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Spazio espositivo distaccato del Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato
Sostenuto da Regione Toscana | Toscana Promozione
Con il patrocinio del Comune di Prato
INVITO AL VIAGGIO. PARTE 1
PROPOSTE DALLA COLLEZIONE DEL MUSEO: AMBIENTI
Pinot Gallizio, Fabio Mauri, Mario Merz, Superstudio
16 dicembre 2010 - 26 marzo 2011
Il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato riapre l'attività nella sede espositiva distaccata del
Museo Pecci Milano dopo l'anteprima della primavera scorsa dedicata a "Dark Matter", lavoro inedito di Nio
Architecten – autori del progetto di ampliamento della sede museale di Prato che è attualmente in corso di
realizzazione e sarà ultimato nel 2012. Dal 16 dicembre 2010 presenta la mostra INVITO AL VIAGGIO.
PARTE 1 | PROPOSTE DALLA COLLEZIONE DEL MUSEO: AMBIENTI, curata da Stefano Pezzato e
incentrata sull'acquisizione di opere di Pinot Gallizio, Fabio Mauri e Superstudio, che affiancano l'opera di
Mario Merz già inclusa nella collezione permanente, e arricchita da uno Studio per Ambiente spaziale di
Lucio Fontana ad introdurre il percorso espositivo e da una grande intallazione al neon di Massimo Uberti
nel cortile esterno.
La mostra rappresenta la prima parte del più ampio progetto espositivo INVITO AL VIAGGIO, concepito sia
come tema comune alle opere selezionate, sia come metafora dello spostamento spaziale e temporale del
museo, ovvero della sua proposta culturale per un'esplorazione fisica e mentale da parte del pubblico, che
proseguirà con l'inserimento nel mese di febbraio 2011 di opere di Loris Cecchini, Enzo Cucchi, Remo
Salvadori e Gilberto Zorio – artisti a cui in passato il museo ha dedicato mostre personali – al fine di
delineare un'inedita panoramica nell'arte italiana degli ultimi cinquant'anni con particolare riferimento al tema
letterale e simbolico del viaggio.
Attraverso tali aggiornamenti e integrazioni il percorso espositivo si struttura come un'anticipazione in fieri
della collezione permanente che sarà esposta dal 2012 nella rinnovata sede del Centro Pecci di Prato, a cui
è riconosciuto il ruolo di Museo regionale toscano per l'arte contemporanea.
Durante i lavori d'ampliamento del museo di Prato la sede espositiva di Milano, ricavata in un ampio edificio
di archeologia industriale sul Naviglio grande, funzionerà da 'vetrina' nazionale per l'arte contemporanea e le
attività d'eccellenza prodotte in Toscana, il cui ente regionale sostiene il progetto milanese attraverso
l'agenzia Toscana Promozione, a partire proprio dall'esposizione e valorizzazione del patrimonio di opere
raccolte dal Centro Pecci in oltre vent'anni di attività.
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Lucio Fontana (Rosario di Santa Fè, Argentina, 1899 - Comabbio, Varese, 1968)
Studio per Ambiente spaziale, n.d.
Matita su carta, firmato sul retro: L. Fontana
Collezione privata, Prato
L'idea di arte 'spaziale', la ricerca di una 'evoluzione del mezzo' artistico e di una integrazione fra arte e
scienza, l'estensione dell'opera all'ambiente per trascendere la sua materia e condurre lo spettatore ad
un'esperienza totale, sono state introdotte e sviluppate da Lucio Fontana, fondatore e teorico del Movimento
Spaziale, autore fra l'altro di Ambienti spaziali caratterizzati dall'impiego di neon, di luce 'nera' di Wood, di
'tagli' su tela. Nella sua sala personale alla Biennale di Venezia del 1966, interamente bianca, Fontana inserì
un insieme di tele bianche segnate da un solo taglio verticale per "dare a chi guarda il quadro
un'impressione di calma spaziale, di rigore cosmico, di serenità nell'infinito" (L. Fontana).
