fondamenti normativi per la costruzione di un sistema

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fondamenti normativi per la costruzione di un sistema
FONDAMENTI NORMATIVI PER LA COSTRUZIONE DI UN SISTEMA INTEGRATO DI LIFELONG LEARNIG Le politiche di attuazione del lif long learnig devono essere inquadrate nel contesto Europeo, Nazionale, regionale e locale e affondano le loro radici a partire dagli anni ’90. Siamo partiti da una Europa economica e l’obiettivo era, ed è tuttora, quello di arrivare ad una Europa anche sociale all’interno della quale l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita ha assunto un ruolo centrale finalizzato sia allo sviluppo economico che alla crescita individuale, alla partecipazione attiva alla vita sociale, alla affermazione dei diritti di cittadinanza, all’inclusione sociale In questo quadro la formazione degli adulti non ha più come destinatari solo i settori sociali culturalmente o professionalmente svantaggiati, ma, riguarda l’intera popolazione adulta. EVOLUZIONE DEL CONTESTO COMUNITARIO Nel corso degli anni ’90 (trattato di Mastrich del ’92, Consiglio europeo di Essen del ’94, Consiglio europeo di Amsterdam del ’97) l’occupazione e la formazione sono state individuate come questioni di interesse comune degli Stati membri della Commissione. I Consigli europei e i vertici che si sono succeduti dal 1997 a tutto il 2002 hanno contribuito a definire orientamenti e obiettivi della strategia europea per l’occupazione e per lo sviluppo a partire dalla conoscenza. Le tappe fondamentali di questa elaborazione sono state: •
“L’anno europeo per l’istruzione e la formazione lungo il corso della vita” (1996) e la “Comunicazione della Commissione europea per un’Europa della conoscenza” (1997), con cui viene confermata in ambito comunitario la strategia della formazione permanente attraverso il perseguimento di 5 obiettivi prioritari: 1)
L’acquisizione di nuove conoscenze 2)
L’avvicinamento della scuola all’impresa 3)
La lotta contro l’esclusione sociale 4)
La promozione dell’apprendimento delle lingue 5)
Gli investimenti in formazione •
IL Vertice di Lussemburgo (Novembre 1997) ha approvato i primi orientamenti per l’occupazione che hanno consentito l’individuazione di 4 settori prioritari di intervento 1)
Occupabilità 2)
Imprenditorialità 3)
Adattabilità 4)
Pari opportunità Su queste priorità sono state poi modulate le tipologie di intervento e le risorse comunitarie. •
La “ Conferenza internazionale sull’educazione degli adulti di Amburgo” (Luglio 1997) ha indicato, nel testo conclusivo, come obiettivi: 1)
Il recupero culturale del drop‐aut 2)
L’integrazione sociale e culturale delle fasce deboli 3)
Il contrasto della disoccupazione 4)
L’accoglienza degli immigrati e lo sviluppo della società interculturale E viene sottolineata l’importanza del superamento delle barriere tra educazione formale, non formale, informale. I valori di riferimento sono il diritto di tutti alla cittadinanza attiva e alla crescita professionale. •
Il “Consiglio Europeo di Lisbona” (Marzo 2000) ha affermato che la strategia della formazione permanente e, al suo interno, della formazione continua per il lavoro, è una risorsa fondamentale per assicurare lo sviluppo di “un’economia, basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo”, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile caratterizzata dalla crescita dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale. Vengono quindi individuati alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2010 quali: 1)
Tass0 di occupazione al 70% 2)
Tasso di occupazione femminile al 60% E l’attivazione delle seguenti azioni: 1)
Lo sviluppo delle competenze di base 2)
Il padroneggia mento delle tecnologie dell’informazione 3)
L’apprendimento delle lingue straniere 4)
La diffusione della cultura tecnologica 5)
L’evoluzione delle competenze sociali •
Il “Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente della Commissione europea” (ottobre 2000). Questo documento è un punto di riferimento essenziale per le politiche concrete di tutti i paesi membri. La formazione degli adulti viene definita come liflong learning (apprendimento lungo tutto l’arco della vita), ma anche come lifewide learning (apprendimento in tutti i versanti della vita); non si limita quindi all’aggiornamento e sviluppo delle competenze professionali per il lavoro ma è finalizzato anche al conseguimento degli strumenti culturali che mettono in grado di misurarsi con la complessità crescente della vita sociale e dell’esercizio dei diritti/doveri di cittadinanza. •
La “Comunicazione della Commissione‐ Parametri di riferimento europei per l’istruzione e la formazione: seguito al consiglio Europeo di Lisbona‐“ (aprile2002) fissa degli indicatori di qualità dei sistemi di istruzione e formazione in base a cui misurare gli obiettivi che l’Unione si è data per 2010: 1)
Riduzione del 50% del tasso di abbandono scolastico registrato nel 2000 2)
Riduzione del 50% della disparità tra uomini e donne, registrata nel 2000, tra i laureati in matematica, scienze e tecnologia, e un contemporaneo sensibile aumento dei laureati 3)
L’85% dei ventiduenni deve avere conseguito un diploma secondario superiore 4)
Il dimezzamento, in tutti gli stati membri, della percentuale di quindicenni con basse capacità di lettura e nozioni matematiche e scientifiche 5)
Un livello medio UE di partecipazione al lifelong learning pari ad almeno il 15% della popolazione attiva e in nessun stato minore del10% Troviamo ulteriori, interessanti e qualificati, contributi alla lettura dello sviluppo del contesto comunitario nel documento di lavoro “Educazione Permanente degli adulti, un’opportunità per te e una risorsa per Roma: Proposta per un piano cittadino di Educazione degli Adulti” promosso dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma. Il Comune di Roma ha fermamente creduto nel principio guida del lifelong learning rivolto agli adulti aderendo al programma di apprendimento permanente del Parlamento Europeo e in coerenza con le linee di indirizzo emanate dalla Regione Lazio nel 2007. Di seguito riportiamo alcuni contenuti del documento citato: •
La “Comunicazione sulla valutazione dell’implementazione del Programma Education & Training 2010“ (Novembre 2003) scaturito dai ben noti “Obiettivi di Lisbona” promuove la costituzione di gruppi di lavoro tematici per lo sviluppo di politiche per l’apprendimento permanente. I gruppi di lavoro riguardano i seguenti temi: le competenze di base, l’insegnamento delle lingue, l’ICT in istruzione e in formazione, l’incremento della partecipazione in matematica e scienze, il miglior utilizzo delle risorse, la mobilità e la cooperazione europea, l’open learning, la validazione dell’apprendimento non formale, il sistema di crediti europeo per la formazione professionale, la cittadinanza attiva e inclusione, la formazione formatori. •
La “ Commissione Europea nella Comunicazione ‐La nuova generazione dei Programmi di istruzione e formazione comunitari dopo il 2006‐“ (Marzo 2004) propone un Programma Integrato per il lifelong learning, incorporando l’insieme dei progetti già esistenti promossi per supportare specifiche attività nel campo dell’istruzione e della formazione permanente: tra questi il Programma Socrate e Leonardo da Vinci, il Programma E‐learning e il Programma Erasmus. Le direzioni intraprese nell’ambito del Programma riguardano i temi della qualità, della partecipazione sociale, delle risorse finanziarie e di nuove modalità formative ai fini dell’acquisizione dei saperi e delle competenze: sono un esempio in tal senso le iniziative intraprese sia a livello nazionale (sistema dei voucher e dei Fondi interprofessionali) ed europeo (la rete ELAP) per il co‐finanziamento nella formazione, il riavvio di programmi dedicati all’implementazione dell’e‐learning, l’ampio interesse per la certificazione e i crediti formativi ottenuti nei contesti di lavoro e della vita sociale. A partire dal 2005 l’Unione Europea rilancia la Strategia di Lisbona presentando Il partenariato di Lisbona per la crescita e l’occupazione che si sostanzia nei due Documenti: “La Comunicazione al Consiglio di primavera” COM (2005) del 2 febbraio 2005 e il “Programma comunitario di Lisbona – azioni per la crescita e l’occupazione” COM (2005) del 20 luglio 2005. Il Partenariato di Lisbona mira a dare un forte impulso allo sviluppo economico pur salvaguardando il modello sociale europeo di fronte ad una serie di sfide: tra queste la globalizzazione dei mercati, i mutamenti tecnologici e ambientali, l’invecchiamento demografico. •
