la variabilità di tali diagnosi resta relativamente elevata, concorrendo in ciò sia la tipologia del disturbo (forte variabilità per esempio per le diagnosi di Disturbo di Personalità) sia la capacità dello psichiatra nella comunicazione oltreché la sua formazione e il tipo di struttura nella quale lavora. Materiali e metodi. Scopo di questo studio retrospettivo è la valutazione della stabilità della diagnosi in pazienti ricoverati presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica di Trieste nell’arco di 10 anni. Sono stati selezionati pazienti con più di un accoglimento e la diagnosi di dimissione del primo ricovero è stata considerata come dato indice per calcolarne la variabilità. Risultati. Maggiore stabilità hanno mostrato le psicosi maggiori, le dipendenze e i Disturbi Ossessivo-Compulsivi, mentre poco stabili sono risultati essere i Disturbi della personalità, gli Stati Paranoidi, i disturbi neurotici e in particolare la Depressione Neurotica che facilmente si spostavano verso aree “contigue” sintomatologicamente (Psicosi Affettive) o disturbi in comorbidità (alcolismo). L’aumento dell’informazione sul paziente sembra incidere globalmente sulla stabilità, ma solo per alcuni disturbi è realmente importante (schizofrenia), mentre per altri appare ininfluente così da ipotizzare altre fonti di variabilità che non quella legata all’informazione. Conclusioni. La stabilità diagnostica in un lungo periodo è risultata essere importante per definire la “consistenza” delle diagnosi e per analizzare gli spostamenti preferenziali verso altre diagnosi e per capire quanto tali spostamenti siano dovuti ad errori di valutazione e quanto ad un reale cambiamento del quadro clinico o a situazioni di comorbidità. PAROLE CHIAVE: stabilità diagnostica, variabilità diagnostica SUMMARY. Introduction. The recent introduction of Diagnostic Systems for the classification of Mental Diseases based on clear criteria of inclusion and exclusion has made psychiatric diagnosis much more homogeneous and stable than in the past. Nevertheless, the diagnostic variability still remains relatively high: the concurrent causes are the typology of mental diseases (i.e. high variability about Personality Disorders) and the training and ability to communicate of the psychiatrist as well as the type of structure where he works. Material and methods. The aim of this retrospective study is to evaluate the diagnostic stability about a cohort of inpatients of the Psychiatric Department of the University of Trieste over a period of 10 years. We selected patients with more than one admittance and we considered the first discharged diagnosis as index data in order to evaluate the variability. Results. Functional psychoses, drug dependences, obsessive-compulsive disorders showed the best stability. Less stable were personality disorders, paranoid states, neurotic disorders, especially neurotic depressions that shifted frequently to neighbouring areas of symptomatology (affective psychoses) or comorbidity (alcoholism). The increase of information about the patients seems to affect the global stability but only for some disorders is it really important (schizophrenia); for the others this is not true and we need to find different causes of variability. Conclusions. The long period diagnostic stability resulted very important in order to define the diagnostic consistency and to analyze the preferrential shifts to other diagnoses and to understand if they could be attribuited to some evaluation mistakes or to a real change of clinical state or to comorbidy conditions. KEY WORDS: diagnostic stability, diagnostic variability E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 276 La stabilità diagnostica in psichiatria INTRODUZIONE La stabilità diagnostica è la misura della concordanza fra le diagnosi assegnate in valutazioni temporalmente distanziate dello stesso paziente. È uno dei cinque criteri (o fasi) proposti da Robins e Guze (1970) per validare una diagnosi psichiatrica (descrizione clinica, esami di laboratorio, delimitazione dalle altre diagnosi, follow-up e studi familiari) (1). È comunemente accettato che tanto più è stabile la diagnosi, quanto più il suo costrutto descrive realmente una condizione psicopatologica discreta. La variabilità diagnostica, d’altro canto, può riflettere sia variazioni cliniche nel decorso del paziente, sia artefatti metodologici come: variazioni nell’informazione, scarsa affidabilità nei metodi di misurazione o del giudizio dell’intervistatore o del manuale diagnostico di riferimento. A tal riguardo, Cooper (1967) (2) in uno studio su 200 pazienti ricoverati in 4 diverse occasioni fra il 1954 e il ’55 rilevò che solo il 54% di tali pazienti veniva collocato nella stessa categoria generale in tutte e quattro le occasioni. Egli dimostrò anche che molti cambiamenti nella diagnosi, soprattutto per quanto riguardava disturbi nevrotici, disturbi della personalità o alcolismo, erano dovuti al cambio del medico che formulava la diagnosi piuttosto che ad un sostanziale cambiamento nei sintomi del paziente stesso; solo in 32 pazienti (16%) fu dimostrata una vera variazione del quadro clinico. Dimostrativi anche i risultati di Fennig et al. (1994) (3) che, in una