Igor e Yùsef Amri 1 L`aveva conosciuto una ventina d`anni prima a

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Igor e Yùsef Amri 1 L`aveva conosciuto una ventina d`anni prima a
Igor e Yùsef Amri 1
L’aveva conosciuto una ventina d’anni prima a Roma dov’era addetto culturale
all’ambasciata. E subito s’era chiesto come poteva un tipo simile occupare una tale
carica. Presuntuoso, arrogante e… di discutibile cultura. Un trombone insomma.
Igor, allora, laureato da qualche anno, era a Roma per presenziare a un festival del
cinema arabo. A rappresentazione iniziata di un film, aveva assistito all’esibizione di
un tizio che – giunto in ritardo – a voce alta si arrogava il diritto di un posto in prima
fila – ormai tutta occupata – in quanto era “il nuovo addetto culturale di…”. Igor
aveva perso il resto. Perché la finisse, qualcuno s’era alzato cedendogli il posto.
Aveva saputo poi che ad alzarsi era stato l’ambasciatore francese.
Igor aveva dimenticato il fatto quando giorni dopo era passato all’ambasciata siriana
per salutare l’amico Muràd, il primo consigliere. Questi gli aveva proposto di fargli
conoscere il nuovo attaché culturale.
«Non è un gran personaggio. È qui per meriti di partito, più che per competenze. Ma
tu – come interessato alla nostra cultura – vale la pena che lo conosca, potrebbe
venirti utile.»
Amri aveva apprezzato subito il giovane studioso che – a differenza di lui – aveva
una buona conoscenza della cultura del suo Paese. Da qualche sua frase Igor aveva
capito che uno dei suoi incarichi era il controllo degli studenti suoi concittadini in
Italia. Uno spione del partito al governo, dunque.
Qualche tempo dopo, sembrava anche gli venisse utile, come ipotizzato dall’amico
Muràd. Dovendo soggiornare in Siria per un certo periodo, Igor gli si era rivolto per
chiedere un aiuto nella ricerca di una camera a buon mercato a Damasco.
«Hai la tessera della CGIL? Per gli iscritti a sindacati amici ci sono le case dei
sindacati siriani che hanno delle foresterie.»
E via con l’iscrizione non prevista alla CGIL.
Una volta a Damasco, nella foresteria del sindacato, Igor aveva resistito ben che una
notte risultando essere una specie di latrina a regime carcerario. Una stanza da
dividere con un egiziano. Pulizia discutibile, orari rigidi, neppure una presa di
corrente in camera.
Allora Amri gli consigliò la città universitaria. Più o meno la stessa cosa, con
scarafaggi. Meglio lasciar perdere.
Rapida telefonata al Prof, che gli consigliò l’amico Michel. Da quella volta
l’appartamentino di Michel presso Place de l’Étoile divenne casa sua in quasi tutti i
suoi soggiorni successivi.
Comunque Igor non aveva trovato antipatico quell’uomo che – nei suoi confronti –
manifestava rispetto e in seguito anche un qualche affetto. Ne era nata una certa
amicizia che però andava centellinata affinché non divenisse opprimente.
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Lasciato il suo incarico a Roma, il partito aveva provveduto a sfruttare le nuove
competenze acquisite dall’ex addetto culturale affidandogli la direzione di una
fabbrica di biancheria intima.
Una volta Igor era andato a trovarlo e l’amico siriano aveva voluto che ponesse
qualche domanda alle giovani operaie sull’utilità del loro lavoro.
«Il nostro lavoro è fondamentale per la patria – aveva risposto una tipetta sveglia, col
fazzoletto in testa e un ampio grembiale, guardando Amri di sottecchi – in quanto i
nostri fratelli combattenti combatteranno meglio se la biancheria che noi gli forniamo
sarà comoda e confortevole.»
Igor le aveva sorriso ironico. Amri aveva guardato lei e poi lui, soddisfatto. La faccia
della tipetta si era rilassata. Se l’era cavata bene.
Poi, continuando nel salto di palo in frasca, specialità comune tra gli sport in certi
ambienti di quelle parti, e non solo, Amri era divenuto improvvisamente avvocato,
aprendosi uno studio in centro a Damasco. La nuova funzione e il titolo non erano
riusciti però ad attenuare le sembianze e l’atteggiamento da mafioso che Igor aveva
notato fin dal loro primo incontro, con cranio baffo e sfregio sulla guancia.