Nelle Conclusioni della Presidenza ( 23 ‐ 24 marzo 2006 ) il Consiglio Europeo determina le seguenti azioni: 1) Offrire entro sei mesi a tutti i giovani che hanno lasciato la scuola e sono disoccupati un lavoro, un apprendistato, qualsiasi misura idonea a favorire il loro inserimento professionale; a ciò si aggiungano gli sforzi per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione della dispersione scolastica nella misura del 10% e completamento per almeno l’85% dei ventiduenni dell’educazione secondaria superiore; 2) Promuovere le politiche per la parità di genere e ulteriori misure favorevoli alla famiglia come il poter aumentare la disponibilità di strutture valide per la custodia dell’infanzia; 3) Elaborare strategie per l’invecchiamento attivo anche attraverso l’incentivazione finanziaria, il miglioramento della qualità del lavoro, l’inserimento in formazione di lavoratori di età superiore ai 45 anni; 4) Sviluppare nei Piani Nazionali di Riforma strategie per la migliore adattabilità dei lavoratori e delle imprese, salvaguardando l’equilibrio tra flessibilità e sicurezza sul lavoro. L’Unione Europea inoltre invita gli Stati membri ad adottare per le politiche del lavoro un approccio basato sul ciclo di vita della persona così da facilitare più veloci transizioni da un’attività lavorativa all’altra nel corso dell’esperienza lavorativa. Il superamento della relazione meccanicistica istruzione‐formazione‐occupazione‐sviluppo a vantaggio di un approccio orientato al ciclo di vita della persona promuove una diffusa propensione all’apprendimento permanente non solo individuale ma come fattore e motore di ricchezza condivisa nella società europea così da garantire un’elevata qualificazione e preparazione necessaria ad un’economia avanzata: un ambiente orientato alla diffusione della conoscenza e dell’innovazione e ricerca. Il rilancio della Strategia di Lisbona si fonda su tali principi e si sostanzia nel Programma sul life long learning 2007‐2013 che sostituirà i precedenti Programmi europei di istruzione e formazione. In particolare occorrerà intervenire sul fenomeno della dispersione scolastica, innalzare il livello di istruzione conseguita dalle giovani generazioni, in parallelo promuovere azioni mirate per coinvolgere la popolazione adulta in attività di formazione, in particolare lavoratori anziani e adulti a bassa qualificazione. Secondo il Rapporto annuale 2009 (anno di riferimento 2008) della Commissione Europea sui progressi realizzati rispetto agli obiettivi di Lisbona nell’istruzione e formazione per traguardare il benchmark del 12,5% al 2010 (il 15% al 2020) di adulti coinvolti in percorsi di formazione, allo stato attuale l’Italia si attesta sulla media del 6,3% rispetto alla media europea del 9,6% UE27. Con la programmazione 2007‐2013 il Fondo Sociale Europeo (FSE) è riconfermato strumento che sostiene politiche e priorità per la piena occupazione, per il miglioramento della qualità e della produttività del lavoro, per la valorizzazione delle risorse umane e la coesione sociale. Nell’Unione Europea l’allargamento a 27 Stati membri, con la recente adesione di Bulgaria e Romania nel 2007, ha fortemente aumentato il divario tra i livelli di sviluppo dell’UE rappresentando una sfida difficile per la propria competitività e la propria coesione interna. •
La Comunicazione della Commissione su “Politica di coesione a sostegno della crescita e dell’occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007‐2013 “evidenzia come i tassi di crescita di alcune delle zone più povere dei nuovi Stati membri siano i più elevati dell’Unione. Si legge: “La politica di coesione dovrebbe promuovere in via prioritaria la crescita, la competitività e l’occupazione, come indicato nella nuova strategia di Lisbona. Il successo della politica di coesione richiede ovviamente stabilità macroeconomica, riforme strutturali e altre condizioni propizie agli investimenti (applicazione effettiva del mercato unico, riforme amministrative, buon governo, contesto favorevole all’attività delle imprese, disponibilità di una forza lavoro altamente qualificata)”. Tale Rapporto ha rappresentato uno degli elementi da cui si è partiti per definire l’ossatura delle strategie e degli strumenti per il nuovo periodo di programmazione comunitaria 2007‐2013 e ha individuato 4 aree di intervento: 1.
una maggiore coesione nell’Unione allargata a 27 con maggiori disparità socio‐economiche; 2.
il rafforzamento delle priorità dell’Unione come sancito nella Strategia di Lisbona 2000‐2010: tra queste la riduzione della povertà in una strategia di inclusione sociale coordinata a livello comunitario; 3.
il migliorare la qualità per promuovere uno sviluppo più equilibrato e sostenibile attraverso la maggiore competitività regionale e l’offerta di opportunità economiche per aiutare le persone a realizzare le loro potenzialità; 4.
un nuovo partenariato per la coesione per migliorare l’efficienza, la trasparenza e la responsabilità politica assicurando il coordinamento istituzionale con il sistema di governo economico e sociale e il sistematico stato di avanzamento sui progressi compiuti. Nella nuova programmazione 2007‐2013 vengono definiti gli Obiettivi di priorità finanziabili dal Fondo di Coesione e dai Fondi Strutturali. Tra questi ultimi il FSE che si concentra sugli Obiettivi di Convergenza e Competitività regionale e occupazione. Si enfatizzano sempre di più i principi di equità e pari opportunità e di genere e il partenariato. Le linee guida della politica di coesione coerentemente alla nuova Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione si concentrano su: ‐
rendere più attraenti gli Stati membri, le regioni e le città migliorando l’accessibilità, garantendo servizi di qualità e salvaguardando le potenzialità ambientali; ‐
promuovere l’innovazione, l’imprenditoria e lo sviluppo dell’economia della conoscenza mediante lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, comprese le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; ‐
creare nuovi e migliori posti di lavoro attirando un maggior numero di persone verso il mercato del lavoro o l’attività imprenditoriale, migliorando l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese e aumentando gli investimenti nel capitale umano. A tal proposito si segnalano misure specifiche di intervento verso i giovani, attraverso l’orientamento professionale, l’accesso ad una formazione adeguata e l’apprendistato; verso le donne, con l’eliminazione dei differenziali retributivi e la maggiore compatibilità tra vita privata e professionale; verso i migranti, con una maggiore integrazione sociale, informazione, antidiscriminazione, riconoscimento delle competenze acquisite all’estero e orientamento personalizzato. •
La “Decisione n.1720/2006/CE (15 Novembre 2006) –Programma di istruzione e formazione durante l’intero arco della vita 2007‐2013‐ ha come obiettivo quello di sviluppare e di potenziare gli scambi, la
cooperazione e la mobilità, affinché i sistemi di istruzione e di formazione divengano un riferimento
di qualità mondiale, così come previsto dalla strategia di Lisbona. Il programma contribuisce così
allo sviluppo della Comunità come società della conoscenza avanzata, caratterizzata da uno sviluppo
economico sostenibile accompagnato da un miglioramento quantitativo e qualitativo
dell'occupazione, nonché ad una maggiore coesione sociale. Per conseguire tale obiettivo di portata
generale, il programma persegue obiettivi specifici riguardanti l'istruzione e la formazione durante
l'intero arco della vita nell'Unione europea (UE) che consistono:
nel contribuire allo sviluppo di un insegnamento e di una formazione di qualità, nonché alla
‐
promozione di un livello di prestazioni elevato, all'innovazione e al miglioramento della dimensione
europea, nonché al miglioramento dei sistemi e delle procedure esistenti;
nel favorire la realizzazione di uno spazio europeo dedicato all’istruzione e alla
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formazione permanente;
nel contribuire a migliorare la qualità, l’accessibilità e l’attrattiva delle possibilità d’istruzione
‐
e di formazione;
nel potenziare il loro contributo alla coesione sociale, alla cittadinanza attiva, al dialogo
‐
interculturale, alla parità fra donne e uomini e allo sviluppo personale;
nel contribuire a promuovere la creatività, la competitività, la capacità d’inserimento
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professionale e il potenziamento dello spirito d’iniziativa e dell'imprenditorialità;
nel contribuire ad incrementare la partecipazione delle persone di tutte le età, ivi comprese
‐
le persone aventi particolari esigenze e i gruppi svantaggiati;
‐
nel promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica;
‐
nel sostenere lo sviluppo degli strumenti offerti dalle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (TIC);
nel potenziare il loro ruolo per creare un sentimento di cittadinanza europea nel rispetto dei
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valori europei e della tolleranza, nonché nel rispetto dei popoli e delle culture;
nel promuovere la cooperazione in materia di garanzia della qualità in tutti i settori
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dell'istruzione e della formazione;
nel contribuire alla qualità favorendo l'utilizzazione ottimale dei risultati, dei prodotti e dei
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processi innovativi, nonché lo scambio delle buone prassi.