ricerca sulla stabilità diagnostica, intervistarono con la SCID (DSM-III-R) 278 pazienti al primo ricovero e dopo 6 mesi; essi rilevarono che solo il 43% dei cambiamenti di diagnosi erano dovuti ad un reale cambiamento della sintomatologia e conclusero che la stabilità diagnostica a lungo termine varia in funzione di molteplici fattori fra i quali cambiamenti del quadro clinico, nuovi dati informativi, nuove interpretazioni dei dati. È probabile quindi che la scelta della diagnosi in ambito psichiatrico dipenda anche da altri elementi, al di fuori della reale variazione del quadro clinico, che giocano un ruolo importante nella decisione diagnostica. È per questa ragione che è difficile analizzare la effettiva stabilità diagnostica di un disturbo psichiatrico quando utilizziamo dati d’archivio derivanti dalla pratica routinaria; quando cerchiamo di misurarla infatti, qualunque sia il metodo, non sappiamo se i risultati descriveranno comunque la effettiva variazione clinica nella sintomatologia di un paziente, o in realtà la probabilità che diversi medici, o anche lo stesso in diversi momenti, possano fare una diagnosi diversa. Ci troviamo quindi inevitabilmente a parlare, quando trattiamo di stabilità, anche di attendibilità della diagnosi stessa, in quanto la prima dipende strettamente dalla seconda e in funzione di entrambe si deve fondare infine la validità diagnostica (4). Numerosi sono gli studi sull’attendibilità delle diagnosi in psichiatria; essi si basano generalmente o sul confronto fatto tra due o più valutatori in singola intervista congiunta o in diverse valutazioni vicine temporalmente (observer agreement model) oppure sul confronto dello spettro complessivo delle diagnosi fatto su due comparabili serie di pazienti (frequency agreement model). Di grande utilità per l’attendibilità psichiatrica sono anche i confronti fra diagnosi assegnate a pazienti in 2 ricoveri successivi o in altri momenti ampiamente separati nel tempo (consistency or stability model). In quest’ultimo caso, va sottolineato anche che se l’intervallo fra le diagnosi successive è di pochi giorni o settimane, in realtà si utilizza qualcosa più vicino all’ “observer agreement model” che allo “stability model” (5). In psichiatria le maggiori fonti di inattendibilità diagnostica possono essere suddivise in cinque categorie principali, definite “fonti di variabilità” (6): variabilità legata al soggetto (il paziente mostra un quadro clinico diverso in momenti diversi); variabilità legata all’occasione della valutazione diagnostica (il paziente esibisce fasi diverse della stessa condizione morbosa in momenti diversi, per es. maniacale o depressiva); variabilità legata all’informazione (due clinici diversi possono utilizzare due fonti di informazione diverse, per es. paziente o familiari); variabilità legata all’osservazione (clinici diversi posti di fronte allo stesso paziente possono differire rispetto a ciò che notano o rilevano); variabilità rispetto ai criteri diagnostici utilizzati (DSM, ICD, etc.). Le prime due fonti di disaccordo riflettono dei fenomeni che possono essere colti e oggettivati e non dovrebbero essere ignorate; la quarta invece potrebbe essere superata o ridotta in modo consistente migliorando le capacità di osservazione dei clinici, e soprattutto usando tecniche e strumenti di valutazione clinica standardizzate (interviste strutturate derivate da sistemi diagnostici). Va sottolineato, comunque, che una elevata attendibilità non garantisce comunque la validità, la quale dipende da fattori anche esterni al quadro sintomatologico tra cui il suo potere predittivo e la comprensione dell’eziologia. In realtà il problema è che in psichiatria non esiste un Gold Standard, cioè un validatore ultimo su cui misurare l’accuratezza delle diagnosi, e questo limite è ben lontano ancora dall’essere superato (4, 7). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 277 De Vanna M, et al Inoltre, spesso è obiettivamente difficile per lo psichiatra condurre una valutazione con tutti i crismi, per poter giungere ad una corretta diagnosi, soprattutto in alcuni ambiti lavorativi di intensa affluenza; lo stesso modello categoriale rende frequentemente difficoltosa la valutazione dei “casi di confine” . La stabilità diagnostica in un arco di anni, o meglio ancora di decenni, è un fattore molto importante nella definizione di gruppi diagnostici omogenei; l’omogeneità e l’attendibilità di un gruppo diagnostico è la conditio sine qua non per la ricerca sulla classificazione, biologia, genetica, prognosi e trattamento dei disturbi mentali (8); inoltre l’instabilità diagnostica nei casi psichiatrici registrati causa problemi pratici quando vengono selezionati gruppi di probandi con diagnosi specifiche per studi di ricerca o di sperimentazione farmacologica (9). Benchè l’argomento trattato, come si è visto, rivesta una grande importanza sia per quanto riguarda l’attendibilità diagnostica, sia per la ricerca sulla evoluzione dei disturbi psichiatrici, sia come momento fondamentale per la valutazione della validità del costrutto diagnostico e di una più completa definizione del giudizio clinico su di uno specifico caso, esso non è stato ampiamente considerato in letteratura come in realtà