principessa e il ranocchio
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PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO (LA) RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA Editore S.A.S. Via Bonomelli, 13 - 24122 BERGAMO Tel. 035/320.828 - Fax 035/320.843 - Email: [email protected] 1 Regia: Ron Clements, John Musker Genere: Animazione - Origine: Stati Uniti d'America - Anno: 2009 - Soggetto: Don Hall (supervisione) - Sceneggiatura: Ron Clements, John Musker, Greg Erb, Rob Edwards, Jason Oremland - Musica: Randy Newman - Montaggio: Jeff Draheim - Durata: 97' - Produzione: Walt Disney Animation Studios - Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures, Italia (2009) La principessa non è affatto principessa: è una cameriera nera, figlia di camerieri neri dominati dal sogno d'avere un proprio ristorante, che ha messo diadema e abito scollato per una festa mascherata. Quindi baciando il ranocchio non lo trasforma affatto in principe: è anzi lei a diventare ranocchia e ad affrontare in coppia gracidante molte peripezie. Alla coppia di ranocchi si unisce un coccodrillo che sa camminare eretto sugli arti posteriori, suonatore di tromba così bravo che viene accolto in un gruppo di jazzisti: siamo infatti a New Orleans (così le vittime di Katrina dovrebbero sentirsi gratificate) negli Anni Venti, e si capiscono gli interventi voodoo truffaldini o autentici, musica e balli. Così alterata, la fiaba dei fratelli Grimm diventa un musical. Il suo significato (l'amore può redimere con un simbolico bacio da ogni condizione di inferiorità) si capovolge in una specie di parità poco augurabile. La principessa vera è la stupida padroncina della protagonista; il principe è uno scemo. Più brillante, anche se imbroglione e bugiardo matricolato, appare il dottor Faciler: magari non è dotato di poteri magici, ma è in contatto con alcune divinità voodoo che non hanno di lui alcuna stima, e molto dinamico. Più divertente, come sempre, la serie dei personaggi minori, caratteristi oppure personaggi del mondo animale ideati con fantasie e con grazia. Più allarmante una sacerdotessa voodoo cieca (nasconde la mancanza di vista dietro occhiali da sole alla moda), niente affatto simpatica, piuttosto sgangherata come modi di fare, ma alla fine benevola: si tratta sempre di una favola, il lieto fine non può mancare. Il disegno dell'animazione accentua la corrività Disney con un gusto convenzionalmente caotico, da pubblicità. Il film, realizzato dal terzetto di successo Ron Clemens, John Musker e Randy Newman per le musiche, non è in 3D ma in 2D alla vecchia maniera. Non si saprebbe dire se "La principessa e il ranocchio" risulti più o meno piacevole per i bambini: le allusioni o implicazioni culturali sembrano un po' troppo numerose, ma la musica e alcuni personaggi sono buffi e vivaci. La Stampa - 18/12/09 Lietta Tornabuoni Toh guarda, la vecchia Disney! Fortemente voluto dal produttore padre dell'animazione al computer John Lasseter, "La principessa e il ranocchio" di Musker & Clements (già responsabili de "La sirenetta", ma lontani dalla regia da "L'isola del tesoro", 2002) è un felice ritorno al disegno a mano. Era da "Mucche alla riscossa" (1994) che lo studio di Zio Walt non recuperava il lavoro manuale. E poi ci sono i numeri musicali, il ritmo più dolce, meno eccentricità a tutti i costi, zero stress da citazionismo cinefilo, niente rutti e peti (uno solo: piccolino) e più guerra dei sessi. Le giovani donne andranno in sollucchero, anche perché siamo in una frizzante New Orleans al femminile, poco prima e dopo la Grande Guerra, e la protagonista è una ragazza di colore che canta: "Io ce la farò! Il lavoro è duro ma prima o poi avrai quello che vuoi!" (ricorda qualche afroamericano di successo?). Tiana ha un sogno: aprire un ristorante dove servire la mitica zuppa del papà morto in guerra cui lei aggiungeva un pizzico di piccante. Ma la banca classista le chiede più soldi. Per cui, quando un ranocchio le offre del denaro pur di baciarlo per tornare il principe che era, Tiana che fa? Lo bacia e diventa ranocchia anche lei. Ahi ahi ahi. Il principe, un bellimbusto viziato erede al trono dell'immaginario regno di Maldonia, era rimasto fregato da un mago vudù detto Uomo Ombra (il viso ricorda Samuel L. Jackson) messosi d'accordo con il segretario frustrato del rampollo al termine del numero canterino da applausi: 'I miei amici dell'aldilà'. Ecco una storia coi fiocchi, piena di colpi di scena e senza vuoti di sceneggiatura (vedi "Astro Boy"). Diventati ranocchi, l'alacre Tiana e il principe smidollato Naveen vivranno un'avventura in palude che ricorda "Bianca e Bernie". Infatti anche qui c'è un alligatore musicista (suona la tromba e si chiama Louis come Armstrong) che li aiuterà insieme a una lucciola squinternata innamorata di una stella (Ray: il personaggio più emozionante). Riusciranno i nostri eroi a tornare umani e capire la differenza tra quello che vogliono e quello di cui hanno bisogno? Primo cartoon della casa di Topolino che presenta una principessa di colore. Perché Lasseter è un genio? Perché il padre della Pixar sa che siamo tutti figli di Walt Disney. Questo è il suo omaggio al maestro. Con un pizzico di Obama. Il Messaggero - 18/12/09 Francesco Alò C'era stata "Pocahontas", la principessa pellerossa. Ma una principessa di pelle nera, alla Disney non s'era mai vista. Effetto dell'era Obama? Parrebbe proprio di no, perché al film "La principessa e il ranocchio" ( diretto da Ron Clements e John Musker) i premiati studi d'animazione californiani stavano già lavorando da molto tempo, ben prima che si affacciasse la possibilità di un presidente afroamericano... Dunque, non si tratta di politically correct, ma di pura inventiva made in Disney. Inventiva che si prende la libertà di lavorare in profondità sul testo dei fratelli Grimm, trasportando la vicenda nella New Orleans degli anni 10-20. Musica (e che musica: jazz, blues, gospel... e ancora di più!) a tutto campo; disegni precisi, rotondeggianti e accattivanti, come nella migliore old tradition della casa. Già, ma che c'entra la principessa nera? E soprattutto, è davvero una giovane di sangue reale? Niente affatto, è nobile solo di sentimenti, perché in realtà fa la cameriera. Lavora sodo, mettendo via tutti gli spiccioli delle mance per realizzare un grande, praticissimo sogno: aprire un ristorante tutto suo. Le variazioni non sono finite. La più simpatica è sicuramente quella del bacio al ranocchio-principe (un gran bellone senza un quattrino), che trasforma anche la cameriera in una verde ranocchia. E poi c'è la consueta compagnia di giro, composta da un alligatore ciccione che suona la tromba divinamente, una lucciola sdentata che scambia la stella della sera per un'avvenente lucciolina da amare, un catti-cattivone che risponde al nome di dottor Facilier che ne sa e ne fa una più del diavolo attraverso paurosi riti voodoo. Insomma, la verve dei prodotti migliori, con i genitori-spettatori che si godono la musica e le inevitabile, numerosissime strizzatine d'occhio 'citazionistiche'. E i bambini, beati, ignari di postmoderno e cultura pop, che si gustano le semplici avventure dei ranocchi. Infatti, that's the problem: come faranno a ritornare umani? Il Sole 24Ore - 20/12/09 Luigi Paini È giunta l'ora della buona novella e forse troveranno pace coloro che intonano da anni la geremiade sull'animazione supercomputerizzata 'che non è più quella d'una volta'. Pur dissentendo sul dogma ("Wall-E" e "Up" sono capolavori senza se e senza ma), è giusto registrare il tuffo al cuore provocato da "La principessa e il ranocchio" che segna il ritorno della Disney allo spirito antico dello stile 2D con i disegni fatti a mano. Sino dalle prime immagini della classica fiaba dei Grimm rivisitata - conservandone solo il nucleo - dai registi di "La Sirenetta" e "Aladdin" Ron Cle- ments e John Musker nonché musicata dal premio Oscar Randy Newman, gli spettatori di una certa età riproveranno infatti le tanto rimpiante sensazioni dei cartoni animati del mito disneyano, con tutta la loro dote d'impennate visionarie, fantasie coreografiche, riferimenti pittorici, irresistibili personaggi umani e animali portatori di semplicistiche quanto irresistibili equazioni morali e sentimentali. Il team capeggiato da John Lasseter (proprio il demiurgo dell'avveniristica Pixar) non si limita a concedersi un contropiede nostalgico, bensì riattiva con passione il meccanismo originale, appena aggiornando anche con l'inevitabile dose di politicamente corretto - gli spunti fiabeschi, i climax drammatici e gli inserti farseschi che da "Biancaneve" & company s'erano estesi sino al revival di fine anni Ottanta. Dunque Tiana è una bella nera di New Orleans che fa la cameriera e come sogno romantico coltiva quello di aprire un ristorante in nome e per conto dell'amato papà defunto; mentre il principe si chiama Naveen, è squattrinato ed è capitato laggiù in Louisiana a caccia di una moglie e di una dote. Peccato che il cattivo di turno, il malefico esperto di vudù dottor Facilier, lo raggiri e poi trasformi in ranocchio e che il malcapitato, scambiando Tiana per principessa nel corso delle follie del Carnevale, da lei implori e riceva il fatidico bacio. Con l'inedito e imprevedibile risultato di far mutare anche la ragazza in una grintosa e loquace ranocchia. Il film a questo punto ingrana decisamente la strada del musical, scatenando sugli sfondi delle famose paludi del bayou una sarabanda indiavolata, ma anche raffinata in quanto scandita da preziose cascate di jazz, blues, dixieland e gospel. S'intende che la coppia sia come sempre supportata da personaggi strepitosi che interferiscono a vario titolo nella lotta di liberazione dall'incantesimo, dalla grottesca e superviziata amica Charlotte al ciccione trombettista coccodrillo Louis, dalla vegliarda Mama Odie alla lucciola sdentata e innamorata di una stella Ray. L'arma vincente di "La principessa e il ranocchio" sta nella scelta di un set iper- realistico e insieme immaginario: un mondo dove modernità e superstizione si fronteggiano senza pause, la stregoneria contende il proscenio all'arte e la natura non accetta di piegarsi all'arroganza umana. Un mondo dove le vere voci (meglio le americane, ma non se la cavano male quelle italiane di Karima Ammar, Pino Insegno, Luca Ward, Luca Laurenti e Sergio Cammariere) sembrano finte al cospetto delle figure disegnate. Il Mattino - 18/12/09 Valerio Caprara