LE NORME E GLI ATTI DI INDIRIZZO NAZIONALI •
Dlgs 112/98 art.135‐139, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli EE:LL”. Viene riconosciuta ai Comuni e alle Province la possibilità di iniziativa autonoma e anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche in merito a varie materie di interesse formativo, tra cui l’EDA …… superando i limiti tradizionali di una competenza incentrata esclusivamente su funzioni “di servizio” al sistema educativo. •
L’istituzione dei Fondi Paritetici interprofessionali per la formazione continua, introdotti dall’art.118 della L.388/2000 e avviati concretamente nel 2003. Tali organismi, costituiti dalle parti sociali,hanno il compito di promuovere e finanziare piani formativi sia aziendali che territoriali che presentati da singoli lavoratori •
Conferenza Stato Regioni del 2 Marzo 2000. Accordo tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane per riorganizzare e potenziare l’educazione degli adulti in Italia. Il ridisegno dell’architettura di sistema, nell’ottica del lifelong learning, raccoglie pienamente le indicazioni provenienti dalle politiche dell’Unione Europea in merito alla necessità che i sistemi formativi rispondano ad una domanda sociale ed economica diversa dal passato, per favorire l’acquisizione di nuovi saperi con opportunità formative differenziate. Dalla Conferenza Stato Regioni del 2000: “Il cambiamento richiede la promozione di una offerta integrata tra il sistema scolastico e il sistema di formazione professionale e tra questi e il mondo del lavoro ……… Occorre uno sforzo politico e progettuale per passare da un’organizzazione per sistemi chiusi ad una organizzazione di rete il cui obiettivo è costituito da risposte efficaci e differenziate ai diversi bisogni dell’utenza; senza questo passaggio, che comunque presenta tempi di realizzazione a medio‐lungo termine, non sarà possibile parlare di interventi integrati e di miglioramento complessivo del sistema”…….. ……“Il campo dell’educazione degli adulti, in Italia, è ricco di esperienze e potenzialità. Attraverso un processo di integrazione si tratta di ricondurlo a sistema ……… Si tratta di porre in essere un processo che sviluppi l’integrazione tra: ‐
Le diverse istituzioni responsabili, nei diversi campi ed ai diversi livelli istituzionali, ciascuno per le proprie competenze ‐
I diversi ambiti d’intervento ‐
Le risorse umane, materiali e finanziamenti disponibili Il sistema generale si articola nei seguenti livelli istituzionali: A. Livello Nazionale. “Le funzioni relative all’integrazione dei sistemi vanno affidate ad un comitato integrato composto da MPI, MdL e della Previdenza sociale,Ministero dell’Università e Ricerca, Dipartimento Affari sociali, rappresentanze delle regioni, degli EE:LL e delle parrti sociali…..Le funzioni riguardano l’individuazione delle priorità strategiche, la definizione degli indirizzi generali e delle risorse attivabili, i criteri per la loro distribuzione e la definizione di linee guida per la determinazione degli standars, del monitoraggio e della valutazione, dei dispositivi di certificazione e di riconoscimento dei crediti.” B. Livello Regionale. “La pianificazione e la programmazione dell’offerta formativa integrata rivolta agli adulti rientrano nelle competenze delle regioni ai sensi dell’art. 138 del d.lgs 112 del 1998. Al fine di assicurare la necessaria concertazione, le Regioni istituiscono un Comitato regionale, costituito dagli Assessori regionali preposti, dai rappresentanti degli Enti Locali, dal rappresentante del Dipartimento Scolastico Regionale e dalle Parti Sociali. Tale Comitato ha funzioni di concertazione relative, oltre che alla programmazione, alla promozione, al monitoraggio e alla valutazione del Sistema di Educazione degli Adulti. Le Regioni promuovono, inoltre, il raccordo dei Piani di Educazione degli adulti con le politiche di sviluppo e occupazionali.” C. Livello Locale. “La Provincia concorre con la Regione alla definizione delle scelte di programmazione in tema di Educazione degli adulti. Predispone le linee generali per la programmazione territoriale con particolare riferimento alle risorse complessive a livello provinciale. Ha compiti di monitoraggio e valutazione. Il Comitato Locale è sede privilegiata della programmazione concertata. E’ istituita e presieduta da Comuni e Comunità Montane. E’ composto da rappresentanti degli Uffici scolastici provinciali, dalla provincia, dai Comuni, Dalle Comunità Montane, dalle parti sociali e da rappresentanze delle Agenzie formative (associative e non) operanti nel non formale. Ha funzione di promozione e programmazione dell’EDA a partire dall’analisi dei fabbisogni formativi. Elaborano progetti di area e formulano proposte per il complessivo calendario dell’offerta formativa.” La gestione e lo sviluppo degli interventi avviene attraverso l’azione sinergica dei sottosistemi della scuola, della formazione professionale e dell’educazione non formale. “ A questo fine si ritiene necessario avviare un processo più strutturato e fondato a livello legislativo con l’inserimento di un’apposita previsione normativa sul Sistema formativo integrato per l’EDA ……… che offra anche gli strumenti per facilitare la concertazione istituzionale, il dialogo sociale e l’integrazione delle risorse.” Ad oggi la legge non c’è. Non possiamo parlare di sistemi formativi integrati se non in alcune realtà. Siamo ancora lontani da una attuazione effettiva e sufficientemente omogenea in tutte le aree del nostro Paese di nuove politiche di Educazione degli adulti. L’accordo Stato‐Regioni del 2000 è, del resto, solo un atto di indirizzo che, sebbene condiviso da tutti gli attori, non è stato poi seguito e implementato da coerenti misure politiche ed economiche di sostegno. •
Direttiva n. 22 del 6 Febbraio 2001, “Linee guida per l’attuazione, nel sistema di istruzione, dell’Accordo sancito dalla Conferenza unificata del 2 Marzo 2000. Le presenti linee guida, con validità triennale dalla data della loro pubblicazione, hanno i
seguenti obiettivi prioritari:
a)
la progressiva revisione dei corsi di alfabetizzazione culturale (istruzione elementare), di
scuola media (150 ore) e di istruzione secondaria superiore per gli adulti, in relazione al
processo di riordino dei cicli d’istruzione di cui alla legge 10 febbraio 2000, n. 30;
b)
l’alfabetizzazione funzionale della popolazione adulta che consideri i differenziati bisogni
di istruzione delle persone e di promozione culturale nei contesti locali;
c)
lo sviluppo dei livelli di integrazione fra istruzione e formazione;
d)
il rafforzamento della programmazione coordinata tra i livelli locali, provinciali e
regionali;
e)
la progressiva riorganizzazione dei Centri territoriali già previsti dall’ordinanza
ministeriale n. 455/97 nel contesto del sistema formativo integrato;
f)
lo sviluppo della collaborazione tra i Centri territoriali e gli Enti locali attraverso la
realizzazione di progetti pilota con lo scopo di rafforzare il complessivo sistema dell’educazione
degli adulti;
g)
la personalizzazione dei percorsi, il riconoscimento dei crediti e la progressiva
realizzazione del sistema integrato di certificazione;
h)
lo sviluppo di attività di orientamento, informazione e consulenza in collegamento con i
servizi offerti dal sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro;
i)
la formazione e l’aggiornamento degli operatori;
j)
l’adozione di misure di accompagnamento per facilitare il conseguimento degli obiettivi
di cui al presente articolo.
