Cap9_PEI_OMC File - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche

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Cap9_PEI_OMC File - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche
Capitolo Nono
Il coordinamento commerciale multilaterale:
genesi e sviluppi (*)
9.1
La nascita del sistema commerciale multilaterale
All’indomani del secondo conflitto mondiale, l’esigenza del coordinamento delle
politiche commerciali si affermò in maniera evidente. Le principali potenze economiche mondiali volevano evitare il ritorno al nazionalismo economico ed alle
politiche beggar-thy-neighbour1 degli anni Trenta. A tal fine, esse aspiravano alla
creazione di un sistema economico internazionale liberale e non discriminatorio,
basato sul commercio multilaterale, al quale avrebbero dovuto partecipare tutti i
paesi (Foreman-Peck, 1999)2. Il nuovo assetto verso il quale si stava orientando
gran parte dell’economia mondiale ricordava, per la sua propensione internazionalistica, quello del periodo “classico” del libero scambio (1850-75), quando la difesa
del commercio fatta da Smith nel XVIII secolo e la posizione assunta da Ricardo
nel dibattito sulle Corn Laws nella prima metà dell’Ottocento avevano influenzato
significativamente la politica commerciale dei paesi europei. In particolare, la firma dell’“Accordo Cobden-Chevalier” tra Francia e Gran Bretagna del 1860 giocò
un ruolo fondamentale nella storia commerciale della seconda metà del XIX secolo, in quanto contribuì a garantire per circa vent’anni lo sviluppo del libero commercio fra le principali potenze commerciali dell’epoca3, prima che la depressione
economica successiva e le pesanti conseguenze economiche e sociali derivanti dalla prima guerra mondiale aprissero la strada al ritorno al protezionismo (Bairoch,
1976). Nel 1944, i rappresentanti di 44 paesi si incontrarono a Bretton Woods, nel
(*)
1
Autrice di questo capitolo è Silvia Nenci.
Le “politiche beggar-thy-neighbour” sono quelle misure di politica economica adottate da un paese i
cui effetti negativi si scaricano sugli altri paesi (vedi capitolo 7).
2
Va sottolineato che i paesi con minori possibilità di influire sulla riforma delle istituzioni internazionali - quali i paesi di recente indipendenza ed alcuni paesi non industrializzati - espressero posizioni più critiche nei riguardi del liberismo degli scambi internazionali e finirono per adottare politiche
di sviluppo economico caratterizzate da un forte intervento statale (Comba, 1995).
3
A seguito di tale accordo, tra il 1863 ed il 1866, la maggioranza dei paesi europei entrò a far parte di
una fitta rete di accordi di libero scambio, attraverso trattati firmati con la Francia o con il Regno
Unito, che venne ribattezzata come “rete dei trattati Cobden-Chevalier”.
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
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New Hampshire, per stilare e firmare gli accordi che diedero vita al nuovo ordine
economico mondiale. Nell’intenzione degli organizzatori, assieme al Fondo Monetario Internazionale ed alla Banca Mondiale, avrebbe dovuto vedere la luce anche
una terza istituzione multilaterale, con la funzione di porre le basi normative per
favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. La definizione delle modalità
più idonee per la riduzione degli ostacoli al commercio internazionale venne rinviata alla realizzazione di un accordo, i cui principali articoli furono elaborati nella
4
cosiddetta “Carta dell’Avana” , un documento redatto nell’ambito della conferenza
sul commercio e l'occupazione delle Nazioni Unite che si svolse a L’Avana tra la
fine del 1947 ed i primi mesi del 1948. Tale documento prevedeva anche la creazione di una Organizzazione internazionale del commercio, denominata ITO, International Trade Organization5.
Nell’ottobre 1947, a Ginevra, durante i lavori preparatori della conferenza delle Nazioni Unite, ventitré paesi – tra cui undici Pvs – completarono la parte IV della “Carta dell’Avana”, che fu sottoscritta il 30 ottobre prendendo il nome di “Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio” (General Agreement on Tariffs and Trade - GATT). L’Accordo entrò in vigore il 1° gennaio 1948, in virtù di
un protocollo di applicazione provvisoria al quale aderirono successivamente numerosi altri Stati. L’obiettivo originario degli Stati firmatari era quello di incrementare gli scambi internazionali delle economie che uscivano dal secondo conflitto
mondiale attraverso l’applicazione di princìpi giuridici propri di un sistema economico basato sul libero scambio. Il GATT rappresentava un complesso di norme e
procedure dotato di flessibilità ed elasticità tali da consentire la composizione di
esigenze ed interessi spesso antitetici tra di loro. L’accordo si basava su tre princìpi
fondamentali: 1) la libertà degli scambi; 2) la “non discriminazione”, attraverso
l’applicazione della “clausola della Nazione più favorita”6; 3) la “reciprocità”7.
4
La “Carta dell’Avana” rappresentava il risultato di un compromesso raggiunto tra le posizioni dei
diversi Stati, caratterizzate da divergenze particolarmente accese. Da una parte vi erano gli Stati Uniti,
sostenitori di una organizzazione internazionale del commercio che fosse in grado di garantire la piena libertà degli scambi attraverso l’attuazione del principio di non discriminazione e l’abolizione delle
restrizioni quantitative. Dall’altra vi era la Gran Bretagna, intenzionata a mantenere le preferenze
commerciali con i paesi dell’impero e contraria a promuovere una drastica abolizione delle restrizioni
quantitative in una fase di generale difficoltà economica manifestata da generalizzati squilibri di bilancia dei pagamenti. A queste due posizioni si affiancavano quelle di altri Stati, preoccupati di salvaguardare il proprio nascente sistema industriale e, quindi, contrari all’eliminazione delle restrizioni
quantitative, strumento fondamentale per garantire afflussi consistenti di risorse finanziarie nelle casse statali.
5
La “Carta dell'Avana” era composta da 106 articoli ed era divisa in nove capitoli, oltre ad avere numerosi allegati. Di questi, tre capitoli erano più direttamente ispirati ai princìpi del neo-liberismo; il
quarto, intitolato «politica commerciale» fu utilizzato, con alcune modifiche, per dar vita all'Accordo
generale sulle tariffe doganali ed il commercio (GATT); il quinto, dedicato alle «pratiche commerciali
restrittive» delineava un articolato sistema di norme e di controlli internazionali a tutela della libera
concorrenza; il settimo stabiliva l'atto costitutivo dell'Organizzazione internazionale del commercio
(ITO).
6
L’art. I del GATT stabilisce che tutti i vantaggi, benefici, privilegi o immunità accordate da una parte contraente ad un prodotto originario o destinato a qualsiasi altro paese siano immediatamente e
senza condizioni estesi a tutti i prodotti similari originati o destinati al territorio di tutte le altre parti
contraenti (“clausola della nazione più favorita”). II principio di non discriminazione viene attuato
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La politica economica internazionale
L’accordo prevedeva, tuttavia, un’ampia possibilità di introdurre deroghe ed eccezioni. Fu stabilita, ad esempio, una deroga di carattere generale che poteva essere
concessa dalle “parti contraenti” quando si verificavano circostanze eccezionali
(art. XXV, n. 5); erano, inoltre, previste deroghe in situazioni giuridicamente definite, come nel caso di crisi della produzione (art. XIX), o in settori specifici, come
le deroghe previste al divieto di restrizioni quantitative per la protezione
dell’agricoltura, per l’equilibrio della bilancia dei pagamenti e l’economia dei Pvs
(art. XI, n. 2; art. XII nn. 1 e 2 e art. XVIII, B). Ad esse si aggiungevano le comuni
deroghe relative agli interessi primari degli Stati, all’ordine pubblico e alla sicurezza (artt. XX e XXI).
L’accordo assunse inizialmente carattere provvisorio poiché era previsto che
rimanesse valido sino alla ratifica dell’intera “Carta dell’Avana”. In una prima fase, proprio per sottolinearne la provvisorietà, erano previste delle semplici conferenze periodiche delle “parti contraenti” per dare esecuzione alle disposizioni
dell’accordo ed un Segretariato molto ridotto. Ma a metà degli anni Cinquanta,
quando divenne chiaro che l’intera Carta non sarebbe mai entrata in vigore, si decise di assegnare alle “parti contraenti” dell’Accordo GATT il compito di organizzare negoziati (denominati “round”) per ridurre il livello generale dei dazi doganali e
delle altre imposizioni e si mantenne inalterato ogni altro obbligo contenuto
nell’accordo generale, il quale divenne, di fatto, definitivo (art. XXVIII-bis).