ci si aspetterebbe. È da notare che le metodologie adottate per tali ricerche raramente sono sovrapponibili e spesso anche il tipo di raccolta e la tipologia stessa dei dati sono sostanzialmente diversi, così che i risultati a volte sono poco confrontabili. Riguardo alla metodologia infatti, se è fondamentale il modo in cui è stata fatta la diagnosi (uno o più valutatori, intervista strutturata o giudizio clinico, tipo di manuale diagnostico di riferimento, etc.), di non minore importanza sono il numero di diagnosi per lo stesso paziente, il periodo intercorso fra i momenti diagnostici successivi, il tipo di analisi dei dati raccolti, la struttura nella quale il paziente viene ricoverato o contattato ed altro ancora. Riportiamo quindi qui di seguito i dati di buona parte delle ricerche sull’argomento, ordinate per anno di pubblicazione. In uno studio di Kendell (1974) (5) si valutarono circa 2000 pazienti ricoverati più volte presso reparti psichiatrici fra il’64 e il ‘69. Le demenze e i disturbi schizofrenici mostrarono di avere la maggiore stabilità, seguiti da tutti i disturbi depressivi e alcolismo; mentre stato confusionale, stato paranoide, isteria, depressione reattiva, disturbi della personalità e depressione endogena si rivelarono estremamente instabili nel tempo. I più frequenti pattern di cambiamento erano dallo stato paranoide alla schizofrenia; dallo stato confusionale alla demenza e dallo stato d’ansia a tutti i disturbi depressivi. Nell’indagine di Tsuang et al del 1981 (10) sulla stabilità diagnostica della schizofrenia e disturbi affettivi, furono reclutati 525 pazienti; la valutazione finale fu fatta tramite intervista strutturata da tre staff diversi di psichiatri dopo 30-40 anni dalla prima diagnosi. I risultati mostrarono una stabilità per la schizofrenia del 92,5%, per il disturbo bipolare del 56% e per il disturbo unipolare del 62,9%. Week (1984) (9) selezionò retrospettivamente una coorte di 3062 primi ricoveri (‘70-’72) con almeno una diagnosi di psicosi maniaco-depressiva (ICD-8) nei successivi ricoveri. Egli trovò, a 5-7 anni dal primo ricovero, che la diagnosi di psicosi maniaco-depressiva era più stabile (78-92%) fra i pazienti considerati bipolari (ricovero in fase maniacale) che fra gli unipolari (59-76%). In una ricerca del 1988 di Jorgensen e Mortensen (11) si cercò di calcolare la stabilità della diagnosi di psicosi funzionale in 1128 pazienti ricoverati nell’arco di 2 anni presso diverse unità psichiatriche. Il 61,1% mantenne tale diagnosi (schizofrenia 74.6%, psicosi maniaco-depressiva 72.9%, psicosi reattiva 49.7%, paranoia 48.3%). La ricerca evidenziò che la stabilità longitudinale è fondamentale per le nostre categorie diagnostiche e che si deve usare molta cautela nel fare diagnosi al primo ricovero, poichè quella diagnosi potrà facilmente cambiare. Marneros et al. (1991) (8) indagarono la stabilità delle diagnosi psichiatriche in un lungo periodo di tempo (media 25 anni) di 355 pazienti (1658 ricoveri) con episodio iniziale schizofrenico e melanconico: rispettivamente il 91% e l’l’84% non cambiava diagnosi. Secondo questi Autori i risultati di questo studio dimostrano il bisogno di includere un asse longitudinale nei sistemi diagnostici dei disturbi mentali. Rice et al. (1992) (12) intervistarono in due tempi, con intervallo superiore a 6 mesi, 612 pazienti con interviste strutturate: la stabilità diagnostica maggiore era per l’alcolismo, l’uso di sostanze e la Depressione Maggiore; la schizofrenia si poneva in una fascia intermedia come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, il Disturbo Fobico e la mania; le diagnosi più instabili erano quelle di Ciclotimia, Ansia Generalizzata, Personalità Antisociale, Ipomania e Attacchi di Panico. Links et al. (1993) (13) trovarono che il 60% di pazienti ricoverati con diagnosi di disturbo di personalità borderline ripresentava tale diagnosi in un follow-up a 2 anni. Staton e Joyce (1993) (14), utilizzando i dati del New Zeland Psychiatric Register, dimostrarono che le diagnosi ICD-9 per psicosi schizofrenica, disturbi affettivi, anoressia nervosa e disturbo da abuso di sostanze avevano una buona stabilità in un follow-up a 5 anni. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 278 La stabilità diagnostica in psichiatria Vetter e Kôller (1993) (15) in un follow-up a 12 anni rilevarono una stabilità diagnostica del 93% per psicosi schizofrenica, 79% per disturbi neurotici, 58% per psicosi affettiva e 46% per disturbi di personalità. In uno studio di Fenning et al. (1994) (3) 278 pazienti vennero intervistati con la SCID (DSM-III-R), al primo ricovero e dopo 6 mesi, per calcolare la stabilità delle loro diagnosi. Essa risultò essere: per le Psicosi Affettive del 78.3%, per il Disturbo Schizofrenico del 75.0%, per i disturbi non psicotici del 68.8%. Mattanah et al. (1995) (16) esaminarono la stabilità diagnostica (DSM-III-R) in 101 adolescenti in un follow-up a 2 anni dal ricovero con interviste strutturate. In asse I il disturbo più stabile era quello di abuso di sostanze (53%) e depressione maggiore (46%); in asse II la stabilità totale era del 50%. Il disegno dello studio di Daradkeh (1996) (17) è invece quello a cui ci siamo ispirati per il nostro lavoro. Si