Cipressi con due figure
Transcript
Cipressi con due figure
Nelle regioni del Sud, le forme slanciate, scure e sgargianti dei cipressi s’incontrano di frequente. L’albero – un sempreverde – può raggiungere età elevate. Nell’antichità classica il cipresso era associato a varie divinità, tra le quali la più importante era il dio Crono, padre di Zeus, il dio che simboleggiava la vecchiaia. Il cipresso è simbolo sia di longevità – e nel mondo cristiano di speranza in un aldilà – sia della morte. Il mito racconta che il giovane cacciatore Ciparisso venne trasformato in albero, a cui venne dato il nome di cipresso, per aver ucciso accidentalmente un cervo mansueto, dono di Apollo. Nei paesi mediterranei, il cipresso, albero funereo per eccellenza, si trova soprattutto vicino ai cimiteri. Nel 1800 fu l’artista tedesco Arnold Böcklin (1827-1901) a darne un’indimenticabile rappresentazione, dipingendoli come giganti misteriosi e luttuosi nel famoso quadro L’isola dei morti. È fuori dubbio che Van Gogh alludesse, nei suoi quadri, al cipresso come simbolo di morte. Ed è una cosa che ci si potrebbe aspettare, considerando i suoi eccessi di estrema malinconia. Ma forse la sua incessante ricerca di una pittura in qualche modo consolatoria, compensatrice gli impedì di scegliere un soggetto eccessivamente triste, anche se a volte non mancano i riferimenti proprio a tali significati simbolici. Ad Arles, Van Gogh incluse i cipressi in due soli quadri, ma soltanto per la loro capacità di frangivento, come in Albero in fiore circondato da cipressi (F513). In altri quadri di questo periodo, i cipressi conferiscono una nota cupa allo sfondo (lettera 692/541, 27 settembre 1888). Solo a Saint-Rèmy dipinse i cipressi come soggetto in sé, apparentemente considerandoli come una sfida pittorica. Il 25 giugno 1889 scrisse a Theo: «Qui abbiamo avuto delle giornate molto calde e ho iniziato altri due quadri, in modo che ora sto lavorando a 12 tele da 30. Due studi di cipressi di quella sfumatura difficile verdebottiglia, ho lavorato i primi piani con degli impasti di bianco biacca, che danno fermezza al terreno. Credo che spesso i quadri di Monticelli fossero preparati così. Sopra poi si passano altri colori. Ma non so se le tele sono abbastanza resistenti per un lavoro simile» (lettera 785/596). I due studi di cui parla sono il quadro ora a New York (Cipressi, F613), e questo Cipressi con due figure. Insieme a Campo di grano con mietitore e sole (F617) che iniziò nello stesso periodo, essi appartengono ai suoi lavori più pastosi, dipinti, come dice Pickvance in «bassorilievo». Prosegue la lettera: «I cipressi sono sempre nei miei pensieri, vorrei fare una cosa come i quadri con i girasoli e mi stupisce che nessuno li abbia ancora fatti come io li vedo. Sono belli come linee e come proporzioni e somigliano a un obelisco egiziano. E il verde è così particolare. Rappresenta la macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note nere più interessanti, fra le più difficile da indovinare tra tutte quelle che posso immaginare.» Se, con queste parole, Van Gogh intendeva dire che vedeva i cipressi come controparte dei girasoli, simbolo di riconoscenza, speranza, amicizia – allora sembra che faccia riferimento alla malinconia e al dolore tradizionalmente associati al cipresso. Avrebbe potuto anche avere in mente qualcosa di molto personale circa l’esecuzione tecnica, qualcosa di simile a ciò che aveva fatto con i girasoli, e forse stava lavorando sull’idea di un progetto decorativo che avrebbe dovuto consistere in una serie di cipressi. Secondo Druick e Zegers, Van Gogh allude al cipresso come simbolo della morte, così come aveva fatto con il mietitore nel quadro contemporaneo Campo di grano con mietitore e sole. L’artista, infatti, aveva espressamente collegato questo quadro con la morte come momento di passaggio nel ciclo della vita eterna, cosa che però non ha fatto con i cipressi dipinti in questo periodo. Sette mesi dopo, durante una nuova ricaduta nella malattia, si espresse più chiaramente, quando il 2 febbraio 1890, ritornò sul tema dei girasoli: «Per fare belle cose è necessaria una certa dose di ispirazione, un raggio dall’alto, e non dipende da noi. Quando ho fatto quei girasoli, cercavo il loro contrario e mi dicevo: i cipressi» (lettera 851/625). Questo passaggio è tratto da una lettera che contiene la reazione di Van Gogh a un articolo su di lui pubblicato nel gennaio sulla nuova rivista «Mercure de France». L’articolo, Les