La mancata ratifica della Carta dell’Avana sancì anche il dissolversi del progetto ITO: l’Organizzazione, infatti, non vide mai la luce. La causa fu la mancata
adesione all’accordo internazionale delle principali potenze economiche, tra cui gli
Stati Uniti - che non provvidero alla ratifica del trattato - e la Gran Bretagna8. Al
di là delle motivazioni legate alle diverse situazioni contingenti, la ragione principale del rifiuto a dar vita all’ITO va ricercata nell’estensione dei poteri e delle
anche con la clausola del trattamento nazionale, la quale stabilisce che i prodotti provenienti dal territorio di qualsiasi parte contraente importati nel territorio di qualsiasi altra parte contraente non sono
colpiti, direttamente o indirettamente, da tasse o altre imposizioni interne, di qualsiasi tipo, in misura
superiore a quelle che colpiscono direttamente o indirettamente prodotti nazionali simili.
7
Gli obblighi a cui gli Stati firmatari si sottoponevano erano indicati nell'Accordo ed articolati in tre
parti. La prima parte riguardava l'estensione a tutte le parti contraenti dei vantaggi derivanti dal funzionamento multilaterale della clausola della nazione più favorita incondizionata in materia di dazi
doganali e di altre forme di ostacoli agli scambi (artt. I e II). La seconda parte stabiliva l'obbligo del
trattamento nazionale per tutte le merci estere importate (art. III), la libertà di transito (art. IV), la disciplina dei diritti anti-dumping (art. VI), l'imposizione di criteri standard per calcolare il valore delle
merci in dogana (art. VII), il divieto di introdurre misure protezionistiche sottoforma di riscossione di
diritti o imposizione di formalità relative all'importazione o all'esportazione (art. VIII), l'obbligo di
dare pubblicità ed applicare equamente i regolamenti commerciali (art. X), l'eliminazione generale
delle restrizioni quantitative (art. XI), la disciplina delle sovvenzioni statali alla produzione e
all’esportazione (artt. VI e XVI), ed altri obblighi per facilitare la libera circolazione delle merci. La
terza parte riguardava le eccezioni relative al traffico di frontiera, alla creazione di unioni doganali o
di zone di libero scambio (art. XXIV), alle azioni collettive (art. XXV), alla sospensione e al ritiro
delle concessioni (art. XXVII), agli emendamenti (art. XXX), al recesso (art. XXXI) (si veda Comba,
1995).
8
Le ragioni di tale rifiuto furono molteplici: dal ritorno al protezionismo americano, ai problemi della
guerra fredda; alle preoccupazioni del Regno Unito per la piena occupazione e la bilancia dei pagamenti, nonché all’esigenza di mantenere le c.d. “preferenze coloniali”.
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
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competenze previste dalla Carta dell’Avana a favore della nuova organizzazione
internazionale. Il trasferimento della gestione della politica commerciale ad un organismo internazionale era visto con sospetto, soprattutto dalle economie più forti,
dato che il progetto ITO non prevedeva alcun sistema di ponderazione del voto,
con il rischio che i paesi più influenti si ritrovassero in posizione minoritaria.
Dal 1960, il GATT ha accentuato la sua struttura organica con la creazione del
Consiglio, organo formato dai rappresentanti degli Stati membri che si riunisce tra
una sessione e l’altra delle parti contraenti; l’istituzione stabile di un organo amministrativo, il Segretariato, composto dal direttore generale e dalla direzione amministrativa; e via via di un complesso di organi, comitati, gruppi di lavoro e di esperti (Hoekman e Kostecki, 2001). Nel 1964 fu poi aggiunta una nuova parte
all’accordo generale per favorire il commercio dei Pvs. Le “parti contraenti” del
GATT adottarono nuovi articoli per definire gli obiettivi generali a favore dello
sviluppo, prevedendo anche il riconoscimento del “principio di non reciprocità” a
favore dei Pvs.
9.2
L’evoluzione dei negoziati multilaterali
Nonostante il carattere “temporaneo” che aveva contraddistinto la sua adozione, il
GATT è rimasto in vigore per quasi 50 anni, dal 1948 al 1994. II suo principale
obiettivo è stato quello di ridurre i dazi doganali attraverso periodiche conferenze,
denominate round. Otto sono stati i negoziati svoltisi in ambito GATT: Ginevra,
1948; Annency, 1949; Torquay, 1950-51; Ginevra, 1956; Dillon Round 1960-62;
Kennedy Round, 1963-67; Tokyo Round, 1973-79; Uruguay Round 1986-93 (vedi
Fig. 9.1).
Durante i primi sei Round negoziali, l’oggetto dei negoziati è stato quasi
esclusivamente la riduzione dei dazi doganali. Quasi tutte le più importanti riduzioni daziarie si verificarono tra la fine degli anni Cinquanta ed il 1971. Ad eccezione di quelli del Kennedy Round, i tagli più importanti furono quelli fissati nel
Dillon Round, nonché quelli associati alla formazione della CEE e dell’EFTA.
Questi tagli ebbero effetti sia sulla composizione degli scambi in termini di prodotti, sia sulla distribuzione degli stessi per aree geografiche. Solo successivamente,
l’interesse dell’accordo generale si è rivolto anche agli ostacoli non tariffari che si
rivelavano sempre più insidiosi per il libero scambio delle merci.
I primi quattro negoziati determinarono, nel complesso, riduzioni sostanziali
(pari a circa il 35%), anche se non generalizzate, delle limitazioni imposte al commercio internazionale. Queste prime quattro conferenze si svolsero secondo il metodo dei negoziati bilaterali con il fornitore principale: ogni parte contraente doveva negoziare le concessioni su un prodotto singolo con lo Stato principale fornitore
del prodotto negoziato.
Proposto dagli USA con lo scopo fondamentale di affrontare i problemi sorti
in seguito all’istituzione della CEE, il quinto negoziato, il Dillon Round (1960-62),
non raggiunse esiti di rilievo e risultò essere più che altro una fase di transizione
250
La politica economica internazionale
verso le vere e proprie trattative, che si svolsero nel contesto di un nuovo negoziato, il Kennedy Round, che si aprì il 1° maggio 1964 e si concluse nel giugno 1967.
Anno
Nome/Località
N. paesi
partecipanti
Ginevra
23
Entrata in vigore del GATT e riduzione
delle tariffe
21
1949
Annecy
13
Riduzione delle tariffe
2
1951
Torquay
38
Riduzione delle tariffe
3
Ginevra
26
Riduzione delle tariffe, definizione delle future strategie del GATT verso i
Pvs
4
Dillon Round (Ginevra)
26
Riduzione delle tariffe
2
62
Riduzione delle tariffe (per la prima
volta si tratta di una riduzione generalizzata delle tariffe e non di specifici
prodotti) e misure anti-dumping (le misure adottate furono respinte dal Congresso USA)
35
102
Riduzione delle barriere non tariffarie
al commercio, riduzione delle tariffe
sui beni manufatti, miglioramento ed
estensione del sistema GATT
33
123
Creazione dell’OMC, riduzione delle
tariffe, dei sussidi e delle sovvenzioni
all’esportazione e delle altre distorsioni
ed ostacoli all’esportazione in un libero
mercato, servizi, accordi per il rafforzamento della proprietà intellettuale,
regolazione delle dispute internazionali,
settori agricolo e tessile
34
1947
1956
19601961
19641967
19731979
Kennedy Round (Ginevra)
Tokyo Round (Ginevra)
19861994
Uruguay Round (Ginevra)
Temi trattati
Tagli %
sui dazi
Fig. 9.1 I round in ambito GATT dal 1948 al 1994
Fonte: OMC.
Al Kennedy Round presero parte oltre 60 paesi, rappresentativi di circa il 75
per cento del commercio mondiale. Il Kennedy Round segnò per diversi aspetti un
cambiamento di rotta rispetto ai round precedenti. Le novità maggiori furono rap9
presentate dall’introduzione di una nuova metodologia di negoziazione , e
dall’allargamento dei negoziati ad altre tipologie di barriere al commercio, rispetto
al tradizionale campo di intervento del GATT costituito dai dazi, con cui si apriva
9
Il nuovo metodo lineare di riduzione delle tariffe si applicava, differentemente dal metodo “prodotto
per prodotto” fino ad allora adottato in sede GATT, su intere categorie di prodotti. Questo metodo,
oltre ad ottenere risultati più rilevanti nella riduzione dei livelli tariffari, poteva ovviare all’eccessiva
lentezza dei lavori che caratterizzava le trattative sui singoli prodotti.