tratta di una ricerca retrospettiva su circa 312 pazienti ricoverati nell’arco di 4 anni. La stabilità diagnostica venne calcolata come la percentuale di diagnosi indice che non cambiava nel tempo. Abuso di Alcol e Sostanze e Schizofrenia erano le diagnosi più stabili. I pattern maggiori di spostamento diagnostico erano 2: dal disturbo bipolare e dalla psicosi acuta verso la schizofrenia; dalla nevrosi verso la depressione. Obiettivo dello studio di Chen et al. (1996) (18) era di identificare le caratteristiche associate ai cambiamenti di diagnosi dalla schizofrenia e verso questa; i soggetti erano 936 pazienti ricoverati almeno 4 volte nell’arco di 7 anni presso una unità psichiatrica di emergenza cittadina. Le conclusioni furono che la diagnosi di schizofrenia, nella pratica clinica attuale, non è statica e le caratteristiche specifiche (sesso, età, razza, etc.) di ogni paziente interagiscono con le eventuali variazioni cliniche in senso longitudinale, tanto da produrre variazioni diagnostiche importanti; i follow-up longitudinali, quindi, sono ritenuti fondamentali per validare la diagnosi. La stabilità diagnostica totale era del 79.1%; essa era minore per le donne, per i pazienti sotto i 20 anni e per gli ispano-americani; nessun altro dato sociodemografico si rivelò significativo. Gli scivolamenti diagnostici avvenivano maggiormente da e verso il disturbo bipolare e i disturbi mentali organici. Una ricerca di Nelson e Rice (1997) (4) sulla stabilità diagnostica del disturbo ossessivo compulsivo riporta i dati di due interviste strutturate (DSM-III) ad un anno di distanza l’una dall’altra su ricoverati e popolazione generale dell’ECA (Epidemiologic Catchment Area): ad un anno solo il 19% soddisfaceva i criteri per una diagnosi lifetime di disturbo ossessivo-compulsivo. La instabilità maggiore era per soggetti con tarda insorgenza e basso livello d’istruzione. Jorgensen et al. (1997) (23), rivalutando 51 pazienti con disturbo psicotico acuto transitorio dopo 1 anno, videro che il 48% cambiava diagnosi, più spesso verso la schizofrenia (15%) e i disturbi affettivi (28%). Secondo Dinwiddle e Daw (1998) (24) il Disturbo Antisociale di Personalità era molto stabile (77,7%) in un follow-up a 8 anni. In un campione di 286 pazienti (25) accolti in emergenza in un periodo di 7 mesi; fu esaminata la concordanza fra le diagnosi di schizofrenia in due visite consecutive; la stabilità era moderata (kappa 0.5), più stabile per i maschi (kappa 0.6). Per Klei et al. (1998) (26), la distimia Early Onset concordava del 52% con successiva diagnosi di Distimia dopo 30 mesi; vennero usate scale di valutazione. Ferro et al. (1998) (27) trovarono, in 30 mesi, da bassa a moderata la stabilità delle disgnosi di asse II in pazienti depressi; essa aumentava se vi era tossicodipendenza o abusi di sostanze. Woodman et al. (1999) (28), confrontando il decorso del Disturbo di Panico (DAP) e Ansia Generalizzata (GAD) in un follow-up a 5 anni, registrarono una maggior percentuale di piene remissioni per il DAP maggiore (45%) che per il GAD (18%). Il Disturbo Bipolare e la schizofrenia (DSM-III-R) erano i più stabili ad un follow-up di 3 anni in una coorte di 168 pazienti con un primo episodio psicotico acuto nella ricerca di Amin et al. (1999) (29). Per Forand (1999) (30) é fondamentale nella diagnosi l’osservazione durante il trattamento residenziale; analizzando le registrazioni delle diagnosi di 42 adolescenti evidenziò un cambiamento medio di diagnosi di 1,74 per paziente. In due successivi follow-up a uno e due anni, la stabilità diagnostica in soggetti con Disturbo Psicotico early-onset aumentava progressivamente (dal 50% al 90%), secondo Mc Clellan e Mc Curry (1999) (31). Infine, Hollis (2000) (32) dimostra la buona tenuta delle diagnosi di psicosi maggiori del DSM-III-R con insorgenza nell’infanzia o adolescenza: la stabilità diagnostica (11,5 anni di intervallo medio dal primo episodio nell’infanzia o adolescenza) era alta per schizofrenia e psicosi affettive, bassa per disturbo schizoaffettivo e psicosi atipica. Obiettivo di questa nostra ricerca è di analizzare la stabilità diagnostica generale e specifica per gruppo diagnostico, ed alcune caratteristiche ad essa correlate, quali il tipo di spostamento preferenziale verso altre diagnosi, e formulare alcune ipotesi sul determinismo della variabilità. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 279 De Vanna M, et al RISULTATI MATERIALI E METODI La ricerca condotta è di tipo retrospettivo su di un campione grezzo di pazienti ricoverati per la prima volta presso la Clinica Psichiatrica di Trieste dal 1987 al 1996 (10 anni) e con più di un ricovero (441 pazienti, 1377 ricoveri). I dati dei ricoveri raccolti dal S.I.S.R. (Sistema Informatico Sanitario Regionale) sono stati controllati sull’archivio cartaceo della Clinica Psichiatrica per l’individuazione di eventuali errori di registrazione, sono stati quindi codificati e registrati in un database informatizzato. Per ogni record venivano riportati dati anagrafici, data ingresso, gg. di ricovero e tipo di diagnosi. Riguardo a quest’ultima il sistema di raccolta dei dati attraverso il cedolino di dimissione prevedeva una scelta diagnostica usando i codici ISTAT (19) (criteri diagnostici ICD-9) (20), tale codice diagnostico veniva deciso al momento della dimissione da due psichiatri esperti. Fu presa in considerazione solo la diagnosi principale. Come diagnosi indice fu considerata quella di dimissione dal primo ricovero. Da questo campione grezzo furono scartati pazienti con diagnosi indice di tipo non psichiatrico oppure che rientrava nelle categorie diagnostiche con meno di 10 casi o in categorie di tipo non specificato (Disturbi Neurotici, Altre Psicosi Non Organiche) (25% pazienti). La stabilità diagnostica venne espressa come percentuale della diagnosi indice che non variava nel tempo (successivi ricoveri). Delle discordanze fu considerato lo scivolamento verso le altre categorie diagnostiche, al fine di valutare gli spostamenti preferenziali. Inoltre si è cercato di valutare quanto la stabilità della diagnosi aumenti con l’aumentare dell’informazione (successivi ricoveri) per poter valutare il peso di tale variabile su di un eventuale processo di progressiva stabilizzazione della diagnosi nel tempo. Nei 10 anni considerati 1382 pazienti ebbero un primo ricovero nella Clinica Psichiatrica, di questi 441 (32%) con almeno un altro ricovero nello stesso periodo. Da questo campione 104 pazienti (25%) furono esclusi perchè con diagnosi indice di tipo non psichiatrico oppure con diagnosi indice che rientrava nelle categorie diagnostiche con meno di 10 casi o in categorie di tipo non specificato (Disturbi Neurotici, Altre Psicosi Non Organiche). La Tabella 1 riporta i dati principali dei ricoveri del campione infine selezionato: 337 pazienti per un totale di 1066 ricoveri. Le diagnosi di primo ricovero dei pazienti selezionati (diagnosi indice) erano 11: Psicosi schizofreniche, Psicosi Affettive, Stati Paranoidi, Stati di Ansia, Disturbi Ossessivo-Compulsivi, Depressione Neurotica, Disturbi della Personalità, Sindrome di Dipendenza dall’Alcol, Farmacodipendenza tipo Morfina. Il maggior numero di diagnosi di dimissione era del gruppo delle Psicosi Affettive, seguito da quello delle Psicosi Schizofreniche e dalla Depressione Neurotica. Il 62% erano composte da donne; la maggioranza maschile si registrava solamente per le dipendenze (alcol e morfina). L’età media era maggiore per le donne ed i loro ricoveri erano tendenzialmente più lunghi; la diagnosi che mostrava ricoveri di maggior durata era quella di Psicosi Affettive, seguita da Depressione Neurotica ed i soggetti con queste diagnosi avevano l’età media più elevata. I pazienti più giovani erano quelli con diagnosi di Farmacodipendenza tipo Morfina e Disturbi della Personalità e, quelli con diagnosi di Disturbi Ossesivo-Compulsivi erano i ricoveri più brevi. L’intervallo medio fra i ricoveri era di 267 giorni (DS: 249). La Tabella 2 mostra come l’intervallo fra i Tabella 1. Dati principali dei ricoveri del campione selezionato (N=337) Ricoveri (N=1066) Ricoveri Diagnosi N (%) Psicosi schizofreniche 195 (18,3%) Psicosi affettive 226 (21,2%) Stati paranoidi 45 (4,2%) Stati di ansia 89 (8,3%) Disturbi ossessivo-compulsivi 26 (2,4%) Depressione neurotica 196 (18,4%) Disturbi della personalità 34 (3,2%) Sindrome di dipendenza dall’alcol 111 (10,4%) Farmacodipendenza/Tipo morfina 29 (2,7%) Altre diagnosi 115 (10,8%) Totale 1066 (100,0%) Età F% - M% 64,6 - 35,4 70,8 - 29,2 77,8 - 22,2 68,5 - 31,5 53,8 - 46,2 77,0 - 23,0 50,0 - 50,0 18,9 - 81,1 34,5 - 65,5 59,1 - 40,9 62,2 - 37,8 media (DS) 39,8 (12,82) 52,3 (12,44) 45,3 (13,07) 49,3 (15,47) 39,0 (15,27) 51,3 (13,44) 34,5 (13,24) 42,9 (9,69) 27,4 (5,65) 47,3 (16,51) 46,2 (14,52) Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 280 gg. di ricovero F-M 43,8 - 32,4 53,1 - 50,4 47,1 - 38,9 53,1 - 41 45,6 - 31,3 52,5 - 47,6 37,2 - 31,8 36,4 - 44,4 22,6 - 29,9 51,5 - 41,2 49,2 - 41,3 media (DS) 21,7 (17,02) 27,4 (17,32) 21,4 (17,36) 17,5 (13,88) 14,4 (11,94) 23,2 (14,13) 21,3 (13,46) 18,2 (12,58) 16,6 (14,31) 22,3 (18,68) 22,2 (16,16) F-M 22,2 - 20,8 28,6 - 24,6 19,6 - 27,5 18,5 - 15,3 12,4 - 16,8 23,1 - 23,2 20,3 - 22,4 15,7 - 18,8 18,3 - 15,7 24 - 19,9 23,1 - 20,6 La stabilità diagnostica in psichiatria Tabella 2. Caratteristiche dei ricoveri in base a: intervallo temporale, numero dei ricoveri e numeri di diagnosi diverse ➢Intervallo temporale in mesi fra i ricoveri: mesi 1 2 ricoveri (N=1066) 19,6% 15,6% ➢Numerosità in base al numero di ricoveri. N° ricoveri 2 3 pazienti (N=337) 55,8% 19,3% ➢Numerosità in base al numero di diagnosi diverse tipi di diagnosi 1 (stabile) 2 pazienti (N=337) 33,5% 48,1% 3 9,5% 4 6,0% 5 7,1% >5 42,1% 4 9,5% 5 5,0% >5 10,3% totale 100,0% 3 12,8% 4 4,5% 5 1,2% totale 100,0% ricoveri fosse sufficientemente lungo per ottenere un dato misurante effettivamente la stabilità temporale (il 42% aveva un intervallo di almeno sei mesi). La stessa tabella mette in luce che il 56% dei pazienti aveva solo due ricoveri (minore informazione). Infine, nel conteggio del numero di diagnosi diverse per paziente il 33% si dimostrò stabile (una sola diagnosi), mentre il gruppo più numeroso ne aveva due (48%). Quasi un quarto dei pazienti aveva una diagnosi di primo ricovero di Depressione Neurotica; gli altri due gruppi più numerosi erano quelli delle Psicosi Schizofreniche e Psicosi Affettive. La media del numero di