Massimo Uberti (Brescia, 1966)
ALTRO SPAZIO, 2010
Neon, installazione site-specific
La grande scritta al neon nel cortile del Museo Pecci Milano richiama semanticamente l'opera di Lucio
Fontana e annuncia l'assunzione di un territorio nuovo, letteralmente un "altro spazio" concepito
mentalmente e occupato fisicamente dall'arte, un luogo rivelatorio e metafisico.
A Milano Uberti è anche autore di Dreams of a possible city (2008), l'installazione neon realizzata alla
Fondazione delle Stelline che riproduce in forma reale quanto simbolica – di 'illuminazione' – la pianta della
città ideale di Sforzinda progettata nel Rinascimento (1464 circa) dall'architetto fiorentino Filarete.
Pinot Gallizio (Alba, Cuneo, 1902 - 1964)
Caverna dell'antimateria, 1958-59
Tecnica mista su tele (olio, resine plastiche, solventi, pigmenti, filo di ferro), installazione ambiente
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato
Courtesy Archivio Gallizio, Torino
"La bipolarità concettuale del titolo (La caverna dell'antimateria) ci fornisce già la chiave per accedere ai
significati esoterici dell'opera, dove il termine «antimateria» ci proietta in avanti verso un futuro avveniristico
e meta-scientifico, mentre il termine «caverna» ci riporta alle radici dell'esistenza fisica e spirituale dell'uomo
o, per riprendere la metafora di McLuhan, alla mitica «notte tribale». Da una parte, quindi, abbiamo il
progresso e la scienza, sia pure investiti di un'aura fantastica ed utopistica, e dall'altra la natura profonda e
primordiale dell'uomo". Così scriveva nel 1991 Paola Gioioso sottolineando la componente magica e
simbolica della pittura di Gallizio estesa su scala ambientale per dare forma alla nozione fisica di antimondo:
essa "ci conduce proprio alla frontiera fra due mondi, in due direzioni opposte che, paradossalmente, si
ricongiungono nel punto mitico ed escatologico in cui l'inizio e la fine si toccano e l'uno rinasce dall'altra"
(P. Gioioso).
La pittura d'ambiente è l'esito centrale del percorso artistico di Gallizio il quale, da chimico esperto, pratico di
archeologia e appassionato di alchimia, nel 1957 aveva avviato insieme al figlio Giorgio la produzione di
"pittura industriale" nel Laboratorio Sperimentale di Alba, collegato dal 1955 al Movimento Internazionale per
una Bauhaus Immaginista e successivamente all'Internazionale Situazionista. Si tratta del primo esempio di
"partenogenesi" applicata alla pittura nel tentativo di "dominare la macchina ed obbligarla al gesto unico,
inutile, anti-economico, artistico, per creare una società anti-economica ma poetica, magica, artistica"
(P. Gallizio). Ne risultava, come scrisse Gallizio al gallerista parigino René Drouin nel corso della sua
preparazione, una "pittura atomizzata, letteralmente disintegrata - bombardata", associabile alla
combinazione di spirituale e materiale proposta dal gruppo Gutai, al dripping eseguito "dentro al dipinto" da
Jackson Pollock, all'automatismo violento messo in azione da Georges Mathieu (conosciuti attraverso
mostre alla galleria Notizie di Torino), "generando sui fondi delle variazioni in toni lisci e scuri sovrapposte a
materia in eruzione come lava verde-muffa bordata anzi slabbrata in gialli-zolfo, un colore instabile e
continuamente in moto come i ghiacciai" (P. Gallizio).
Alla Galerie Drouin di Parigi nel maggio 1959 Gallizio presentò la costruzione ambientale della Caverna
completamente ricoperta da 145 metri di "pittura industriale" prefigurando "la preistoria della cosiddetta era
atomica" e annunciando l'annullamento delle divisioni spazio-temporali nell'antimateria e lo sviluppo di "un
mondo in formazione" nel quale "le reazioni a catena descritte sulle lunghe pareti" riportavano alle
"medesime condizioni di terrore dei fatti materiali come gli uomini del Paleolitico la gente delle caverne che
[...] dalla grande Paura disegnavano e dipingevano con acuto senso magico le loro caverne anche loro per
scoprirne l'enigma" (P. Gallizio).