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
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la strada ai negoziati sull’agricoltura e su altri settori. A fronte di una consistente
riduzione delle barriere tariffarie nel commercio fra paesi industrializzati, il round
lasciava, tuttavia, insoluti i problemi relativi all’imposizione di “barriere non tariffarie” (vedi cap. 2), adottate in misura crescente dai paesi per difendersi dalla concorrenza internazionale, mentre scarsi o nulli furono anche i risultati in materia di
agricoltura e di accesso ai mercati per le esportazioni dei Pvs.
La questione delle “barriere non tariffarie” venne invece apertamente affrontata nel Tokyo Round (1973-1979). Lo spostamento dell’attenzione verso questa forma di protezionismo contribuì ad accrescere le difficoltà nelle trattative, data la
mancanza di riferimenti quantitativi direttamente valutabili e comparabili. La lunga
e tormentata trattativa si concluse però con un risultato importante: l’elaborazione
di “codici di condotta” volti ad agevolare l’armonizzazione dei regolamenti nazionali ed a realizzare una maggiore trasparenza nelle operazioni commerciali internazionali10. La portata di tali codici risultò tuttavia limitata da importanti eccezioni
alla loro applicazione: comparti cruciali nell’ambito dell’intervento pubblico, quali
i servizi, i trasporti, le telecomunicazioni e l’energia, furono esclusi dagli accordi.
La crisi economica internazionale dei primi anni Ottanta, che fece seguito ai
due shock petroliferi, all’aumento sostenuto dei tassi di inflazione e all’instabilità
generale che aveva caratterizzato il decennio precedente, rafforzò progressivamente le tendenze protezionistiche tra i paesi membri del GATT. Tale deterioramento
delle relazioni commerciali raggiunse forme inusitate e più difficili da contrastare
come il c.d. protezionismo “indiretto” che si è sostanziato in sovvenzioni, agevolazioni fiscali, incentivi alle politiche settoriali, nonché in veri e propri accordi di
“autolimitazione”, come le restrizioni volontarie alle esportazioni (VER), tutte misure che rientrano nella definizione di barriere non tariffarie.
Ad aggravare ulteriormente la situazione fu il manifestarsi di nuove difficoltà,
quali l’esplosione del debito internazionale dei Pvs e l’intensificarsi dei conflitti
commerciali fra le aree economicamente più forti come gli USA, il Giappone e la
CEE. Del resto, l’assenza di qualsiasi potere di coercizione nei confronti dei suoi
membri e l’esclusione dalla sua giurisdizione di settori rilevanti come l’agricoltura
ed i servizi, avevano, di fatto, limitato l’azione del GATT. Da questo complesso di
problemi nacque l’esigenza di promuovere nuove negoziazioni multilaterali in ambito GATT, note con il nome di Uruguay Round, varate a Punta de l’Este in Uruguay, nel settembre del 1986. Il round sarebbe dovuto terminare nel dicembre del
1990 ma i disaccordi tra Stati Uniti e Unione Europea sulla riduzione dei sussidi
all’agricoltura ritardò la sua conclusione. Questo ottavo ciclo di trattative multilaterali durò così oltre sette anni, approdando alla stesura di un trattato in cui venne ribadito l’impegno dei paesi membri a mettere ordine nelle relazioni economiche internazionali, a contrastare la rinascita dei protezionismi nazionali e regionali, a rafforzare ed estendere il sistema commerciale multilaterale a beneficio dell’intera
comunità mondiale. L’obiettivo specifico dell’Uruguay Round era quello di stabili10
I codici riguardavano, in particolare: un accordo per le commesse pubbliche; un accordo per la valutazione dei prodotti alla dogana; accordi sulle barriere tecniche al commercio, sull’uso delle licenze
di importazione e sui sussidi e dazi compensativi; e un accordo sulle misure anti-dumping.
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La politica economica internazionale
re delle regole per controllare la proliferazione del nuovo protezionismo ed invertirne la tendenza. L’accordo, firmato ufficialmente a Marrakech nell’aprile del
1994 da 117 paesi (a seguito del pre-accordo di Blair House fra USA e CEE del
dicembre del 1993) entrò in vigore il primo gennaio del 1995.
Il successo dell’Uruguay Round ha un significato tutto particolare. Con la firma dell’Uruguay Round si raggiunse anche un traguardo lungamente atteso, ossia
la creazione di una vera e propria istituzione multilaterale del Commercio, in sostituzione dell’accordo GATT: l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
L’Uruguay Round determinò, inoltre, la riaffermazione ed il rilancio su scala internazionale del sistema commerciale multilaterale rispetto al proliferare degli accordi
a carattere prevalentemente regionale e la tendenza verso la realizzazione di un sistema commerciale internazionale formato da grandi “blocchi” economici su base
continentale in competizione fra loro.
L’entusiasmo verso il trattato dell’Uruguay Round scaturì anche dal fatto che
esso si estendeva a nuovi settori non inclusi nelle precedenti tornate negoziali, quali l’agricoltura, i servizi, gli investimenti esteri, la protezione dei diritti di proprietà
intellettuale. L’Uruguay Round determinò risultati significativi in tema di liberalizzazione degli scambi di prodotti industriali (i comparti più favoriti sono stati quelli
della meccanica non elettrica e quelli ad alta intensità di materie prime); liberalizzazione degli scambi di prodotti agricoli (le misure predisposte si concentrano sulla
riduzione dei sussidi all’esportazione e del sostegno interno alla produzione); liberalizzazione degli scambi di servizi; protezione dei diritti di proprietà intellettuale;
anti-dumping, sussidi, appalti pubblici; liberalizzazione degli investimenti
all’estero; assetto futuro dei negoziati multilaterali dopo la trasformazione del
GATT nell’OMC.
Sebbene la conclusione del round sia stata di per sé un grande risultato, solamente una parte dei suoi obiettivi è stata raggiunta e molti problemi in materia
commerciale hanno continuato a persistere.
9.3
L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)
Già in occasione della conferenza di Bretton Woods del 1944 i paesi partecipanti si
erano dimostrati consapevoli della necessità di accompagnare il nuovo sistema di
governance mondiale con uno smantellamento progressivo delle misure protezionistiche vigenti, nonché di formulare un nuovo sistema di regole che potesse facilitare l’instaurarsi di più solidi legami commerciali nella comunità internazionale. A
tal fine, come già detto, nell’ambito della “Carta dell’Avana” fu elaborato un progetto di statuto per la creazione dell’Organizzazione internazionale del commercio,
l’International Trade Organization. Tale organizzazione non vide mai la luce. Occorrerà attendere quasi quarant’anni per assistere alla costituzione di
un’organizzazione similare, con la creazione, il 1° gennaio 1995, dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio o WTO, dall’inglese World Trade Organization).
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
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L’OMC, con sede a Ginevra (Svizzera), è una vera e propria istituzione multilaterale, dotata di una struttura organizzativa definita e di specifici poteri di intervento, la cui creazione ha dato avvio ad un nuovo paradigma della politica commerciale mondiale, conferendole maggiore solidità ed una maggiore forza contrattuale. I paesi aderenti all’OMC sono oltre 150 ma il numero dei membri è costantemente in crescita: al momento della sua istituzione, l’Organizzazione contava infatti 76 stati membri (ossia i paesi aderenti al GATT alla data di entrata in vigore
dell’accordo istitutivo); nei successivi dieci anni oltre 70 nuovi Stati si sono uniti
all’organizzazione, tra cui la Repubblica Popolare Cinese nel 2001 e la Federazione
russa nel 2012, mentre circa altri 25 paesi hanno attualmente in corso procedimenti
di accessione. Questi ultimi partecipano alle attività dell’Organizzazione in qualità
di osservatori11. Il gruppo più grande di paesi membri è costituito dalla Comunità
Europea che per le materie di sua esclusiva competenza agisce come membro autonomo dell’Organizzazione al pari di ognuno dei propri paesi membri.
L’accordo istitutivo dell’OMC è una sorta di “accordo ombrello” che abbraccia altri “sotto-accordi” (vedi Fig. 9.2): accordi specifici per ognuna delle tre grandi
aree di intervento dell’OMC (beni, servizi e proprietà intellettuale); l’accordo sulla
risoluzione delle controversie commerciali (dispute settlement) e l’accordo sulla
“revisione delle politiche commerciali dei paesi membri” (Hoekman e Kostecki,
2001). Tali accordi analizzano in dettaglio i princìpi alla base della liberalizzazione
multilaterale nei tre settori chiave, i relativi criteri di eccezione ed il trattamento
differenziato concesso ai Pvs; le procedure necessarie per la risoluzione delle controversie internazionali; nonché le procedure atte a garantire la trasparenza della
politica commerciale dei paesi aderenti all’accordo.