Isolés: Vincent van Gogh, il primo scritto serio sull’artista, è firmato dal giovane poeta e critico Albert Aurier. Van Gogh ne fu molto sorpreso ma non completamente soddisfatto. Riteneva che Aurier lo avesse lodato troppo e che lui in realtà non era ancora andato così lontano con la sua pittura, cosa questa che si augurava si sarebbe verificata in futuro. Aurier diede una descrizione ampia del lavoro di Van Gogh; lo lodò come pittore poeticamente realista, la cui capacità di fondere la realtà con la proprio volontà non aveva paragoni. «Un articolo come quello ha il suo merito in sé come una forma di criticismo d’arte», scrisse a Theo «e come tale penso che vada rispettato e lo scrittore deve aumentare i toni.» Aurier aveva parlato dei cipressi: «sono cipressi che si ergono con le loro sagome inquietanti e fiammeggianti che dovrebbero essere nere.» Vincent scrisse, con approvazione: «Anche Aurier lo sente quando dice che anche il nero è un colore e parla del loro aspetto di fiamma». Alla fine della lettera chiese a Theo di ringraziare Aurier: «Ringrazia molto il signor Aurier del suo articolo, ti manderò due righe per lui e uno studio.» Lo studio in questione è, quasi sicuramente, questo quadro, Cipressi con due figure. A settembre Van Gogh aveva spedito lo studio che ora è a New York a Theo, e probabilmente Aurier l’aveva visto lì. Van Gogh tenne per sé l’altro studio. Aggiunse due figure femminili nello studio per Aurier, fece una copia per sé più piccola e anche un disegno (F1525a) e, alla fine di aprile, spedì il quadro a Theo che lo fece avere a Aurier. Il 10 o 11 febbraio Van Gogh aveva scritto ad Aurier una lettera nella quale lo ringraziava e spiegava: «Lo studio che ho intenzione di mandarle rappresenta un gruppo di cipressi in un angolo di un campo di grano in una giornata d’estate con il mistral. C’è dunque la nota di un certo nero indefinito nel blu in movimento a causa della grande circolazione d’aria e a questa nota nera si contrappone il rosso dei papaveri. Vedrà che, nell’insieme, ciò costituisce i colori di quei tessuti scozzesi a quadri verdi, blu, rossi, gialli e neri che a lei come a me, tempo fa, erano parsi così incantevoli e che purtroppo oggi non si vedono più» (lettera 854/626a). Non c’è nessun tono malinconico in questa descrizione, anche se Van Gogh aggiunse: «Sinora non sono riuscito a farli come li sentivo; l’emozione che mi prende quando sono davanti alla natura arriva quasi a farmi svenire e dopo, per quindici giorni sono incapace di lavorare.» È questa profonda lotta interiore che lo fa dubitare delle sue capacità, una lotta estenuante fra realtà e sogno che, nel migliore dei casi, potrebbe produrre un artista ispirato. Contemporaneamente, scrisse anche a Theo: «L’articolo di Aurier mi incoraggerebbe se osassi lasciarmi andare e rischiare di uscire ancora di più dalla realtà e a fare con il colore come una musica di toni, come sono certi quadri di Monticelli. Ma la verità mi è così cara e il cercare di fare dal vero anche, insomma credo di preferire ancora essere calzolaio che musicista dei colori» (lettera 855/626, 10 o 11 febbraio 1890). Nella lettera che spedì ad Aurier, Van Gogh gli diede anche tutta una serie di indicazioni sul quadro: «Quando lo studio che vi invierò sarà ben asciutto, anche negli impasti, cosa che non avverrà prima di un anno, credo che fareste bene a dargli una mano di vernice. Nel frattempo bisognerà lavarlo per eliminare completamente l’olio. Questo studio è dipinto in pieno blu di Prussia […]. Quando le tonalità blu di Prussia saranno secche, con la vernice otterrete le tonalità nere, nerissime, necessarie per far risaltare i diversi verdi scuri» (lettera 854/629a). Sebbene Van Gogh avesse descritto il cipresso come una nota scura nel paesaggio soleggiato, usò raramente il colore nero. Era d’accordo con Aurier nel considerare il nero un colore ma preferiva il blu di Prussia per tonalità scure e profonde. Rispetto alla cornice suggerì che «una cornice piatta, molto semplice, di colore arancio vivo» avrebbe armonizzato bene con gli azzurri del fondo e i verdi scuri degli alberi, ottenendo l’effetto dei tessuti scozzesi. Non si sa se Aurier seguì queste indicazioni. L’esame tecnico ha rivelato tracce, nei cipressi e nel cielo, di strati di una vernice marrone che potrebbe essere autentica. Ma a causa dei verdi scuri degli alberi non è possibile determinare il numero di strati di vernice per mezzo dei raggi ultravioletti. © Linea d’ombra 2008