ricoveri per tipo di diagnosi indice era massima per Psicosi Afettive e Stati Paranoidi, mentre per la Dipendenza da Morfina era molto bassa. La stabilità diagnostica (Tabella 3) era elevata in massima misura per l’alcoldipendenza, quindi per le Psicosi Schizofreniche, per la morfinodipendenza, per le Psicosi Affettive e per i Disturbi Ossessivo-Compulsivi. I disturbi della Personalità erano i meno stabili in assoluto; poco stabili erano pure gli Stati Paranoidi, gli Stati d’Ansia e la Depressione Neurotica. La Tabella 4 illustra il pattern di cambiamento della diagnosi: ben il 59% delle diagnosi indice si dirigeva stabilmente verso una diagnosi diversa da quella di primo ricovero. La maggior parte di tali pattern era semplice, soprattutto per la maggior percentuale di pazienti con due o tre ricoveri (75%). Nella tabella che analizza verso quali diagnosi tendevano a scivolare le diagnosi indice (Tabella 5), si notano i maggiori spostamenti verso le Psicosi Schizofreniche, le Psicosi Affettive, la Depressione Neurotica e il gruppo Altre Diagnosi che non sono rientrate fra le diagnosi indice. Lo schema ha lo scopo di visualizzare i pattern di scivolamento (che in parte possono delineare comorbidità o “confini insicuri” fra le diagnosi). Gli Stati Paranoidi per esempio si spostavano per gran parte (51%) verso le Psicosi Schizofreniche che assorbivano una buona quota anche dai Disturbi della Personalità (22%). Psicosi Schizofreniche e Affettive (Picosi Maggiori) avevano uno scambio reciproco intorno al 10% - 13%, ma sulle Psicosi Affettive si riversa il 25% di Diagnosi di Depressione Neurotica, la quale riceve a sua volta da Disturbi della Personalità, dai Disturbi Ossessivo-Compulsivi, Stati d’Ansia e dalle stesse Psicosi Affettive. La Dipendenza dall’Alcol “riceveva” principalmente dai Disturbid’Ansia e dai Disturbi della Personalità. Infine, si è ottenuto il rilevamento della stabilità diagnostica prendendo in considerazione come diagnosi Tabella 3. Stabilità diagnostica e altri dati delle diagnosi indice stabilità Diagnosi indice Psicosi schizofreniche Psicosi affettive Stati paranoidi Stati di ansia Disturbi ossessivo-compulsivi Depressione neurotica Disturbi della personalità Sindrome di dipendenza dall’alcol Farmacodipendenza/Tipo morfina Totale pazienti media (DS) 52,7 (46,27) 45,8 (43,49) 28,5 (42,25) 31,3 (44,78) 45,0 (49,72) 33,0 (41,57) 20,8 (38,86) 64,9 (45,31) 50,0 (47,67) 42,6 (45,11) pazienti F% - M% 57,4 - 42,6 71,2 - 28,8 77,3 - 22,7 58,1 - 41,9 60 - 40 74,7 - 25,3 35,3 - 64,7 17,9 - 82,1 50 - 50 59,6 - 40,4 n° ricoveri (media) N (%) 61 (18,1%) 66 (19,6%) 22 (6,5%) 31 (9,2%) 10 (3,0%) 79 (23,4%) 17 (5,0%) 39 (11,6%) 12 (3,6%) 337 (100%) Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 281 F-M 2,9 - 3,2 3,8 - 3,1 3,9 - 2,6 3,1 - 2,7 2,3 - 3,3 3,3 - 2,6 2,7 - 3,0 2,7 - 3,1 2,2 - 2,8 3,3 - 3,0 totale 3,0 3,6 3,6 2,9 2,7 3,1 2,9 3,0 2,5 3,2 De Vanna M, et al dati (conoscenze sul pz. da parte del medico) che rende la diagnosi “poco attendibile”. Tabella 4. Pattern di cambiamento della diagnosi (N=337) Pattern A-A (stabile) A-B A-B-A A-B-C più complesso con ritorno ad A più complesso senza ritorno ad A TOTALE % 33,5 41,8 5,3 9,8 1,8 7,7 100,0 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI indice quella di ricoveri sucessivi al primo (secondo e terzo ricovero) per poter valutare se il crescere del numero di ricoveri tendeva ad orientare con maggiore stabilità la diagnosi (Tabella 6). L’assottigliamento del campione che derivava dal criterio di selezione (tre, quattro o più ricoveri) non ha permesso la valutazione di tutti i gruppi diagnostici (minimo 10 pazienti). La stabilità diagnostica aumentava globalmente con l’andare dei ricoveri: maggiormente per la schizofrenia e alcolismo. La Depressione Neurotica e le Psicosi Affettive non variavano la stabilità con diagnosi indice di secondo ricovero; essa aumentava con diagnosi indice di terzo ricovero. Un aumento statisticamente significativo (t-test) della stabilità vi era però solo per le diagnosi di Psicosi Schizofreniche al secondo ricovero (p=0,019); ugualmente significativa era la differenza della stabilità diagnostica globale fra le diagnosi registrate nel primo ricovero rispetto a quelle del terzo ricovero (p=0,006). Tale confronto cerca di verificare l’ipotesi secondo la quale con i successivi ricoveri (e quindi la maggior conoscenza del paziente da parte dei medici) la diagnosi tende a diventare più stabile. Si cerca di isolare quindi “l’elemento di disturbo” rappresentato dalla scarsità di Dai dati della letteratura, abbiamo già visto quanto le metodologie per la misurazione della stabilità diagnostica siano molto eterogenee, tanto da rendere difficoltoso il confronto fra i risultati che sono spesso discordanti. A vantaggio di questa ricerca vanno la buona consistenza numerica del campione (337 pazienti per 1066 ricoveri), il lungo periodo temporale considerato (10 anni) e l’accuratezza della registrazione dei dati. Fra i punti critici, invece, il primo riguarda l’attendibilità delle diagnosi che nel nostro caso risentiva del fatto di essere formulata in base al giudizio clinico da due psichiatri esperti, e non tramite interviste strutturate, e del fatto che si usasse l’ICD-9 come