Il mandato dell’OMC non è, tuttavia, chiaramente definito. Se da un lato gli
obiettivi contenuti nel preambolo dell’accordo di Marrakech del 15 aprile del 1994
sono così ampi e generici da risultare privi di utilità pratica, dall’altro il tentativo di
sintetizzare gli obiettivi specifici previsti in ognuno degli accordi alla base delle
attività dell’OMC condurrebbe ad un eccessivo livello di dettaglio analitico (Krueger, 1998). Considerare l’OMC, come spesso si fa nel dibattito corrente, semplicemente come l’Organizzazione deputata a favorire la liberalizzazione del commercio internazionale sarebbe, tuttavia, restrittivo.
L’articolo III dell’accordo istitutivo elenca cinque funzioni principali
dell’OMC:
1) amministrazione ed implementazione degli accordi di liberalizzazione multilaterale previsti nell’ambito delle attività dell’Organizzazione;
2) forum di discussione nell’ambito dei negoziati commerciali multilaterali;
3) amministrazione e risoluzione delle controversie internazionali nell’ambito
delle proprie materie di competenza;
4) rassegna delle politiche commerciali nazionali;
11
L’unico paese osservatore non obbligato ad avviare le procedure di adesione è la Città del Vaticano.
254
La politica economica internazionale
5) cooperazione con la Banca Mondiale ed il FMI al fine di garantire la coerenza della gestione della politica economica internazionale.
Le prime tre funzioni erano già previste nel mandato originario del GATT, la
quarta fu introdotta provvisoriamente nel 1989 e resa permanente con la nascita
dell’OMC, mentre la quinta è stata aggiunta specificamente nell’ambito
dell’accordo istitutivo dell’OMC.
Accordo Ombrello
Princìpi base
Accordo istitutivo dell’OMC
Beni
Servizi
Proprietà intellettuale
GATT
GATS
TRIPS
Analisi di dettaglio
Accordi ed allegati su
“altri beni”
Allegati sui Servizi
Accesso al mercato
Programmi d’impegno
dei paesi membri
Programmi d’impegno
dei paesi membri
Risoluzione delle controversie commerciali
Trasparenza
Accordo sul Dispute Settlement
Revisione delle politiche commerciali nazionali
Fig. 9.2 La struttura di base degli Accordi OMC
Fonte: OMC.
L’attività dell’OMC si ispira, inoltre, ai seguenti princìpi generali:
-
-
-
“non discriminazione”; già presente in ambito GATT, concerne l’accettazione
da parte degli stati membri della clausola della “nazione più favorita” (in inglese MFN, Most Favoured Nation), secondo la quale tutti i vantaggi, benefici,
privilegi o immunità accordate da una parte contraente ad un prodotto originario o destinato a qualsiasi altro paese devono immediatamente e senza condizioni essere estesi a tutti i prodotti similari originati o destinati al territorio di
tutte le altre parti contraenti;
“trattamento nazionale”, in pratica, l’estensione del principio di non discriminazione tra beni importati e prodotti di fabbricazione nazionale, esteso anche ai
servizi, ed ai diritti di proprietà intellettuale;
“liberalizzazione commerciale”, corollario indispensabile del libero commercio. La liberalizzazione deve avvenire in modo progressivo e negoziale. Le barriere da rimuovere includono, principalmente, barriere tariffarie e non tariffarie, ma non si escludono altre eventuali barriere al commercio (come, ad esempio, la questione delle c.d. “barriere interne”), nonché considerazioni circa le
politiche del tasso di cambio;
“prevedibilità”, il sistema multilaterale del commercio deve assolvere anche il
compito di rendere stabili e prevedibili le decisioni dei paesi membri circa la
politica commerciale internazionale. Ciò contribuisce, di fatto, a creare un cli-
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
-
-
255
ma di stabilità e trasparenza in grado di favorire indirettamente l’espansione
del commercio mondiale;
“concorrenza leale”, tale principio permette una deroga al principio della liberalizzazione commerciale, in quanto la liberalizzazione da sola non è in grado
di assicurare un’equa concorrenza fra i paesi partner. Tutti gli accordi OMC si
occupano, pertanto, di garantire il principio di concorrenza leale con particolare
attenzione ai temi dell’agricoltura, dei diritti di proprietà intellettuale e dei servizi;
“sostegno allo sviluppo”, in pratica, la consapevolezza che i Pvs hanno bisogno
di gradualismo e flessibilità nel perseguimento delle politiche di liberalizzazione commerciale. In ossequio a tale principio, gli accordi OMC hanno mantenuto i provvedimenti già esistenti in sede GATT che garantivano “trattamenti differenziati” nel caso dei Pvs ed il c.d. “Sistema Generalizzato delle Preferenze”(SGP)12.
Il principale strumento dell’attività dell’OMC è il negoziato. È infatti attraverso l’attività negoziale, portata avanti permanentemente dai delegati, e validata in
occasione delle riunioni plenarie della conferenza ministeriale, che l’OMC realizza
i propri obiettivi. L’OMC, pertanto, oltre al completamento delle attività negoziali
precedenti si è subito impegnata per avviare una nuova tornata di negoziati, lanciata nel 2001 e nota come Doha Development Agenda - DDA.
All’OMC è attribuita personalità giuridica internazionale, ed ogni Stato membro deve accordarle la capacità giuridica, nonché i privilegi e le immunità necessarie per esercitare le funzioni previste dall’atto istitutivo. Anche l’OMC prevede due
tipologie di organi: una tipologia di organi “decisionali” rappresentativi di tutti gli
Stati membri ed una tipologia di organi “amministrativi”, formati da funzionari indipendenti, con a capo un direttore generale (vedi Fig. 9.3). L’organo plenario rappresentativo è la conferenza ministeriale, composta dai rappresentanti di tutti i
membri, che si riunisce almeno una volta ogni due anni. Negli intervalli tra le sessioni della conferenza opera un “Consiglio generale”, il quale ha il compito di portare avanti le attività dell’Organizzazione, ed un “Segretariato” con funzioni amministrative, al cui vertice è posto un “Direttore generale” nominato dalla conferenza ministeriale. Altri organi sono il “Consiglio per gli scambi di merci” (che sovrintende al funzionamento degli accordi commerciali multilaterali relativi allo
scambio di merci - c.d. "GATT 1994"), un “Consiglio per gli scambi di servizi”
(che sovrintende al funzionamento dell’accordo generale sugli scambi di servizi c.d. “GATS”) ed un “Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale
attinenti al commercio” (quest’ultimo denominato “Consiglio TRIPS”,
dall’acronimo inglese dell’accordo).
12
Il “Sistema Generalizzato delle Preferenze” (SGP) costituisce un programma di esenzione al principio della “Nazione più favorita” adottato dai paesi industrializzati membri dell’OMC con l’obiettivo
di garantire tariffe preferenziali nei confronti delle importazioni provenienti dai Pvs.
256
La politica
a economica in
nternazionale
Fig. 9.3 La struttura organizzativa dell’OM
MC
Fonte: OM
MC.
La nascita
n
dell’O
OMC, come già sottolineeato, ha conttribuito efficaacemente an
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Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
257
risoluzioni e delle raccomandazioni ed ha il potere di autorizzare l’adozione di misure di ritorsione quando un Paese non rispetta una risoluzione.
Codificando la prassi affermata in ambito GATT, le decisioni
dell’Organizzazione vengono adottate per consenso (consensus). Tale criterio non
prevede l’unanimità delle decisioni, ma garantisce che nessun paese membro consideri la decisione presa talmente inaccettabile da obiettarvi. Il vantaggio
dell’adozione delle decisioni per consenso risiede nel fatto che in tal modo si incoraggiano gli sforzi tesi a proporre ed adottare decisioni che siano le più largamente
condivise; gli svantaggi di tale “iter procedurale” sono invece riscontrabili
nell’allungamento dei tempi necessari e nel numero dei round negoziali necessari a
raggiungere il consenso per l’adozione delle decisioni, nonché nell’utilizzo di un
linguaggio ambiguo nella stesura dei punti controversi nelle decisioni, che spesso
contribuisce a rendere difficoltosa la successiva interpretazione degli stessi. Salvo
disposizioni diverse, qualora risulti impossibile giungere ad una decisione per consenso, la decisione relativa alla questione in discussione è presa a maggioranza di
voti (la maggioranza richiesta può anche essere, come nel caso del FMI e della
Banca Mondiale, dei tre quarti dei membri, come ad esempio nel caso di interpretazione di un accordo commerciale multilaterale).