L'installazione ambiente, esposta nella restrospettiva di Gallizio alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino
nel 1974, in mostre dedicate all'artista a Torino nel 1990 e 1992 e ad Alba nel 2005, in un'ampia ricognizione
sull'Internazionale Situazionista al Centre Georges Pompidou di Parigi e all'Institute of Contemporary Arts di
Londra nel 1989, dal dicembre 2010 è concessa in comodato al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
di Prato.
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Fabio Mauri (Roma, 1926 - 2009)
Luna, 1968
Perlinato di polistirolo, installazione ambiente
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato
Courtesy Studio Fabio Mauri  Associazione per l'arte L'esperimento del mondo
"Fabio Mauri, entro uno spazio chiuso cui si accedeva da un boccaporto ovoidale, a mo' di astronave,
cosparse il fondo di perlinato di polistirolo, tra cui i piedi dei visitatori affondavano, a immagine del suolo
lunare, dove ci si poteva anche sedere o distendersi, con il polistirolo che si attaccava ai vestiti. Il titolo era
Luna, l'allunaggio avvenne poco dopo". Così Maurizio Calvesi descrisse l'installazione ambiente nel catalogo
della mostra Roma anni '60. Al di là della pittura (Palazzo delle Esposizioni, Roma 1990). Era stato lo stesso
Calvesi a presentarla nel maggio del 1968 presso la Galleria La Tartaruga di Roma, all'interno del ciclo di
azioni e installazioni intitolato Teatro delle Mostre: "una dimensione più che inconscia, quasi onirica, con
denominatore sociale, aveva anche l'operazione di Fabio Mauri... la luce entrando da due aperture, e
specchiandosi nel bianco, forniva gli estremi di una nozione abituale, il chiaro di luna; invece il polistirolo, su
cui si doveva camminare, con la sua consistenza imprevedibile, agiva fisicamente, come sorpresa, e nella
sorpresa consentiva di verificare la nozione puramente mentale e ipotetica della polvere lunare"
(M.
Calvesi).
Per tre settimane, in quel fatidico maggio '68, gli artisti invitati da Plinio de Martiis si susseguirono
proponendo quotidianamente montaggi e smontaggi di allestimenti ambientali che trasformavano la galleria
d'arte in 'teatro', estendendo l'esperienza estetica dalla sfera personale a quella sociale, collettiva. Luna
'proiettava' fisicamente il pubblico all'interno di un mondo artificiale rompendo i limiti fra le esperienze reale e
virtuale, fra i ruoli dello spettatore e dell'attore. Qualche mese dopo, il 20 luglio 1969 una memorabile diretta
televisiva celebrò nel mondo occidentale lo sbarco dei primi uomini, gli astronauti americani dell'Apollo 11,
sulla superficie lunare.
Riproposta al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1970 nella mostra Vitalità del negativo nell'arte italiana
e alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma nel 1994 nella retrospettiva di Mauri, l'installazione
ambiente è stata riallestita a Prato nel 2008 in occasione del ventennale del Centro per l'arte contemporanea
Luigi Pecci, all'interno della mostra 1988. Vent'anni prima, vent'anni dopo, dove era associata a uno
Schermo, opera coeva dell'artista che rimanda al contenitore televisivo e, più in generale, a una riflessione
sulla realtà manipolata, surrogata dai massmedia e a un'indagine sul "mezzo", rappresentato appunto dallo
schermo, come "messaggio" in linea con i testi di Marshall McLuhan pubblicati negli anni Sessanta.
Dagli anni Settanta Mauri incentrerà la propria ricerca su ricognizioni della storia culturale del XX secolo e
sulla comprensione del problema storico dell'ideologia attraverso opere e azioni complesse che,
analogamente a Luna, attiveranno la partecipazione dello spettatore, il suo coinvolgimento nello spettacolo
in presa diretta di arte e vita. Una serie di performance dell'artista fu proposta al Centro Pecci di Prato in
occasione della mostra diffusa Inside Out. Museo Città Eventi nel 1993.