•
Testo Costituzione Titolo V art.18. L’art.3B del Trattato di Mastricht afferma che è compito delle Istituzioni “garantire che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà” . Questi principi sono stati accolti dal nostro testo costituzionale riformato laddove, nell’art. 18 del Titolo V, afferma la necessità di avvicinamento delle sedi di determinazione, gestione e attuazione degli interventi ai beneficiari finali. La sussidiarietà verticale implica lo sviluppo di capacità di assunzione di responsabilità da parte dei soggetti portatori della domanda di interventi e la attribuzione delle competenze relative al livello istituzionale più vicino possibile ai cittadini. La sussidiarietà orizzontale tende ad affermare, a tutti i livelli ed in un quadro di concertazione, l’indirizzo di favorire i processi di integrazione e di complementarietà tra l’insieme delle competenze statali,regionali e locali e tra queste e l’iniziativa dei privati. Il principio della sussidiarietà implica la scelta di percorsi di coordinamento, concertazione, attribuzione e assunzione di responsabilità, ovvero di precisa individuazione di criteri e pratiche di conferimento ed esercizio delle competenze ispirate a criteri funzionali ed al rafforzamento del welfare nelle politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro. La sussidiarietà verticale e orizzontale si realizza quindi nel quadro di una “governante cooperativa” che porti ad escludere la separatezza dei poteri e sviluppi, al contrario la cooperazione tra i diversi soggetti e tra i diversi livelli istituzionali. Il passaggio da concertazione a governace è un passaggio complesso, è un processo che cambia l’approccio ai problemi, le relazioni tra i soggetti. Si deve credere in ciò che si fa; ognuno deve assumersi le proprie responsabilità nell’ambito delle proprie competenze focalizzando la propria attenzione non solo ai processi ma soprattutto ai risultati. L’elemento centrale è la logica “dell’integrazione globale”: integrazione dei settori di intervento, integrazione istituzionale e integrazione organizzativa. a)
Dal punto di vista dei settori di intervento (interventi di orientamento, formativi,educativi e di politica del lavoro) si deve tendere a superare la logica, che ha governato per tanto tempo il mondo della scuola, del lavoro e della formazione, della autonomia intesa come incapacità, prima culturale e anche organizzativa, dei diversi “mondi” a capirsi e quindi a cooperare per il raggiungimento di obiettivi avanzati quali l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, l’occupabilità come sviluppo e qualificazione delle potenzialità dell’individuo. La necessità di costruire un sistema formativo integrato è emersa e si è andata affermando parallelamente alla concettualizzazione di alcuni assunti tra i quali la convinzione che l’intreccio scuola‐
formazione‐lavoro rappresenti un continuum di opportunità variamente articolato, in un processo non più sequenziale, bensì circolare, fruibili con modalità e tempi scanditi non da ritmi prevedibili, ma estremamente collegati alle varianze delle possibilità di inserimento lavorativo e ai progetti individuali di vita e di lavoro. Il concetto di integrazione si fonda, appunto, sulla convinzione della necessità di saperi e competenze professionali organizzati in un insieme più organico, su una visione delle conoscenze/competenze non dicotomica. La concreta promozione dell’integrazione dovrà contare su alcuni strumenti chiave quali: un sistema di orientamento forte articolato orizzontalmente e verticalmente nei processi di istruzione e formazione; specifiche figure di sistema all’interno delle strutture formative, funzionali alla gestione e promozione dei rapporti tra i diversi soggetti che operano in questo ambito, misure considerevoli di formazione degli operatori del sistema (siano essi docenti, formatori, tecnici o quantaltro), in quanto rappresentano i catalizzatori dell’innovazione e la condizione irrinunciabile per realizzare gli obiettivi dei processi di riforma. L’integrazione tra i diversi sistemi dell’offerta (istruzione scolastica, università, formazione professionale, apprendistato. Ifts, formazione continua) implica anche l’adozione di un linguaggio comune e condiviso e la traduzione dei percorsi formativi dovunque e comunque effetuati in insiemi di crediti capitalizzabili, dovunque e comunque spendibili. E’ indispensabile lavorare per modificare la mentalità degli operatori della formazione e creare una cultura delle competenze, ovvero un approccio diverso per la costruzione di percorsi formativi e per la valutazione degli studenti: si tratta di favorire il passaggio da una valutazione per conoscenze ad una per competenze, si tratta di programmare e verificare la fattibilità di percorsi integrati che, attraverso il riconoscimento delle competenze acquisite in singoli moduli, indipendentemente dal percorso fatto, possano garantire il passaggio tra sistemi. b)
Dal punto di vista istituzionale si deve tendere all’integrazione all’interno di un sistema, ponendo particolare attenzione all’autonomia degli enti Locali e dei soggetti pubblici e privati; si deve quindi tendere ad un modello di “governace cooperativa” che definisca un metodo valido di lavoro fondato su due concetti apparentemente “contrastanti”: l’autonomia e la cooperazione. Per raggiungere obiettivi elevati dal punto di vista della qualità e della diffusione sociale e territoriale non può bastare l’azione, pur efficiente e ben organizzata che sia, di un solo soggetto pubblico isolato nella “gabbia” delle proprie esclusive competenze. Ne d’altra parte è possibile, anche in aree a forte e a quasi esclusiva rilevanza pubblica, lasciare ai soggetti pubblici (e magari ai soli soggetti pubblici territoriali) l’onere e l’onore dell’intervento. Occorre sempre di più sviluppare una capacità di cooperare dentro una cornice programmatoria chiara e trasparente e dentro un contesto responsabilizzante dove tendano prevalere, nell’ambito di progetti multi istituzionali e pubblico‐privati, più le logiche di tipo contrattuale (convenzioni, accordi quadro…..in cui sia ben chiaro chi fa cosa) che quello dell’esclusivo, e non sempre ben definito, dell’accordo politico. c)
Dal punto di vista dell’integrazione organizzativa, che implica anche una integrazione delle risorse umane ed economiche, si deve cercare si deve cercare, prima a livello regionale e poi anche ai livelli delle articolazioni territoriali e settoriali, di superare la logica della separazione autoreferenziale tipica delle organizzazioni, in particolare di quelle pubbliche, per presentare una piano che guardi in primo luogo alla domanda, e quindi alla unitarietà dell’intervento che è richiesto da gruppi omogenei di cittadini , e quindi ai bisogni. I PUNTI DEBOLI DELL’AGENDA DI LISBONA E PROSPETTIVE FUTURE Dalla pubblicazione Isfol dell’Ottobre 2010: “ Focus Europa 2020. La via d’uscita europea alla crisi” I punti deboli dell’Agenda di Lisbona “Il grande piano lanciato nel 2000 dai leader europei riuniti a Lisbona che avrebbe dovuto trasformare l’Unione europea, entro il 2010, nella prima potenza al mondo basata sulla conoscenza è, in parte, fallito. Dal documento di valutazione della strategia, elaborato dalla Commissione nel febbraio scorso emerge che “globalmente la strategia di Lisbona ha avuto un’influenza positiva sull’Ue anche se i suoi principali obiettivi (tasso di occupazione al 70% e 3% del PIL destinato a Ricerca e Sviluppo) non sono stati raggiunti”. Pur individuando i settori giusti sui quali agire: ricerca e innovazione, investimento nel capitale umano e modernizzazione del mercato del lavoro, sviluppo del potenziale delle imprese, in particolare le PMI, energia e cambiamento climatico, la “strategia sarebbe dovuta essere strutturata meglio, così da potersi concentrare maggiormente su elementi portanti che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’origine della crisi”. Il vero punto debole della strategia è stato la governance generale del sistema. I ruoli del Consiglio e del Parlamento europeo non