Le difficoltà incontrate dall’OMC nell’avvio dei nuovi negoziati multilaterali
hanno messo in discussione il ruolo ed i meccanismi di funzionamento della neonata organizzazione, che in realtà nasce già vecchia, in quanto, pur essendo una delle
più giovani organizzazioni internazionali, ha nei fatti, come visto, mutuato obiettivi, princìpi ed assetto istituzionale dal GATT. In quest’ottica, ha suscitato particolare clamore, in occasione della conferenza di Cancún del 2003, la dichiarazione
dell’allora commissario dell’UE, Pascal Lamy, il quale ha attribuito il fallimento
dei negoziati multilaterali proprio all’arcaica struttura dell’OMC definita come
“istituzione medievale”, non in grado di sostenere le proprie mansioni e portare
avanti il dialogo tra i suoi numerosi paesi membri in modo da giungere alla formazione di un valido consenso tra di essi. Si è così riproposto prepotentemente alla
ribalta il tema della riforma del funzionamento dell’OMC. Tra le proposte più significative: l’idea di negoziati non limitati all’aspetto tecnico degli ostacoli agli
scambi; l’introduzione di gruppi di consultazione ristretti (green rooms) senza prescindere dalla salvaguardia del principio del consenso generale (garantito
dall’Assemblea generale); la creazione di uno Steering Committee dei rappresentanti dei principali membri (in base ad un criterio geografico o per quote); il rafforzamento dell’assistenza tecnica e l’attuazione di misure di capacity building per
elevare la capacità di partecipazione dei Pvs; la promozione di processi di adesione
rapidi, meno onerosi e commisurati alle esigenze dei Pvs; l’apertura dei mercati internazionali ai beni e servizi dei Pvs; il riconoscimento della priorità al tema della
circolazione delle persone nell’ambito del GATS.
258
9.4
La politica economica internazionale
La politica commerciale multilaterale dopo la nascita
dell’OMC
Durante la prima conferenza ministeriale (Singapore, dicembre 1996)13, l’OMC
portò a compimento i negoziati in corso affrontando parallelamente il tema delle
cosiddette “barriere tariffarie interne”, cioè gli ostacoli e le distorsioni del commercio internazionale che scaturiscono dalle differenze tra i paesi nelle politiche concepite con finalità interne come, ad esempio, il caso delle politiche di concorrenza,
della regolamentazione dei mercati del lavoro, delle norme di tutela dell’ambiente.
Particolarmente rilevante, in quest’ambito, la questione della regolamentazione dei
mercati del lavoro: il tema dell’armonizzazione internazionale dei c.d. labour standard fu uno dei temi principali affrontato durante la conferenza di Singapore, anche se nel comunicato finale della conferenza fu poi ribadita la competenza in materia dell’ILO e prevista una stretta collaborazione futura fra le due Organizzazioni
internazionali.
L’OMC si pose, tuttavia, sin dall’inizio, come obiettivo prioritario il lancio di
un nuovo negoziato multilaterale. In occasione della III conferenza internazionale
dell’Organizzazione, svoltasi a Seattle nel dicembre del 1999, fu proposto l’avvio
del c.d. Round del Millennio (Millenium Round): round unico, fortemente voluto
dall’UE, i cui obiettivi negoziali erano decisamente ambiziosi. In agenda erano
previsti alcuni negoziati settoriali “obbligatori”, quali agricoltura, prodotti industriali, tessile–abbigliamento e “nuovi negoziati” legati ai temi delle barriere non
tariffarie, agli appalti pubblici, ai diritti proprietà intellettuale, all’e-commerce, alla
concorrenza ed al c.d. Accordo sugli Investimenti (Multilateral Agreement of Investment - MAI). Il Millennium Round si rivelò, tuttavia, un vero fallimento. Tra le
cause principali di tale fallimento si evidenzia: la mancanza di risultati concreti nei
lavori preparatori dell’agenda; il tentativo di estendere i negoziati a temi “universali” (es. labour standard e diritti umani); l’incertezza “politica” legata alle divisioni
in seno all’UE, alla politica USA ed all’assenza di una leadership efficace
dell’OMC. Inoltre, la percezione dei Pvs di pochi spazi aperti a “concessioni” da
parte dei paesi industrializzati determinò per la prima volta il fenomeno delle coalizioni spontanee fra gruppi di paesi uniti dalla comune avversione nei confronti dei
protezionismi incrociati di Stati Uniti, Europa e Giappone. Senza contare che proprio in occasione di tale negoziato, l’OMC diventò il bersaglio principale degli oppositori alla globalizzazione (c.d. movimenti no global), il che contribuì indubbiamente a ridurre la credibilità di un’Organizzazione tesa a favorire la crescita del
benessere a livello mondiale tramite lo sviluppo del commercio.
Il negoziato fallito a Seattle riprese faticosamente la marcia in occasione della
IV Conferenza ministeriale dell’Organizzazione svoltasi a Doha nel dicembre 2001
in un clima politico ed economico peculiare (a soli due mesi dagli attentati terroristici di New York dell’11 settembre) ed in una situazione radicalmente diversa ri13
Dalla nascita dell’OMC sono state realizzate otto conferenze ministeriali: Singapore (1996); Ginevra (1998); Seattle (1999); Doha (2001); Cancún (2003); Hong Kong (2005); Ginevra (2009) e Ginevra (2011).
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
259
spetto a quella di Seattle. Da un lato, il dialogo tra Stati uniti e Unione europea era
ripreso in termini meno conflittuali; dall’altro, sia i Pvs sia i Paesi industrializzati si
dimostrarono inclini ad adottare un atteggiamento più cooperativo. Dal punto di
vista della situazione economica generale, il ciclo economico espansivo che aveva
caratterizzato gli anni novanta si era progressivamente indebolito, lasciando il posto ad una più o meno esplicita fase di recessione globale. Questo nuovo clima
economico, contrariamente all’equazione “recessione uguale protezionismo”, spinse i grandi poli commerciali, al di là delle aspettative, verso una più convinta volontà di liberalizzazione. Inoltre, la stessa OMC, dopo il cocente fallimento di
Seattle, aveva tutto l’interesse a favorire un esito positivo della nuova conferenza
ministeriale. Fu così che gli Stati membri riuscirono finalmente a trovare il sospirato accordo per il lancio del nuovo round negoziale.
La conferenza di Doha ha visto il riemergere di una leadership americana nel
processo di liberalizzazione degli scambi internazionali, mentre l’UE è apparsa in
difficoltà, chiusa nelle proprie contraddizioni (in primo luogo, l’ossessione di mantenere in vita la PAC, seppur nella sua versione riformata), abdicando in favore degli USA il ruolo di partner privilegiato dei Pvs.
Box 9.1 - Principali temi negoziali dell’attuale Development Round
- Agricoltura: riconferma degli obiettivi di riforma previsti dall’accordo OMC, finalizzati
-
-
14
alla liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli. I paesi membri sono impegnati, in particolare, a negoziare sui seguenti temi principali: accesso al mercato; riduzione
dei sussidi all’export e riduzione del supporto alla produzione nazionale. La dichiarazione di Doha ha ribadito la necessità di un trattamento differenziato per i Pvs in tale
settore e di assicurare la protezione ambientale, la sicurezza alimentare e lo sviluppo rurale. I negoziati attuali vertono sulla definizione delle modalità per raggiungere questi
obiettivi.
Servizi: prendendo atto che i negoziati in ambito GATS erano stati già avviati nel gennaio del 2000, la dichiarazione di Doha ha riconfermato le linee guida e le procedure
adottate in tale ambito, stabilendo la scadenza per la conclusione dei negoziati come
parte del single undertaking14. Le attuali aree di negoziazione nel settore dei servizi riguardano: l’accesso al mercato; la normativa interna; le regole GATS sulle misure di
salvaguardia d’emergenza; le procedure di appalto pubblico (il c.d. government procurement) e l’implementazione dei sussidi per i paesi meno sviluppati (il trattamento speciale nell’ambito dell’articolo Article IV.3 del GATS).
Prodotti non agricoli (Non-agricultural Market Access – NAMA): pur consapevoli che
le barriere tariffarie sono oggi al loro livello storicamente più basso, i paesi membri sono impegnati a portare avanti negoziati per ridurre ulteriormente le barriere tariffarie sui
prodotti industriali, tramite l’eliminazione dei “picchi tariffari” (tariffe particolarmente
elevate mantenute su prodotti considerati sensibili nell’ambito della produzione nazionale) e la riduzione dei tassi effettivi di protezione, nonché per affrontare il tema della
riduzione delle “barriere non tariffarie” su tutti i prodotti non agricoli, in particolare su
quelli esportati dai Pvs e dai paesi meno sviluppati;
Il “single undertaking” è la formula che obbliga i paesi contraenti ad accettare in blocco tutti gli
accordi multilaterali negoziati nell’ambito di un round.