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Mario Merz (Milano, 1925 - 2003)
La spirale appare, 1990
Ferro, fascine, vetro, neon, giornali, installazione ambiente
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Acquisto
In occasione della sua mostra personale al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, intitolata Lo
spazio è curvo o diritto (1990), Mario Merz ha realizzato un progetto ideato vent'anni prima per il Museum
Haus Lange di Krefeld disegnato da Mies van der Rohe e pubblicato in un libro d'artista (Fibonacci 1202
Mario Merz 1970, Sperone, Torino 1970) che prevedeva di superare i limiti fisici dell'edificio museale
inglobandolo in un'unica grande spirale.
La spirale appare è un frammento dell'installazione originaria creata a Prato, la coda di una spirale lunga
trecento metri, “un’opera totale” che espandendosi da un nucleo ideale fluiva dalla piazza esterna incidendo
e unificando l'intero spazio del museo al primo piano dove erano inserite altre opere realizzate dall'artista.
Presente in varie forme nell’opera di Merz, sin dagli esordi nell’ambito di una pittura di matrice
espressionista, l’immagine della spirale rappresenta la sigla distintiva del suo lavoro visualizzando la serie
numerica scoperta nel 1202 dal matematico Leonardo da Pisa detto Fibonacci secondo cui, procedendo da
1 all'infinito, ogni cifra è il risultato della somma delle due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13…), eletta da Merz a
simbolo privilegiato dell’energia vitale insita nella materia e della crescita naturale.
Nella disposizione conferitagli dall’artista, la forma della spirale è suggerita dall’andamento curvilineo degli
elementi che la compongono, instaurando una nuova relazione dinamica con lo spazio, incontrando e
oltrepassando il muro con l’accelerazione della sua energia. Le esili fascine di faggio e castagno evocano
con la loro “ombra furiosa” la quotidianità e lo scorrere ciclico del tempo, mentre la struttura portante in ferro
che le sostiene verticalmente definisce quasi in trasparenza il confine tra spazio interno ed esterno,
sottolineato da una sequenza di archi metallici che rimandano alle calotte degli igloo, a uno “spazio assoluto
in se stesso: non è modellato, è una semisfera appoggiata a terra” (Mario Merz). La luce al neon, introdotta
intorno alla metà degli anni Sessanta ad attraversare tele e oggetti sprigionandone l’energia potenziale,
costituisce l’elemento unificante che, scorrendo attraverso la progressione dei numeri di Fibonacci (da 1 a
10946), annulla l’inerzia del vetro e il peso delle pile di giornali, copie di un quotidiano locale scelto a
rappresentare la città di Prato (versione del 1998 riproposta dallo stesso artista nel riallestimento della
collezione del Centro Pecci), trasformate da materia di scarto in un insieme di immagini fluide che
documentano il rumore e il disordine quotidiano della società.