stati chiaramente definiti e questo ha generato incertezze sulla titolarità del processo di riforme, così come la scarsa incisività degli strumenti utilizzati. Si è fatto per lo più ricorso a raccomandazioni specifiche destinate ai Paesi in ritardo sulla tabella di marcia. Alcuni Stati membri hanno saputo sfruttare questo strumento per intensificare le riforme altri, invece, hanno avuto difficoltà a capire quali fossero le misure politiche richieste a causa dell’eccessiva genericità degli atti. Inoltre, gli obiettivi definiti in sede europea, non sempre riflettevano le differenze esistenti nei diversi Stati membri, soprattutto dopo l’entrata nell’Unione dei nuovi Paesi. Se Lisbona ha in parte fallito, è stato principalmente per una questione di metodo: gli obiettivi erano giusti, ma non vincolanti, affidati alla buona volontà dei governi e la Commissione non aveva strumenti per costringere gli Stati membri a rispettare gli impegni. E stato inoltre sottovalutato il potenziale d’interdipendenza fra le economie dei diversi Stati membri, il cosiddetto “effetto domino”: le azioni (o mancate azioni) messe in campo in un Paese hanno generano ricadute su tutta l’Unione, così come l’andamento non omogeneo dei progressi. “Alla base della crisi economica – si legge nel documento ‐ ci sono stati squilibri macroeconomici e problemi di competitività, non adeguatamente affrontati nel quadro della vigilanza delle economie degli Stati membri esercitata attraverso il Patto di stabilità e crescita e la strategia di Lisbona, che hanno operato in parallelo invece che in modo complementare”. Certo è che nel 2000 nessuno poteva prevedere che l’economia globale sarebbe stata minacciata dalla più grave crisi economica e finanziaria dal dopoguerra a oggi. D’altro canto, negli ultimi cinque anni l’Europa è cambiata, il numero degli Stati membri è quasi raddoppiato e l’euro è diventato una delle principali valute a livello mondiale. Tutto ciò ha determinato la necessità di una nuova stagione di riforme. Europa 2020 per la crescita e l'occupazione Cercando di trarre insegnamento dagli errori, i ventisette hanno così deciso di rilanciare il sistema economico europeo attraverso un nuovo piano decennale basato su un numero limitato di obiettivi e un maggior coordinamento delle politiche nazionali ed europee. "Per conseguire un futuro sostenibile ‐ ha spiegato Barroso ‐ dobbiamo sin d’ora guardare oltre il breve termine. L'Europa deve ritrovare la strada giusta e non deve più perderla. È questo l'obiettivo della strategia Europa 2020: più posti di lavoro e una vita migliore. Essa dimostra che l'Europa è capace di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, trovare il modo di creare nuovi posti di lavoro e offrire un orientamento alle nostre società". Europa 2020 individua tre priorità: ‐
crescita intelligente, sviluppando un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione; ‐
crescita sostenibile, promuovendo un'economia a basse emissioni di carbonio, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva; ...» crescita inclusiva, promuovendo un'economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale. ‐
Propone cinque obiettivi quantitativi: ƒ
il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; ƒ
il 3% del PIL dell'Ue deve essere investito in Ricerca e Sviluppo; ƒ
i traguardi "20/20/20" ‐ ridurre i gas ad effetto serra e i consumi energetici del 20%, soddisfare il 20% del nostro fabbisogno energetico mediante l'utilizzo delle energie rinnovabili ‐ in materia di clima e energia devono essere raggiunti; ƒ
il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; ƒ
20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà. Presenta sette iniziative faro: ƒ
L'Unione dell'Innovazione – riorientare la politica in materia di Ricerca e Sviluppo e Innovazione in funzione delle sfide principali, colmando al tempo stesso il divario tra scienza e mercato per trasformare le invenzioni in prodotti. Il brevetto comunitario, ad esempio, potrebbe far risparmiare alle imprese 289 milioni di euro l’anno. ƒ
Youth on the move ‐ migliorare la qualità e l'attrattiva internazionale degli istituti europei di insegnamento superiore promuovendo la mobilità di studenti e giovani professionisti. Per fare un esempio concreto, i posti vacanti in tutti gli Stati membri devono essere più accessibili in tutta Europa e le qualifiche e l'esperienza professionali devono essere debitamente riconosciute. ƒ
Un'agenda europea del digitale ‐ trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull'internet superveloce. Nel 2013 tutti gli europei dovrebbero avere accesso all'internet ad alta velocità. ƒ
Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse ‐ favorire la transizione verso un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio. L'Europa non deve perdere di vista i suoi traguardi per il 2020 in termini di produzione di energia, efficienza energetica e consumo di energia. Questo ridurrebbe di 60 miliardi di euro le importazioni di petrolio e di gas entro il 2020. ƒ
Una politica industriale per la crescita verde – aiutare la base industriale dell'Ue ad essere competitiva nel mondo post‐crisi, promuovere l'imprenditoria e sviluppare nuove competenze. Questo creerebbe milioni di nuovi posti di lavoro. ƒ
Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro ‐ porre le basi della modernizzazione dei mercati del lavoro per aumentare i livelli di occupazione e garantire la sostenibilità dei nostri modelli sociali a mano a mano che i figli del baby boom andranno in pensione. ƒ
La Piattaforma europea contro la povertà – garantire coesione economica, sociale e territoriale aiutando i poveri e le persone socialmente escluse e consentendo loro di svolgere un ruolo attivo nella società. L’esecutivo europeo propone inoltre un livello più elevato di leadership e di responsabilità: ogni Stato membro dovrà tradurre questi obiettivi generali in obiettivi nazionali e dovrà indicare in una relazione annuale i traguardi che intende raggiungere rispetto ai cinque parametri indicati nella strategia Europa 2020. Questa la differenza di fondo con la strategia di Lisbona: tenere conto delle differenze esistenti nei diversi Paesi. Il tutto sotto la sorveglianza della Commissione che giudicherà se gli sforzi di ogni singolo Stato siano sufficienti o meno. Gli Stati virtuosi saranno premiati con incentivi sul fronte dell’accesso ai fondi europei, mentre quelli inadempienti saranno oggetto di raccomandazioni da parte dell’Unione. Il parlamento europeo, nella seduta del 10 marzo 2010, ha inoltre invitato la Commissione a proporre possibili sanzioni per quei Paesi che non attuano la strategia Europa 2020.” IL SITEMA DELL’EDA IN ITALIA: STATO DELL’ARTE E PROBLEMI Un interessante contributo al tema in oggetto è rappresentato dal documento “Per tutto l’arco della vita” ‐
progetto per lo sviluppo di un sistema regionale di Educazione degli Adulti‐ promosso dalla Regione Emilia Romagna, con la partecipazione IRRE ER, Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna e Plan. Il lavoro, pur essendo stato pubblicato nel 2006, mantiene tutt’oggi una sua attualità e validità, non essendo intervenuti significativi interventi legislativi a livello nazionale in materia di EDA. “L’indagine di sfondo realizzata dal progetto ha consentito in primo luogo di tracciare un quadro, e in qualche modo anche un primo bilancio, del sistema di Eda che si è venuto realizzando in Italia, per fasi successive, negli ultimi decenni. Il quadro Nazionale è connotato da luci e ombre. Dopo una prima fase di sviluppo abbiamo assistito ad un significativo rallentamento. Sono presenti alcune esperienze di particolare interesse e valore, ma senza che si possa dare per acquisita la nascita di un sistema EDA nel nostro paese. Alle incongruenze del quadro generale, si sovrappongono poi le crescenti differenze dei sistemi regionali, secondo un andamento che ha caratterizzato negli ultimi anni tutto il sistema formativo italiano, come sito di un importante processo di decentramento e valorizzazione dei territori, che spesso nella