sistema diagnostico di riferimento. Riguardo a ciò, nello studio di Fennig et al. (21) si afferma che la attendibilità diagnostica basata sull’osservazione simultanea da parte di due clinici solamente è ritenuta non essere soddisfacente; inoltre Spitzer (22) sottolinea, nella sua introduzione al DSM-III, quanto l’ICD-9 non sia in grado di fornire criteri espliciti di diagnosi, richiedendo così al rilevatore di affidarsi in gran parte al suo giudizio clinico. Bisogna però sottolineare che prima di scegliere il codice I.S.T.A.T, i due psichiatri consultano di routine il DSM corrente (attualmente -IV), con i suoi criteri di inclusione-esclusione, e solo poi, per esigenze di registrazione cercano il codice ISTAT che è più corrispondente a tale diagnosi. Altro punto importante riguarda il numero di diagnosi (cioè ricoveri) per paziente e il tempo intercorso Tabella 5. Spostamento percentuale dalle diagnosi indice verso altre diagnosi Diagnosi indice A B C D E F G H I Psicosi schizofreniche Psicosi affettive Stati paranoidi Stati di ansia Disturbi ossessivo-compulsivi Depressione neurotica Disturbi della personalità Sindrome di dipendenza dall’alcol Farmacodipendenza/Tipo morfina Totale A B C D E F G H I Altre Totale 57,6 10,4 50,9 1,7 0,0 4,1 21,9 0,0 0,0 18,4 13,6 49,7 5,3 8,3 17,6 25,4 3,1 2,6 0,0 21,9 4,0 2,3 22,8 0,0 0,0 0,0 0,0 1,3 0,0 3,2 4,8 5,8 0,0 28,3 5,9 8,9 6,3 9,0 0,0 8,0 0,8 1,2 0,0 5,0 35,3 1,8 0,0 1,3 0,0 2,2 4,0 17,3 0,0 15,0 11,8 34,3 15,6 9,0 5,6 16,0 1,6 1,2 0,0 0,0 0,0 3,0 18,8 1,3 5,6 2,3 0,8 0,0 0,0 13,3 5,9 4,7 15,6 62,8 0,0 9,9 0,0 0,0 0,0 6,7 0,0 0,6 0,0 6,4 38,9 2,3 12,8 12,1 21,1 21,7 23,5 17,2 18,8 6,4 50,0 15,8 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 grigio chiaro: >10% grigio scuro: >20% Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 282 La stabilità diagnostica in psichiatria Tabella 6. Stabilità diagnostica delle diagnosi indice di primo, secondo e terzo ricovero Diagnosi Indice Psicosi schizofreniche Psicosi affettive Stati paranoidi Stati di ansia Disturbi ossessivo-compulsivi Depressione neurotica Disturbi della personalità Sindrome di dipendenza dall’alcol Farmacodipendenza/Tipo morfina Totale (b) primo ricovero N 61 66 22 31 10 79 17 39 12 337 secondo ricovero media (DS) 52,7 (46,27) 45,8 (43,49) 28,5 (42,25) 31,3 (44,78) 45,0 (49,72) 33,0 (41,57) 20,8 (38,86) 64,9 (45,31) 50,0 (47,67) 42,6 (45,11) N 21 32 8 6 6 34 4 12 3 126 media (DS) 79,4 (36,10) (a) 45,4 (41,93) 32,6 (43,90) 73,4 (33,86) 47,7 (44,76) terzo ricovero N 16 18 1 7 2 14 0 9 2 69 media (DS) 76,9 (40,29) 49,9 (44,53) 56,0 (43,66) 59,0 (43,34) (a) p=0,019 (t-test) (b): p=0,006 (t-test) fra queste. Il fatto che il 56% dei pazienti avesse solo due ricoveri ha sicuramente influenzato i risultati a causa della minore ricchezza di informazione; del resto, aumentando il numero di ricoveri aumenta anche la probabilità che le diagnosi siano diverse, e ciò dovrebbe avvenire, nel nostro caso, quanto meno precisamente i criteri di diagnosi vengano presi in considerazione. La misurazione dell’intervallo fra i ricoveri (Tabella 2) è importante, poiche ci dice che la nostra ricerca calcola quasi sicuramente la “long-term stability”, piuttosto che l’“inter-rater agreement” delle diagnosi (5). Criticabile potrebbe invece essere l’esclusione di quelle classi diagnostiche che risultavano avere meno di 10 pazienti; ciò però è stato fatto per rendere più attendibile il dato della media, nello stesso modo della ricerca di Daradkeh (16). Da quella stessa ricerca abbiamo anche preso ad esempio il metodo di calcolo della stabilità che ci sembrava descrivesse con maggior fedeltà la variazione diagnostica. I risultati sulla stabilità, ci mostrano come solo un terzo dei pazienti non aveva variazione nella diagnosi di primo ricovero, mentre quasi la metà aveva due tipi di diagnosi diverse. Stabilità maggiore del dato medio generale (42,6) vi era per le dipendenze da alcol e morfina, le psicosi maggiori e i Disturbi Ossessivo-Compulsivi. La dipendenza dall’alcol è una diagnosi che ha buona stabilità nelle altre ricerche (5, 12, 17) , così come nella nostra; tale dato può essere influenzato (anche per la dipendenza da morfina) dal fatto che spesso tali ricoveri venivano programmati su invio del Sevizio di Alcologia e dal Servizio per le Tossicodipendenze. Anche per Schizofrenia e Psicosi Affettive, la maggiore stabilità si riscontra in gran parte delle ricerche (3, 5, 8, 10, 11, 1416, 29, 32), e in maggioranza gli Autori sono d’accordo sulla buona tenuta di tali diagnosi, anche facendo riferimento a criteri diagnostici diversi o utilizzando diverse metodolgie per fare diagnosi. Diverso è il risultato del confronto per i Disturbi Ossessivo-Compulsivi; tale diagnosi infatti è più stabile di quello che ci si aspetterebbe (4). Nel gruppo delle diagnosi indice meno stabili invece vi erano i Disturbi della Personalità, gli Stati Paranoidi, gli Stati d’Ansia e la Depressione Neurotica. I Disturbi della Personalità erano i più instabili, e ciò in accordo con altre ricerche (5, 12, 15, 17, 27) , l’unico risultato discordante è quello di Links (1993) (13) che riportava per il Disturbo di Personalità Borderline una percentuale del 60%, cioè abbastanza stabile. Si può ammettere