Riassumendo in se l’intera poetica dell’artista, La spirale appare avvolge organicamente lo spazio, ne mina
la solidità e la finitezza introducendovi l’infinita prolificità della natura e la sua drammatica fragilità. Con il suo
aspetto volutamente frammentario, quest’opera continua a tramandare una storia quotidiana e universale
ribadendo, con enfasi e poesia, uno tra gli assunti più significativi di tutta l’opera di Merz, quello del poeta
mistico Rumi, trascritto dall’artista con tubi di luce al neon, che recita: Se la forma scompare, la sua radice è
eterna…
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Superstudio
(Gruppo attivo a Firenze fino al 1978; fondato da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia nel 1966;
con Roberto Magris dal 1967, Gian Piero Frassinelli dal 1968, Alessandro Magris dal 1970, Alessandro Poli
nel 1970-1972)
Supersuperficie, 1971-72
Film 35 mm riversato in dvd, realizzato per il MoMA di New York
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Courtesy Archivio Superstudio, Firenze
Italy: The New Domestic Landscape, 1972
Disegno e collage, progetto originale del microambiente realizzato per la mostra al MoMA di New York
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Comodato Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Atti fondamentali, 1971-73
Collage
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Comodato Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Niagara o l'architettura riflessa, 1970
Stampa numerata
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Comodato Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Il monumento continuo - New New York, 1969
Stampa numerata
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Comodato Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Istogrammi d'architettura, 1969-70
Stampa numerata e non numerata
Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Comodato Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Supersuperficie conclude un'articolata ricerca per immagini sviluppata da Superstudio tra la fine degli anni
Sessanta e i primi Settanta nell'intento di sperimentare le "possibilità dell'architettura" di agire non solo come
attività risolutiva ma come strumento di conoscenza. L'atteggiamento critico nei confronti della disciplina
spinse il gruppo fiorentino a visualizzare progressivamente "idee di architettura non fisica" (Adolfo Natalini),
tra le quali figurano, dopo il periodo della Superarchitettura (1966-68), la generazione automatica “non
figurativa” di un sistema quantitativo di "diagrammi tridimensionali non-continui" (Istogrammi di architettura,
1969), l'elaborazione di un modello architettonico di urbanizzazione totale (Monumento continuo, 1969-70),
l'applicazione spaziale degli effetti illusionistici degli specchi (Architettura riflessa, 1970), l'estensione utopica
dell'architettura nello spazio astrale (Architettura interplanetaria, 1971), che nel loro insieme costituiscono le
premesse al progetto di Supersuperficie.
Seguirono le visioni di 12 Città Ideali (1971) proposte da Superstudio come "premonizioni della rinascita
mistica dell'urbanesimo", a cui nel 1972 fece eco la pubblicazione del libro Le città invisibili di Italo Calvino, e
la "parabola letteraria" di cinque Atti fondamentali incentrati sui temi rituali di Vita, Educazione, Cerimonia,
Amore, Morte (1971-73) sviluppati come "presupposti necessari a una rifondazione filosofica e antropologica
dell'architettura della città" (Roberto Gargiani). In simultanea a queste ultime ricerche, il progetto di
Supersuperficie giunse a prefigurare "un modello alternativo di vita sulla terra" attraverso quella che
Cristiano Toraldo di Francia ha definito "un'altra visione limite: una nuova realtà, che persi i suoi connotati
solido-meccanici, oggettuali, di architetture come supporti tridimensionali di vita, si distribuisce su una griglia
neutra, virtuale, di flussi di informazione e di energia come supporto di una organizzazione debole del
territorio. Partendo dall’ipotesi del pianeta reso omogeneo attraverso una rete di energia e di informazioni, si
ipotizzava un processo riduttivo per l’architettura ed un diverso controllo dell’ambiente senza il necessario
impiego di sistemi tridimensionali".
Il nuovo habitat proposto da Superstudio portava al limite studi, suggestioni e rimandi che vanno dai modelli
urbani adottati dai Situazionisti ("bidonvilles, drop-out city, campings, baracche, tendopoli o cupole
geodesiche") alle tendenze comunitarie degli hippies e dei provos indicate pure da Achille Bonito Oliva nel
saggio Il territorio magico pubblicato nel dicembre 1971, dalle concezioni fantascientifiche ed effimere degli
Archigram alle attrezzature per missioni spaziali e sottomarine, dai congegni tecnologici per potenziare le
capacità umane ai sistemi scientifici per espandere l'energia ed estendere le comunicazioni.
Il film e il progetto di microambiente – "una stanza come campione di Supersuperficie" – che fu realizzato
per la mostra Italy: The New Domestic Landscape allestita nel 1972 al MoMa di New York e sarà ricostruito
dal Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, evocano profeticamente la possibilità di vivere in "un
mondo senza prodotti e rifiuti, una zona in cui la mente sia energia, materia prima e anche prodotto finale,
l'unico intangibile oggetto di consumo" (Superstudio).