realtà si traduce in sistemi locali a velocità fortemente variabili. Sul sistema EdA nazionale sembra pesare la mancata decisività di quello che era apparso, sul momento, il possibile punto di svolta dopo la fase nascente rappresentata dalla creazione dei Centri Territoriali permanenti per l’istruzione e la formazione in età adulta (O.M n° 455/1997): ci riferiamo all’Accordo sancito in Conferenza Unificata Stato‐Regioni il 2 marzo 2000 e alla successiva (e conseguente) Direttiva emessa dal Ministero della Pubblica Istruzione e approvata dalla stessa Conferenza unificata (Direttiva sull’educazione degli adulti n.22 del 6 febbraio 2001). Accordo e direttiva, infatti, sulla carta, hanno fornito un quadro normativo‐regolamentare in grado di avviare il processo di sviluppo e formalizzazione dei sistemi regionali di EdA; nei fatti, sono rimasti solo parzialmente attuati, specie nei diversi contesti regionali, e soprattutto è parso venire meno a livello nazionale, proprio nella fase in cui era più necessario il sostegno allo sviluppo, il necessario investimento in termini di risorse, non solo economiche, ma soprattutto culturali, umane, di strategia politica. In altri termini, l’EdA non è diventata –almeno nei fatti‐ quella priorità di sistema che pure sulla carta doveva rappresentare, soprattutto nella programmazione comunitaria, ma anche nelle strategie nazionali e territoriali. La “Strategia di Lisbona”, come ormai noto, ha spinto diversi Stati europei ad innovare i propri sistemi di offerta della formazione continua e permanente rivolta agli adulti, allo scopo di pervenire all’obiettivo di raggiungere nel 2010 almeno il 15% di partecipazione al life long learning da parte della popolazione attiva adulta……. …….L’intervento attuato in Italia per l’educazione degli adulti non ha dato i risultati di altri paesi, visto che il livello di partecipazione dei cittadini italiani alle attività di istruzione e formazione degli adulti rimane al di sotto della media europea (26,8% all’anno, contro il 31,4% della media europea, ma con i paesi nord europei largamente attestati oltre il 50%). Per contro, gli italiani si collocano nella media europea per l’intenzione di partecipazione futura ad attività formative. Il problema però non si pone solo dal lato dell’offerta di EdA, ma anche da quello della domanda. Come detto, sulla carta, la domanda di educazione permanente è elevata, in Italia ancor più che a livello europeo. Tuttavia, altre indagini nazionali e locali mettono in luce che la domanda espressa di formazione proviene soprattutto dalla fascia “giovanile” dell’età adulta (al di sotto dei 45 anni) e maggiormente da parte di chi ha un livello medio‐elevato di istruzione, e status sociale medio ed alto. Esiste quindi, a fianco del problema del sistema di offerta, la necessità di un meccanismo di mobilitazione della domanda e di coinvolgimento delle popolazioni più a rischio di emarginazione culturale o di obsolescenza delle competenze individuali. In questo ambito, funzioni centrali dovrebbero essere attribuite ai sistemi di informazione e di orientamento, sviluppati in particolare presso quei servizi che maggiormente impattano la popolazione adulta, anche di livello di istruzione e status sociale medio o basso, che come visto resta maggiormente esclusa dalle dinamiche spontanee della domanda. Tra questi servizi, un ruolo centrale può essere senz’altro attribuito ai Centri per l’impiego. Un fattore nodale di mobilitazione della domanda potrebbe essere individuato anche nella contrattazione, sia nazionale che decentrata, da cui dipende nei fatti l’applicazione diffusa di opportunità insite nelle normative vigenti (si pensi ad esempio all’articolo 5 della L.53/2000 relativo ai congedi di formazione, per il conseguimento di qualsiasi titolo di studio o per la frequenza di attività formative diverse da quelle poste in essere dal datore di lavoro). Le ricerche, in particolare quelle dell’ISFOL, rivelerebbero infatti sia la presenza di uno ‘zoccolo duro ’ di esclusione e autoesclusione dalle attività di EdA, che l’opportunità costituita dal rapporto tra lavoro, formazione per l’occupabilità, formazione continua, come presupposto e stimolo anche verso l’EdA “culturale”, affinché i soggetti più deboli e distanti dall’apprendimento intenzionale arrivino a considerare l’educazione in età adulta “come una possibilità inclusa nel loro orizzonte”. Questo chiama in causa il concetto della percezione di sé e rappresenta quindi un tema squisitamente orientativo e di counselling. Va inoltre considerata l’importanza della dimensione sociale e relazionale nell’educazione degli adulti, che deve far riflettere sulla necessità di non considerare la domanda (e l’offerta) di formazione come un fattore prevalentemente individuale, quanto piuttosto come un fenomeno che può concretizzarsi soprattutto nell’ambito di esperienze sociali e relazionali (all’interno di servizi ad accesso collettivo, sul lavoro, nella dimensione associativa, etc.). Se questo è il quadro –seppure sintetico‐ degli obiettivi, dei fabbisogni sociali e della domanda, occorre ora analizzare brevemente lo stato dell’offerta nel nostro paese. L’EdA è di fatto in Italia, alla data odierna, un sistema ampio e complesso diversificato e diffuso in cui opera una pluralità di attori, anche al di fuori di quelli che hanno come propria mission specifica l’education. Anche se spesso con una logica solo funzionale o di strumentalità rispetto alle proprie finalità sociali, numerose agenzie e soggetti (con caratteristiche fortemente differenziate, di natura privata/profit, mutualistica/no profit, pubblica) strutturano una offerta EdA “L'educazione degli adulti comprende l'insieme delle opportunità formative, formali e non formali, rivolte alle persone, aventi per obiettivo l'acquisizione di competenze personali di base in diversi ambiti, di norma certificabili, e l'arricchimento del patrimonio culturale. Essa tende a favorire: a) il rientro nel sistema formale dell'istruzione e della formazione professionale; b) la diffusione e l'estensione delle conoscenze; c) l'acquisizione di specifiche competenze connesse al lavoro o alla vita sociale; d) il pieno sviluppo della personalità dei cittadini.” L’apprendimento formale, secondo il Glossario Oneda‐Invalsi, si “realizza nei sistemi dell’istruzione e della formazione e porta, di norma, ad una certificazione formale” e si distingue da quello non formale (“Apprendimento intenzionale che si realizza in contesti organizzati al di fuori dei sistemi istituzionali di istruzione e formazione e che normalmente non produce una certificazione formale”) e da quello informale (“Apprendimento che si realizza, in genere non intenzionalmente, quando gli individui acquisiscono conoscenze e abilità o atteggiamenti attraverso l'interazione sociale”, ed è quindi risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero). L’EdA attraversa quindi tutti e tre gli ambiti del formale, non formale e informale. Tutte queste attività contribuiscono, con la formazione continua (“Attività formativa rivolta ai soggetti adulti, occupati o disoccupati al fine di adeguarne o di elevarne il livello professionale”) a realizzare la più generale prospettiva dell’educazione permanente (o Long Life Learning), ossia quel “processo formativo che dura tutta la vita, connesso allo sviluppo della persona, allo sviluppo professionale, allo sviluppo sociale” e di cui l’educazione in età adulta, o degli adulti, è componente fondamentale. in alcuni casi anche piuttosto formalizzata, non episodica, spesso anche qualitativa sotto il profilo metodologico‐didattico, contenutistico e organizzativo. A titolo di esempio e di elenco che non si pretende esaustivo, si può fare riferimento ai seguenti sistemi, e quindi ai soggetti pubblici e privati che operano al loro interno: ‐ sistema delle politiche sociali, di welfare e protezione (socio‐assistenziale, volontariato, 3° settore, protezione civile) ‐ sistema delle politiche sanitarie (prevenzione, educazione sanitaria,educazione alimentare) ‐ sistema delle politiche ambientali e della