260
La politica economica internazionale
- Diritti di Proprietà Intellettuale (TRIPS): il risultato più importante è stato l’adozione di
-
-
-
-
-
una Dichiarazione su TRIPS e “salute pubblica” che enuncia il principio, fortemente voluto dai Pvs, che l’accordo TRIPS non possa in alcun modo impedire al governo di un
paese di prendere le misure necessarie per proteggere la salute dei propri cittadini e
l’accesso ai medicinali, indicando misure di sanità pubblica compatibili con l’accordo.
Attualmente il negoziato si è incentrato sul tema delle indicazioni geografiche, discutendo la creazione di un sistema multilaterale di notifica e registrazione delle indicazioni geografiche per i vini e liquori.
Regole anti-dumping, sussidi e misure compensative: riconferma degli obiettivi di migliorare l’attuale disciplina in materia, al fine di tenere maggiormente in considerazione
i bisogni dei Pvs, preservando nel contempo i principi e l’efficacia degli accordi esistenti;
Trade facilitation: unico punto dei “temi di Singapore” non stralciato dall’Agenda di
Doha, il negoziato sulla facilitazione del commercio ha come obiettivo quello di semplificare e velocizzare il movimento e la distribuzione dei beni. Più specificamente, i paesi
membri si impegnano a chiarificare e migliorare gli articoli GATT relativi al transito,
alle tasse e alle formalità amministrative connesse agli scambi, e la trasparenza nei regolamenti.
Dispute Settlement: obiettivo del negoziato è quello di migliorare il sistema delle risoluzione delle controversie internazionali. Esso non rientra, tuttavia, nel single undertaking. I principali argomenti in discussione concernono: i diritti della parte terza; la
composizione del panel; il rinvio; le informazioni strettamente confidenziali; le soluzioni accettate di comune accordo; l’esecuzione; gli interessi dei Pvs; l’effettiva conformità.
Commercio ed ambiente: sulla scorta dei circa 200 accordi multilaterali in materia ambientale, sono stati avviati nuovi negoziati sulla compatibilità delle regole multilaterali
in ambito OMC con gli obblighi attualmente vigenti in materia ambientale;
E-commerce: dopo l’adozione, durante la seconda conferenza dell’OMC (Ginevra,
1998), di una dichiarazione sul commercio elettronico globale, è stato proposto un piano
di lavoro - ancora in discussione - per riesaminare tutte le questioni di carattere economico e finanziario relative al commercio sollevate dal commercio elettronico, in particolare per i Pvs.
Trattamento speciale e differenziato: conferma del trattamento speciale e differenziato
nei confronti dei Pvs e dei Paesi meno sviluppati. Esso comprende, ad esempio, estensione del periodo di adeguamento agli accordi e l’adozione di misure per favorire le opportunità commerciali di questi paesi. Il negoziato in corso è volto a rivedere tali norme
con l’obiettivo di rafforzarle e renderle più efficaci.
L’UE, che pure si era impegnata a rimuovere tutti i sussidi all’esportazione, ha
scontato enormemente la “questione agricola”, che ha rappresentato il vero punto
debole della posizione europea minando alla radice ogni possibilità di manovra dei
negoziatori europei sugli altri interessi. I veri protagonisti di Doha sono stati, invece, i Pvs, i quali sono riusciti ad ottenere numerose concessioni: dall’agricoltura
all’implementation15, dall’assistenza tecnica alla proprietà intellettuale, tanto che si
è parlato del negoziato di Doha come dell’avvio di un vero e proprio “round per lo
15
L’implementation riguarda l’effettiva applicazione degli impegni sottoscritti con gli accordi
dell’Uruguay Round.
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
261
sviluppo” (Development Round). I Pvs non solo sono riusciti a definire meglio i loro interessi ma, soprattutto, sono riusciti pragmaticamente a proporli sul tavolo negoziale. L’ingresso della Cina all’interno dell’Organizzazione, sancito proprio alla
conferenza di Doha, non poteva, inoltre, non determinare, dato il suo peso
nell’economia mondiale, importanti conseguenze sul funzionamento
dell’Organizzazione e sull’andamento dei negoziati.
Se il successo di Doha è stato, quindi, il varo del nuovo negoziato dopo la
“crisi” di Seattle che aveva minato alla radice la credibilità dell’Organizzazione, la
IV conferenza non ha, in concreto, risolto nessuno dei nodi negoziali pre-esistenti.
È innegabile che l’agenda del negoziato (nota come DDA, Doha Development
Agenda) fosse ambiziosa, ponendo sul tavolo questioni critiche e complesse.
L’Agenda prevedeva, tra l’altro: misure di liberalizzazione degli scambi del settore
agricolo; processi di abbattimento tariffario per i beni non agricoli, il progressivo
aumento del quantitativo ammesso all’importazione, fino alla totale eliminazione
delle quote; trattazione delle c.d. Singapore issues16.
Nel corso del travagliato negoziato, l’Agenda ha subìto diverse modifiche rispetto alla sua originaria formulazione. I temi più significativi attualmente in discussione sono evidenziati nel box 9.1.
9.5
Il difficile cammino del Development Round
L’ottimismo iniziale di Doha si è subito incrinato in occasione della V conferenza
ministeriale di Cancún del settembre 2003. Questo vertice avrebbe dovuto costituire l’occasione per tirare le somme sui progressi registrati nell’ambito del Development Round, consolidando alcuni primi risultati e accelerando, al tempo stesso,
la ricerca di nuove soluzioni per a portare a termine entro la fine del 2004 gli ambiziosi obiettivi di apertura e regolamentazione dei mercati fissati due anni prima a
Doha. Le cose sono andate diversamente. Già alla vigilia dell’appuntamento di
Cancún vi era un sostanziale disaccordo tra i principali paesi sui temi chiave affrontati dai negoziati. Il confronto ministeriale si è quindi concluso con un nulla di
fatto. Le profonde divergenze emerse sui molti dei temi affrontati hanno reso impossibile il raggiungimento di un valido compromesso. Inoltre i Pvs, dimostrando
un’inaspettata capacità negoziale, anche grazie al proficuo ricorso allo strumento
delle “coalizioni”, hanno, di fatto, determinato il fallimento del tavolo negoziale. Il
fallimento di Cancún può essere, in realtà, interpretato come il risultato di un concorso di colpe. Da un lato, il gruppo del G-2017, con le tre economie leader di Bra16
Si tratta delle seguenti tematiche (identificate durante la Conferenza Ministeriale di Singapore del
1996): liberalizzazione del settore degli investimenti; regole sulla concorrenza; facilitazione al commercio; trasparenza negli appalti pubblici. Per un approfondimento vedi cap.2.
17
Rientrano in questa coalizione, spesso indicata anche come “G-20+” (in considerazione della sua
composizione variabile): Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Cuba, Ecuador, Filippine, Guatemala, India, Messico, Pakistan, Paraguay, Perù, Sud Africa, Tanzania, Thailandia, Uruguay, Venezuela e
Zimbabwe.
262
La politica economica internazionale
sile, Cina e India, ha messo in evidenza il potere di veto a disposizione dei Pvs,
nuovi protagonisti dell’Organizzazione, nonostante l’esistenza di alcune divisioni
al loro interno. Dall’altro, i paesi più avanzati, contrari a rivedere le proprie misure
di protezione dei mercati, hanno preferito rinviare l’accordo piuttosto che accettare
un compromesso al ribasso. La UE, in particolare, ha messo in atto una strategia
miope e poco efficace, insistendo troppo sulle Singapore issues e non riuscendo a
valorizzare le riforme apportate alla PAC. Ha inoltre pesato l’assenza di leadership
da parte degli USA che, in vista della scadenza elettorale delle presidenziali 2004,
hanno mantenuto una posizione defilata nell’ambito del negoziato.
L’aspetto più rilevante del vertice di Cancún è stato indubbiamente
l’apparizione sulla scena delle negoziazioni multilaterali di nuovi protagonisti: i
Pvs. A lungo tenuti al margine del sistema, i Pvs hanno fatto sentire a Cancún il loro peso e la loro voce, determinati ad affermare per la prima volta le modalità negoziali più consone al raggiungimento dei loro obiettivi. Attraverso la formazione
di vari gruppi negoziali (il “G-20”; il “G-33” guidato da Filippine ed Indonesia; il
gruppo dei paesi dell’Africa centrale ed occidentale) i Pvs hanno dimostrato di essere in grado di formare, guidare e mantenere coalizioni negoziali, anche in presenza di eterogenei interessi nazionali (Hoekman, 2003). Il fallimento del vertice di
Cancún ha reso, pertanto, palese la richiesta da parte dei Pvs di una maggiore attenzione ai loro problemi e di un intervento con misure adeguate di politica commerciale.