però, nel nostro caso, che sia frequente che la diagnosi di disturbo di personalità (che dovrebbe essere lifetime per definizione) venga surclassata, come diagnosi principale, da altri disturbi spesso concomitanti, il che comportava automaticamente la sua eliminazione (diagnosi secondaria). La bassa stabilità dei Disturbi Paranoidi concordava con i dati del lavoro di Kendell (1974) (5) per tale diagnosi, così come in altri lavori (5, 12, 17) si riscontrava una bassa stabilità degli Stati d’Ansia e della Depressione Neurotica (gruppo dei Disturbi Neurotici). Le diagnosi più instabili si spostavano verso altre diagnosi, creando delle “correnti” di scivolamento, come ben visualizzato in Tabella 5. Tali spostamenti sono molto interessanti perché possono mostrare la tendenza a scivolare elettivamente verso altre diagnosi, così da delineare sia comorbidità che aree contigue fra le diagnosi. Gli spostamenti più consistenti avvengono verso le psicosi maggiori; per cui spesso gli Stati Paranoidi e i Disturbi di Personalità ricevevano una successiva diagnosi di Schizofrenia e la Depressione Neu- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 5 283 De Vanna M, et al rotica in un quarto dei casi rientrava fra le Psicosi Affettive. In realtà la Depressione Neurotica è quasi una diagnosi di transito perché verso di essa si riversano moltre altre diagnosi d’Ansia, di Disturbo di Personalità e di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, oltre che dalle stesse Psicosi Affettive. Gli Stati d’Ansia e i Disturbi dela Personalità spesso venivano successivamente diagnosticati come alcolismo. È interessante notare che fra i due gruppi delle psicosi maggiori vi era uno “scambio” reciproco che forse potremmo considerare come area comune in cui i confini diagnostici sono poco definiti. Negli altri casi si può presumere invece che vi sia frequentemente comorbidità, come fra ansia o disturbo di personalità ed alcolismo. I risultati della Tabella 6 sono interessanti invece per capire quanto la migliore conoscenza del caso clinico vada ad incidere sulla stabilità delle diagnosi così da permettere allo psichiatra di meglio definire il quadro clinico, soprattutto in termini di prognosi. Il fatto di non conoscere il paziente in più di una occasione di ricovero potrebbe di fatto essere uno dei fattori che spesso alterano la attendibilità diagnostica, specie per quei disturbi che possono presentare sintomi diversi in fasi diverse. Ciò sembra confermato da un aumento generalizzato del valore della stabilità globale. Per le Psicosi Schizofreniche il secondo ricovero appare importante per stabilizzare la diagnosi, mentre le Psicosi Affettive non sembrano risentirne se la diagnosi viene fatta nel secondo o terzo ricovero, mentre la Depressione Neurotica incrementa la sua stabilità solo se diagnosticata al terzo ricovero. I fattori che aumentano la stabilità della diagnosi purtuttavia possono essere anche negativi, come la tendenza a riformulare la stessa diagnosi del ricovero precedente per pazienti ben conosciuti senza in realtà rimettere in discussione la scelta diagnostica. Le conclusioni di una certa consistenza riguardano quindi soprattutto la conferma di una buona stabilità per le psicosi maggiori e le dipendenze, risultando invece i Disturbi Ossessivo-Compulsivi più stabili di quanto atteso. Per quanto riguarda gli altri disturbi, invece, gli Stati Paranoidi appaiono quasi come una diagnosi in attesa di spostarsi verso le schizofrenia, mentre i disturbi neurotici, e in particolare la Depressione Neurotica, sono diagnosi molto variabili e che facilmente si spostano verso aree “contigue” sintomatologicamente (Psicosi Affettive) o disturbi in comorbidità (alcolismo). L’aumento dell’informazione sul paziente sembra incidere globalmente sulla stabilità, ma solo per alcuni disturbi è realmente importante (schizofrenia), mentre per altri appare ininfluente così da ipotizzare altre fon- ti di variabilità che non quella legata all’informazione. Nonostante i limiti già analizzati di questo studio e della sua metodologia, riteniamo che esso sia di un certo valore, soprattutto perchè affronta un argomento che forse non è così presente in letteratura come dovrebbe. I dati raccolti sono un utile strumento per approfondire le nostre conoscenze sia dal punto di vista del decorso e della storia clinica dei singoli disturbi, sia dal punto di vista di tutti quegli aspetti che concernono la decisione diagnostica da parte dello psichiatra e il momento diagnostico stesso, molto più che mera registrazione di un codice, ma punto di riflessione sul singolo caso clinico, soprattutto per quanto concerne il suo decorso futuro. È su questo infatti che gioca un ruolo di primo piano la stabilità diagnostica ponendosi come essenziale strumento di analisi del processo diagnostico e delle stesse categorie diagnostiche e del loro decorso. BIBLIOGRAFIA 1. Robins E, Guze SB. Estabilishment of diagnostic validity in psychiatric illness: its application to schizophrenia. American Journal of Psychiatry 1970; 126, 107-111. 2. Cooper JE. Diagnostic change in a longitudinal study of psychiatric patients. British Journal of Psychiatry 1967, 113: 129-142. 3. 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