sostenibilità (educazione ecologica, comportamenti ambientali, risparmio energetico, sviluppo urbano‐territoriale) ‐ sistema delle politiche agricole/agroalimentari (educazione alimentare e gastronomica, riscoperta delle tradizioni locali e delle tipicità) ‐ sistema dei trasporti e della mobilità (educazione e sicurezza stradale). ‐ sistema delle politiche culturali (programmi di divulgazione culturale, educazione artistica diffusa, accesso e fruizione dei giacimenti culturali) ‐ sistema delle politiche sportive, motorie e aggregative (educazione motoria e sportiva, attività di aggregazione sociale) ‐ sistema delle politiche di partecipazione e cittadinanza (educazione civica, formazione politico‐sociale di base) ‐ sistema delle politiche della informazione e della comunicazione diffusa(reti civiche, informatica di base) La logica di campo/settore si interseca poi con quella di target/pubblico destinatario, che diversifica e struttura ulteriormente il sistema di offerta, che in molti casi è declinato per pubblici specifici, spesso fortemente caratterizzati: operatori di settore (sia professionali che volontari), disabili, anziani, giovani a rischio, minoranze, soggetti in reinserimento, target di genere, etc. Estremamente variegata anche la natura dei soggetti che intervengono. In questi sistemi, a seconda delle attribuzioni delle competenze, operano anche diverse amministrazioni pubbliche di livello regionale, provinciale, sub‐provinciale (distretto, comunità montana, unioni di comuni), comunale, circoscrizionale (nei territori urbani), aziende e agenzie pubbliche (AUSL, società a partecipazione pubblica multiutility, etc.), con funzioni che variano dalla governance alla programmazione alla realizzazione dell’offerta formativa. Numerosi inoltre i soggetti che operano in regime di convenzione o finanziamento pubblico (fondazioni, associazioni, polisportive, cooperative sociali, etc.). In ogni caso non va dimenticato che esiste un elevatissimo numero di organizzazioni (spesso profit) che si autodefiniscono “scuole”, ossia con una mission educativa, che operano al di fuori del sistema formale (o al limite dello stesso). Le forme dell’offerta variano dai corsi (anche con cataloghi strutturati), alle azioni seminariali o basate su modalità partecipative, ai programmi di diffusione e sensibilizzazione, che spesso intersecano diversi luoghi del vivere sociale (scuola, città, ambiente di lavoro, servizi sanitari, associazionismo, luoghi di aggregazione). Molto differenziata è quindi la visibilità dell’offerta stessa (interna/esterna). In particolare è molto variato il range tra non formale e informale, in quanto si va da azioni educative intenzionali e strutturate (talora al limite del formale, in quanto in grado di accedere a sistemi di certificazione, ad esempio nel campo delle lingue), ad azioni più episodiche e meno strutturate (offerte, ad es. , dalle biblioteche, da poli di aggregazione sociale, sportiva ecc.). All’interno di un quadro così complesso e variegato, lo strumento su cui è avvenuto il principale investimento in termini di politiche pubbliche per l’organizzazione e la diffusione dell’offerta EdA formale sul territorio è rappresentato dal Centro Territoriale Permanente (CTP). Formalizzati a partire dal 1997, i CTP costituiscono i centri di servizio del sistema di istruzione deputati all'attuazione dell'offerta formativa integrata rivolta agli adulti, e sono costituiti attraverso accordi di rete tra scuole di diverso ordine e grado a norma del decreto sull’autonomia scolastica. La loro creazione e dislocazione sul territorio, in base alla direttiva ministeriale 22/2001 (art.6) dovrebbe essere definita dalle regioni, d'intesa con gli enti locali e con il dirigente dell'ufficio scolastico regionale, nel confronto con le parti sociali, secondo gli obiettivi della programmazione regionale dell'offerta formativa. A loro e ai corsi di istruzione superiore “serali” promossi dai diversi Istituti autonomi è affidata l’educazione degli adulti nel sistema scolastico, cui si affiancano e si integrano, secondo l’allegato dell’Accordo 2 marzo 2000, l’educazione degli adulti nel sistema della formazione professionale e l’educazione non formale per adulti (assicurata da infrastrutture culturali pubbliche, associazioni, Università della terza età, etc.). Permangono peraltro evidenti sul territorio alcune problematiche di coordinamento di questa offerta, anche quando promossa da soggetti che appartengono a sistemi tra loro fortemente integrati o ad uno stesso sistema. Da questa impostazione è sorta una funzione protagonista del sistema di istruzione all’interno del sistema “istituzionale” dell’EdA. Questo, da un lato ha consentito la riconoscibilità e stabilità del sistema dei CTP sui territori, che si è tradotta in un costante incremento dell’utenza. Dall’altro lato, però, l’integrazione territoriale dell’offerta e il suo incontro con logiche di programmazione e sviluppo locale non si è pienamente sviluppato, pur essendo originariamente previsto dall’Accordo della Conferenza Stato Regioni e AA.LL del 2 marzo 2000 e dalla Direttiva Ministeriale N. 22/2001. Inoltre, il sistema dei CTP, particolarmente per quanto riguarda disponibilità finanziarie ed organici, si è trovato a condividere le evoluzioni generali in atto per il sistema scolastico, ove non sostenuto dagli interventi complementari degli enti locali o dalla capacità di radicamento e integrazione sul territorio. Secondo lo stesso rapporto Isfol 2004, questo sistema che talora integra, ma spesso giustappone offerta pubblica scolastica, offerta regionale professionalizzante, offerta pubblica e privata informale, disegna in ultima istanza una configurazione dell’offerta che è carente di coordinamento, rischia la sovrapposizione dei cataloghi, nonché l’uniformità delle proposte formative in termini di durata, modalità di realizzazione, ed anche di target di utenti (prevalgono infatti i corsi di alfabetizzazione funzionale, lingue e informatica, rivolti a soggetti di età media e diplomati). L’offerta prende quindi le forme suggerite dalla domanda più esplicita. Altro limite è rappresentato dalla carenza di orientamento e di informazione sulle tipologie dell’offerta, specie in ottica di opportunità offerte a livello territoriale. Secondo ISFOL, per orientare il sistema formativo italiano al perseguimento degli obiettivi di Lisbona, è necessaria una revisione analitica delle politiche nazionali e regionali dell’offerta e del loro stato di vanzamento. In primo luogo si pone però il problema della governance, di cui si registra un deficit nazionale e locale. La complessità del settore dell’apprendimento degli adulti richiede l’intervento di molteplici attori, l’attivazione di sedi di accordo (tavoli, partenariati..), la costituzione insomma di una rete dell’offerta. Di fronte a ciò, risulta ancora assente o parziale, in moltissime realtà locali, l’attivazione dei Comitati regionali e locali, individuati dall’Accordo Stato Regioni del 2000 quali sedi strategiche e funzionali della rogrammazione. In Emilia‐Romagna le funzioni corrispondenti a quelle del comitato regionale sono state attribuite al Comitato esecutivo della Conferenza regionale per il sistema formativo. Analogamente, i comitati locali, che sono stati implementati prevalentemente in Toscana e in poche altre realtà locali, in regione Emilia‐Romagna trovano comunque corrispondenza nelle attività delle Conferenze provinciali di coordinamento, nonché nelle funzioni di programmazione dell’offerta di istruzione attribuite a provincia e comuni (naturalmente sempre con riferimento all’educazione degli adulti gestita dal sistema di istruzione o integrata). Alcune forme di coordinamento territoriale, sotto forma di tavoli permanenti o comitati, sono presenti sul territorio regionale (ad esempio nella provincia di Bologna), spesso in connessione a politiche di governo dei distretti e sviluppo locale; si tratta in ogni caso di sperienze isolate e che spesso procedono con difficoltà. In alcune Regioni (tra cui la stessa Regione Emilia‐Romagna, alla