Dopo Cancún il negoziato è entrato in una fase di stallo. Nell’estate 2004, nel
tentativo di riprendere il confronto, venne stilato un programma di lavoro, il c.d.
“pacchetto di luglio” (July package), volto a stabilire obiettivi ed impegni relativamente ai principali temi negoziali. Il programma prevedeva di concordare una
prima approssimazione delle modalities, cioè delle modalità di applicazione
dell’accordo stesso, in previsione della VI conferenza ministeriale di Hong Kong
che si sarebbe svolta nel dicembre 2005. L’obiettivo della conferenza era quello di
“riportare sui binari” il processo negoziale iniziato a Doha, ossia dare una nuova
spinta ad un ciclo negoziale la cui conclusione era stata originariamente fissata per
il 1° gennaio 2005. Tale obiettivo non è stato, tuttavia, centrato ed anche questa
ennesima tappa si è chiusa senza risultati rilevanti. Nel 2008, per cercare di superare la fase di immobilismo che era seguita alla ministeriale di Hong Kong, i paesi
membri hanno approvato il “pacchetto di luglio”. L’obiettivo era quello di trovare
un accordo circa le modalità di riduzioni delle misure protezionistiche per l’accesso
al mercato dei beni agricoli e dei NAMA. Si trattava di fissare le formule e gli altri
metodi da utilizzare per il taglio delle tariffe, dei sussidi agricoli e degli altri sostegni. La proposta di modalità, rivista nel dicembre dello stesso anno, non è stata tuttavia ancora approvata.
Ad oggi, il quadro delle trattative multilaterali continua ad essere denso di incertezze. Nonostante le dichiarazioni di intenti da parte dei paesi membri, non sono
stati infatti finora registrati progressi di rilievo nell'ambito dei negoziati. Restano
ancora significative divergenze tra paesi avanzati e paesi emergenti o in via di sviluppo nel negoziato agricolo - sebbene siano state raggiunte aree di parziale accordo - e nel negoziato sull'accesso al mercato dei prodotti non agricoli (NAMA), per
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
263
via delle difficoltà a trovare un compromesso su modalità ed entità dei tagli tariffari e dei sussidi (per un’analisi di dettaglio sui temi oggetto del negoziato si rimanda
all’approfondimento alla fine del capitolo). Il negoziato di Doha resta, quindi, in
una grave fase di stallo che rende poco probabile una sua prossima significativa
conclusione. Il Direttore dell’OMC, Pascal Lamy, date le distanze di posizione dei
paesi membri su alcuni dei principali temi oggetto delle trattative, ha ventilato
l’ipotesi di raggiungere un risultato di compromesso. L’idea è quella di concludere
il Round con una sorta di accordo ristretto a un numero limitato di temi meno controversi e più connessi allo sviluppo e ai paesi poveri. L'approvazione del cosiddetto “piano B” permetterebbe di evitare il fallimento del Doha Round con la messa in
discussione dell'intero sistema multilaterale. L'alternativa a questa ipotesi è quella
di una nuova sospensione temporanea del Round, che farebbe però slittare
l’accordo a non prima del 2020, per via dei susseguenti impegni elettorali nazionali
che interesseranno vari paesi membri. Il fallimento delle trattative potrebbe, se non
implicare la perdita di fiducia nell'istituzione OMC, sicuramente indebolirne il ruolo come sede di regolazione delle relazioni internazionali. Ciò potrebbe favorire la
proliferazione di accordi commerciali di tipo bilaterale o regionale e l’incremento
delle controversie e degli interventi neo-protezionistici che minaccerebbero la tenuta dell'intero sistema commerciale mondiale.
9.6
La diffusione degli Accordi preferenziali ed il fenomeno
del “Regionalismo”
La paralisi del Doha Round è probabilmente tra le principali cause del recente proliferare di accordi commerciali preferenziali di tipo unilaterale, bilaterale e regionale18. Il fenomeno ha assunto negli ultimi anni una dimensione particolarmente rilevante. La varietà di accordi preferenziali che caratterizza e regola l’attuale commercio mondiale è rappresentabile come un’articolazione estremamente complessa
e di difficile gestione (definita dallo studioso Bhagwati a spaghetti bowl, un “piatto
di spaghetti”, per dare l’idea dell’intricato groviglio) e che sembra destinata a perdurare anche in futuro (Baldwin, 2010). Se nel 1990 gli accordi preferenziali in vi19
gore erano solo 70, nel 2011 essi sono circa 300 ed il trend è in continua crescita .
La media è di 13 accordi per paese membro; due terzi sono tra paesi in via di sviluppo e circa un quarto tra paesi avanzati ed in via di sviluppo (WTO, 2011). L'area
che si conferma la più dinamica nel dar vita ad accordi preferenziali è l'Asia orientale, grazie soprattutto ad accordi firmati recentemente da Cina, Corea del Sud ed
India.
18
Gli Accordi Commerciali Preferenziali, come è noto, prevedono la riduzione delle barriere commerciali tra i paesi partecipanti.
19
Secondo l’OMC, la rilevanza quantitativa del numero di accordi preferenziali sembrerebbe comunque non accompagnarsi ad una pari crescita dei flussi di commercio preferenziale: la quota di commercio mondiale realizzata in base agli accordi preferenziali sarebbe pari a solo il 16,7% (al netto
dei flussi intra-Ue) (WTO, 2011; Carpenter e Lendle, 2010).
264
La politica economica internazionale
In particolare, il fenomeno dell’integrazione commerciale a carattere regionale
(il c.d. “regionalismo”) rappresenta una delle principali caratteristiche dello sviluppo recente delle relazioni economiche internazionali, nonché la principale “minaccia” al principio di “non discriminazione” alla base del sistema multilaterale degli
scambi. Nonostante l’estrema varietà che caratterizza la struttura degli accordi regionali, essi presentano l’obiettivo comune di promuovere la liberalizzazione economica e commerciale su base regionale. Tale obiettivo viene generalmente valutato grazie ad alcuni elementi chiave, tra i quali risultano fondamentali il grado di riduzione delle barriere esterne comuni, l’incremento della competitività, la riduzione dei costi di transazione e l’estensione della liberalizzazione agli investimenti
non discriminatori e ai servizi. Attualmente, tutti i paesi membri dell’OMC fanno
parte di almeno un accordo a carattere regionale. La formazione di “blocchi” commerciali ha riguardato prevalentemente gruppi di paesi geograficamente prossimi.
Tuttavia, aree di libero scambio commerciale sono state implementate anche su
aree geografiche più vaste, in alcuni casi di livello intercontinentale. Inoltre, la recente affermazione del fenomeno “regionalismo” riguarda non solo i paesi più industrializzati, ma anche le economie meno avanzate (Pvs e paesi in transizione).
Sebbene i paesi avanzati detengano ancora la leadership nell’adozione di accordi di
integrazione regionale, i Pvs hanno innegabilmente contribuito a questa fase di ritorno al regionalismo formulando programmi per nuovi accordi o per rivitalizzare
quelli esistenti.
Tra i principali accordi regionali vanno ricordati: in Europa, lo Spazio economico europeo (SEE) fra i paesi membri dell’UE e tre dei quattro paesi membri
dell’EFTA20 (European Free Trade Association); in Sudamerica, il MERCOSUR,
Mercato comune dell’America del Sud, fra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay21; in Africa, la UEMOA, l’Unione economica e monetaria fra otto paesi
dell’Africa occidentale, ed il SADC (South Africa Development Community) fra
quindici paesi dell’Africa Subsahariana; in Asia, l’ASEAN (Association of SouthEast Asia Nations) fra dieci paesi del Sud-Est Asiatico, che hanno recentemente
dato vita anche ad un’area di libero scambio commerciale (AFTA, Asean Free
Trade Area).