Quella certa amicizia di Igor con Yùsef Amri si era protratta a fasi alterne
diradandosi negli ultimi anni a causa del ridimensionamento delle priorità nella lista
di amici dell’italiano.
«Questo è un mio carissimo amico italiano, professore di lingua e letteratura araba
all’università di Venezia, che sa tutto sulla nostra cultura.»
Così Yùsef Amri presentò Igor all’uomo con cui era arrivato al caffè Costa quella
mattina.
Se Yùsef ha l’aria da mafioso, quest’altro sembra un mafioso a tutto tondo, pensò
Igor mentre stringeva la flaccida bistecca cruda ch’era la mano del tizio così
presentato: «Questo è Ahmad, mio cliente. È un trafficante di droga, ma il mio
compito di avvocato difensore è di dimostrare il contrario. Abbiamo ora pianificato
come improntare la linea difensiva e siamo venuti a prendere un caffè prima di
lasciarci. Ma… – si guardò attorno – prendiamo un tavolino per tre.»
Tutti occupati. Allora si rivolse a un cameriere di passaggio: «Ehi tu. Fai sloggiare
quei tre ragazzi, ché abbiamo bisogno del loro tavolo» indicando col dito un
gruppetto.
«Ma…» balbettò il cameriere.
«Niente ma. Dobbiamo parlare di lavoro.»
«Ma no – s’intromise Igor – facciamoci portare due sedie qua, anche se ci sono questi
due signori che spero non si disturbino.»
Signori che avevano smesso di parlare tra loro distratti dal breve dialogo tra sfregiato
e cameriere. Allora uno dei due s’alzò: «Noi dobbiamo andare e vi lasciamo le due
sedie libere. Il conto per favore.»
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Sospiro di sollievo del cameriere che fece loro il conto e quelli se ne andarono,
mentre Amri, compiaciuto, prendeva posto assieme al suo tizio che non aveva aperto
bocca né atteggiato una qualsiasi espressione.
L’avvocato chiese all’amico italiano come mai fosse sparito e non andasse più a
prendere il tè nel suo ufficio come un tempo. Bla bla di Igor: «Troppo da fare. Mi
piacerebbe tanto e spesso penso di passare. Ma poi sono traviato dai numerosi
impegni.»
«Nessun impegno è più importante di una visita a un amico. Devi venire presto.»
«Va bene, Yùsef. La prossima settimana passerò da te.»
«No! Domani.»
«In sha’ Allàh, se riesco a liberarmi da qualche appuntamento.»
«Devi!»
Il tizio con lui, gli occhi fissi al tavolino, era con la testa chissà dove. Amri lo
apostrofò: «Sai Ahmad, ho conosciuto Igor a Roma quand’ero attaché – disse proprio
attaché – culturale. Lo sapevi che ero diplomatico in Italia?»
L’uomo fece “no” con la testa. Finora si poteva pensare che fosse muto. Allora Amri:
«Anche Igor, sai, traffica con la droga.»
Igor gli sbarrò gli occhi, ma il tizio sembrò prendere vita: «E cosa tratti? Neve?
Bianca? Zucchero?»
Yùsef gli fece l’occhiolino e Igor stette al gioco: «Tutto quello che capita. Anche
sale, pepe, cannella e noce moscata» ribatté facendo il serio.
Il bandito lo guardò interrogativo: «Roba nuova?»
Allora Amri intervenne ridendo dicendogli che l’italiano aveva abbandonato da
tempo quell’attività e ora stava scherzando. Ahmad si rispense.
Quando Igor, dopo un po’, accennò ad andarsene, Amri lo bloccò: «Ahmad è
impegnato, ma io voglio restare con te. È da troppo tempo che non ti vedo. Ti offro
un pranzo in un ristorante speciale sul fiume Bàrada e mi racconti di te.»
«Non posso. Ho un appuntamento.»
Ma non ci fu verso: «Igor, guarda che mi offendo.»
Gli sarebbe venuto da dire: «Vai tranquillo. Offenditi pure» ma non se la sentì.
Comunque, l’auspicato evento per cui era andato quella mattina al caffè Costa non
s’era verificato.
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