luce della legge regionale 12/2003) la normativa prevede che l’offerta formativa sia assicurata proprio da una rete di attori, del sistema formale e del sistema non formale, nell’intento di valorizzare tutte le risorse presenti nel territorio e di tentare un raccordo fra le tipologie dell’offerta, in modo da rispondere con modalità differenziate ai diversi bisogni espressi dalla domanda educativa e formativa. Tuttavia, anche dove le previsioni normative sono orientate al tema della rete e della governance di sistema, gli organismi di coordinamento non sempre si sono dimostrati efficaci, e l’impressione di un sistema non governato o quanto meno eccessivamente olicentrico appare evidente. In base a queste considerazioni di insieme, emerge la necessità di un approccio estremamente articolato e complesso alla definizione di un modello per lo sviluppo del sistema regionale per l’EdA nei prossimi anni. Il modello di sviluppo infatti deve farsi carico e rendere ragione: ‐ di una mission complessa e diversificata a seconda degli attori, anche se già ora riconducibile, a livello di sistema, ad alcuni paradigmi unificanti; ‐ di un sistema di offerta EdA caratterizzato da una multidimensionalità, complessità e policentricità strema, da considerare al tempo stesso come una risorsa e come una potenziale criticità; ‐ della necessità di un modello di governance particolarmente avanzato ed esteso, condiviso socialmente e soprattutto efficace e sostenibile, in grado di assicurare quanto meno un coordinamento dell’offerta, ma chiamato soprattutto a collegare l’EdA alle strategie di sviluppo locale, che tra l’altro saranno sempre più centrali nella prospettiva della futura programmazione comunitaria dopo il 2006. Per tentare una sintesi, necessariamente incompleta, delle variabili di cui oggi deve necessariamente farsi carico qualsiasi tentativo di modellizzazione del sistema EdA in Italia, possiamo fare riferimento alla seguente tab.1. Tab.1. Le variabili che determinano il sistema EdA ampliato: Settori/ambiti: Istruzione ,Pre‐formazione e formazione professionale, Sociale, Sanitario, Ambientale, Agricolo/agro‐alimentare, Trasporti e mobilità, Cultura, Sport e aggregazione, Partecipazione e cittadinanza … Natura dei soggetti promotori : Pubblici (amministrazioni centrali, regioni, enti locali), Privati convenzionati o finanziati, Privati no profit, Associazionismo, Cooperazione, Privati profit Mission dei soggetti promotori : Education formale, Education non formale, Non educativa o non primariamente educativa (aggregativi, di produzione, di servizio) Funzione dei soggetti : Governance e indirizzo, Programmazione, Realizzazione Raggio d’azione dei promotori Distrettuale/comprensoriale, Locale : Sovranazionale/nazionale, Regionale, Provinciale, Target e pubblici: Operatori di settore‐professional, Operatori di settore volontari, Pari opportunità, Svantaggio sociale (disabili, anziani, giovani a rischio, minoranze, soggetti in reinserimento…), Adulti interessati ad uno sviluppo di conoscenze/capacità su temi specifici (tempo libero/bisogni culturali etc), Adulti interessati al recupero dei titoli e delle qualifiche nel sistema dell’istruzione o in curricoli integrati. Specifici dei CTP sono anche: ‐ Giovani e adulti per l’ottenimento del titolo di licenza media, obbligatorio per il diritto dovere all’istruzione e formazione (D.M. n°76/05) e adulti a bassa scolarità ‐ Immigrati con necessità di alfabetizzazione linguistica ‐ Adulti con bisogni di pre‐professionalizzazione di base ‐ Adulti che intendono conseguire un diploma ‐ Adulti con bisogni di approfondimento culturale Forme dell’offerta : Corsualità in presenza , Corsualità a distanza/blended, Seminari, percorsi brevi, Programmi diffusi , Occasionale/spot, A catalogo…. Integrazione sistemica/apertura : Offerta governata in rete, in collaborazione con altri soggetti, Offerta autogenerata promossa/diffusa sul territorio, Offerta autogenerata e scarsamente o non promossa Nella logica di offrire un modello di sviluppo del sistema regionale di EdA, occorrerà pertanto tematizzare almeno due dimensioni fondamentali: ‐ la definizione della mission, della finalità e degli obiettivi verso cui impostare la crescita del sistema ‐ l’articolazione del modello secondo un approccio non prescrittivo o architetturale, ma aperto e soprattutto dinamico, centrato sulla individuazione e manovra delle leve strategiche per lo sviluppo, ossia: 1. i meccanismi di creazione delle reti e di governance 2. la qualificazione intrinseca del sistema di offerta, nelle sue dimensioni metodologiche, organizzative e di contenuto. Quest’ultima scelta (il governo delle leve strategiche) appare tra l’altro vincolante in una fase in cui il governo del sistema regionale non sembra potersi poggiare sulla certezza di risorse ampie, necessarie per impostare piani di sviluppo di tipo top‐down; questi ultimi, tra l’altro, sono da considerare scarsamente incisivi e indicati all’interno di un sistema di cui si è rappresentata la complessità e soprattutto la policentricità. Sembra invece indicata una strategia che valorizzi l’enorme patrimonio di iniziativa locale, il pluralismo e la dinamicità intrinseca del sistema (specie di quello non formale) e ne favorisca lo sviluppo armonico attraverso strumenti condivisi di governance13 e la qualificazione attraverso Come per tutti i termini che entrano rapidamente nell’uso comune, anche per il concetto di “Governance” c’è il rischio di un uso scorretto o indeterminato. Non è dunque superfluo uno sforzo definitorio e di chiarificazione concettuale. Per governance intendiamo il governo della realtà sociale realizzato attraverso un sistema di relazioni intenzionali tra settore pubblico, privato e società civile. Essa presuppone la capacità delle PA: ‐ di orientare le scelte politiche di fondo e i programmi espressi dalla struttura amministrativa verso visioni strategiche e di informarli alla cultura del risultato (dimensione interna della governance) ‐ di attuare le proprie politiche avvalendosi anche della sinergia con organizzazioni separate dall’ amministrazione e diverse espressioni sociali che intervengono nell’erogazione di servizi ai cittadini, nello svolgimento di attività di rilevanza sociale o altro (dimensione esterna della governance) ‐ di agire con orientamento sinergico e convergente da parte dei diversi soggetti istituzionali presenti sul territorio (enti locali, regioni, Stato), non improntato tanto a un rapporto gerarchico, quanto alla sinergia efficace per la realizzazione di progetti condivisi (dimensione interistituzionale della governance). Le categorie e le pratiche che possono sostanziare un approccio di governance, nell’EDA come in ogni altro settore complesso, sono: ‐ Pianificazione strategica (individuazione di obiettivi e priorità, tempi e processi di conseguimento degli stessi, risorse necessarie e disponibili) ‐ Programmazione ‐ Controllo strategico (corrispondenza tra indirizzi di governo, scelte programmatorie e risultati effettivamente conseguiti) ‐ Valutazione delle politiche ‐ Controllo di gestione, valutazione del personale per obiettivi (nella governance interna alle amministrazioni) ‐ Qualità dei servizi centrata sugli apprendenti ‐ Utilizzo dei fondi strutturali ‐ Indirizzo (solo eventualmente controllo) dei soggetti gestori/governati/coinvolti ‐ Partnership pubblico/privata ‐ Sussidiarietà orizzontale (reti tra soggetti di pari livello) ‐ Sussidiarietà verticale (reti tra soggetti di diverso livello) ‐ Sussidiarietà mista (cooperazione tra enti di pari o diverso livello guidata da soggetti di livello superiore). La “modellizzazione” del sistema EdA regionale deve quindi essere pensata alla luce di queste considerazioni, rinunciando ad una idea fortemente prescrittiva di “modello”, a favore di un “protocollo operativo” orientato ad una corretta attivazione delle leve strategiche di governo e alla promozione di sinergie tra i soggetti e le forze già attive sul campo: appunto dallo “sviluppo di un modello” ad un “modello per lo sviluppo”. “ A cura di Giovanna Roccella Marzo 2011