Esempi rilevanti di accordi tra economie avanzate e Pvs sono, invece, il Nafta
(North American Free Trade Agreement), che nel 1994 ha esteso al Messico l’area
di libero scambio tra Stati Uniti e Canada, e l’APEC (Asia Pacific Economic Cooperation), l’accordo di cooperazione economica tra i paesi che si affacciano
sull’oceano Pacifico. Interessanti iniziative per la creazione di aree di libero scambio, unioni doganali e altre forme di accordi commerciali regionali sono, inoltre, in
discussione o in fase di studio sia fra aree in via di sviluppo, sia a livello Nord-Sud,
come ad esempio il progetto FTAA (Free Trade Area of the Americas) che riunirebbe tutti i paesi del continente americano, eccetto Cuba, o anche il progetto di
20
Si tratta di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, mentre la Svizzera non ne fa parte.
L’accordo MERCOSUR, firmato il 26 marzo 1991 da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay per
la realizzazione di un’Unione doganale con l'obiettivo della creazione di un vero e proprio mercato
comune, rappresenta il più ambizioso schema di integrazione regionale esistente dalla nascita della
Comunità economica europea nel 1957.
21
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
265
“partenariato Euromediterraneo” che prevede accordi di commercio bilaterale fra
l’Unione Europea, il Nord Africa ed alcuni paesi del Medio Oriente.
All’analisi degli effetti degli accordi di integrazione regionale è dedicato uno
specifico filone di letteratura economica, che ha ricevuto impulso con i lavori di
Viner (1950) e Meade (1955) dedicati, in particolare, alla teoria delle unioni doganali. Tale filone di analisi si è, tuttavia, recentemente arricchito, sia da un punto di
vista teorico, sia da un punto di vista empirico, tanto da determinare un ripensamento delle tradizionali categorie di analisi, nonché della stessa nozione di regionalismo. Innanzitutto, è stato riconosciuto che un’efficace integrazione necessita
qualcosa in più della semplice riduzione delle tariffe e dei contingentamenti. A tal
fine, la nozione di regionalismo è stata ampliata (si parla oggi di “deep integration”) per abbracciare una varietà di questioni, sempre legate al commercio, che
vanno oltre le barriere tariffarie e che includono le politiche di concorrenza, la regolamentazione degli investimenti diretti esteri, gli standard del lavoro e ambientali, le leggi sui servizi e sugli appalti pubblici (World Bank, 2000). Da una maggiore
attenzione ai processi di “integrazione negativa” (mera eliminazione dei vincoli e
degli ostacoli al commercio) si è passati, inoltre, ad una maggiore attenzione ai
processi di “integrazione positiva”, con la creazione di strumenti ed istituzioni necessari al conseguimento degli obiettivi comuni22. Secondariamente, si è tentato il
passaggio da un “regionalismo chiuso”, basato su un modello di sviluppo del tipo
import-substituting, ad un modello “aperto”, del tipo outward-looking, più incline
ad una maggiore apertura al commerciale internazionale (Nenci, 2003).
Il fenomeno del regionalismo presenta comunque aspetti critici. Alcuni studiosi lo inquadrano come un processo a sostegno e completamento della liberalizzazione multilaterale, mentre altri lo considerano in aperto contrasto con l’obiettivo
della realizzazione di un’economia mondiale maggiormente integrata su basi multilaterali e, quindi, più efficiente. C’è chi sottolinea i costi e l’estrema difficoltà di
realizzare una soddisfacente integrazione regionale (Rodrik, 2000a; Rodriguez e
Rodrik, 1999). Per costoro l’integrazione, intesa esclusivamente in termini di eliminazione delle restrizioni al commercio, non va considerata di per sé un bene assoluto, come molte esperienze di apertura commerciale e di liberalizzazione dei
mercati verificate di recente dai Pvs dimostrano. Per molti di questi Paesi, infatti,
l’apertura verso l’esterno produce, in primo luogo, una significativa contrazione del
bilancio statale a seguito dell’eliminazione delle barriere tariffarie, che rappresentano in molti casi la principale fonte di acquisizione di risorse finanziarie (Rodrik,
2000b). Inoltre, l’apertura commerciale comporta una maggiore esposizione agli
shock esterni, risultando una fonte di instabilità macroeconomica e finanziaria, soprattutto per le economie dei Pvs considerate più deboli e quindi vulnerabili (Montalbano, 2011). A livello teorico sono comunque numerosi gli autori (Frank, 1989;
Blackhurst e Henderson, 1993; Krugman, 1993) che ritengono che la diversione dei
flussi commerciali, conseguente alla diffusione del regionalismo, possa essere più
che compensata dall’aumento della crescita derivante dai vantaggi dinamici
22
Per una appropriata definizione del concetto di integrazione “negativa” e “positiva” si veda Tinbergen (1954).
266
La politica economica internazionale
dell’integrazione regionale o, più in generale, che gli accordi regionali possano essere considerati complementari all’OMC e funzionali ad aumentare la credibilità
degli impegni presi dai paesi in materia di liberalizzazione commerciale (Hoekman
et al., 2009; Freund e Ornelas, 2010).
D’altro canto, è innegabile che la spinta al regionalismo sia stata una costante
per tutta la vita del sistema multilaterale. Un legame istituzionalizzato fra regionalismo e multilateralismo è sancito nell’art. XXIV del GATT (ora trasferito in ambito OMC)23, il quale considera ammissibili gli accordi commerciali di natura regionale sulla base di due criteri-chiave: che essi abbiano come obiettivo la piena liberalizzazione del commercio tra i paesi membri e che non alzino ulteriori barriere
nei confronti dei paesi terzi. Tale norma, se al momento della sua istituzione rispondeva primariamente all’esigenza di ampliare il numero di paesi partecipanti ai
negoziati multilaterali (anche quelli già impegnati in accordi commerciali preferenziali, come ad esempio i paesi europei nei confronti dei paesi e territori
d’oltremare), ha nel tempo modificato la propria funzione ed attualmente rappresenta la manifestazione più evidente della filosofia dell’OMC, il c.d. “regionalismo
aperto”. In base a tale interpretazione, si ritengono cioè compatibili con il sistema
generalizzato delle preferenze commerciali gli accordi regionali basati su regole
non discriminatorie che, grazie alla piena e completa liberalizzazione interna, possono essere considerati vere e proprie tappe preliminari al processo generale di liberalizzazione su base multilaterale.
In conclusione, non è possibile sostenere una posizione definitiva all’interno
del dibattito “regionalismo-multilateralismo”. Gran parte degli accordi di integrazione regionale sono troppo recenti per poter valutare appieno gli effetti positivi o
negativi di tali accordi sul processo di integrazione multilaterale a livello globale,
soprattutto per quanto riguarda gli accordi commerciali c.d. “Nord-Sud” o “SudSud”. Inoltre, secondo alcuni studiosi, la questione se il regionalismo possa considerarsi come il primo passo verso il multilateralismo (stepping stone) o piuttosto
come un ostacolo ad esso (stumbling bloc) è ormai superata (Baldwin, 2010). Venti
anni di regionalismo incalzante non sembrano aver affatto ostacolato la progressiva
riduzione delle tariffe e la crescita degli scambi commerciali. La minaccia verrebbe
piuttosto dal fatto che gli accordi regionali possono minare la centralità dell’OMC
quale forum per la “governance” del commercio mondiale. L’insidia concreta riguarderebbe, quindi, non il ruolo dell’OMC quale garante dei tagli tariffari, quanto
23
In realtà le norme del GATT che, direttamente od indirettamente, si occupano di accordi di integrazione regionale sono più di una. La IV parte del GATT, denominata “Commercio e sviluppo”, allegata agli accordi nel 1965, prevedendo speciali misure per la promozione del commercio e dello sviluppo dei paesi aderenti meno avanzati fu spesso invocata da tali paesi per opporsi all’instaurazione di
accordi di integrazione regionale considerati discriminatori nei loro confronti. Inoltre nel 1979 fu approvata, durante le negoziazioni del Tokyo Round, un’apposita clausola per rendere legali, sotto certe
condizioni, eventuali accordi preferenziali intercorsi fra i Pvs. In aggiunta, esiste all’interno degli accordi GATT anche l'articolo XXV, grazie al quale è possibile concedere occasionalmente deroghe
concernenti accordi settoriali di liberalizzazione commerciale. L’art. XXIV, tuttavia, prevedendo la
notificazione al GATT della realizzazione di ogni area di libero scambio e di ogni unione doganale e
la successiva revisione e decisione finale sulla loro conformità al sistema commerciale multilaterale,
rimane la norma principale in materia.
Cap. 9 – Il coordinamento commerciale multilaterale
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piuttosto quello di estensore delle norme che regolano il commercio di beni e servizi e gli investimenti mondiali. Il rischio connesso sarebbe quello di un ritorno ad
un sistema commerciale basato, non su regole certe, ma sul peso economico dei
membri, con l’inevitabile simmetria a scapito dei membri economicamente più deboli.
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